Ludwig Wittgenstein era cristiano, è stato strumentalizzato dal positivismo

Wittgenstein, LudwigPochi giorni fa è stato ricordato l’anniversario di morte del filosofo britannico Ludwig Wittgenstein, considerato non a torto dall’Enciclopedia Britannica il più grande filosofo del XX secolo. Si fa spesso riferimento al suo pensiero filosofico e alle sue opere, che effettivamente hanno inciso in maniera determinante la letteratura e la tradizione analitica, su tutte il celebre Tractatus logico-philosophicus (1921).

Figlio di padre protestante e madre cattolica, battezzato come cattolico, fu lui ad influenzare più di tutti i neopositivisti viennesi con la sua demarcazione tra ciò di cui si può parlare, come gli oggetti della scienza, e ciò di cui si deve tacere, come i principi della metafisica, convinzione sintetizzata nella celebre frase: «su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere» (L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi 1995, p. 109). Viene sbrigativamente etichettato come “agnostico”, eppure non è affatto ciò che dicono i suoi testi, i suoi amici e i suoi biografi.

Innanzitutto, occorre dire che è vero, Rudolf Carnap ammise che il suo impegno antimetafisico sulla non verificabilità delle asserzioni metafisiche emerse dalla lettura di Wittgenstein, tuttavia, negli ultimi anni della sua vita, lo stesso Carnap si accorse che la confutazione di molti al positivismo era effettivamente letale: i loro stessi enunciati non sono verificabili per via empirica e spesso sono tautologici, esattamente le critiche da loro rivolte ai metafisici e ai teologi. «Sfortunatamente», disse Carnap, «seguendo Wittgenstein, formulammo il nostro punto di vista al Circolo di Vienna in modo troppo semplificato, dicendo che certe tesi metafisiche sono prive di significato» (citato in P.A. Schlipp. La filosofia di Rudolf Carnap, Il Saggiatore 1974, pp. 45,46). Non sappiamo se Carnap si accorse mai fino in fondo della falsità nel concedere solo alle asserzioni delle scienze empiriche un valore cognitivo, mentre, al contrario, «possono a loro volta dirsi cognitive anche le proposizioni metafisiche, qualora procedano da elementi empirici o scientifici e risultino razionalmente criticabili» (R. Timossi, Nel segno del nulla, Lindau 2015, p. 291).

Wittgenstein sbagliava su questo, della metafisica si può parlare come hanno dimostrato diversi esponenti proprio della filosofia analitica, sostenitori della teologia razionale, come John Niemeyer Findlay e John Wisdom. Il paradosso è che, proprio questi filosofi analitici -lo ha fatto notare il filosofo Roberto Timossi-, «si sono inspirati a Wittgenstein e da un punto di vista strettamente logico-linguistico hanno preso molto sul serio le dimostrazioni dell’esistenza di Dio, specie di quella logica per eccellenza: l’argomento ontologico» (R. Timossi, Nel segno del nulla, Lindau 2015, p. 286).

Il pensiero di Wittgenstein è comunque stato un po’ troppo estrapolato e strumentalizzato dal neopositivismo in chiave antimetafisica. Egli non sosteneva l’irrazionalità della metafisica in quanto non indagabile dal metodo empirico, ma riconosceva che l’insopprimibile richiesta di senso e di significato che trovava dentro di sé, implicita in ogni accadimento umano, non si poteva giustificare in base all’esperienza empirica. Non perché fosse “fantasiosa”, ma perché al di là dei poteri della ragione. «Il senso del mondo dev’essere fuori di esso», scrisse infatti. «Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v’è in esso alcun valore -né, se vi fosse, avrebbe un valore. Se un valore che ha valore v’è, dev’essere fuori d’ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale. Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale. Dev’essere fuori del mondo» (L. Wittgenstein, Quaderni 1914-1916, Einaudi 1964, prop. 6,41,79). E lo stesso concetto lo ribadì una seconda volta: «Credere in un Dio vuol dire comprendere la questione del senso della vita. Credere in un Dio vuol dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto. Credere in Dio vuol dire vedere che la vita ha un senso» (L. Wittgenstein, Quaderni 1914-1916, Einaudi 1964, prop. 6,41,174).

Addirittura, il suo amico psichiatra Maurice O’Connor Drury, ha riferito: «Per un certo periodo Wittgenstein iniziava la giornata ripetendo una preghiera al Signore. Una volta mi disse: “E’ la più straordinaria preghiera mai scritta. Nessuno ha mai composto una preghiera del genere, ricordati che la religione cristiana non consiste nel dire un sacco di preghiere, anzi, ci è stato comandato esattamente l’opposto. Se io e te viviamo una vita religiosa non parleremo molto di religione, ma in qualche modo sarà la nostra stessa vita ad essere diversa» (citato in R. Rhees, Ludwig Wittgenstein: Personal Recollections, Rowman & Littlefield 1981, p. 109). Se qualche positivista probabilmente strizzerà gli occhi incredulo, sappia che diverse preghiere sono state trovate nei diari di Wittgenstein quando si arruolò come volontario durante la prima guerra mondiale: «Come mi comporterò quando si tratterà di sparare?», scrisse, ad esempio. «Non ho paura di essere colpito, ma di non fare il mio dovere in modo corretto. Dio, dammi la forza! Amen!». Oppure: «Se tutto ciò finisce con me, ora, io muoio di una buona morte, memore di me stesso. Non potrò mai perdere me stesso! Posso avere la possibilità di essere un essere umano decente perché mi trovo faccia a faccia con la morte. Possa lo spirito illuminarmi». Ed infine: «E’ mia convinzione che solo se si tenta di essere utile agli altri, alla fine, si troverà la strada verso Dio» (preghiere citate in N. Malcolm, Wittgenstein: A Religious Point of View?, Routledge 1993, pp. 8-9, 20).

Il suo biografo più prolifico, nonché collega e amico personale, Norman Malcolm, ha scritto: «La vita matura di Wittgenstein è stata fortemente segnata dal pensiero e dal sentimento religioso. Sono propenso a pensare che lui era più profondamente religioso di tante persone che si considerano credenti» (N. Malcolm, Wittgenstein: A Religious Point of View?, Routledge 1993, pp. 21-22). Dopo una fase di agnosticismo, in cui ammise di non avere fede, potremmo tranquillamente dire che recuperò attivamente il suo cristianesimo. A dirlo è un altro suo stretto amico Paul Engelmann (e con lui molti altri), il quale parla esplicitamente di un Wittgenstein religioso e cristiano, un credente nel quale viveva una «fede non espressa in parole» (citato in I. Roncaglia, Lettere di Ludwig Wittgenstein con Ricordi di Paul Engelmann, La Nuova Italia 1970, p. 107). Su questo ha riflettuto molto anche Rocco Pititto, filosofo dell’Università Federico II di Napoli, nel suo trattato “La fede come passione. Ludwig Wittgenstein e la religione” (San Paolo Edizioni 1997): «negli ultimi anni della sua vita», scrive Pititto, «il confronto con il mistero cristiano fu a tutto campo: l’interrogativo religioso divenne più radicale e più pressante, fino a investire problemi e aspetti decisivi del cristianesimo, come l’esistenza di Dio, l’idea del bene, il peccato, il problema del male, la predestinazione, il giudizio finale, il miracolo, la storicità dei Vangeli, l’Eucarestia, la resurrezione di Cristo, la vita futura» (p. 27). E’ noto, d’altra parte, il grande interesse per i Vangeli, sui quali ci lasciò interessanti riflessioni sulle differenze tra i sinottici, che amava molto (quello di Matteo, in particolare, perché «mi sembra contenere tutto», disse all’amico Maurice Drury), e le lettere paoline, che apprezzava meno. Salvo poi, fare marcia indietro: «Un tempo pensavo che le epistole di San Paolo erano una religione diversa da quella dei Vangeli. Ma ora vedo chiaramente che mi sbagliavo. Si tratta della stessa visione, sia nei Vangeli che nelle Epistole» (citato in, R. Rhees, Ludwig Wittgenstein: Personal Recollections, Rowman & Littlefield 1981, pp. 177,178).

Ma è nella serie di inedite annotazioni che compongono il libro Pensieri diversi (Adelphi 1980) che si percepisce il ritorno del filosofo austriaco alla fede cattolica della gioventù, abbracciata questa volta con più maturità e consapevolezza. «É assai significativo, a questo riguardo, un testo wittgensteiniano del 1937, in cui il filosofo si interroga sulla resurrezione di Gesù Cristo, verità nella quale riconosce, sorprendentemente, di credere», scrive Pititto (p. 148). Quell’anno segna per lui una tappa fondamentale nella maturazione della problematica religiosa, anche grazie agli amici cattolici Yorick Smythies e, in particolare, Elizabeth Anscombe. L’adesione al cristianesimo è esplicita e chiara, «la fede nella resurrezione fa parte allora della professione religiosa del filosofo, tanto da coinvolgerlo esistenzialmente: Wittgenstein, in definitiva, recupera una sua identità, perché crede nella resurrezione di Cristo» (R. Pititto, La fede come passione. Ludwig Wittgenstein e la religione”, San Paolo Edizioni 1997, p. 149). Il cristianesimo, dice Wittgenstein citato dal suo amico Malcolm, è «per chi si sente un bisogno infinito. Per come la vedo io, la fede cristiana è il rifugio di questa angoscia presente in una sola anima, che l’intero pianeta non riuscirebbe a contenere. A chi è dato di aprire il suo cuore a questa afflizione, invece di sopprimerla, accetterà la salvezza nel suo cuore». Perché, «il cristianesimo non è una dottrina, non è una teoria di ciò che è accaduto e accadrà all’anima umana, ma una descrizione di un effettivo verificarsi nella vita umana. La “coscienza del peccato” è un evento vero e proprio, e così lo sono la disperazione e la salvezza mediante la fede». E, attenzione, «la fede religiosa e la superstizione sono completamente diverse. Una scaturisce dalla paura ed è una sorta di falsa scienza. L’altra è un confidare» (citato in N. Malcolm, Wittgenstein: A Religious Point of View?, Routledge 1993, pp. 17,18).

Il suo esecutore letterario, cioè colui al quale Wittgenstein lasciò la proprietà intellettuale delle opere pubblicate, il filosofo Rush Rhees, ha riportato che due anni prima di morire, nel 1949, Wittgenstein disse all’amico Drury: «Ho ricevuto una lettera da un vecchio amico australiano, un prete. Mi scrive che spera che il mio lavoro andrà bene, se questa deve essere la volontà di Dio. Ora, questo è tutto ciò che voglio: se deve essere la volontà di Dio. Bach ha scritto sul frontespizio del suo Orgelbuechlein: “Per la gloria del Dio altissimo, e che il mio vicino di casa possa beneficiarne”. Ecco, questo è quello che avrei voluto dire anche io sul mio lavoro» (citato in R. Rhees, Ludwig Wittgenstein: Personal Recollections, Rowman & Littlefield 1981, pp. 181,182). Negli ultimi mesi della sua vita vorrà incontrare a tutti i costi padre Conrad, il domenicano che aveva guidato la conversione al cattolicesimo del suo amico filosofo Smythies. Fu sepolto con una cerimonia di rito cattolico, quasi certamente per sua volontà, nel cimitero annesso alla Chiesa di St. Giles a Cambridge.

Abbiamo raccontato Wittgenstein come non compare nei libri di scuola o nei manuali di neopositivismo, ma era giusto farlo ricordando e celebrando il suo anniversario di morte.

La redazione
(articolo inserito nell’archivio dedicato ai famosi credenti e cristiani)

55 commenti a Ludwig Wittgenstein era cristiano, è stato strumentalizzato dal positivismo

  • Grandissimo Wittgenstein !

    «Che cosa porta anche me ad aver fede nella resurrezione di Cristo? Io gioco, in certo modo, con questo pensiero. Se non è risorto, si è putrefatto nella tomba come ogni uomo. Egli è morto e putrefatto. Allora è un maestro, come qualsiasi altro, e non può essere d’aiuto; e noi siamo di nuovo in esilio, soli. E possiamo accontentarci della sapienza e della speculazione. Siamo per così dire in un inferno, dove possiamo soltanto sognare, separati dal ciclo come da un soffitto. Ma se devo essere VERAMENTE redento, allora ho bisogno di certezza – non di sapienza, sogni, speculazione – e questa certezza è la mia fede. E la fede è fede in ciò di cui ha bisogno il mio cuore, la mia anima, non il mio intelletto speculativo. Perché è la mia anima, con le sue passioni, quasi con la sua carne e il suo sangue, che deve essere redenta, non il mio spirito astratto. Forse si può dire: soltanto l’amore può credere alla resurrezione. Oppure: è l’amore che crede alla resurrezione. Si potrebbe dire: l’amore che redime crede anche alla resurrezione; persevera nel credere anche in essa. Ciò che combatte il dubbio è per così dire la redenzione».

    Ludwig Wittgenstein

    (in Vermischte Bemerkungen, pp. 68-69; tr. it., Pensieri diversi, Milano 1980, p. 68)

  • sara ha detto:

    ” Su cio’ di Cui non si puo’ parlare, si deve tacere”.

    CREDO CHE ME LA INCORNICERO’.

    Tra l’altro mi ricorda un po’l’ultimo stadio della conoscenza di Dio, Dove si dice Che il Massimo del rapporto con Dio, nella pratica dell’Orazione, sta nel silenzio contemplativo.

    Eppure poco prima di Tale grado bisogna passare per la prova piu’ ardua: la Notte Buia.

    Assenza dI Dio.

    Forse quindi e’ il NULLA( vuoto?) il centro di tutto?.

    Prima si autoannulla Dio, portando l’anima quasi a morire, poi si rivela e a quel punto, si annulla l’Anima.
    Che svuotata di tutto Puo’ accogliere Dio nella sua totale presenza.

    Forse e’ per questo Che chi accoglie una Parte della Divinita’ puo’ arrivare a compiere tutto senza Che nulla lo soccomba.

    Comunque, bell’Articolo.

    • Andrea VCR ha detto:

      Parlando di frasi da incorniciare, penso che la mia preferenza vada a “Credere in Dio vuol dire vedere che la vita ha un senso”.
      Riesce ad esprimere quello che per me è il centro della questione.
      Viva Cristo Re

    • Klaus B ha detto:

      In effetti questa frase fa pensare alla mistica apofatica. A questo punto forse è un riferimento diretto, dato che Wittgenstein era cattolico come qui si dice. Io avevo sempre presa più come un riferimento allo Zen.

      • sara ha detto:

        Hmmm..non so dici?..
        Secondo me non Credo si riferisse all’aspetto mistico.

        A me semplicemente lo ricorda, ma forse lui la intendeva diversamente. Piu’ tardi Provo a dare una diversa chiave du lettura..

        • sara ha detto:

          Du= di

        • sara ha detto:

          TRATTO DALLA VITA DI S. TOMMASO D’AQUINO:

          Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro.
          Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”.
          Anche il suo fisico risentì di quanto gli era accaduto quel 6 dicembre, non solo smise di scrivere, ma riusciva solo a pregare e a svolgere le attività fisiche più elementari.

          su ciò di cui non si può parlare si deve Tacere,

          per Tommaso successe esattamente e letteralmente così.
          Dunque si pone , credo come questione , il cercare di comprendere Dio, capire Dio, studiare Dio, scrivere di Dio.

          Un assetato di Conoscenza che cerca di comprendere l’inconoscibile, l’impossibile da comprendere.
          Impiega una vita a scrivere di Dio e poi?….

          Qualcosa cambia. Una rivelazione, dicono, davanti la quale Bruciò gran parte dei suoi scritti.

          E pensare che si dice pure che delle volte pur di avere potenziata la sua testa la metteva nel tabernacolo consacrato per avere una qualche forma di ispirazione divina.

          Una Rivelazione che lo fulminò all’istante, chissà cosa potè capire e beato Lui che ebbe tale dono, a seguito del quale mentre si trovava in preghiera ebbe questo dialogo con Cristo:

          “Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose: “Nient’altro che te, Signore”.

          Il silenzio quindi POTREBBE rispecchiare una immensa consapevolezza che l’uomo all’apice della sua vita arriverà a constatare, dopo una dura “lotta” con Dio. E cioè che egli è Nulla, che non può nulla, che non conosce nulla che Dio è nel nulla.

          • sara ha detto:

            In sostanza è quello che affermavo prima.
            un esempio concreto, vediamo se ci può stare a racchiudere il concetto base.

            Si prende una mela, la si sbuccia all’infinito.
            Cosa rimane? niente?
            ma la mela c’è o non c’è?..

    • Umberto P. ha detto:

      ” Su cio’ di Cui non si puo’ parlare, si deve tacere”

      Pensa che io sono agnostico per la stessa frase! comunque non capisco la citazione di Aleudin, mi sembra un ragionamento circolare, e poi chi lo dice che devo essere redento per forza?

      • sara ha detto:

        Io non ho mai capito Cosa voglia significare la parola Agnostico.

        Per me e’ come bere acqua tiepida, cioe’ non so’ Cosa voglia intendere.

        Prova a spiegarmelo se puoi.

        • Umberto P. ha detto:

          Certo: alla domanda fondamentale, “Esiste Dio?” io rispondo con “Non lo so, non avendo certezze taccio”. Tu dirai, “si, ma una idea te la sarai fatta, se ti dicessero secondo te se esiste o meno, cosa risponderesti”? Risponderei che per il poco che posso sapere di un argomento così, secondo me non esiste. Ma chiaramente non ne ho le prove e riconosco che potrei benissimo sbagliare, altrimenti sarei un ateo (e dogmatico)

          • Klaud. ha detto:

            Umberto, l’ateismo non è un dogma: l’ateismo è essenzialmente la negazione di un’affermazione senza prove.
            Che poi ci si dilunghi in eterne discussioni storico-teologiche su ciò che gira intorno alla religione io lo reputo solo un incidente di percorso. A volte mi capita di discutere con gente superstiziosa che crede negli oroscopi, ribatto con ciò che so di astronomia: questo non fa di me né un astronomo e nemmeno un dogmatico.
            Anch’io, come Sara, non ho chiaro cosa significhi esattamente essere agnostico: il punto è che se non si prende posizione sull’esistenza di divinità, nel dubbio che invece possano esistere, vuol dire ammettere la possibilità che esistano entità diverse da quelle materiali. Ci sono forme di energie conosciute, e probabilmente di ancora sconosciute, ma energie pensanti e dotate di volontà finora non ne abbiamo avuta notizia.
            In soldoni, mi pare che l’agnosticismo sia poco realistico e razionale. (Adesso dirai che sono dogmatico perchè ammetto solo l’ateismo! 🙂 )

            • Umberto P. ha detto:

              No, a mio avviso sei dogmatico nel sostenere che sicuramente non esistono entità diverse da quelle materiali: se ragioni in modo scientifico, trovo che non dovresti affermare ciò senza una dimostrazione; il fatto che tu non abbia mai visto un evento, non certifica che quell’evento sia impossibile.

              • Klaud. ha detto:

                È sempre valida l’opinione del filosofo: ”Ciò che si afferma senza prove si può negare senza prove”.

                • Umberto P. ha detto:

                  Buona osservazione, ma se davvero queste persone (o quelle di altre religioni, ovvimente) vivessero un rapporto personale con un’entità sovrannaturale, con quali mezzi potrebbero provarcelo? In ogni caso, forse la differenza tra me e te è che tu dici che quello che non è provato non esiste, io dico che quello che non è provato non esiste PER ORA (fino a prova contraria). Insomma chiudere la porta lo trovo antiscientifico.

                  • Klaud. ha detto:

                    Il problema è capire da cosa è originata la primordiale affermazione di esistenza di ciò che si afferma.
                    «… Su ciò di cui non si puo’ parlare, si deve tacere…»: Se questa asserzione fosse stata applicata in maniera ferrea fin dall’inizio della storia umana, non sarebbe nata mai alcuna religione e neanche molte filosofie.

  • Gianfranco ha detto:

    E pensare che il dominio web italiano che si riferisce a Wittgenstein è in mano ad un ateo relativista-

  • Riccardo_CS ha detto:

    nota per la Redazione:

    «su ciò di cui non si può parlare, se deve tacere»

    Ma che era, un borgataro?

  • Max ha detto:

    Ma guarda un po’, il buon Wittgenstein…

    Ad ogni modo, spero che si sia reso conto, alla fine della sua vita, che la sua omosessualità vissuta fosse un peccato grave. Ma chi non ha mai commesso peccati gravi in vita sua?

    • Jack ha detto:

      Forse la sua inquietudine era dovuta proprio a questo, hai qualche fonte attendibile che parli della sua omosessualità?

      • Max ha detto:

        Hello Jack,

        in effetti, devo ammettere, ora non ne trovo molte. Comunque, per esempio, c’e’ la ricostruzione biografica di Robert Monk, filosofo inglese, che ci dice che Wittgenstein fosse interessato sia ad uomini che a donne.

  • Luciano ha detto:

    Aggiungetelo nella pagina dei filosofi credenti/cristiani/cattolici

  • giannibinobis ha detto:

    Bell’articolo, bravi!

  • Licurgo ha detto:

    Un cristiano che, erroneamente, pensa che la metafisica sia solo una costruzione linguistica rischia di aderire al cristianesimo solo per fideismo (che, a quel che so, da voi cattolici dovrebbe essere rigettato in quanto rigettato dal Magistero), mentre pensiero portante del cristianesimo, in quanto concepisce il mondo come creato per mezzo del Logos (Seconda Persona), dovrebbe essere proprio il concetto gnoseologico di adaequatio rei et intellectus, per cui la logica filosofica, e dunque la metafisica, ha un valore concettuale e non solo semantico, come ben dice Timossi citato nell’articolo.
    Sganciare ragione e fede, e giustificare questa fideisticamente per il senso che darebbe alla vita (quando questo senso è ammissibile solo come conseguenza se il cristianesimo è fede ragionevole, cioè le cui Verità sono almeno parzialmente accessibili alla ragione), dal mio punto di vista è un pessimo servizio filosofico che si fa al cristianesimo, ed è scontato che questo modo di pensare abbia aperto la porta a materialisti e riduzionisti, al di là delle intenzione dello stesso Wittgenstein, che rimane comunque una brava persona, al di là delle sue idee.

  • GianFrancesco ha detto:

    La fede religiosa in un filosofo è segno di malattia. Si può concedere che la religione sia oggetto di speculazione e addirittura un punto di riferimento ma bisogna superare anche la religione se si vuol essere veri filosofi. Entrare ancor più nel mondo, essere del mondo fino in fondo, questo il significato della sapienza; trovare fuori dal mondo il significato dell’esistenza vuol dire ficcare la testa dentro i fatti della metafisica, in sostanza credere e finchè si è credenti non si sa nulla del mondo.
    Dirò di più, se si vuol conoscere la verità sul mistero di Cristo bisogna andare oltre la propria fede e non credere più; solo così si può iniziare a conoscere la verità sui fatti del Vangelo. Un filosofo che crede nella resurrezione non è un filosofo, sempre che per risurrezione si intenda l’uscita dalla morte di Gesù Cristo.

    • Oppure è la filosofia ad essere una malattia, perenne masturbazione mentale, molte volte è così. Nel marasma che hai scritto una cosa forse l’hai azzeccata: il Cristianesimo non è una religione, infatti è una Persona.
      Concludo dicendo che pensare alla metafisica è uno dei migliori modi per essere in e nel mondo.
      Se trovi una chiave per terra cosa fai? Ti chiedi quale porta apre, ed è questo che rende la chiave ciò che è, il suo destino metafisico.

    • sara ha detto:

      Interessante…

      Anche se non ho capito molto.

      Cerca di spiegarti meglio, da una Parte parli di metafisico, oltre il tangibile, superare cio’ che e’ conoscibile.

      Poi pero’ dici Che per conoscere veramente bisogna buttarsi nel mondo tangibile per arrivare a supporre senza vincoli di fede, Che ne impedirebbero una giusta veduta.

      E’ cosi’?

      • sara ha detto:

        Quindi il tangibile con distacco.

        I fenomeni del mondo entrandoci dentro.

        Strano concetto dI Imparzialita’.

        Dimmi un solo nome di un filosofo rimasto imparziale e ti daro’ Ragione.

        O dimmi il nome di un solo filosofo Che non credeva a cio’ Che affermava.

        E ti stringo la mano.

      • GianFrancesco ha detto:

        Non è che tu parti già fuori dal mondo, nel mondo ci sei, sta all’educazione che ti porti dietro tirarti fuori dal mondo. Finchè il condizionamento perdura perdura anche la metafisica.

  • GianFrancesco ha detto:

    Lì in croce i due ladroni sono l’emblema del risentimento dei bigotti contro Roma, l’ideologia cristiana ci ha fatto credere per due millenni che Gesù Cristo fosse risorto dai morti, ma non è vero: i ladroni rimasero lì sulla croce, Michelangelo ha mentito con la sua deposizione: nessuno in Roma avrebbe permesso di tirar giù dalla croce dei condannati!

    • sara ha detto:

      Parli come un invasato di indottrinamento mentale.

      • GianFrancesco ha detto:

        Dopo due millenni di cristianesimo l’invasamento è il minimo!

        • GianFrancesco: una camomilla, un bel respiro e ricomincia al netto di risentimenti e complottismi vari.

        • sara ha detto:

          Perche’ invece non Fai il ragionamento inverso?..

          Perche’ dopo 2000 anni il Cristianesimo e’ ancora in piedi?.

          Un uomo morto in croce, un fallito.

          I seguaci, stessa fine..martiri.
          Eppure Hanno convertito un impero e divulgato il vangelo nel mondo.

          Il Cristianesimo non e’ una religione.

          Nessun fenomeno ha mai avuto eguali nella storia del mondo.

          Ha spaccato il tempo in due parti. Prima e Dopo Cristo.

          Tutto il dopo Cristo ha influenzato la storia. Le Correnti, le ideologie, le dittsture son passare, crollate, morte.

          La Chiesa regge su una roccia perpetua, paradossalmente portata avanti da semplici uomini.

          In ultimo, hai ragione solo in una Cosa secondo me, tutti siamo stati indottrinati, coloro Che son rimasti tali sono usciti dalla Chiesa, Chi ha fatto il salto…di qualita’ e’ tornato da Cristo.

          • sara ha detto:

            O e’ rimasto CON Cristo.

            Da integrare.

            • Klaud. ha detto:

              Sara, immagina di essere Nefertiti: ti domandi se dopo duemila anni la tua fede in Ra abbia senso, e ti rispondi di sì.
              Non sapendo che durerà ancora altrettanto. Però è finita, e oggi nessuno pensa che abbia mai contenuto delle verità.
              La durata non è un criterio di bontà.

              • sara ha detto:

                Le due cose non sono comparabi..

                Non puoi prendere due fenomeni diversi e misurarli con lo stesso parametro.

                Io non parlo solo di tempo e durata.

                Questo e’ un qualcosa che mi spinge a interrogarmi sulle caratteristiche di Tale evento Storico ma non e’ il motivo del mio credere.

                • Klaud. ha detto:

                  Mi riferisco proprio all’essenza del credere: quando eri Nefertiti molto probabilmente la tua fede in Ra era sincera e limpida.
                  È passato molto tempo e ora te lo sei dimenticato…