La “cristianizzazione forzata” delle Americhe? Alcuni chiarimenti storici.

Alcuni parlano di evangelizzazione forzata delle Americhe, lo ha fatto lo storico Edmondo Lupieri nel suo Identità e conquista (Feltrinelli 2005). Si legge di “colonialismo”, “conquiste cristiane” e di “imposizione del cristianesimo”. Cosa c’è di vero?

Le cose andrebbero storicamente chiarite e lo abbiamo fatto nel nostro apposito dossier dedicato all’argomento: legare la religione cattolica al colonialismo è un’operazione controversa. Oltre al fatto che molti dei sovrani “cattolici” -quelli di Spagna, Francia e Portogallo-, lo erano in modo piuttosto nominale (mentre Inghilterra, Olanda e altri paesi avevano già aderito alla Riforma), i vertici della Chiesa erano spesso designati e governati direttamente dal re e non dai Pontefici.

I Papi, in ogni caso, già a partire dal 1435 (con la bolla “Sicut Dudum di Eugenio IV), condannarono la schiavitù delle popolazioni indigene sotto pena di scomunica (qui l’approfondimento) e, a partire dal 1537 con la bolla “Veritas Ipsa”spazzarono via gli appetiti schiavistici sulle popolazioni del Nuovo Mondo, proclamando che “Indios veros homine esse”Una regina storicamente ritenuta un’autentica cattolica fu, invece, Isabella di Castiglia. Fin dal 1493, qualche mese dopo la scoperta dell’America, Isabella chiese a Cristoforo Colombo che gli indios fossero trattati “amorosamente” (testuali parole presenti nel documento originale del 1501), guardandoli «come gli altri abitanti del nostro reame». Lei stessa rimanderà nelle Antille, come uomini libri, gli schiavi che Colombo -da lei destituito- aveva inviato in Europa per essere venduti.

Riflettendo sull'”imposizione del cristianesimo” e sulle “conversioni forzate” operate dai colonizzatori nei confronti dei popoli indigeni, si percepisce il senso di forte ingiustizia. Che fine ha fatto la cultura dei vinti? Le cose si ridimensionano leggendo una delle principali studiose delle civiltà azteca e maya, la storica e antropologa australiana Inga Vivienne Clendinnenla scomparsa dell’impero azteco, ha scritto, le crea dispiacere più o meno come la sconfitta dei nazisti dopo la guerra mondiale. Infatti, il sistema di sterminio nazista era decisamente più soft degli innumerevoli sacrifici umani settimanali che avvenivano a Tenochtitlán, capitale azteca (I.V. Clendinnen, The Cost of Courage in Aztec Society: Essays on Mesoamerican Society and Culture, Cambridge University Press 2010). La Clendinnen fu tra le prime studiose del mondo Maya e Azteco e, diversi anni dopo, pubblicò anche un libro sull’olocausto nazista (premiato dal New York Times come miglior libro del 1999). E’ difficile quindi avere una prospettiva più ampia e accurata su tale panorama.

L’antropologa australiana ha così spiegato che l’unico animale che veniva tagliato e sacrificato pubblicamente era l’essere umano, con la partecipazione attiva di tutte le classi sociali: tutto a Tenochtitlan era costruito per celebrare l’uccisione e il sacrificio umano. «Ad insanguinare ogni giorno i gradini degli enormi templi era quest’ansia ossessionante di non lasciare finire il mondo, un’ansia che raggiungeva il suo culmine ogni cinquantadue anni, quando la minaccia delle catastrofi si faceva più concreta ed imminente» (B. Diaz del Castillo, La conquista del Messico, Longanesi 1968). Il film Apocalypto di Mel Gibson è stato accurato nel descrivere il bisecolare mondo azteco. «Le persone», ha scritto Clendinnen, «venivano coinvolte nella cura e nella preparazione delle vittime e dei corpi: lo smembramento, la distribuzione di testa e arti, la divisione di carne, sangue e pelle scorticata». Tutta la cultura Azteca, Inca e Maya era costruita attorno al sacrificio umano di massa. «In occasione dei riti di fertilità», ha aggiunto l’antropologo americano George Clapp Vaillant, «venivano uccisi donne e bambini per assicurare la crescita delle piante. Saltuariamente si ebbero casi di cannibalismo cerimoniale. Infliggersi ferite a sangue era un altro modo di assicurare il favore divino. La popolazione faceva orribili penitenze, mutilandosi con lame o trapassandosi la lingua di spaghi cui erano annodate spine» (G.C. Vaillanti, La civiltà Azteca, Einaudi 1962, p. 184-188). E’ recente la notizia di una scoperta a Tenochtitlan, capitale dell’impero azteco: un enorme accumulo di teschi (tra cui molte donne e bambini) dedicati al dio azteco del Sole, della guerra e dei sacrifici umani, depositati all’interno della torre dopo l’esposizione al pubblico su un’intelaiatura in legno.

Questo è ciò che si trovarono davanti agli occhi i conquistadores. I quali riuscirono a sconfiggere gli Atzechi trovando pronta alleanza con popolazioni indigene vittime del crudele dominio azteco (i prigionieri di guerra erano i primi ad essere scuoiati vivi e sacrificati ai capricciosi dèi atzechi). L’instaurazione del cristianesimo servì anche a dotare questi uomini -totalmente sottomessi al capriccio delle loro crudeli divinità- di una morale più “umana”, allontanandoli dalla violenza religiosa. Il popolo Azteco, è stato infatti dimostrato, smise di praticare uccisioni di massa e altre violente forme autoctone di culto proprio grazie alla conversione cristiana di molti dei suoi membri (cfr. Koschorke, A History of Christianity in Asia, Africa, and Latin America 2007, pp. 31–32; McManners, Oxford Illustrated History of Christianity 1990, p. 318).

Il condottiero Hernán Cortés fu avido di denaro, di ricchezze e fu efferato nel combattere i guerrieri indigeni, ma anche disgustato dai loro sacrifici di massa, sentendosi per questo un vero liberatore. Spesso la furia della guerra prese il sopravvento ma si consideri anche che ad opporsi alla non rara violenza degli stessi conquistadores furono anche monaci e sacerdoti cattolici, come Bartolomé de Las Casas, protettore degli indios. In Paraguay, addirittura, i gesuiti armarono, educarono le popolazioni locali e respinsero i colonizzatori: l’esempio più classico è la famosa Battaglia di Mbororè. Le missioni gesuite furono oasi di paradiso rispetto al dominio atzeco e a quello degli “uomini bianchi”.

Di richieste ufficiali di conversioni forzate, tuttavia, non c’è traccia. Anzi, il primo Concilio d’America, quello di Lima nel 1552, stabilì: «Ordiniamo che nessuno battezzi indios di oltre 8 anni di età, senza verificare che venga volontariamente battezzato e per amore a quanto richiede e riceve, e capisca il sacramento. Non si dovranno battezzare bambini indios prima dell’età di ragione, oppure contro la volontà dei genitori o di coloro che ne hanno la cura». Occorre anche considerare quanto afferma l’eminente storico francese Jean Dumont, tra i massimi esperti della storia spagnola dei secoli XV e XVI: «Ce n’è abbastanza per dire che l’evangelizzazione degli indios non fu forzata e nemmeno superficiale, come si è troppo spesso scritto. Popoli indios interi e di primaria importanza abbracciarono subito autonomamente la fede cristiana […]. In Perù la cristianizzazione degli indios sarà talmente profonda che la grande rivolta contro il potere coloniale, quella di Topak Amaru alla fine del XVIII secolo, si farà in nome del cristianesimo, in un totale rovesciamento dei riferimenti religiosi degli indios. In Messico, dal 1925 al 1930, sarà il cattolicesimo indios che si opporrà con resistenza eroica all’impresa di scristianizzazione violenta dei senza Dio giacobini e bolscevichi».

Ombre e luci,  come sempre. Così è la storia degli uomini. Ma la realtà è più complessa e laddove ci si indigna (giustamente) per popoli occidentali che sottomettono le civiltà primitive, si può anche riconoscere come i valori cristiani hanno civilizzato popoli violenti, dominati da sangue e omicidi. Ancora oggi i vescovi continuano a combattere a fianco degli indios, spesso pagandone le conseguenze. E’ accaduto qualche anno fa al brasiliano mons. Pedro Casaldaliga, minacciato di morte per il suo impegno più che quarantennale in difesa dei diritti della tribù Xavante.

La redazione

7 commenti a La “cristianizzazione forzata” delle Americhe? Alcuni chiarimenti storici.

  • Alberto ha detto:

    I miei più fervidi complimenti! c’è davvero molto bisogno di questi chiarimenti e di mostrare la complessità irriducibile a slogan propagandistici!

  • giuliano ha detto:

    Il termine “americhe” è fuorviante, secondo me. Certamente non si può disconoscere che America del nord e America del sud ebbero due “percorsi” ben diversi. Nel sud America per decenni sfruttare gli indios ed essere cristiani non era spesso considerata contraddizione; tutti gli ispanici (compresi i presbiteri e anche qualche frate) possedevano schiavi (servitori) neri e i nativi venivano indicati spesso come “bestias”, privi di civiltà. Ma in secoli così complicati, dove il “messaggio” cristiano stentava a dare frutti, vi furono anche grandi personalità come Bartolomé De Las Casas. Ben altra fine si concretizzò nell’altra metà del continente americano (nel Nord America); qui nessun “cristiano” protesse gli indiani nord-americani e gli schiavi neri negli Stati Uniti. Gli evangelizzatori protestanti non trattarono i nativi con la stessa dignità dei coloni e li considerarono per secoli un intralcio alla civiltà “anglosassone”.

    • lorenzo ha detto:

      Schiavi indios?
      Per quel che ne so io, a meno che non si trattasse di meticci, ben difficilmente gli indios si adattavano alla schiavitù in quanto preferivano lasciarsi morire che rinunciare a vivere liberi: gli schiavi, nelle Americhe, dovevano essere importati dall’Africa in quanto gli indigeni preferivano la morte alla mancanza di libertà.

    • Graziano ha detto:

      …Ben appunto, come Lei ha scritto, trattasi di Cristianesimo PROTESTANTE, non cattolico, quello che ha , particolarmente, interessato il Nord America. ..

  • Enigma ha detto:

    Questo articolo mi sembra collegato all’articolo sull’obbligatorita’ del crocifisso proposto dalla lega….

    Giusto per rafforzare il concetto che il cristianesimo e’ solo moderazione, tutto il resto, anche solo una piccola forzatura di qualsiasi genere , mangari anche il solo convincimento verso qualcuno, l’evangelizzazione di popoli con culture diverse e’ forzatura e imposizione.

    Ma non so se sia proprio questo, mi chiedo allora morire in croce sia stata una forzatura un po’ esagerata da parte del padre verso il figlio?

    Chissa’…

    Se poi scopri qualcosa che sei sicuro salvera’ l’esistenza di una persona chiederai il permesso per gridarla a squarciagola, farla notare, farla scoprire a tutti?… Oppure te la farai portare via con altrettanta facilita’?…una volta scoperto un tesoro che salva sarai ancora concentrato su cavilli giuridici o rappresentazioni che possono turbare o forzare? Oppure saprai andare oltre le apparenze?..

    Un discernimento di fede sa bene verso che parte pendere, anche quando sa di imposizione e turbamento, conosce l’animo umano…magari e’ solo il primo passo, poi chissa’ il turbamento lascerà spazio alla riflessione, all’interrogativo….una immagine puo’ interrogare, ne passano tante tra i media ma nessuno se ne preoccupa.

    Ma questo ragionamento funziona solo con chi e’ molto convinto, forse perche’ in se ha vissuto la salvezza e prima ancora la morte.