Nicaragua, Filippine e Messico: la violenza trova l’ostacolo dei vescovi

Tre paesi al centro delle preoccupazioni internazionali: Nicaragua, Filippine e Messico. Un picco di violenza che mostra la pericolosità di concepire la struttura statale come il supremo cardine della giustizia e della verità.  In mezzo al cammino di questi stati-dei, si è frapposto un ostacolo: la Chiesa.

Quello che sta accadendo in Nicaragua ha qualcosa di incredibile e assurdo. Il presidente Ortega era già stato alla guida del paese nel 1979, e per ben 11 anni ha portato avanti idee sandiniste e marxiste. Tenne per sé il potere senza concedere elezioni, e quando nel 1990 le permise, venne sconfitto. Nel 2006 riuscì a riottenere il potere facendo un accordo col partito conservatore, nonostante la continua concentrazione di potere sulla sua persona e nella sua famiglia, Ortega è riuscito a mantenere la stabilità nel paese con l’aiuto dei finanziamenti del Venezuela.

La situazione è precipitata quando, nel mese di aprile di quest’anno, alla mancata attenzione del governo per un incendio nel sud-est del paese, sono sorte proteste anti-governative. Anche la riforma del sistema previdenziale ha destato parecchi malcontenti nella popolazione che, grazie a questi pretesti, è arrivata a una vera e propria protesta contro il presidente, che ha reagito sopprimendo con violenza le proteste. I paramilitari hanno già ucciso diverse persone, tra cui alcuni studenti che manifestavano il loro dissenso. La sollevazione ha quindi coinvolto l’intero paese e la reazione del presidente Ortega e della moglie, vicepresidente è stata trasformarsi in un governo di stampo dittatoriale. Le vittime hanno superato i 300 morti, senza contare il numero di feriti. Per giustificare le sue azioni, Ortega sta accusando i detrattori di essere complici di un golpe, fomentato dagli USA e dalla stessa Chiesa Cattolica.

Proprio contro quest’ultima c’è un particolare accanimento. Il rapporto con i vescovi, prima di questi ultimi mesi, aveva visto in realtà una certa stabilità: lo stesso Ortega aveva ottenuto l’appoggio della Chiesa nel 2006, che in cambio chiese l’abolizione della legge sull’aborto terapeutico. Ma oggi la Conferenza Episcopale sta apertamente contrastando il governo e i paramilitari sono arrivati a sparare contro gli edifici sacri, ad aggredire vescovi e sacerdoti e profanare i tabernacoli. Il cardinale José Brenes Solorzano, primate del Paese, ha cercato a lungo il dialogo con il governo ma si è arreso davanti al ricorso di una violenza mai vista nel Paese. La Chiesa è rimasta l’unica istituzione ad opporsi al dittatore, radunando il suo popolo nella preghiera e nel digiuno, invocando l’intervento della comunità internazionale. Anche Papa Francesco ha fatto sentire la sua vicinanza ai vescovi nicaraguensi.

Anche dall’altra parte del mondo i vescovi sono chiamati ad un’azione coraggiosa di resistenza: il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, in questi ultimi due anni ha dato tali dimostrazioni di forza da far attirare l’attenzione di mezzo mondo su di lui. Alla guida del paese dal 2016, sta combattendo la guerra alla droga ricorrendo a violenza e omicidi, non lesinando la sua lingua tagliante a chi si oppone ai suoi tirannici metodi, tra cui l’alleato americano e un gran numero di capi di stato.  Nel 2016 la Conferenza Episcopale non guardava con favore la sua elezione e, anche per questo, Duterte è arrivato ad attaccare i vescovi del paese e la stessa fede cristiana. Dio? Uno stupido, ha dichiarato, chiedendo che se verrò provata la sua esistenza sarà pronto a dimettersi.

Sono già otto i giornalisti uccisi in Messico quest’anno. Anche qui è tanta la violenza che si registra nel Paese e, anche in questo caso, è quella della Chiesa locale la voce che più delle altre si leva lanciando appelli alla società, «per serrare i ranghi e ridurre efficacemente la violenza», come ha scritto il segretario della Conferenza episcopale, mons. Miranda Guardiola. «La Chiesa chiede ai cittadini di non addormentarsi, poiché è necessaria la loro partecipazione impegnata per risolvere i problemi del Paese». Dicendosi poi disposto, a nome dei suoi confratelli, «a collaborare nel processo di riconciliazione proposto dal Presidente eletto, Andrés Manuel López Obrador».

La situazione in questi tre paesi fa riflette sul senso di potere assoluto dello stato moderno. Già con le teorie hegeliane di metà Ottocento e con l’esplosione di queste idee nel Novecento, sappiamo bene a quali mostruosità possano arrivare gli uomini che assumono il potere. La Chiesa Cattolica, la fede cristiana ha sempre rappresentato il grande ostacolo alla causa statalista, ed anche in questi attualissimi casi la storia si conferma.

Luca Bernardi

1 commenti a Nicaragua, Filippine e Messico: la violenza trova l’ostacolo dei vescovi

  • Umpalumpa ha detto:

    Buongiorno,

    Non mi è chiara una cosa. Perchè il messico attuale rientra fra la “casistica” degli stati con un “senso di potere assoluto dello stato moderno”?

    Capisco ricomprendere il nicaragua, anche le filippine (in una qualche misura), ci sarebbe stato bene Cuba e Venezuela. Non capisco però il Messico
    Intendiamoci..non metto in dubbio che in Messico la Chiesa stia subendo violenze. Però non mi risulta che queste violenze siano opera dello stato. Pensavo che il problema in Messico fosse soprattutto causato dai narcotrafficanti.

    Però non sono un esperto di sud america. Quindi…