Psicologia e cristianesimo, un ottimo libro ne ricostruisce i rapporti
- Ultimissime
- 11 Apr 2017
di Stefano Parenti*
*psicologo e psicoterapeuta
Un cristiano che voglia leggersi un buon libro di psicologia è costretto ad attuare una preventiva opera di discernimento. Deve valutare non solo i contenuti che l’autore propone, come è bene per qualsiasi tipo di lettura, ma anche le premesse, sovente implicite, che lo scritto porta con sé. Ovvero l’idea di uomo e di mondo che lo scrittore veicola attraverso le sue riflessioni.
A differenza di altri campi del sapere, in psicologia la concezione dell’uomo e della realtà costituisce un fondamento decisivo per lo sviluppo di qualsiasi discorso psicologico, ovvero sull’uomo e sulla realtà. Se, ad esempio, ritengo che le persone non siano altro che esseri poco più evoluti degli animali, descriverò i loro comportamenti come esito di dinamiche animalesche. L’amore sarà quindi il termine di un istinto, la famiglia la conseguenza di un impulso sessuale, l’amicizia una necessità utilitaristica di autoconservazione, ecc. È difficile trovare un buon libro di psicologia. Anche gli autori che si dichiarano cattolici corrono il rischio di veicolare idee aliene alla concezione cristiana dell’uomo poiché, consapevolmente o incoscientemente, approfonditamente o superficialmente, assumono le prospettive delle psicologie contemporanee.
È uscito un testo che analizza tali rischi e pone le basi per risolvere il problema. S’intitola Da Aristotele a Freud (D’Ettoris Editori 2016) ed è scritto dal professor Martin F. Echavarria, direttore del dipartimento di Psicologia e docente presso l’Università Abat Oliba di Barcellona. È un volume fondamentale.
Per coglierne la portata, poniamoci un interrogativo di tipo storico: prima delle impostazioni contemporanee, prima cioè di Wilhelm Wundt, ritenuto il precursore della psicologia contemporanea, e prima di Sigmund Freud, il “padre” della psicoterapia, che cosa c’era? Quando studiai io all’università, la risposta che ricevetti fu lapidaria: non c’era assolutamente nulla. Qualche esorcismo qua e là, e caccia alle streghe. Niente di serio. Anzi, nel testo base di ogni corso universitario di psicologia (P. Legrenzi, Storia della psicologia, Il Mulino 1980), leggiamo: «Per molti secoli il pensiero umano occidentale ha escluso che l’uomo potesse essere oggetto di indagine scientifica. […] Questa impossibilità affermata di studiare l’uomo è tipica del pensiero cristiano medievale. […] Il pensiero medievale è infatti del tutto alieno dallo studio dell’uomo, di cui nega addirittura la possibilità».
Quale può essere il pensiero sulla psicologia, allora, di un uomo formato alla cultura del terzo millennio? Echavarria lo riassume così: «Ai nostri giorni è comune pensare e insegnare che la psicologia moderna abbia dato inizio a qualcosa di realmente nuovo e rivoluzionario, che annovera pochi antecedenti o abbozzi prima della fine del XIX secolo» (p. 29). Dunque, si potrebbe concludere, l’unica possibilità per addentrarsi nello studio della psicologia è di confluire in una delle impostazioni contemporanee. Echavarria si pone in netto contrasto a tale ricostruzione: «Abbiamo intenzione di dimostrare la falsità di questa credenza» (p. 29). La dimostrazione si sviluppa lungo tre tappe. Dapprima il professore riprende le fonti cristiane: «I primi autori cristiani dimostrano una conoscenza tanto profonda del modo di funzionare della personalità umana che li rende dei veri classici per chi si occupa di queste tematiche» (p. 36). I Padri del deserto, Evagrio Pontico, Giovanni Cassiano, san Gregorio Magno e, ovviamente, Sant’Agostino sono gli esempi più noti. È però con la «grande sintesi medievale» che tutto lo studio sull’uomo «accumulatosi durante l’età patristica rispetto alla conoscenza pratica della persona umana raggiunge la pienezza, dal punto di vista sistematico» (p. 39).
Il vertice della conoscenza psicologica, teorica e pratica, viene sintetizzato da San Tommaso d’Aquino il quale, come sostiene Francisco Canals Vidal citato nel testo, arricchisce le conoscenze sulla «scienza del carattere» elaborata dagli antichi greci, Platone ed Aristotele specialmente, con le letture patristiche e l’esperienza di vita dell’ascetica cristiana. Per la verità, che San Tommaso rappresenti un apogeo di conoscenza umana se ne era accorto anche uno psicologo ben poco cristiano come Erich Fromm, che aveva detto: «In Tommaso d’Aquino si incontra un sistema psicologico da cui si può probabilmente apprendere di più che dalla gran parte degli attuali manuali di tale disciplina» (p. 41). Con la decadenza della filosofia scolastica il processo di disgregazione del sapere viene contrastato dai mistici del Rinascimento: «Questa tradizione mistica incontrerà il suo culmine nella modernità del Secolo d’Oro spagnolo, in santa Teresa di Gesù (1515-1582) e in san Giovanni della Croce (1542-1591)» (p. 42).
Echavarria cita e inquadra i riferimenti cristiani ma non si sofferma a descriverne gli apporti, poiché desidera far luce sul motivo per cui tale tradizione sia oggi dimenticata. Eccoci alla seconda tappa. La causa viene rintracciata negli autori dell’illuminismo, di cui Christian Wollf ed Immanuel Kant costituiscono gli esponenti più importanti nell’ambito del sapere filosofico e psicologico. Gli illuministi, eterogenei e discontinui al loro interno, attuano un progetto condiviso: la «rottura» con la tradizione. «Ciò che unisce questi pensatori è l’intento di liberazione nei confronti del cristianesimo, cioè, un motivo soprattutto politico-religioso» (p. 47 nota 4). Echavarria riassume così il loro obiettivo: «Si tratta di ricostruire, partendo da zero, l’insieme del sapere umano con indipendenza dalla tradizione scientifica anteriore (specialmente da quella aristotelica), dalla Rivelazione, e da ogni ipotesi “metafisica”, considerate come saperi svincolati e fantasiosi» (p. 47). In questo disegno di «rottura», che dall’illuminismo prosegue sino al XX secolo, un ruolo principale è svolto da Friedrich Nietzsche. Egli non solo si oppone frontalmente e radicalmente alla concezione cristiana, ma utilizza la psicologia come strumento principe per la ribellione: «Il tema della psicologia in Nietzsche deve essere inquadrato nel suo progetto di trasvalutazione di tutti i valori. In questo contesto, la psicologia gioca un ruolo capitale, è l’aspetto distruttivo di quel suo filosofare “con il martello”, al punto che il filosofo tedesco giunge a considerarla come “regina di tutte le scienze”» (p. 68).
Nietzsche accusa di «nevrosi» l’uomo occidentale, precisando che «la specie più grave di nevrotico è il santo» (p. 71). Per il filosofo tedesco la colpa di questa nevroticizzazione – giusto per ricordarlo – è del cristianesimo ed in particolare della sua morale. Essa che va decostruita (p. 70), non per giungere ad una nuova moralità, bensì per condurre l’umanità ad uno stadio «extramorale, al di là del bene e del male» (p. 72). È una «posizione totalmente antitetica a quella tradizionale (classica e cristiana) […] poiché la morale è vista come repressiva della soggettività, invece che come promotrice del suo dispiegamento e pienezza» (p. 74). Per la concezione tradizionale il santo è il virtuoso per eccellenza; per Nietzsche il santo è il nevrotico per eccellenza. Ora, ci si potrebbe chiedere cosa centri tutto questo con la psicologia contemporanea. Echavarria è molto chiaro al riguardo: «Questa concezione, in cui la morale “è posta sul lettino”, analizzata e curata da se stessa, ha un peso nei fondamenti della psicoanalisi di Freud e di quasi tutti gli psicologi successivi, segnando profondamente le caratteristiche della prassi. Lo psicologo sarà qualcuno che aiuta un individuo, esausto e infermo a causa della morale vigente nella cultura occidentale, a liberarsi e a superarla, trasformandosi in un individuo “eccezionale”, o almeno a relativizzarla e viverla come una finzione necessaria, però non sempre obbligante» (p. 75).
Giungiamo così alla terza tappa del percorso. Se l’influsso di Nietzsche, come dice Echavarria, «è stato più profondo su Freud» (p. 68), tanto da poter dire che «il più rilevante esponente del “medico filosofo” nietzscheano è stato senza dubbio Freud» (p. 80), e se quest’ultimo «sia con il suo atteggiamento di fondo sia con le sue teorie, è alla base dell’attuale prassi della psicologia» (p. 68), possiamo ben intuire il perché le psicologie contemporanee siano distanti, se non ostili, alla concezione cristiana dell’uomo. Non solo la psicologia del profondo, quindi, ma anche le numerose correnti che da essa nascono o ad essa si oppongono, come le teorie umaniste, sistemiche, cognitiviste, nascondono delle insidiose premesse antropologiche distanti dalla concezione tradizionale. Il professore precisa che non mancano i tentativi di recupero della concezione tradizionale, come la psicologia positiva; né mancano gli autori che ne hanno proposto una sintesi, benché parziale e problematica, come Alfred Adler; neppure sono assenti i contributi cristiani. Tutti, però, sono molto problematici: «Da un iniziale atteggiamento di sospetto o di rifiuto in ambito cristiano verso la nuova psicologia, ci si è spostati poco a poco sino alla posizione opposta di un’assimilazione eccessivamente acritica e una confusione di linguaggi e di teorie che non sembra aiutare la comprensione reale ed efficace dell’uomo» (p. 123).
Echavarria conclude quindi con una proposta: «Non ci sembra di avere un’altra strada che la dura riscoperta della grande concezione tradizionale del perfezionamento dell’uomo, sforzandoci di comprendere le sue connessioni con le problematiche contemporanee, senza cadere nell’identificazione con posizioni in sé estranee, né evitare la discussione, a volte basata su di una opposizione radicale, con gli autori contemporanei. In questa riscoperta, lo studio approfondito di san Tommaso gioca un ruolo fondamentale» (p. 126). Il volume si chiude una deliziosa appendice, dedicata al Magistero di Papa Pio XII. Anche questo sembra essere oggi dimenticato: il Pontefice si era direttamente interessato alla psicologia, dedicandole tre bellissimi discorsi in cui ne aveva sostenuto il valore ed aveva indicato la strada per superarne le problematicità. Grazie a questo saggio ora ogni appassionato studioso può accedervi.
19 commenti a Psicologia e cristianesimo, un ottimo libro ne ricostruisce i rapporti
” Un cristiano che voglia leggersi un buon libro di psicologia è costretto ad attuare una preventiva opera di discernimento.”
Quindi anzichè valutare il testo in sè ed eventualmente cambiare le idee che ha, dovrebbe preventivamente scegliere libri sulla base di presupposti religiosi. Cioè compiere una operazione metodologicamente antiscientifica. E vi ritenete pure razionali…
Non capisco il problema, esattamente come tu non ti fai cambiare le idee dai libri di scienziati che uniscono scienza e fede, altri preferiscono leggere libri che ritengono più interessanti per la loro visione. Questo non esclude che si possa leggere anche ciò con cui non si è d’accordo e trovare convincenti le tesi esposte. Ma il tuo commento mi fa capire che sei il primo ad avere un approccio ideologico, irrazionale e antiscientifico…
Al contrario, ha indicato un errore molto comune. Si chiama confirmation bias e lo si riscontra in infiniti contesti.
non giudico il libro che sembra anche interessante. Le parole di Stefano Parenti invece le trovo oscure, indecifrabili e confusionarie. Di quale psicologia parla? Tu sei risucito a capirci qualcosa?
Veramente, più che “confirmation bias” da parte dell’autore mi sembra che sia un'”estrapolazione di una frase dal proprio contesto per farle dire ciò che voglio” da parte del commentatore. Infatti l’articolo dice che, prima di leggere un testo di psicologia, è meglio valutare, oltre al contenuto, anche se l’autore dello stesso abbia una personale visione dell’uomo che può influire sulle sue conclusioni. Non si afferma nè che chi ha una visione cattolica non possa essere influenzato da essa, nè che, dopo aver capito che un autore ha una visione opposta alla propria, non si debba proseguire con la lettura del suo testo.
Il mio commento era rivolto a Hugo, concordando con quello che hai detto: non si possono scegliere gli autori secondo preconcetti.
…Anche gli autori che si dichiarano cattolici corrono il rischio di veicolare idee aliene alla concezione cristiana dell’uomo poiché, consapevolmente o incoscientemente, approfonditamente o superficialmente, assumono le prospettive delle psicologie contemporanee…
Questo non è nemmeno un bias, è proprio un’autocensura che dovrebbe tener conto di un qualcosa pensato da altri.
Taigura Araphael
Mi pare che l’articolo, tra recensore e autore, paventi un pericolo del tutto ipotetico: quello secondo cui la psicologia recente possa indirizzare i risultati
verso conclusioni falsate da idee proprie e il rimedio sarebbe quello di seguire idee altrui!…
Nell’antichità non esisteva una branca del sapere distinta e dedicata alla psicologia, ma è anche vero che osservazioni
profonde e sorprendenti per acutezza di osservazione sono sparse in moltissime opere, quindi non si può nemmeno dire che la materia fosse ignorata.
De Anima, Confessiones, ecc. di cosa parlavano allora? e cosa facevano se non approfondire in modo sistematico il tema della psiche umana?
si lo so..la mia era ironia nei confronti di una recensione davvero poco accademica. Non sarà che il recensore sta confondendo la psicologia scientifica nata poco più di un secolo fa, con lo studio filosofico della psiche che tutti sanno essere più vecchio del mondo e ben precedente al medioevo?
Il problema sta nel fatto che qui si sta parlando di scienza e si vuole asservire preventivamente la scuenza alla fede! Invece, venendo all esempio che fai tu, lo scienziato che coniuga scienza e fede lo fa sulla base di sue opinioni personali legittime. La differenza è enorme.
Ormai dovrebbe essere acquisito: ognuno parte da un proprio punto di vista – specie in psicologia – che potremmo definire “quel suo certo qual vertice di osservazione” che ne costiutisce la sua “fede previa” specie se implicita, non espressa, confessionale, non confessionale o aconfessionale che sia.
Un’opzione fondamentale – specie se nichilista o agnostica – che comunque “agisce e influenza il campo di osservazione”. Saperlo e rifletterci rende più interessante la ricerca ed il lavoro, secie in psicoterapia.
Gentile Hugo, desidero rispondere ad una domanda che mi avevi posto nell’altro articolo riguardante le esternazioni del Papa…
Siccome lì non è più possibile replicare, lo faccio qui.
Tu mi avevi scritto questo:
“Fabio, ma come siamo arrivati a questo livello? Perché in tutta la mia vita di cattolico praticante questa gente non l’ho mai incontrata? Dove si nascondevano fino a ieri? Questa gente mi inquieta davvero…ma cosa abbiamo da spartire noi con i minutelli, i tosatti, i socci, i lefebrviani?”
Ebbene, caro Hugo, questa gente è sempre esistita, fisicamente parlando, quindi non si nascondeva da nessuna parte, solo che ad un certo punto il loro buon senso e la ragione è diventata pappa fagocitata dalle teorie complottiste e dalle sedicenti profezie, quindi è come se questa gente si fosse trasformata improvvisamente in esseri apparsi dal nulla.
La ragione di questa trasformazione?
Semplicemente videro nelle dimissioni di Papa Benedetto XVI un segno foriero di eventi apocalittici. Poco dopo comparvero delle finte veggenti, coi relativi proseliti, a sostenere che le dimissioni di Ratzinger erano state predette da loro e anche da altre beate nel passato, (la nota Emmerich). Infine il pontificato di Papa Francesco, un pò più emotivo che teologico, rispetto a quello del suo predecessore, ne ha fatto di lui l’immagine come di un usurpatore illegittimo ed apostata in Vaticano, quindi giù altre teorie cospirative e violenti attacchi quotidiani su di lui.
Eccoti spiegato il tutto.
Millenarismo, paranoia e superstizione che ha trasformato tanti cattolici in una torma di gente che farnetica attendendo la fine del mondo, piuttosto che l’apostasia o il trionfo del cuore immacolato di Maria.
Suvvia faccia un piccolo sforzo… legga qualche riga in più dopo il termine “discernimento”. Poi, se vuole, si può scrivere di “razionalità” e amenità varie.
Non si tratta di “presupposti religiosi”. L’autore mette in guardia da quelle che reputa inesattezze di fondo, come. ad esempio, il presupposto secondo il quale la psiche umana non è stata mai studiata nell’antichità, per non dire nel Medioevo.
Adesso, lei, razionalmente, o confuta l’opinione dell’autore o l’accetta, senza preconcetti di tipo religioso o antireligioso.
Discernimento in questo caso non significa distinguere tra un libro religioso o scientifico, ma solo capire su quali presupposti si basa la visione dell’uomo di chi ha scritto quel libro
Quindi anzichè valutare il testo in sè ed eventualmente cambiare le idee che ha, dovrebbe preventivamente scegliere libri sulla base di presupposti religiosi. Cioè compiere una operazione metodologicamente antiscientifica. E vi ritenete pure razionali…
Sarebbe sufficiente considerare come le c.d. scienze umane (psicologia, sociologia, economia, antropologia culturale, ecc.), a differenza di quelle naturali, siano in modo particolare ipotecate da presupposti di stampo filosofico, che non sono affatto scientifici, se per scientifico si intende una serie di ipotesi verificabili sulla base di esperimenti. Tenendo presente ciò ha ben poco senso ritenere che effettuare un discernimento sia antiscientifico: non lo è né più né meno di chi preferisce Von Hayek a Keynes oppure Jung a Freud.
Anch’io ho molte difficoltà a ritenere “scienze” le cosiddette scienze umane ( psicologia, sociologia, economia, antropologia culturale, ecc.). L’uomo, con la sua libertà di scegliere, è la variabile che fa saltare ogni bella teoria. Personalmente, tra i migliori psicologi e psicanalisti io ci metto Tolstoj e Dostojewskj che di tale “scienza” non avevano nemmeno sentito parlare. E se proprio devo scegliere, tra le tante teorie e idee e dottrine sull’uomo e il suo comportamento, scelgo quella cristiana, di gran lunga la più completa, convincente, ragionevole, appagante e rasserenante di tutte.
Gentile Fabrizia, per l’aver detto che Tolstoj e Dostojewskj erano fini psicologi dell’animo umano, lei si merita tutta la mia (povera) stima 🙂
Grazie.
Domanda collaterale: quindi su qualche corrente della psicologia è meglio fare affidamento?
Quanti pregiudizi sul rapporto tra fede e scienza: si tratta di riflettere obbligatoriamente – anche in ambito di ricerca e spec. di psicoterapia – su quale sia l’epistemogia sottesa ad ogni ricercatore, interprete dei dati della ricerca e a maggior ragione terapeuta. La neutralità o oggettività oggettiva nel nostro ambito – ma non solo – viene ripensata su più fronti. Ed è giusto che ciò avvenga.