«Per noi sacerdoti il celibato è un dono, non un sacrificio»
- Ultimissime
- 11 Apr 2017
Perché la Chiesa continua a richiedere ai sacerdoti di praticare il celibato sacerdotale? Una risposta semplice è arrivata da padre Gary Selin, professore al St. John Vianney Theological Seminary di Denver.
Nel suo libro, “Priestly Celibacy: Theological Foundations” (CUA Press 2016), ne ha presentato i fondamenti biblici, spiegando che la scelta nasce direttamente da Gesù Cristo, il quale era «povero, casto e obbediente alla volontà del Padre. Allo stesso modo, il sacerdote cerca di imitare Gesù in questi modi, attraverso il suo ministero sacerdotale e con la sua stessa vita». La cosa più importante da far capire, tuttavia, è che «per permettere al sacerdote di compiere la sua missione, lo Spirito Santo dà a lui doni particolari, o carismi, tra i quali c’è appunto il celibato sacerdotale. Visto in questa luce, il celibato è un dono per la Chiesa che deve essere protetto e amato». Non un onere, come alcuni credono.
Lo stesso San Paolo parla di questo: «Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie. Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni» (1 Cor 7, 32-33).
Oltre all’imitazione e all’obbedienza verso la scelta di vita di Gesù, dunque, il celibato sacerdotale «permette al sacerdote di essere unito, con cuore indiviso, a Gesù Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote. Questo dono dell’intimità divina è il primo frutto del celibato. Di conseguenza, il sacerdote è maggiormente in grado di donare se stesso in una vita di servizio alla Chiesa attraverso la carità pastorale». A dirlo è anche l’esperienza concreta, lo testimonia don Andrea Giordano della diocesi di Biella: rimasto vedovo della moglie, con tre figli, ha chiesto e ottenuto il permesso di entrare in seminario diventando sacerdote dopo 12 anni. E’ contrario all’apertura della Chiesa ai preti sposati: «Non si può, la vita di un sacerdote deve essere libera da impegni che possano diventare un ostacolo al servizio quotidiano come seguire una parrocchia. Io stesso non posso farlo».
Il celibato non è comunque un dogma e Papa Francesco ha dichiarato: «la Chiesa cattolica ha preti sposati, nei riti orientali. Il celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita, che io apprezzo tanto e credo che sia un dono per la Chiesa». Prima di diventare Papa, si espresse più direttamente: «io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori».
I pro del celibato sacerdotale sono confermati da Richard Cipolla, vicario della parrocchia di St Mary in Norwalk (Connetticut), un ex prete anglicano convertitosi al cattolicesimo e, per concessione di Giovanni Paolo II, rimasto sacerdote nonostante moglie e due figli. «Non riesco ad essere un padre normale», ha dichiarato. «Nonostante la mia situazione, che è simile ad altri preti sposati entrati nella Chiesa cattolica a partire dagli anni ’80, io sono un forte sostenitore del celibato sacerdotale. Il cuore del sacerdozio cattolico è il sacrificio ed il celibato, imitando Cristo, rende libero il prete di offrirsi completamente alla Chiesa e al suo gregge». Il grande rischio, infatti, è quello di essere pessimi mariti, pessimi padri e pessimi preti.
Ciò che a volte manda in crisi non è affatto il celibato, piuttosto la solitudine e la mancanza di una profonda amicizia spirituale con altri sacerdoti. Una buona idea per risolvere questa situazione riteniamo sia applicare alla realtà parrocchiale delle città il modello della fiorente Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo che, tra le sue regole, applica la vita comune. Vivendo assieme tra sacerdoti, confrontandosi quotidianamente nell’amicizia, ha spiegato il fondatore, il vescovo Massimo Camisasca, «possiamo parlare di prove, cioè di momenti difficili in cui Dio ci chiede di riscoprire le ragioni per cui siamo sulla strada in cui Lui ci ha messo, di riandare al tempo dell’innamoramento, di ricordare le cose grandi che Lui ha fatto con noi e per noi, di fidarci di Lui seguendolo e accettando anche i momenti in cui le nubi sembrano oscurare completamente il cielo, ma non sarà sempre così perché il sole ritorna a dirci che il diluvio è terminato». Perché non estendere questa regola a tutti i sacerdoti?
La redazione
30 commenti a «Per noi sacerdoti il celibato è un dono, non un sacrificio»
Per esperienza e conoscenza diretta posso aggiungere che i sacerdoti che, in quanto componenti di ordini religiosi, se vivono bene la vita della comunità a cui appartengono sono più sereni e pieni della Grazia di quanto, ahimè, abbia visto certi parroci se vivono da soli e senza aiuti spirituali.
Questa è la chiave. I preti non dovrebbero essere lasciati da soli. Già alcuni movimenti ecclesiastici hanno risolto il problema mandandoli in coppia nelle parrocchie, questo vale soprattutto per i preti missionari.
Aggiungo quello che sentii dire, in una omelia, dal rettore di un santuario della mia arcidiocesi: “Se voi laici vi rendeste conto di quanto noi preti abbiamo bisogno delle vostre preghiere preghereste per noi preti per quarantott’ore al giorno”. Un impegno sempre valido, specialmente oggi, Giovedì santo.
L’articolo contiene tutta una serie di valide argomentazioni. Però se ne potrebbero elencare altrettante contrarie eppur ugualmente valide. Interessante l’ammissione finale in merito alla solitudine di molti preti.
Si potrebbe discutere anche sul rischio di avere dei pessimi mariti, padri e sacerdoti, in caso di apertura al matrimonio: secondo alcuni potrebbe essere proprio il contrario.
I preti non si sposano, e mica sono fessi!
Il celibato, per ammissione del Concilio Vaticano II, non è affatto collegato al sacerdozio allo stesso modo in cui la castità non è collegata alla santità: basti guardare ai tanti santi padri e madri di famiglia.
Attento Rosis, perché se dichiari che la castità non è per forza di cose sinonimo di santità, (cosa vera e che condivido!), ti arrivano i farisei sessofobi radicalizzati, con le pietre a lapidarti.
🙂
Proprio così, Fabio.
Mi ha sempre stupito questa cosa, cioè mi ha sempre stupito il valore omnicomprensivo che alcuni ipercattolici danno alla castità, quando poi fanno spallucce di fronte ad inswgnamenti di Gesù molto più trattati, sia in quantità che in insistenza, dal Maestro stesso (quali ad esempio l’importanza del curarsi dei poveri, dell’aiutare i bisognosi -vedi Mt 25 sul giudizio universale- e del non attaccarsi troppo ai soldi).
Il primo insegnamento, quello sulla castità, viene visto come un imperativo categorico kantiano, di fronte al quale uno deve sacrificare anche la vita e di fronte al quale non esisterebbero circostanze attenuanti che possano alleviare la colpa (e con questo vanno contro il Magistero, ma tralasciamo); il secondo insegnamento, invece, viene trattato come una specie di “nice to have”, come una cosa “carina” da fare se si ha una specialissimissima vocazione, mentre il cattolico normale non sarebbe tenuto ad occuparsene, perciò puo strafregarsene alla grande.
Addirittura ho letto esegesi eufemisticamente demenziali di Mt 25 secondo le quali Gesù in quel passo s stava riferendo solo ai cristiani, in altre parole si sarebbe colpevoli solo se non si aiuta un cristiano in difficoltà, mentre invece di un barbone induista o ateo (ad esempio) ce ne si potrebbe altamente impippare. 😀
Eeeehhhhh la coerenza evangelica dei “cattoliconi” pre-conciliaristi (perché diciamoci la verità, molti di quelli che hanno questa mentalità, pur non disprezzando il CVII “formalmente”, di fatto ne renderebbero l’applicazione “lettera morta”) mi lascia sempre perplesso.
Ma tant’è….. Che la Grazia di Dio possa aiutarli a superare questi errori, perché senza la Grazia (è bene ricordarlo) nessuno sarebbe meglio.
Caro Vincent, è da un pò che non ti si vedeva più commentare.
La tua strana latitanza, specie in alcuni articoli precedenti, trattanti materie in cui saresti stato particolarmente ferrato, non è certo passata inosservata da me.
Ciao Fabio, non avevo molta voglia di commentare, anche perché sovente inizia un dibattito furioso con uno o più utenti che mi richiede del tempo da dedicarci, e il tempo era precisamente ciò che mi è mancato ultimamente. 😉
Comunque ho risposto a tutte le tue mails, ti sono arrivate le mie risposte, Fabio?
No, Vincent, dico davvero. Nessuna e-mail ricevuta. Mi stavo infatti chiedendo la ragione del tuo strano silenzio anche da quell’altra parte.
Prova a reinviarmele di nuovo, se le hai memorizzate.
Grazie mille
Ok, entro stasera te le rimando, Fabio.
Se un buon sacerdote, non può essere altrettanto un buon marito e papà, allora un buon marito e papà, non può essere anche un buon credente, in quanto le sue premure e attenzioni per la famiglia, lo renderebbero un uomo meno innamorato di Dio.
Attenzione! Quanto ho esposto è un mero ragionamento, usando lo stesso metro di giudizio esposto dall’articolo, il quale sembra sostanzialmente volto ad assecondare le ragioni del celibato per i sacerdoti.
Io comunque so, che come un uomo sa spartire equamente l’amore tra la propria donna e i propri figli, altrettanto sa dare il dovuto onore e lode a Dio, se egli è credente, s’intende.
Perché, quindi, non lo saprebbe fare, se quell’uomo fosse sacerdote?
LEGGETE QUANTO DICHIARATO DALL’ARTICOLO:
“I pro del celibato sacerdotale sono confermati da Richard Cipolla, vicario della parrocchia di St Mary in Norwalk (Connetticut), un ex prete anglicano convertitosi al cattolicesimo e, per concessione di Giovanni Paolo II, rimasto sacerdote nonostante moglie e due figli.”
Rimasto sacerdote, nonostante moglie e due figli.
Certo, il sacerdote poi lamenta di non essere un buon padre e marito, ma questa sua dichiarazione potrebbe essere nient’altro che una mera sensazione, un vago ed immotivato convincimento di fare poco, lo stesso che potrebbe provare un uomo sposato che di professione facesse il medico o il carabiniere, per esempio.
A proposito, se consideriamo la figura del sacerdote, una professione di abnegazione verso il prossimo, (quale è o dovrebbe essere), allora dovremmo dire altrettanto per il carabiniere, il medico, l’infermiere, l’operatore sociosanitario, lo psicologo, il vigile del fuoco, l’insegnante.
Allora anche queste figure, per logica deduzione, dovrebbero rimanere celibi-nubili, per potersi dedicare meglio al prossimo.
Salve! Entro nell’argomento avendo letto l’articolo solo velocemente. Quindi spero di non essere troppo fuori tema. Io sono sposato con tre figli e sto per essere consacrato diacono permanente (il Vescovo non ha anacora stabilito la data ma sarà entro l’estate). Anche se in modo diverso la questione religiosi o preti celibi o sposati è un argomento che ogni tanto si confronta con la situazione dei diaconi. La questione solitudine è un argomento molto delicato e l’esempio che spesso mi viene in mente è quello che mi disse un parroco mio amico: “andai tre giorni a trovare un mio amico di seminario che era parroco in una parrocchia sperduta… alla sera a cena assieme prese un fetta di prosciutto dal cartoccio del supermercato che era sul tavolo, la annusò per un po’, poi la rimise nel cartoccio… questo per me è un forte sintomo negativo della solitudine che subiamo”. Io penso che non sarei un diacono migliore senza moglie, senza famiglia… è nella famiglia che mi sono “allenato” al servizio e sopratutto al dono di me stesso… Allo stesso tempo però penso che il “gradino” dei presbiteri e dei vescovi sia su un altro livello e che queste persone, pur con il diritto di non soffrire la solitudine, siano meglio disposte alla comunità cristiana che sono chiamati a servire senza la parte “legacy” che gli darebbe -magari indirettamente- l’avere una famiglia propria.
Altro discorso è per i religiosi che quasi sempre vivono in comunità questi ultimi avranno meno problemi di solitudine quindi direi che la questione celibato sia una scelta più naturale. L’ultimo pensiero è ancora verso la solitudine che può logorare anche profondamente un prete… ma in questo caso penso che la comunità cristiana si debba prendere la cura del proprio parroco o vescovo anche in queste cose che possono sembrare inutili…
saluti. RA
L’articolo, nonostante citi fonti bibliche non le cita nel modo corretto. 1.Il celibato di Gesù anzitutto non ha voluto essere un monito (se non nell’affermare come una situazione allora non considerata positiva, messa a servizio, potesse diventare non solo positiva ma anche feconda), altrimenti non avrebbe chiamato con sé uomini per lo più sposati.
2.La tradizione dell’imitatio Christi è tipica della spiritualità occidentale; diversamente da quanto accade nella tradizione orientale nella quale il rapporto con Cristo è pensato anzitutto in termini di divinizzazione. Quindi se anche una ragione del celibato fosse l’imitazione di Cristo sarebbe sempre una ragione circoscritta in una specifica tradizione teologica.
3.I testi biblici che l’articolo cita sono stati nel tempo tradotti e ritradotti in modo errato. Ho studiato attentamente la questione.
4.Proprio perché il celibato è un dono (posizione che riconosco e condivido) credo sia giusto lasciare a Dio che lo elargisca a chi vuole. Ma ad altri elargirà forse altri doni, compreso quello della vita coniugale? E potrà forse elargirlo in modo unito al ministero ordinato.
5. Insomma, non limitiamo la libertà dei doni. Non limitiamo Dio. Del resto credo che un Sant’Ilario di Poitiers e un San Paolino di Nola siano stati ottimi Vescovi, e non nonostante il loro matrimonio, ma forse anche grazie ad esso. Cordialmente, Alberto C.
“3.I testi biblici che l’articolo cita sono stati nel tempo tradotti e ritradotti in modo errato. Ho studiato attentamente la questione.”
Attenzione abbiamo tra noi un grande esperto di traduzione biblica. Tra i migliori al mondo. Non possiamo che pendere dalle sue labbra
Sono un teologo; non un biblista. Ma al riguardo ho effettuato studi approfonditi durante il corso di Licenza in Teologia Dogmatica, e mi sono confrontato con i testi originali, con gli studi critici, e con diversi biblisti e filologi. Ossequi
Ma quale sarebbe la corretta traduzione?
“Considerati tutti i problemi che sento dai miei colleghi accasati, la mia scelta in fondo non e’ stata cosi’ negativa 😀 ”
Un astronomo gesuita
Carissimo Fabio i farisei sono famosi per lavare la coppa al suo esterno lasciandovi dentro il sudiciume e per addossare pesi agli altri che loro stessi non sono in grado di sostenere
Amano l’argenteria 😀
Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi».
Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso.
Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca». (Mt 19.10-12)
Altro testo non compreso. Suggerisco alcune analisi riportate magistralmente da J.M. Tillard nel Dizionario degli Istituti di Perfezione, alla voce Consigli Evangelici/Castità. Ma anche Manlio Simonetti, ne “La teologia degli antichi cristiani” e Giulia Sfameni Gasparro, in “Enkrateia e antropologia”, e anche Baltensweiler nel suo “Il matrimonio nel Nuovo Testamento” comprendevano nel suo significato originario il testo. Non rimando poi ad ulteriori analisi, ultima quella di Umberto Radice. Ma questo testo è stato compreso in modo maestoso dallo stesso San Tommaso, ma non mi sovviene il testo.
In ogni caso, come potrebbe Gesù prima esaltare il matrimonio e poi dare ragione ai discepoli quando ne affermano l’inconvenienza? Forse il discorso che non comprendevano era proprio quello sull’indissolubilità del matrimonio. Ma per ulteriori domande rimando ai testi. Saluti
Ci sono sempre stati per me quando nessun altro c’era… Dio benedica i sacerdoti. I miei due e unici amici sono preti.
Fortunata, Sophie.
Invece per me, quando nessuno c’era ad aiutarmi, o semplicemente a sostenermi umanamente, ho dovuto usare tutto il mio istinto di sopravvivenza per uscirne fuori, pena finir molto male.
Col senno di poi, sono certo che in quei drammatici momenti di solitudine e dolore, la mano di Dio fosse poggiata su di me, come nessun amico, in carne ed ossa, avrebbe saputo far di meglio per infondermi tenacia e consolazione.
É difficile, in questi tempi di gelo umano, trovare veri amici anche fra i sacerdoti. Eppure dovrebbero essere i primi a far da amici, genitori o efficaci consiglieri con chi sta male umanamente.
In realtà fino a quando sono stata atea sono stata sola come un cane e con la sola musica a farmi compagnia (sono tutt’ora musico-dipendente). Poi mi sono convertita e ho cominciato a frequentare le Chiese fino ad avere la fortuna di conoscere questi due preti: uno coetaneo e l’altro molto anziano. Quest’ultimo non voglio neanche pensare a quando morirà… non mi ci far pensare. E’ sempre pronto a rimettermi in carreggiata come non riescono i miei genitori.
Io credo che tu debba valutare bene chi hai di fronte, cercare di discernere, in fondo i sacerdoti sono comuni mortali come noi con pregi e difetti. I preti bravi ci sono. Forse non ne sono tantissimi, ma ci sono. Li trovi anche quando ti confessi occasionalmente in quella che non è la tua parrocchia abituale. I sacerdoti illuminati dallo Spirito Santo esistono ma devi accettare pure le cazziate, come un buon amico ogni tanto ti fa. Senza chiuderti a riccio…
Non lo metto in dubbio, che vi siano anche bravi sacerdoti, Sophie, infatti ho scritto che è difficile trovarne in questo tempo di gelo umano, non che sia impossibile.
Ho sorriso fra me, quando hai menzionato le confessioni… A volte trovi sacerdoti ben preparati nell’ascolto e adatti a fornirti indicazioni guida, ma altre volte trovi quelli che guardano l’orologio, si grattano in testa, sembrano scassati, o prossimi a cadere in uno stato letargico, oppure, peggio, hanno una maniera di esporsi che ti ricorda quella di un gelido funzionario sovietico. 🙂 Eh sì, in questi casi comprendi proprio che sono anche loro dei comuni mortali come noi.
Sei musico-dipendente?
Pure io!
Che generi di musica prediligi? Oppure hai degli autori o gruppi musicali che gradisci in particolare?
Io seleziono il genere musicale da ascoltare, in base agli stati d’animo che vivo, ma ho una certa predilezione per i brani romantici e un po’ malinconici.
Mah, io ascolto tutto, dal genere metal alla classica. Tu? Un abbraccio.
I generi che prediligo maggiormente sono il soul, il funk, il pop, il progressive rock, la dance del passato, l’elettronica ed alcuni generi techno, ma come ti ho scritto, scelgo la tipologia musicale in base a come sto emotivamente.
Un abbraccio anche a te, my sweet Sophie.
mah, da agnostica, mi sa che facciate troppa poesia sulla questione del dono e della gioia e del non-sacrificio.
La realtà racconta altre situazioni e, senza voler andare a pescare le peggiori ma considerando una normale situazione di prete che fa mediamente bene il suo “mestiere” e rimane casto, per quel che mi riguarda il sacrificio c’è; e non vedo neanche perchè non dovrebbe esserci, indipendentemente dall’essere pro o contro il matrimonio per i preti.