Papa Francesco: «mai compromessi con il peccato se vogliamo la misericordia di Dio»

Francesco“Sta venendo giù tutto”, “Bergoglio legittima il peccato”, “la Chiesa è alla deriva”. Sono alcune delle simpatiche e catastrofiche riflessioni del tradizionalismo cattolico, l’eresia che Papa Francesco ha avuto il merito di scoperchiare, speculare a quella progressista, contro la quale avevano a lungo parlato i suoi predecessori, Ratzinger e Wojtyla.

Quella sulla “legittimazione del peccato” è diventata un vero must in certi ambienti, abituati a ragionare sul bianco e nero, impauriti che l’accento che Francesco ha dato sulla misericordia sostituisca l’aspetto della giustizia o si trasformi in un relativistico buonismo in cui tutti fanno ciò che vogliono tanto Dio perdona sempre.

Eppure, Papa Francesco dice proprio l’opposto. Nell’Udienza generale di ieri ha ribadito il concetto: «Il fariseo non concepisce che Gesù si lasci “contaminare” dai peccatori. Ma la Parola di Dio ci insegna a distinguere tra il peccato e il peccatore: con il peccato non bisogna scendere a compromessi, mentre i peccatori – cioè tutti noi! – siamo come dei malati, che vanno curati, e per curarli bisogna che il medico li avvicini, li visiti, li tocchi. E naturalmente il malato, per essere guarito, deve riconoscere di avere bisogno del medico!».

Nessun compromesso con il peccato e la misericordia di Dio è possibile soltanto se ci si riconosce peccatori. Esattamente ciò che ha detto nell’intervista pubblicata nel libro “Il nome di Dio è Misericordia” (Piemme 2016): «La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio». Il teologo padre Angelo Bellon ha recentemente scritto: «la misericordia predicata da Papa Francesco è la misericordia predicata e insegnata da sempre. È la misericordia che vuole vincere il male, non quella che lascia nel male. È la misericordia che vuole vincere il peccato, non quella che lascia nel peccato».

Non c’entra nulla l’arrendevolezza, il lassismo del “sbagliato giudicare”. Misericordia, ha scritto sempre Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo che stiamo vivendo, è anche «consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti». La correzione fraterna è più che necessaria, ha ribadito in un’altra occasione, certo, «quando ti dicono la verità non è bello sentirla, ma se è detta con carità e con amore è più facile accettarla». Dunque, «si deve parlare dei difetti agli altri», ma con carità. «Tante volte si confonde la misericordia con l’essere confessore “di manica larga”», ha spiegato infine nel marzo 2015. «Né un confessore di manica larga, né un confessore rigido è misericordioso. Nessuno dei due. Il primo, perché dice: “Vai avanti, questo non è peccato, vai, vai!”. L’altro, perché dice: “No, la legge dice…”. Ma nessuno dei due tratta il penitente come fratello, lo prende per mano e lo accompagna nel suo percorso di conversione! Misericordia significa prendersi carico del fratello o della sorella e aiutarli a camminare. Non dire “ah, no, vai, vai!”, o la rigidità».

Bisogna diffidare seriamente degli apocalittici, dei giornalisti improvvisati teologi che vivono ormai nella delirante polemica contro il Pontefice. Poco importa se hanno avuto un passato da illuminanti testimoni. Come ci ha insegnato questa mattina Francesco, «fa bene al cuore cristiano fare memoria della sua strada, della propria strada: come il Signore mi ha condotto fino a qui, come mi ha portato per mano?». Chi non fa memoria si perde e fa perdere chi lo segue, si nega come figlio e pretende di essere padre. Come scrisse Pio XI, «ci sono, purtroppo, pseudo-cattolici che sembrano felici quando credono di scorgere una differenza, una discrepanza, a modo loro (s’intende), fra un Vescovo e l’altro, più ancora fra un Vescovo e il Papa». Sappiamo bene quanti di questi pseudo-cattolici gioiscono oggi, ad esempio, alla notizia del calo delle vocazioni, così da poter incolpare anche di questo il Papa. Magari arrivando anche a convincersi che le bastonate quotidiane al successore di Pietro siano amore alla verità.

La redazione
(articolo inserito nell’archivio tematico dedicato a Papa Francesco)

186 commenti a Papa Francesco: «mai compromessi con il peccato se vogliamo la misericordia di Dio»

  • Andrea ha detto:

    Capolavoro

  • Domenico Ferro ha detto:

    uhm… brutto segno quando si comincia a parlare di “tradizionalisti cattolici” (ovviamente per stigmatizzarli)…
    P.S.: visto che si parla pure (sempre stigmatizzandoli) di “certi ambienti, abituati a ragionare sul bianco e nero”, una domanda:
    Mt 12,30, Lc 11,23 (“Chi non è con me è contro di me”) sono ancora in vigore o sono stati abrogati? Forse mi sono perso qualche passaggio?

    • sara ha detto:

      Concordo…
      Tra l’altro, qualche frase dell’articolo sembra addirittura uscita dalla Mia bocca..

      A primo acchito non mi trovo del tutto in linea con un articolo Che sembra piu’ voler dimostrare una sua tesi, Che la versione Originale di Francesco.

      Mi sa Che mi tocca rileggere per la terza Volta l’articolo. Perche’ qualche affermazione non mi e’ Chiara.
      E Credo che anche io, dopo una accurata Analisi, riportero’ citazioni, a favore del mio pensiero, sbrandellando fonti in minuziosi riferimenti .
      Perche’ distinzioni tra progressisti e tradizionalisti non sta nel vocabolario dello spirito Unitario della chiesa.

      Firmato: Una ” fervente tradizionalista”.

      • Katy ha detto:

        Il tradizionalismo non esiste, è un’ideologia. Ogni -ismo è un’ideologia!

        • andrea g ha detto:

          Il cosiddetto tradizionalismo si avvicina sovente alla
          visione fariseistica della religione; quando Gesù afferma
          “molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con
          Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno
          saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti”,
          li manda in tilt totale.
          Non a caso il Signore sarà crocifisso (come mandanti) proprio da
          questi pseudo religiosi-

          • andrea g ha detto:

            Per non parlare di quando il Cristo, di fronte alla loro affermazione:
            “Noi non siamo nati da fornicazione; noi abbiamo un solo Padre: Dio”,
            ribatte:
            “Voi siete dal diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre
            vostro” (Gv VIII,44).
            Vanno in crisi isterica-

        • sara ha detto:

          Certo Che, il sarcasmo qua, non e’ proprio di casa, he Steve?( menomale Che mi capisci)

          La mia voleva essere una semplice provocazione.

          E di fatti, molti ci sono cascati.

          Ma se nell’articolo stesso si parla di “tradizionali”.

          Ditemi: Perche’ vi rivolgere a me?

    • Katy ha detto:

      No sono ancora validi, chi è contro il Papa è contro la Chiesa e contro Gesù. Quindi o con loro o contro di loro, hai ragione.

    • Marco S. ha detto:

      In realta’ Gesu’ ha anche detto: “Chi non e’ contro di noi e’ per noi” (Mc 9,40).

      In merito propongo questa catechesi del Card. Ravasi.

      http://www.novena.it/catechesi/catechesi35.htm

      Vorrei poi osservare che tutti gli “ismi” implicano una posizione ideologica, che agisce in senso peggiorativo di un aggettivo in se’ buono.
      Essere “tradizionali”, cioe’ avere il carisma di coltivare con particolare cura le tradizioni apostoliche della Chiesa, e’ un conto.
      Essere “tradizionalisti”, cioe’ fare di esse un “totem” assoluto, che magari impedisce di cogliere i veri segni dei tempi, e’ un altro conto.

      Le ricordo poi che il brano che Lei cita (Mt.12,30 ovvero Lc.11,23) si riferisce proprio ai momenti dello scontro tra Gesu’ e gli scribi/farisei/dottori della legge di Israele, cioe’ i “tradizionalisti” dell’epoca.

  • Gabriele ha detto:

    La realtà non è mai in bianco e nero, ci sono quelli che vogliono cambiare tutto, quelli che non vogliono cambiare nulla e quelli che desiderano cambiare restando però fedeli alla dottrina. La Verità quella è e quella rimane, ma essa deve essere accompagnata da cambiamenti opportuni che permettono di capirla, difenderla e viverla sempre meglio. Come disse san Giovanni XXIII: “Non è il vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.
    Sempre per questo bisogna distinguere tra chi ama la Tradizione e chi la trasforma in una sorta di ideologia, intoccabile, in base alla quale si ritengono giudici e giuria anche del papa.
    Chi cade nel secondo caso arriva anche alla menzogna o all’insinuazione critica, pur di avere ragione.
    Faccio un esempio legato proprio all’Amoris Laetitia: tra le tante critiche c’è quella per cui Francesco avrebbe sminuito e invalidato la scelta di coloro, divorziati e risposati, che hanno scelto di convivere come ‘fratello e sorella’ per non tradire la precedente unione, indissolubile, e lo avrebbe fatto con la nota 329 dell’esortazione. Ma qui c’è il trucco, perchè l’accusa fa riferimento solo ad una parte del testo, quando dice che:

    “se mancano alcune espressioni di intimità, ‘non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”

    Peccato che la nota completa sia:

    “In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”

    Si capisce la differenza: stando solo alla prima versione, sembra che il papa abbia sentenziato dall’alto che il vivere come fratello e sorella è una soluzione sbagliata.
    Ma il testo completo, unito al fatto che: 1) stiamo parlando di una nota, 2)da nessuna parte nell’esortazione viene detto che il vivere come fratello e sorella è sbagliato, 3)si parla di ‘molti’ non di tutti, fa capire che Bergoglio annota semplicemente come anche questo rimedio possa dare addito a dei problemi, e lo afferma basandosi sulla sua lunga esperienza a contatto con la gente di tutti i giorni. Quindi questo rimedio non può essere visto come LA soluzione per i divorziati risposati. Ma se una coppia riesce a vivere felicemente in quel modo, tanto meglio.
    Posso comunque capire che il testo in questione abbia dei punti difficili (del resto non esistono documenti perfetti), così come già sono venuti fuori quelli che si appigliano all’esortazione per giustificare i propri gravi abusi, che tuttavia non sono causati dalla Amoris Laetitia, erano già in corso e il documento pontificio viene solo sfruttato come scusa (un pò come è successo dopo il 1965 col famoso ‘spirito del concilio’ con il quale venivano bellamente ignorati i testi del concilio vero).
    La soluzione migliore è leggere l’esortazione nella sua interezza e insieme a tutto il magistero odierno e precedente, che del resto proprio l’esortazione cita con frequenza, inserendosi così nella Tradizione viva della Chiesa. Va bene la critica, ma costruttiva, che certo non è rappresentata dalle sterili accuse di eresia e illegittimità al pontefice.

    • Q.B. ha detto:

      la realtá non lo sará, la veritá invece è proprio così: bianca o nera, vera o non vera, si o no, con Lui o contro di Lui. Poichè è in quella direzione che si deve camminare, la Chiesa può solo indicarlo con chiarezza. Sostenere che “si” può in parte essere anche “no” è acqua al mulino del Nemico

      • hic et nunc ha detto:

        e quando è grigia, «è proprio così: o è grigia o non grigia, vera o non vera»?

    • giuseppe ha detto:

      Caro Gabriele, sono d’accordo con te che la nota 329 non mette in discussione la Familiaris Consortio di GPII e quindi la necessità almeno della continenza sessuale per ottenere l’assoluzione sacramentale e l’accesso all’Eucaristia. La nota, come giustamente rilevi tu, si limita a evidenziare un disagio che a volte queste persone esprimono e niente altro. Fin qui sono d’accordo con te. Poi però a mio avviso compì una forzatura e fai dire al Papa ciò che egli non ha scritto da nessuna parte, ovvero che la castità non è LA soluzione (per tutti i casi suppongo cHe tu voglia dire, scrivenfo con la maiuscola l’articolo). In questo modo tu, pur vuolendo apoarire super partes (lo dico con simpatia) abbracci una tesi interpretativa espressa da alcuni ma non condivisa da altri. E qui non si tratta di tradizionalisti contro progressisti. Infatti che queste aperture non ci siano affatto nel testo è stato espresso da eminenti uomini di Chiesa e teologi, come il teologo domenicano Michelet, il professor Juan José Pérez-Soba, il card. Dolan, il professor Eduardo Echevarria, il card. Burke, mobsignor Livi, il teologo domenicano Cavalcoli, il cardinale Brandmuller ecc. Inoltre è importante ricordare sempre che la missione della Chiesa è una missione salvifica. È stata cioe fondata da Cristo unicamente per condurre le anime alla salvezza eterna. Quindi più che parlare di “soluzioni” per I divorziati risposati (termine che può essere equivocato con il benessere terreno) dovremmo prima di tutto chiederci quali sono i rimedi idonei ad condurli all’eterna salvezza. Infatti se amiamo veramente il prossimo questo è il primo desiederio che ci deve premere nei loro confronti. Si tratta di quella “sete di anime” che contraddistingue tutti i santi. Se abbiamo questa visione soprannaturale che è poi quella della Chiesa si capirà bene che anche i divorziati risposati sono chiamati alla coerenza di vita per non commettere il gravisdimo peccato del sacrilegio accedendo alla Comunione senza le dovute disposizioni. Se abbiamo a cuore la salvezza di tutti non possiamo non essere preoccupati per lacsalvezza eterna di coloro che vengono indotti da cattivi pastori ad accostarsi alla Comunione sacrilega perché si fa loro credere illecitamente (e contro la volontà di Papa Francesco) che abbiano libertà di farlo.

      • Gabriele ha detto:

        Gentile Giuseppe, anche io concordo con la missione della Chiesa per la salvezza delle anime e penso che lo stesso papa abbia voluto avviare un ampia discussione sui rimedi idonei per far giungere tale salvezza alle anime, volendo però che si tenesse conto della complessità della realtà, e il mio riferimento in questo caso era solo per i divorziati risposati che vogliono vivere come fratello e sorella, facendo notare che quel modo di vivere è una soluzione ma non deve per forza essere considerata come la soluzione perfetta e unica, non quando rischia di ferire persone senza colpa, come i figli. Il bianco e il nero deve esistere sul piano della dottrina, ma sul piano pratico bisogna poi applicare la giusta distinzione tra errore ed errante: come condannare il primo e recuperare il secondo?
        Il papa vuole suscitare una ampia riflessione su questo nell’ambito familiare e possiamo contribuire a tale riflessione cominciando col tenere conto di tutto il documento papale, e leggendolo in continuità col magistero di sempre. Potrà pure darsi che in futuro certi suoi aspetti verranno considerati dannosi o inutili nei fatti e quindi rimossi, ma intanto si faccia un serio discernimento, l’et-et cattolico, in modo da non buttare con l’acqua sporca anche il bambino.

        • Q.B. ha detto:

          Errante è colui il quale va diritto verso il pericolo mortale. Discernere, comprendere, valutare la situazione concreta è un fare che ha un senso solo se inteso a fare cambiare direzione a chi si è incamminato verso il peccato. Se la Veritá è bianca o nera, quindi se un determinato agire è male di per se, conta relativamente la mia disposizione d’animo, specialmente se si parla di condotta permanente (unione irregolare) nel corso della quale ho tutto il tempo, se voglio, di maturare quella piena avvertenza che mi fa comprendere la peccaminositá del mio stato.
          È difficile? Certo che lo è, come lo è stata la Croce. La grazia per affrontare queste difficoltà ci è stata promessa e non ci viene negata se la chiediamo.

          • Gabriele ha detto:

            Ha ragione, bisogna salvare chi si incammina verso il peccato. Ed è interessante il riferimento alla disposizione d’animo: cosa succede quando qualcuno si trova coinvolto suo malgrado in una situazione irregolare che non dipende da lui e che deve subire? Lo si tratta alla pari di colui che si è voluto incamminare verso il peccato? Non esiste la gradualità della legge, ma può esistere una legge della gradualità, che si applica alla responsabilità soggettiva. Non si tratta di negare la gravità della situazione irregolare, o di sostenere che tale situazione è grave ma non impedisce l’accesso all’eucarestia, si tratta di riconoscere che in una situazione colpevole ci possono essere persone incolpevoli, per questo non è giusto punirle come meritano i colpevoli.
            Il discernimento serve per stabilire questo, è certamente difficile, un vero campo minato, per questo il papa fa riferimento solo ai casi particolari (ricordiamo che non parla mai di comunione ai divorziati, perchè non vuole che la riflessione si fissi solo su questo) perchè anche l’incolpevole ha bisogno della Grazia.

            • Vincent Vega ha detto:

              Riguardo al peccato mortale, perché si abbia ribadisco che serve materia grave, deliberato consenso e piena avvertenza. Se manca uno di questi il peccato non c’è.
              In particolare sulla piena avvertenza serve

              1)La piena avvertenza della mente, ovvero sapere e stimare che quello che si sta per fare o per omettere è gravemente proibito o comandato, andare cioè contro la propria coscienza.
              2)Il deliberato consenso della volontà, cioè il voler fare od omettere deliberatamente ciò che si sa con chiarezza che è un male grave, che, oggettivamente, è un peccato mortale.

              Ho sottolineato la coscienza perché, di fatto, molti divorziati risposati (specie quelli nelle condizioni di cui ho già parlato negli altri post) non si sentono minimamente in peccato, anzi. Se a questo aggiungiamo i sacerdoti che gli danno la Comunione perché non li ritengono in stato di peccato mortale è facile vedere come non potranno avere la piena avvertenza e, quindi, peccare mortalmente e, perciò, potranno fare la Comunione senza commettere sacrilegio.

              Per farti un esempio, ai cristiani ortodossi è già concesso da quasi 1000 anni di potersi risposare, dalla loro Chiesa (e loro hanno la successione apostolica e la tradizione come noi, infatti la nostra Chiesa considera validi tutti i loro sacramenti e la considera una Chiesa scismatica ma non eretica), e di certo non commettono peccato mortale perché la loro Chiesa glielo concede.

              Stesso discorso qui.

              • Q.B. ha detto:

                Chi vive in stato di peccato e incontra il prete che non lo aiuta a maturare quella piena avvertenza che determina il deliberato consenso è vittima di un cattivo prete.
                Qui si sta dicendo invece che il prete farebbe bene a non porre il peccatore di fronte alla verità immutabile, cioè che il sigillo sacramentale del matrimonio non può essere spezzato e la nuova unione è adulterio.

                Oltre il ciglio della strada c’è un precipizio (dottrina), io insisto a recarmi in quella direzione. Carità è impedirmi di finirci dentro e perire (pastorale), qualsiasi altro atteggiamento non è carità oppure presuppone che il precipizio non ci sia o non sia così profondo. In quest’ultimo caso la questione diventa dottrinale. Si abbia almeno l’onestà di ammetterlo.

                • Vincent Vega ha detto:

                  Ma quindi i cristiani ortodossi che contraggono una nuova unione con la benedizione della loro Chiesa si dannano? Ovviamente no. Perché? Perché non hanno la piena avvertenza. Perché non ce l’hanno? Perché la loro Chiesa non glielo insegna.

                  Ora, perché questo non può valere anche per i cattolici? Senza contare che il problema è di ordine diverso. Ci sono persone che vengono lasciate dal marito/moglie magari a 30/35 anni senza possibilità di ricomporre l’unione (ad una persona che conosco il coniuge è scappato all’estero, mai più sentito), ed è davvero dura che questa persone si convincano, dentro di se, che è giusto che passino il resto della loro vita come monaci.

                  Tra l’altro, una delle cose importanti dell’amoris laetitia è che ha spiegato, oltre alla questione dei divorziati risposati, anche che non è affatto detto che i conviventi o chi è sposato civilmente sia in stato di peccato mortale, se ci sono propositi di stabilità e fedeltà. E questo era dovuto, perché fino ad oggi un cattolico non poteva avere una vita sessuale e sentimentale se non nel matrimonio sacramentale, con la differenza che se poi va male si era condannati a vita.

                  Insomma, ci voleva proprio un cambiamento su queste cose, mi spiace ma io la vedo così. Persone come Giuseppe possono negare che il cambiamento ci sia stato, ma sono le parole stesse del Papa, chiarissime, a smentirli.

                  E riguardo a questo

                  “Qui si sta dicendo invece che il prete farebbe bene a non porre il peccatore di fronte alla verità immutabile, cioè che il sigillo sacramentale del matrimonio non può essere spezzato e la nuova unione è adulterio.”

                  Che perché il peccato sia mortale (ovvero che metta l’anima a rischio di dannazione) serva la piena avvertenza non è certo una mia invenzione, ma è dottrina della Chiesa. Se la Chiesa concede la Comunione ad un divorziato risposato o ad un convivente de facto gli toglie la piena avvertenza (che molto probabilmente non aveva nemmeno prima, perché la piena avvertenza ce l’hai non solo quando sai che per la Chiesa il tal atto è peccato, ma quando lo realizzi, lo avverti, appunto, dentro di te) e quindi non gli permette di commettere peccato mortale.

                  A me pare cristallino e chiaro. Ricordiamoci Inoltee, prendendo la prima lettera di Pietro, che “la carità copre molti peccati”. Incitiamo queste persone, piuttosto che a fare vite monacali che non hanno richiesto, a vivere nell’amore verso il prossimo e a impegnarsi davvero nella Carità verso il prossimo.

                  • sara ha detto:

                    Perche’ gli Ortodossi sono Ortodossi e i Cattolici,Cattolici…

                    Fosse come dici tu la Chiesa potrebbe anche non esistere.
                    Ma ha il dovere e l’obbligo di custodire e rivelare la verita’ al , per essere sempre luce del mondo.

                    Se io conosco la verita’, perche’ Dio mi ha dato modo di conoscerla non posso piu’ rifiutarla perche’ se la rifiuto scelgo, ammettendo le conseguenze di Tale scielta, proprio perche’ le conosco, e su Tale conoscenza saro’ giudicato.
                    Per cio’ che riguarda gli altro:

                    ” lascia Che i morti seppelliscano i loro morti, tu vieni e seguimi.”

                    La chiesa ci insegna che nella Storia di ogni uomo Dio agisce per un disegno ben preciso.
                    Se ha voluto che tu conoscessi la verita’ e’ stato perche’ potesse fare di te uno strumento, ma rispondergli:

                    ” signore perche’ seguirti e’ cosi’ faticoso?..posso scegliere l’alternativa di fare come un ortodosso?, o un musulmano? O un Ateo?…tanto Signore, tu sei buono e mi perdonerai comunque tutto.

                    Perche’ sforzarmi di entrare per la porta stretta?.”

                    L’Umilta’ e l’obbedienza Vincent, sono la chiave di accesso alla salvezza.

                    Quando inizi ad anteporre il tuo Io a Dio e’ frutto du interpretazioni Che fuorviano.

                    Sia il vostro parlare si si, no no. Il piu’ viene dal Demonio che e’ molto furbo, non puoi batterlo senza umilta’. Nel dubbio, obbedisci sempre e comunque, non porti domande sul perche’.
                    Se la Vergine se le fosse poste forse il Disegno di Dio non si sarebbe compiuto.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Ma io infatti, Sara, prendo atto di ciò che insegna la Chiesa. E se la Chiesa insegna che non è affatto detto nè automatico che una coppia di conviventi che ha propositi di stabilità e fedeltà in vista di un unione pubblica (sacramentale o civile) o una coppia di divorziati risposati siano in stato di peccato mortale vuol dire che è cosi.

                      Non fosse altro perché, come detto, la Chiesa ha il potere di sciogliere e legare, e se un sacerdote mi dice che la tal cosa non è peccato mortale non la è, perché fa si che io non possa avere la piena avvertenza, cosa imprescindibile perché il peccato mortale sia tale.

                    • sara ha detto:

                      Il catechismo e la dottrina dicono altro. E non sono stati cambiati.
                      Il peccato rimane e’ la pastorale che cambia, approccio al peccatore, ma quello a te nn interessa perche’ tu sei pecora, non il pastore Che valuta, discerne e accompagna la pecora.

                      Non sara’ mica Che tenti da fare interpretazioni per accomodare la dottrina ad una tua specifica situazione?

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Per Sara

                      “Il catechismo e la dottrina dicono altro. E non sono stati cambiati.
                      Il peccato rimane e’ la pastorale che cambia, approccio al peccatore, ma quello a te nn interessa perche’ tu sei pecora, non il pastore Che valuta, discerne e accompagna la pecora.
                      Non sara’ mica Che tenti da fare interpretazioni per accomodare la dottrina ad una tua specifica situazione?”

                      Ma cosa, io ho letto bene AL e c’è scritto nero su bianco che non solo i divorziati, ma anche i conviventi e gli sposati civilmente non possono più nè sempre nè automaticamente essere considerati in stato di peccato mortale. Per l’appunto, dipende da caso a caso.

                      Ma l’AL è stata chiara su quelle situazioni, infatti dice

                      “In queste situazioni potranno essere valorizzati quei segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio”. Inoltre “tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza”.

                      Mi sembra evidente che siamo ben lontani dai tempi dove queste persone venivano stigmatizzate come pubblici peccatori che se morivano in quello stato andavano all’inferno. E meno male! Tra l’altro, la questione delle convivenze e delle unioni civili che riflettono in qualche modo l’amore di Dio, è una posizione che la Chiesa Ortodossa ha da molti anni, mentre noi consideravamo quelle persone, un tempo, con molta durezza e intransigenza. Basta vedere questo povero decerebrato mentecatto http://www.corriere.it/cronache/14_giugno_23/convivere-peggio-che-uccidere-bufera-parroco-novarese-8a55984e-fab8-11e3-a232-b010502f9865.shtml

                    • sara ha detto:

                      CHI SEI TU PER GIUDICARE OGGI L’OPERATO DELLA CHIESA?

                    • sara ha detto:

                      Certo non spicchi d’umilta’ e questo mi basta.

                      Il Demonio appariva ai Santi vestito da Madonna.

                      Stai attento a come predichi e alle sentenze Che dai, anche di questo dovrai rendere conto Vincent.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Ma io ho scritto proprio che approvo in pieno l’operato della Chiesa di oggi. Francamente, che un tempo si sia stati ingiusti verso molte persone è un’evidenza lapalissiana.

                    • sara ha detto:

                      Che Fai?…giro Giro fondo?…

                      26 anni e Credi di aver capito tutto dI Dio, di Chiesa di Demonio?..

                      Due persone ti conoscono, una prima Che tu fossi l’altra Grazie al tuo vissuto( peccati), piu’ di quello Che non immagini: Dio e Satana.

                      Prima di arrivare a capirci qualcosa Devi prima vivere, morire e poi risorgere, magari anche due volte..

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Cara Sara, io non ho affatto “capito tutto”. Sul demonio so qualcosina perché ho seguito un esorcista per diverso tempo (mi sono proprio convertito grazie a ciò che ho visto) e li vedi cose che farebbero convertire pure Odifreddi. Iniziò tutto quando una persona a me molto cara ebbe problemi spirituali.

                      Perciò sul demonio ho qualche conoscenza per quel motivo, non per altro. Non sono un demonologo. Aldilà di ciò, sono ben lungi dal sapere tutto.

                    • sara ha detto:

                      Caro Vincent io sono solo contenta per te.

                      Ma non apparire come un Sggio, non ti si addice.

                      Le mie prendile come Parole fraterne, se ti riesce.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Per Sara

                      “Ma non apparire come un saggio, non ti si addice.”

                      Non mi sembra di voler apparire come un saggio, io dico quello che penso. Saranno gli altri a valutare se sono saggio o stolto, dopo. 🙂

                    • hic et nunc ha detto:

                      Non sara’ mica Che tenti da fare interpretazioni per accomodare la dottrina ad una tua specifica situazione?

                      bene fai ad usare la forma interrogativa. Saresti altrimenti maliziosa.

                    • sara ha detto:

                      :). ..ho imparato da te.

                  • Andrea VCR ha detto:

                    Grazie Vincent!
                    Hai scritto: “Tra l’altro, una delle cose importanti dell’amoris laetitia è che ha spiegato, oltre alla questione dei divorziati risposati, anche che non è affatto detto che i conviventi o chi è sposato civilmente sia in stato di peccato mortale, se ci sono propositi di stabilità e fedeltà. E questo era dovuto, perché fino ad oggi un cattolico non poteva avere una vita sessuale e sentimentale se non nel matrimonio sacramentale, con la differenza che se poi va male si era condannati a vita.”
                    Personalmente conosco almeno una coppia sposata civilmente, che non riesce ad ottenere il matrimonio sacramentale per motivi burocratici (sorry, non posso spiegarmi meglio senza raccontarne la storia).
                    Penso saranno molto contenti di conoscere quello che hai postato! 🙂 🙂 🙂
                    Carissimo, che ti posso dire? Sei la solita miniera di gemme!!!
                    P.S.
                    Meglio conosco il pensiero di Papa Francesco più mi piace!
                    P.P.S.
                    Se riesci a scrivermi la citazione esatta o a darmi un link diretto al paragafo, penso faresti loro un piacere doppio!
                    Viva Cristo Re

                    • sara ha detto:

                      Ma tu guarda che mi tocca sentire.

                      Andrea la coppia dovresti farla parlare con un prete Che ha piu’ discernimento…sicuramente di Vincent e di un Blog.

                      Se i preti servono ancora a qualcosa!

                    • Andrea VCR ha detto:

                      Non conosci la storia, Sara, né io posso parlartene.
                      Si stanno muovendo meglio che possono, ricevendo meno aiuto di quanto ne chiedono (e di quanto sarebbe giusto) e cercano di non cedere all’amarezza in una situazione spinosa. Notizie come questa aiutano il morale e la voglia di perseverare nel tentativo di raggiungere la pienezza sacramentale.
                      Fidati del Papa, ci sono situazioni in cui l’azione della Chiesa ha “opportunità di miglioramento”.
                      Viva Cristo Re

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Che tipo di problemi stanno avendo, Andrea?

                    • hic et nunc ha detto:

                      Andrea la coppia dovresti farla parlare con un prete Che ha piu’ discernimento…sicuramente di Vincent e di un Blog.

                      povero Vincent! e poveri tutti quelli che scrivono sul blog! Solo per questo senza discernimento… anche se preti!

                    • sara ha detto:

                      Hice..tutto ok?…
                      Se hai qualche problema dimmelo subito, ma evita di commentare ogni cavolo di virgola Che scrivo.

                      Attieniti al tema, cosi’ forse, magari, posso anche risponderti.
                      Grazie.

                • Vincent Vega ha detto:

                  Per Q.B

                  “Qui si sta dicendo invece che il prete farebbe bene a non porre il peccatore di fronte alla verità immutabile”

                  Anche padre Cavalcoli, dell’isola di Patmos, che è uno di quelli che, come Giuseppe, dice che nulla è cambiato (venendo però platealmente smentito dai fatti) ammette che non si va contro la verità immutabile dando la Comunione ai divorziati risposati.

                  Cito da qui http://isoladipatmos.com/amoris-laetitia-il-documento-del-santo-padre-francesco-sul-sinodo-della-famiglia/

                  La norma che proibisce ai divorziati risposati di accedere alla Santa Comunione, è una norma che dipende dal potere delle chiavi, ossia è una legge ecclesiastica, che non discende dalla legge divina in modo univoco, necessario e senza alternative, come fosse una deduzione sillogistica, quasicchè, come credono alcuni, un’eventuale modifica, abolizione o mitigazione dell’attuale disciplina introdotte un domani dal Papa, recassero pregiudizio od offesa alla legge divina e alla dignità cristiana del matrimonio. Al contrario, tutto ciò rientra nelle facoltà del Sommo Pontefice come supremo Pastore della Chiesa. ”

                  Poi Cavalcoli procede dicendo che il Papa non ha cambiato nulla, il che è platealmente falso, basta ascoltare le stesse parole del Papa in aereo, oltre a leggere AL) ma comunque ha ammesso che è una questione di legge ecclesiastica, pertanto nessuna eresia. Anche perché, se fosse eresia, il Papa sarebbe già stato deposto.

                  • Q.B. ha detto:

                    a. Se qualcuno non m’insegna, cioè non mi consente di maturare una piena avvertenza del fatto che oltre il ciglio della strada c’è un precipizio mortale io continuo il mio cammino e cado rovinosamente. Chi poteva avvisarmi e non lo ha fatto ha peccato perché ha mancato in una delle opere di misericordia spirituale (insegnare agli ignoranti e ammonire i peccatori) e io mi sono perduto.
                    b. Questo è l’insegnamento della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, non di quella ortodossa (che pure rispetto) ma che appunto non è in comunione con Roma.
                    c. Se la seconda unione non è – e non può essere – santificata dal sigillo sacramentale del matrimonio, mi trovo in peccato di adulterio. Questa proposizione la si accetta o non la si accetta: e siamo di nuovo di fronte ad una questione dottrinale.
                    d. Se sono in stato di peccato non vi è nulla che possa essere stabilizzato perché si tratterebbe di confermarmi nel peccato, cioè confermarmi nella mia decisione di dirigermi verso il precipizio.
                    e. Accanto alla lettura di Padre Cavalcoli ce ne sono di autorevolissime di segno opposto. Anche solo questa confusione interpretativa suggerisce che qualche problema c’è.

                    Oltre le singole questioni, però, credo la domanda di fondo alla quale ti pregherei di rispondere sia una: il precipizio oltre il ciglio della strada c’è o non c’è? E se ci cado mi perdo o non mi perdo?

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Per Q.B

                      “Oltre le singole questioni, però, credo la domanda di fondo alla quale ti pregherei di rispondere sia una: il precipizio oltre il ciglio della strada c’è o non c’è? E se ci cado mi perdo o non mi perdo?”

                      La domanda è mal posta, perché per perderti devi commettere peccato mortale. A me francamente fa ridere l’idea che se mi sposo e poi pianto li la mia sposa per andarmene in Brasile lei debba essere condannata a vivere in stato monacale per sempre perché altrimenti si danna. Questo si che mi sembra contro la misericordia di Dio. E comunque ribadisco, è la Chiesa a decidere cosa e in quali situazioni si è in peccato mortale. Se la Chiesa decide che la tua situazione non è in stato di peccato mortale ti toglie ipso facto la piena avvertenza e perciò davanti a Dio non commette peccato mortale, che è il solo che può portare alla dannazione.

                      A me sembra tutto chiaro. Anche perché sennó togliamo pure la dispensa papale per i sacerdoti che si innamorano e vengono ridotti allo stato laicale https://www.uccronline.it/2016/04/21/papa-francesco-mai-compromessi-con-il-peccato-se-vogliamo-la-misericordia-di-dio/#comment-174620

                      Perché loro possono essere dispensati dagli obblighi del sacramento e un fedele che si è separato di comune accordo da un matrimonio diventato un ergastolo (magari dopo aver aspettato 15 anni che i figli crescessero per non farli soffrire) o che è stato lasciato senza colpa no? Il tempo dell’ipocrisia è finito, grazie a Dio.

                    • Q.B. ha detto:

                      @ V.V.
                      Ergo duemila anni di storia della chiesa sono stati un tempo di ipocrisia che ora, finalmente, è finito. L’inaugurazione di una nuova chiesa che sarà l’alba di un nuovo giorno.
                      Almeno queste sono conclusioni che non lasciano dubbi.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Per Q.B
                      “@ V.V.
                      Ergo duemila anni di storia della chiesa sono stati un tempo di ipocrisia che ora, finalmente, è finito. L’inaugurazione di una nuova chiesa che sarà l’alba di un nuovo giorno.
                      Almeno queste sono conclusioni che non lasciano dubbi.”

                      No, nessuna “nuova Chiesa”, semplicemente una mutata sensibilità su alcune questioni. O vuoi dire che è giusto che un sacerdote che si innamora possa chiedere la riduzione allo stato laicale e ottenere la dispensa dall’obbligo del celibato e, al contempo, dire che se io pianto in asso mia moglie senza nessuna intenzione di tornare perché sono un bastardo è giusto che a lei venga imposta la continenza a vita? Sarebbe giusto questo?

                      Ma non è mica la prima cosa sulla quale abbiamo cambiato. Gli ebrei sono stati definiti collettivamente deicidi per quasi 2000 anni, ma dopo il CVII le cose sono cambiate grazie a Dio https://books.google.it/books?id=XeoDplQG0soC&pg=PA83&lpg=PA83&dq=gli+ebrei+non+sono+deicidi+giovanni+paolo+II&source=bl&ots=O0Sb-vm3im&sig=iMnjxpjg_Dahf0LbVccwzGA_h3k&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiglK6c8aHMAhWmCsAKHXdkCMoQ6AEIJzAF#v=onepage&q=gli%20ebrei%20non%20sono%20deicidi%20giovanni%20paolo%20II&f=false

                      E si, c’è stata molta ipocrisia. La Chiesa ha fatto tanto del bene ma anche del male, e le ingiustizie non sono certo mancate, come non sono mancati i Santi.

                    • Q.B. ha detto:

                      E’ un approccio prevalentemente antropocentrico – che conosco fin troppo bene purtroppo – che mette da parte le fondamentali questioni sulla Verità che invece essendo immutabile non può essere accomodata.
                      In special modo quella sul sacramento del matrimonio è una core issue che tocca il centro della visione antropologica Cristiana. Se la si muta, anche solo indirettamente attraverso la prassi, si tocca il codice sorgente del sistema che per sopravvivere, venendo a mancare la necessaria coerenza logica che – senza offesa – traspare anche dal tuo argomentare, correrà dietro agli accomodamenti “pastorali” secondo il sentire del giorno – il mondo che dice come interpretare la rivelazione e non viceversa – fino all’irrilevanza finale. Peraltro roba già vista.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Se dici che manca di logica ciò che dico (è la tua opinione, rispettabilissima) sarebbe carino che mi dicessi dove e perché. 🙂

                      Il Sacramento del Matrimonio non viene certo toccato nella sua indissolubilità, semplicemente c’è un cambiamento di prassi per venire incontro alle persone in difficoltà.
                      Nessuno detta alla Chiesa come gestire la Rivelazione. Nessuna Chiesa vera permette questo.

                      Le uniche Chiese vere sono la Chiesa Cattolica in primis (nella quale sussiste la pienezza della Verità) e la Chiesa Ortodossa in secundis (nella quale sussiste molta Verità anche se non come nella Cattolica), tutte le altre sono Chiese eretiche.

                      Nè la Chiesa Cattolica nè la Chiesa ortodossa arriveranno mai, come invece hanno fatto diverse Chiese eretiche, a legittimare orrori come l’aborto, l’eutanasia, l’utero in affitto, i matrimoni gay in Chiesa e così via. Per la semplice ragione che non possono farlo, perché, e questo vale soprattutto per la Chiesa Cattolica, hanno la promessa di Cristo di non poter errare sulle questioni vitali per la cristianità, in primis i dogmi teologici (e qui la Chiesa Ortodossa ha gravi mancanze, e ha da imparare da noi) e Jn secundis in materia di morale sessuale e morale in generale (e in questo secondo me la Chiesa Ortodossa ci ha visto più giusto di noi in alcune cose).

                    • Q.B. ha detto:

                      I salti logici sono nella sovrapposizione di piani diversi ma anche la dove si viola il principio di contraddizione. Come è arcinoto, una cosa non può essere al contempo vera e non vera; un vincolo non può essere al contempo indissolubile e occasionalmente solubile. Il precipizio esiste oppure non esiste.

                      Se ci cado perche sono cieco guidato da ciechi potrò essere giudicato con infinita misericordia, ma se siamo io e la guida a fingere di essere ciechi così “non c’è piena avvertenza”, non credo che lassù siano così sprovveduti!.

                      Resta aperta ancora la domanda: il precipizio oltre il ciglio della strada c’è o non c’è? E se ci cado mi perdo o non mi perdo?

                      Una risposta dovrebbe tenere conto del principio di non contraddizione.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Per Q.B

                      “Se ci cado perche sono cieco guidato da ciechi potrò essere giudicato con infinita misericordia, ma se siamo io e la guida a fingere di essere ciechi così “non c’è piena avvertenza”, non credo che lassù siano così sprovveduti!.”

                      E infatti nessuno sta parlando di ingannare la propria coscienza, ma di persone che si sentono innocenti perché il loro matrimonio era diventato una galera, e non riescono a credere che la nuova unione che gli sta portando tanta felicità sia maledetta da Dio che, per questo, li condannerà all’inferno. Senza contare l’esempio dei preti che ti ho fatto, al quale non hai risposto. Il sacerdozio è indissolubile, perché allora il lrete ridotto allo stato laicale può sposarsi, gli vengono tolti i doveri del sacramento, e al divorziato risposato dovrebbe essere imposta la continenza eterna?

                      O si è severi sia coi preti che falliscono che coi divorziati o si è flessibili con entrambi. Non si può adottare coi preti la misura della Misericordia e coi fedeli la misura della giustizia inflessibile. Punto.

                      “Resta aperta ancora la domanda: il precipizio oltre il ciglio della strada c’è o non c’è? E se ci cado mi perdo o non mi perdo?”

                      Dipende dalla colpevolezza personale e da una miriade di fattori che vanno, appunto, distinti caso per caso. Mi dispiace per voi assolutisti ma una norma assoluta per tutti e tutto non c’è. Poi se ritieni che sia giusto che se io pianto in asso mia moglie per andarmene con l’amante a lei sia imposta la croce della continenza eterna mentre invece i preti che si innamorano devono avere il via libera allora non dico niente perché abbiamo due idee di giustizia del tutto diverse.

                    • Q.B. ha detto:

                      @ v.v.

                      quote: “Dipende dalla colpevolezza personale e da una miriade di fattori che vanno, appunto, distinti caso per caso”.

                      Questo scioglie definitivamente la questio sull’indissolubilità del matrimonio: poichè in certi casi può essere solubile, ergo non è indissolubile.

                      La Chiesa invece lo ha sempre ritenuto indissolubile ed è sintomatico il fatto che nemmeno tra i teologi dell’estremismo innovatore nessuno trovi mai il coraggio di affermarlo chiaramente e pubblicamente in questi termini: girano tutti intorno alla preda ma nessuno di decide ad azzannare per primo.

                      Fraternamente di dico che come loro (o forse anche a causa di loro) sei nell’errore. Gli strumenti per approfondire e correggerti ce ne sono ad abundantiam: approfittane per scoprire le ragioni e la bellezza della fede alla quale guardi, anche se per ora attraverso lenti distorte.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Per Q.B

                      “Questo scioglie definitivamente la questio sull’indissolubilità del matrimonio: poichè in certi casi può essere solubile, ergo non è indissolubile.”

                      No, non è solubile. Neanche il sacerdozio lo è, ciononostante ai sacerdoti viene permesso di avere dispense papali per sposarsi. Nell’ottica dell’indissolubilità non cambia nulla.

                      “Fraternamente di dico che come loro (o forse anche a causa di loro) sei nell’errore.”

                      Ti ringrazio per la premura, ma credo che la Chiesa attuale ne sappia più sia di me che di te. 🙂
                      Perciò se ha deciso di dare la Comunione ai divorziati risposati, dopo adeguato discernimento, noi non siamo nessuno per impedirlo.

                    • Q.B. ha detto:

                      Siano entrati in un loop. Va beh quello che andava detto l’ho detto. Di più sarebbe ridondante.

                      É solo agghiacciante la percezione che si stia parlando di due Chiese diverse. Non é la prima volta nella storia ma fa impressione viverlo in prima persona.

                    • hic et nunc ha detto:

                      E’ un approccio prevalentemente antropocentrico – che conosco fin troppo bene purtroppo – che mette da parte le fondamentali questioni sulla Verità che invece essendo immutabile non può essere accomodata.

                      condivido, tranne per i casi, se vi sono, in cui si chiama Verità una verità antropocentrica

                    • hic et nunc ha detto:

                      un vincolo non può essere al contempo indissolubile e occasionalmente solubile.

                      a meno che «Indissolubile» significhi “in tali casi Indissolubile”; se il matrimonio è invalido, per esempio, è indissolubile?

              • Giuseppe ha detto:

                Caro Vincent, tu confondi la valutazione “esterna” della situazione morale di un fedele dalla conoscenza della sua situazione “interna” davanti a Dio: la condizione di coscienza dell’individuo sfugge all’occhio umano “anche a quello del direttore spirituale o del confessore, e l’autorità della Chiesa non è chiamata a dare giudizi sulla coscienza. La valutazione dall’esterno, per ciò che risulta evidente agli occhi degli uomini, è quanto basta per un giudizio meramente prudenziale che non pretende di essere assoluto e definitivo ma riguarda il dovere dell’autorità ecclesiastica di riconoscere i comportamenti esterni conformi alla legge orale giusti e di sanzionare quelli ingiusti (un caso tipico di sanzione ecclesiastica, a parte la scomunica per reati più gravi, è appunto quello di negare l’accesso alla Comunione a chi pubblicamente vive in una condizione di adulterio senza intenzione di porvi rimedio)” (Livi)
                Ancora, ciò che tu scrivi a proposito dell’ignoranza invincibile (non si sentono minimamente in peccato, anzi. Se a questo aggiungiamo i sacerdoti che gli danno la Comunione perché non li ritengono in stato di peccato mortale è facile vedere come non potranno avere la piena avvertenza e, quindi, peccare mortalmente e, perciò, potranno fare la Comunione senza commettere sacrilegio) è una opinione teologica che non ha alcuna legittimità dato che contraddice il Magistero codificato dalla Chiesa da secoli in dogmi e disposizioni canoniche. Ecco cosa si legge nella Veritatis Splendor di GPII:

                “È da respingere quindi la tesi, propria delle teorie teleologiche e proporzionaliste, secondo cui sarebbe impossibile qualificare come moralmente cattiva secondo la sua specie — il suo «oggetto» — la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate. L’elemento primario e decisivo per il giudizio
                morale è l’oggetto dell’atto umano (…) Sono gli atti che, nella tradizione morale della Chiesa, sono stati denominati «intrinsecamente cattivi» (intrinsece malum):
                lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze. (…) Insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. L’apostolo Paolo afferma in modo categorico: «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio» (1 Cor 6,9-10). Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un’intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti «irrimediabilmente» cattivi, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona (…) Per questo, le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto «soggettivamente» onesto o difendibile come scelta (…)

                Ecco cosa aggiunge ancora il professor Scandroglio: Per l’ignoranza invincibile “ In primis occorrerebbe verificare caso per caso se realmente la persona versa in uno stato di errore in merito alla sua condizione. Il giudizio di liceità espresso dal divorziato risposato in merito al suo stato potrebbe essere apparente.
                In secondo luogo l’ignoranza invincibile deve essere sempre provata.
                In terzo luogo l’ignoranza invincibile può essere colpevole: la ripetizione di scelte malvagie compiute liberamente (vizio) può condurre la persona in questa condizione di ignoranza invincibile e dunque la buona fede è un effetto negativo degli errori colpevoli compiuti nel passato dalla persona stessa. Quindi la responsabilità sussiste e non si è in grazia di Dio.
                In quarto luogo – e veniamo all’aspetto più importante che si svincola dalla casuistica e si incardina su un principio insuperabile – anche ammesso che l’ignoranza invincibile sia incolpevole (tesi più teorica che reale) è la condizione che oggettivamente – al di là dell’imputabilità morale cioè del profilo soggettivo – è inconciliabile con la comunione. Ricevere Cristo esige una condizione della vita della persona che oggettivamente sia conforme alla Santità di Cristo. Sebbene la persona non ne sia cosciente, la condizione di divorziato risposato è materia grave e tale rimane. Ricorriamo ad un esempio: un barista senza sua colpa (stato di ignoranza) dà da bere del veleno ad un avventore. Chi è a conoscenza che in quel bicchiere c’è del veleno deve impedire al barista di dare da bere perché oggettivamente – al di là della consapevolezza del barista – quell’azione è dannosa per i clienti. Deve impedirlo anche se il barista non vuole sentire ragioni ed è convintissimo che ha tutto il diritto di somministrare quel bicchiere d’acqua. E dunque occorre impedire ai conviventi e ai divorziati risposati che non vivono castamente (o che vivono castamente ma che dovrebbero interrompere la loro relazione perché su di loro non gravano particolari obblighi morali) di accostarsi alla comunione perché tali condizioni sono oggettivamente lesive di Dio, della Chiesa e degli stessi divorziati risposati.
                C’è un ordo (un orientamento) voluto da Dio (es. i rapporti sessuali sono leciti solo nel rapporto di coniugio) e vi sono atti che oggettivamente – cioè per l’oggetto deliberato e al di là della consapevolezza dell’illiceità professata dall’agente – sono di per sé contrastanti con questo ordo e che pongono la persona in una condizione incompatibile con questo ordo.
                Ciò impone al sacerdote non solo di proibire l’accesso all’Eucarestia, ma anche di assolvere il divorziato risposato che non intendesse cambiare la sua situazione. Per amministrare validamente l’assoluzione mancherebbero infatti due condizioni: il chiaro pentimento e la volontà di emenda. Il primo requisito mancherebbe proprio perché è impossibile pentirsi di una condizione (o di un singolo peccato) che si reputa buona.
                Di conseguenza chi non si pente del proprio stato di divorziato risposato non decide nemmeno di troncare il rapporto con la seconda moglie e tentare di tornare con la legittima ed unica moglie. Oltre a questo occorrerebbe che il penitente si proponesse con risolutezza di riparare ai danni commessi al coniuge legittimo, alla eventuale prole, al convivente che ha indotto in peccato e all’intera comunità cristiana a cui ha recato scandalo.
                C’è infatti da notare che la gravità della condizione del divorziato risposato non può che ridondare anche nella particolare severità e attenzione richiesta dal confessore. Tale condizione non è semplicemente la sommatoria di più peccati riguardanti il sesto comandamento e non configura solo un vizio, cioè la ripetizione di atti malvagi che vanno a costruire un habitus peccaminoso, ma rappresenta una libera scelta nel tempo di uno status contrario alla volontà divina. È cioè l’elezione ad uno stato di vita strutturalmente e formalmente incompatibile con la vita cristiana che potremmo indicare, seppur l’espressione sia fuori moda ma rimane corretta, con la qualifica di pubblico peccatore. E dunque mancando queste due condizioni – le quali dal punto di vista teologico costituiscono la materia del sacramento della Penitenza – è proibito dare l’assoluzione perché illecita e invalida.
                Nel caso in cui il confessore la conferisse ugualmente perché convito della buona fede del penitente che non ha coscienza della gravità della sua condizione, commetterebbe sacrilegio. Il sacerdote invece, nel colloquio durante la confessione, dovrebbe risvegliare i moti della coscienza del penitente, svegliarlo dal suo torpore intellettivo-morale e fargli spalancare gli occhi sulla sua reale condizione spirituale. Al malato grave ignaro della sua malattia dobbiamo dire di curarsi, altrimenti morirà.
                In sintesi il divorziato risposato per accedere alla comunione deve manifestare sincero pentimento e proposito fermo di non peccare più, interrompendo quindi subito l’adulterio pubblico instaurato con la seconda moglie (la convivenza è permessa solo se gravano sui conviventi particolari e gravi obblighi morali, quali ad esempio l’educazione dei figli, a patto ovviamente di vivere castamente e di non dare scandalo a terzi). Gesù, rivolgendosi proprio ad una adultera, infatti ordinò: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8, 11).

            • Giuseppe ha detto:

              caro Gabriele, purtroppo continui ad equivocare la questione, ma non te ne faccio una colpa, perché hai fatto tuoi dei concetti che sono propagandati da chi spinge verso la “rottura” col magistero precedente, contro la volontà dello stesso Papa.Innanzitutto la Chiesa non punisce, a differenza di ciò che scrivi, e il peccatore non “subisce” come tu scrivi ancora. Con franchezza ti dico che usare questi termini significa
              fuorviare i lettori. La Chiesa come ti avevo scritto ha un unico scopo missionario: quello di condurre tutte le anime alla salvezza. A tal scopo individua per ogni singolo caso quelli che sono i mezzi più opportuni per condurli alla salvezza eterna. Hai ragione nel dire che c’è differenza di colpa tra chi procura una separazione e chi la subisce. E altrattanto ragione hai nel sottolineare l’importanza della “legge
              della gradualità” e del discrnimento. Sono tutti aspetti che sono sempre stati adottati dai pastori. Il tuo errore sta nello scrivere che “in una situazione colpevole ci possono essere persone incolpevoli”. Ciò è falso perché il Magistero dice tutt’un’altra cosa: ovvero che nel caso dei divorziati risposati che non intendono rimediare alla sitazione irregolare (almeno con la continenza) può esserci una maggiore
              o minore colpa, ma mai l’innocenza (= incolpevolezza). Il Papa nella Amoris Laetitia invita al discernimento ma in nessun punto scrive che ci possano essere casi di incolpevolezza, anzi conferma il Magistero precedente citando più volte le encicliche di GPII dove si legge:

              “È da respingere quindi la tesi, propria delle teorie teleologiche e proporzionaliste,
              secondo cui sarebbe impossibile qualificare come moralmente cattiva secondo la sua specie
              — il suo «oggetto» — la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo
              dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili
              di quell’atto per tutte le persone interessate. L’elemento primario e decisivo per il giudizio
              morale è l’oggetto dell’atto umano (…) Sono gli atti che, nella tradizione morale della Chiesa,
              sono stati denominati «intrinsecamente cattivi» (intrinsece malum):
              lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori
              intenzioni di chi agisce e dalle circostanze. (…) Insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente
              cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. L’apostolo Paolo afferma in modo categorico:
              «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né ubriaconi,
              né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio» (1 Cor 6,9-10). Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un’intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti «irrimediabilmente» cattivi, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona (…) Per questo, le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto
              intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto «soggettivamente» onesto o difendibile come scelta (…)

              Tu allora dirai: la Chiesa allora li condanna all’Inferno? No, perché ciò che hai letto non è una sentenza
              ma una diagnosi! Chiarito qual è lo stato spirituale di quelle persone i pastori accompagnano
              i penitenti in un cammino di conversione (legge della gradualità) che si pone come obiettivo finale il rimediare alla soluzione di disordine morale (discernimento e accompagnamento). E se il penitente non ce la facesse? Non sappiamo cosa avviene nella coscienza del singolo. Ed è possibile che Dio agisca per vie straordinarie cogliendo qualche barlume di buona volontà e conceda comunque la salvezza. La Comunione
              non c’entra nulla con questo cammino, anzi sarebbe controproducente perché aggiungerebbe alla situazione di peccato anche quell’altro peccato gravissimo del sacrilegio.

        • giuseppe ha detto:

          Caro Gabriele nessuno nega che la realtà sia complessa ma mi pare che tu voglia continuare a sfuggire quella che è la domanda essenziale per un cattolico: quali sono per i divorziati risposati i mezzi piu sicuri mediante i quali essi possono raggiungere l’eterna salvezza. Gesù ci ha detto: a che vi serve conquistare il mondo intero se poi perdete la vostra anima? Nostro Signore dunque ci ha spiegato che la visione soprannaturale è quella giusta, quella da privilegiare.nel tuo ragionamento questa prospettiva è del tuto assente e anzi fai ricorso ad una espressione demagogica, scusami se te lo dico, quando parli dei figli come persone innocenti ferite. Ferite da cosa? Dal fatto che i genitori decidono di vivere come fratello e sorella? E perché dovrebbero essere informati di ciò? Io penso invece che ne sarebbero 3 diffidati e trarrebbero buon esempio di fede cristiana. Altrettanto demagogico mi pare sottolineare la differenza tra errore ed errante. Se un pastore si preoccupa di adottare i mezzi opportuni per condurre un peccatore alla salvezza e proprio perché fa questa distinzione. Chi non la fa, chi ha il Cuore duro e non vuole salvarli (forse perché non crede nella vita eterna o perché pensa che l’inferno sia vuoto) sono quei pastori che non confessano o che non si preoccupano del fatto che chi si comunica sia in grazia di Dio e non commetta sacfilegi. Alla domanda che tu fai: come condannare il peccato e salvare il peccatore, chi risponde è colui chr si preoccupa di guidare il peccatore sulla via della conversione mediante il pentimento e il proposito di emendarsi, non certo il superficiale che amministra i sacramenti senza crederci. Il primo ama il prossimo il secondo lo disprezza. Il primo condanna il peccato e accoglie il peccatore, il secondo se ne frega dell’uno e dell’altro. Il primo ha un cuore innamorato di Cristo e del prossimo, il secondo ama solo se stesso. Per quanto riguarda l’esortazione ribadisco che non contiene alcuna apertura da te prospettata e come sai sono in buona compagnia, tu ovviamente puoi pensarla diversamente e rispetto il tuo pensiero. Però devi avere l’onestà di riferirà per quella che è, ovvero una opinione da dimostrare.

          • Gabriele ha detto:

            Quali possono essere i mezzi, non lo so, e non ho mai avuto la pretesa di saperlo, non sono un pastore di anime (e per fortuna, non è una responsabilità che saprei sostenere). Inoltre qui c’è stato, penso, un fraintendimento: io non tifo per nessuna apertura, capisco e condivido le vostre preoccupazioni sul mantenimento della prassi di avere un cuore il più puro possibilie per accedere alla sacra comunione e concordo che i divorziati risposati, in generale, non possono prendere l’eucarestia. Mi limito ad interpretare il magistero dell’attuale papa, Francesco stesso ha ammesso che nella sua esortazione è contemplata la possibilità (ma le possibilità non sono certezze e possono pure non realizzarsi) di comunione per alcuni tipi di divorziati risposati e cerco solo di far capire che in linea teorica non c’è tradimento della prassi di sempre, bensì una evoluzione relativa (perchè riguarda casi particolari). Il papa vuole spingere alla riflessione, e non vuole che ci si fissi sempre e solo su questa questione, come se l’argomento della famiglia ruotasse solo sulla comunione ai divorziati risposati. Vediamo cosa succederà, se sono rose, fioriranno. Se invece risulteranno essere sempre e solo spine, si provvederà. In entrambi i casi lo stabilirà il magistero ufficiale della Chiesa, della quale mi fido perchè so che sarà sempre più saggia di me.

          • Vincent Vega ha detto:

            Per Giuseppe

            “Chi non la fa, chi ha il Cuore duro e non vuole salvarli (forse perché non crede nella vita eterna o perché pensa che l’inferno sia vuoto) sono quei pastori che non confessano o che non si preoccupano del fatto che chi si comunica sia in grazia di Dio e non commetta sacrilegi.”

            Perché ci sia il peccato mortale (e quindi il sacrilegio nell’accedere alla Comunione) occorrono tre condizioni: materia grave, deliberato consenso e piena avvertenza. I sacerdoti sono chiamati a discernere caso per caso dove ci sia il peccato mortale e se il sacerdote decide che il divorziato risposato che ha in “cura spirituale” può comunicarsi questi non commette peccato mortale perché gli toglie la piena avvertenza (ammesso che l’avesse prima, che non è affatto detto). Questo è un fatto.

            Anche perché sai, se io mi sposo e poi pianto la mia sposa dopo un anno, si farà fatica a convincerla che dovrà vivere il resto della sua vita in stato monacale per la mia leggerezza.
            Perciò sono i sacerdoti che devono decidere caso per caso dove c’è peccato mortale e, quindi, dove il sacerdote possa concedere la Comunione oppure no.

            • Giuseppe ha detto:

              Caro Vincent, tu confondi la valutazione “esterna” della situazione morale di un fedele dalla conoscenza della sua situazione “interna” davanti a Dio: la condizione di coscienza dell’individuo sfugge all’occhio umano “anche a quello del direttore spirituale o del confessore, e l’autorità della Chiesa non è chiamata a dare giudizi sulla coscienza. La valutazione dall’esterno, per ciò che risulta evidente agli occhi degli uomini, è quanto basta per un giudizio meramente prudenziale che non pretende di essere assoluto e definitivo ma riguarda il dovere dell’autorità ecclesiastica di riconoscere i comportamenti esterni conformi alla legge orale giusti e di sanzionare quelli ingiusti (un caso tipico di sanzione ecclesiastica, a parte la scomunica per reati più gravi, è appunto quello di negare l’accesso alla Comunione a chi pubblicamente vive in una condizione di adulterio senza intenzione di porvi rimedio)” (Livi)
              Ancora, ciò che tu scrivi a proposito dell’ignoranza invincibile (non si sentono minimamente in peccato, anzi. Se a questo aggiungiamo i sacerdoti che gli danno la Comunione perché non li ritengono in stato di peccato mortale è facile vedere come non potranno avere la piena avvertenza e, quindi, peccare mortalmente e, perciò, potranno fare la Comunione senza commettere sacrilegio) è una opinione teologica che non ha alcuna legittimità dato che contraddice il Magistero codificato dalla Chiesa da secoli in dogmi e disposizioni canoniche. Ecco cosa si legge nella Veritatis Splendor di GPII:

              “È da respingere quindi la tesi, propria delle teorie teleologiche e proporzionaliste, secondo cui sarebbe impossibile qualificare come moralmente cattiva secondo la sua specie — il suo «oggetto» — la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate. L’elemento primario e decisivo per il giudizio
              morale è l’oggetto dell’atto umano (…) Sono gli atti che, nella tradizione morale della Chiesa, sono stati denominati «intrinsecamente cattivi» (intrinsece malum):
              lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze. (…) Insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. L’apostolo Paolo afferma in modo categorico: «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio» (1 Cor 6,9-10). Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un’intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti «irrimediabilmente» cattivi, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona (…) Per questo, le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto «soggettivamente» onesto o difendibile come scelta (…)

              • Vincent Vega ha detto:

                Non so che dirti Giuseppe, l’amoris laetitia dice con la massima chiarezza che

                “Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno. Questi atteggiamenti sono fondamentali per evitare il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente “eccezioni”, o che esistano persone che possano ottenere privilegi sacramentali in cambio di favori. È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio».

                Fare battaglia di retroguardia per fare finta che non esista è inutile.

                • Giuseppe ha detto:

                  Scusami, ma parlare di “battaglia di retroguardia” quando c’è in gioco la salvezza delle anime mi pare quantomeno fuordiluogo, se non addirittura superficiale. Questo punto, che tu riporti è uno di quelli che risultano maggiormente ambigui, perchè nella prima parte si fa riferimento alle situazioni irregolari, mentre nella seconda si fa un discorso generico e corretto sul fatto che i peccati possono essere ridimensionati da condizionamenti o da fattori attenuanti. Se si ritenessero collegate le due parti si potrebbe pensare che il Papa ammette la possibilità della attenuanti in foro interno ANCHE per le situazioni irregolari (=adulteri), ma poichè altrove egli scrive che rimane inalterato il Magistero di GPII sulla questione (incluso quindi il concetto degli atti intrinsecamente cattivi che non possono essere attenuati da giustificazioni sogettive), ne consegue che le due parti del brano da te citato non sono da considerare collegati.

              • Vincent Vega ha detto:

                Come hai letto l’amoris laetitia ha aperto eccome, in certi casi, dopo adeguato discernimento, ai divorziati risposati. Cito di nuovo da li

                “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti.

                Continuare a sfare battaglia di retroguardia è inutile.

                • Giuseppe ha detto:

                  Scusami, ma parlare di “battaglia di retroguardia” quando c’è in gioco la salvezza delle anime mi pare quantomeno fuordiluogo, se non addirittura superficiale. Questo punto, che tu riporti è uno di quelli che risultano maggiormente ambigui, perchè nella prima parte si fa riferimento alle situazioni irregolari, mentre nella seconda si fa un discorso generico e corretto sul fatto che i peccati possono essere ridimensionati da condizionamenti o da fattori attenuanti. Se si ritenessero collegate le due parti si potrebbe pensare che il Papa ammette la possibilità della attenuanti in foro interno ANCHE per le situazioni irregolari (=adulteri), ma poichè altrove egli scrive che rimane inalterato il Magistero di GPII sulla questione (incluso quindi il concetto degli atti intrinsecamente cattivi che non possono essere attenuati da giustificazioni sogettive), ne consegue che le due parti del brano da te citato non sono da considerare collegati.

                  • Vincent Vega ha detto:

                    Ahahaha questi contorsionismi sono davvero esilaranti! 😀

                    RIPETIAMO

                    ““A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti.”

                    Ovviamente li stava parlando dei divorziati risposati, e lo ha confermato con cristallina chiarezza in areo. Sulle anime ti ho detto che è la Chiesa che decide cosa sia e quando sia peccato mortale, e quando un fedele sia in quello stato. Se la Chiesa decide che non c’è peccato mortale (la Chiesa, non il singolo fedele) non c’è, punto.

                    • Giuseppe ha detto:

                      Sulla nota 351 ti avevo già risposto altrove. Riporto ciò che ho scritto
                      Nel brano da te citato, contenuto in una nota, si parla di sacramenti ma non si parla di Eucaristia. il riferimento potrebbe essere alla Confessone e all’Unzione degli infermi, per im quali non ci sarebbe “rottura” con il Magistero. Se il Papa avesse voluto raalmente ciò che auspichi lo avrebbe scritto chiaramente e nel testo (non in una nota), parlando esplicitamente di Eucaristia non genericemente di sacramenti (che sono 7). Ma soprattutto avrebbe considerato che è superata la Familiaris Consortio sulla ncecessità (almeno) di vivere come fratello e sorella (mentre invece c’è scritto che è confermata nella sua interezza)

                    • Giuseppe ha detto:

                      errata corrige: …soprattutto avrebbe scritto che è superata la familiaris consortio..

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Aridaje Giuseppe.

                      “Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[339] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione».[340] Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù,[341] in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù”.”

                      Come vedi si parla chiaramente di situazioni irregolari nelle quali, però, sarebbe possibile dichiarare che quelle persone non sono in stato di peccato mortale. Se non sono in stato di peccato mortale viene da se che potranno fare la Comunione.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Di nuovo, Giuseppe

                      “Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[339] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione».[340] Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù,[341] in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù”.”

                      Come vedi si parla chiaramente di situazioni irregolari nelle quali, però, sarebbe possibile dichiarare che quelle persone non sono in stato di peccato mortale. Se non sono in stato di peccato mortale viene da se che potranno fare la Comunione.

                    • sara ha detto:

                      Pero’ ti contraddici Vincent..

                      Prima dici Che la chiesa sulle questioni sessuali esagera affermano di voler entrare troppo nei particolari giudicando un preliminare peccato veniale o meno e poi mi dici che e’ la chiesa a stabilire Cosa e’ peccato e Cosa no?.

                      Hmmm…mi sembri un po’ confuso ragazzo.

                      Ripeto: Forse cerchi un po’ troppo du adattare il supermercato alla tua lista della spesa.

                      Strano, dato Che il peccato veniale e’ quello spesso e apparentemente piu’ confondibile e difficilmente individuabile( se non attraverso un’accurata formazione interiore) mentre quello mortale, e’ e dovrebbe essere talmente chiaro da essere inequivocabile, Perche’ tocca l’insegnamento centrale di Cristo, su cui la dottrina della chiesa poggia.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Per Sara

                      “Prima dici Che la chiesa sulle questioni sessuali esagera affermano di voler entrare troppo nei particolari giudicando un preliminare peccato veniale o meno e poi mi dici che e’ la chiesa a stabilire Cosa e’ peccato e Cosa no?.”

                      Parlavo della Chiesa del passato, che faceva manuali persino per stabilire se fosse peccato una polluzione notturna. Leggi Messori, che è un apologeta cattolico, cosa dice http://www.vittoriomessori.it/blog/2014/04/24/messori-allinizio-fu-peccato/

                      Perciò nessuna confusione, se tu stessi più attenta non faresti questi scivoloni. 🙂
                      L’AL ha parlato anche dei conviventi e degli sposati civilmente in toni molto misericordioso, facendo capire che non è affatto scontato nè automatico che due conviventi (che si presume abbiano rapporti) siano in peccato mortale.

                      Perciò la mia critica era rivolta alla sessuofobia di ieri, non all’oggi, che mi sembra decisamente migliore.

                    • sara ha detto:

                      Abbiamo capito che qui l’unico a stabilire Cosa sia peccato e Cosa no sei tu.

                      Prendendo e spezzettando le tue ricerche quotidiane, cambiandone la forma a seconda del contesto.

                      Se dopo, Padre, puo’ darmi anche una piccola confessioncina, mi salverebbe l’anima e gliene sarei molto grata.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Boh, Sara, io ho postato un brano chiarissimo dall’al. Poi è la Chiesa a decidere chi potrà comunicarsi e chi no. Sul resto pensala come vuoi, non sono io che sto cercando di correggere il Papa. 🙂

        • giuseppe ha detto:

          Caro Gabriele, nessuno nega che la realtà sia complessa ma mi pare che tu voglia continuare a sfuggire quella che è la domanda essenziale per un cattolico, ossia questa: quali sono per i divorziati risposati i mezzi piu sicuri mediante i quali essi possono raggiungere l’eterna salvezza? Ricordati che Gesù ci ha detto: “A che vi serve conquistare il mondo intero se poi perdete la vostra anima?” Nostro Signore, dunque, ci ha spiegato che la visione soprannaturale è quella giusta e da privilegiare. Nel tuo ragionamento questa prospettiva è del tutto assente e anzi fai ricorso ad una espressione demagogica, scusami se te lo dico, quando parli dei figli come “persone innocenti ferite”. Ferite da cosa? Dal fatto che i genitori decidono di vivere come fratello e sorella? E perché dovrebbero essere informati di ciò? Io penso invece che ne sarebbero edificati e che trarrebbero dai genitori un buon esempio di fede cristiana. Altrettanto demagogico mi pare sottolineare la differenza tra errore ed errante. Se un pastore si preoccupa di adottare i mezzi opportuni per condurre un peccatore alla salvezza e proprio perché fa questa distinzione. Chi non la fa (forse perché non crede nella vita eterna o perché pensa che l’inferno sia vuoto) sono quei pastori che non confessano o che non si preoccupano del fatto che chi si comunica sia in grazia di Dio, affinché non commetta sacrilegi. Circa la domanda che tu fai: “come condannare il peccato e salvare il peccatore?” Chi risponde veramente è colui chr si preoccupa di guidare il peccatore sulla via della conversione mediante il pentimento e il proposito di emendarsi, non certo il pastore superficiale che amministra i sacramenti senza crederci. Il primo ama il prossimo mentre il secondo lo disprezza. Il primo condanna il peccato e accoglie il peccatore, mentre il secondo se ne frega dell’uno e dell’altro. Il primo ha un cuore innamorato di Cristo e del prossimo, mentre il secondo ama solo se stesso. Per quanto riguarda l’esortazione ribadisco che non contiene alcuna apertura da te prospettata e come sai sono in buona compagnia per questa interpretazione. Ovviamente tu puoi pensarla diversamente e io rispetto il tuo pensiero. Però devi avere l’onestà di riferirà per quella che è, ovvero una opinione da dimostrare.

            • Giuseppe ha detto:

              nulla nel testo scritto della Amoris Laetitia può giustificare quanto tu auspichi: Il Papa scrive che nulla cambia nella situazione canonica dei divorziati risposati perché la cosa è stata precedentemente esaminata e giudicata dal papa Giovanni Paolo II. Ora siccome il magistero non lo si fa tramite interviste, se c’è contraddizione tra una dichiarazione ai giornalisti e un documento pontifico il pastore è tenuto ad assecondare queest’ultimo

              • Vincent Vega ha detto:

                Per Giuseppe

                “nulla nel testo scritto della Amoris Laetitia può giustificare quanto tu auspichi: Il Papa scrive che nulla cambia nella situazione canonica dei divorziati risposati perché la cosa è stata precedentemente esaminata e giudicata dal papa Giovanni Paolo II. Ora siccome il magistero non lo si fa tramite interviste, se c’è contraddizione tra una dichiarazione ai giornalisti e un documento pontifico il pastore è tenuto ad assecondare quest’ultimo”.

                Dall’amoris laetitia

                “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti.”

                • Giuseppe ha detto:

                  Nel brano da te citato, contenuto in una nota, si parla di sacramenti ma non si parla di Eucaristia. il riferimento potrebbe essere alla Confessone e all’Unzione degli infermi, per im quali non ci sarebbe “rottura” con il Magistero. Se il Papa avesse voluto raalmente ciò che auspichi lo avrebbe scritto chiaramente e nel testo (non in una nota), parlando esplicitamente di Eucaristia non genericemente di sacramenti (che sono 7). Ma soprattutto avrebbe considerato che è superata la Familiaris Consortio sulla ncecessità (almeno) di vivere come fratello e sorella (mentre invece c’è scritto che è confermata nella sua interezza)

                  • Vincent Vega ha detto:

                    Il Papa ha parlato chiaramente di discernimento caso per caso

                    “Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[339] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione».[340] Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù,[341] in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù”.

                    Come vedi è chiarissimo, parla dei divorziati risposati. Se non c’è peccato mortale in alcune situazioni (sempre previo discernimento) potranno fare la Comunione. Sarà la Chiesa a decidere se e come. Fine.

                    • Giuseppe ha detto:

                      ripetere sempre le stesse cose non trasforma un concetto da also in vero. Sul discernimento caso per caso e sulla (im)possibilità che il peccato di adulterio possa essere rideimensionato da elemnti in foro interno ti ha già risposto sopra San Giovanni Paolo II, confermato nella sua interezza da Papa Francesco. Qui invece aggiungo un intervento sul principio di epicheia e sulla citazione di san Tommaso contenuto in AL:
                      vale la pena soffermarsi sull’utilizzo problematico del principio di epicheia. Prendiamo il § 304: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano». Quindi il Papa prega di rileggere una considerazione di San Tommaso (Summa Theologiae I-II, q. 94, art. 4.), che richiama indirettamente l’epicheia, poi ripresa dal Papa in questi termini: «È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione».

                      Ma cos’è la tanto invocata epicheia? Essa è una virtù che permette di vivere secondo il bene indicato e protetto dalla legge, laddove questa risulti difettosa a motivo della sua universalità. La legge è infatti per definizione universale: essa punta al bene comune, senza poter tener presente tutta la casistica immaginabile. Possono perciò presentarsi situazioni non previste dal legislatore, nelle quali, per mantenersi fedeli alla mensdella legge (che è il bene), sia necessario agire contrariamente alla sua lettera.

                      San Tommaso stesso fa un esempio semplice, ma molto chiaro: «La legge stabilisce che la roba lasciata in deposito venga restituita, poiché ciò è giusto nella maggior parte dei casi; capita però talvolta che sia nocivo: p. es., se chi richiede la spada è un pazzo furioso fuori di sé, oppure se uno la richiede per combattere contro la patria» (Summa Theologiae, II-II, q. 120, a. 1). È chiaro: per conseguire il bene comune promosso dalla legge, in questo caso si deve necessariamente contravvenire alla sua applicazione letterale. San Tommaso esplicita: «se nasce un caso in cui l’osservanza della legge è dannosa al bene comune, allora essa non va osservata» (Summa Theologiae, I-II, q. 96, a. 6).

                      Da quanto detto, seppur necessariamente in breve, risulta chiaro che l’epicheia:

                      1. non è un’eccezione alla legge, né la tolleranza di un male, né un compromesso: essa è invece principio di una scelta oggettivamente buona ed è la perfezione della giustizia;

                      2. è una virtù che entra in gioco solo quando l’applicazione della lettera della legge fosse nociva al bene oggettivo e non quando l’osservanza della legge risultasse in alcuni casi difficoltosa o esigente;

                      3. riguarda solo il caso concreto, che, a motivo dell’universalità della legge, non è stato possibile prevedere nella norma e non può perciò derogare ad altri casi particolari già previsti dal legislatore.

                      4. ultimo e più importante: vi sono norme morali – chiamate assoluti morali – che per la loro propria natura non ammettono eccezioni di sorta; si tratta cioè di norme la cui trasgressione letterale non può mai raggiungere il fine della legge stessa, cioè il bene, e per questo motivo non può mai essere ammessa. In questi casi il principio di epicheia non avrebbe senso, perché nella trasgressione della lettera della legge verrebbe inscindibilmente trasgredito anche il bene morale. Si tratta di quegli atti che la tradizione morale della Chiesa definisce intrinsece malum: «Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un’intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti “irrimediabilmente” cattivi, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona: “Quanto agli atti che sono per se stessi dei peccati (cum iam opera ipsa peccata sunt) — scrive sant’Agostino —, come il furto, la fornicazione, la bestemmia, o altri atti simili, chi oserebbe affermare che, compiendoli per buoni motivi (causis bonis), non sarebbero più peccati o, conclusione ancora più assurda, che sarebbero peccati giustificati?”» (Veritatis Splendor, § 81).

                      È piuttosto singolare che nel testo dell’Esortazione si richiami solo questo articolo di San Tommaso, omettendo altri passi in cui l’Aquinate spiega bene l’esistenza degli assoluti morali e dell’impossibilità, in questo ambito, di ricorrere al principio di epicheia. Nel Commento alla Lettera ai Romani (c. 13, l. 2), per esempio, Tommaso si chiede per quale motivo San Paolo, in Rm. 13, 9, riporti solo i precetti negativi della seconda tavola della legge mosaica, quella relativa ai precetti verso il prossimo, omettendo però il comandamento “onora il padre e la madre”, e risponde: «Perché i precetti negativi sono più universali quanto alle situazioni… perché i precetti negativi obbligano semper ad semper (sempre e in ogni circostanza). In nessuna circostanza infatti si deve rubare o commettere adulterio. I precetti affermativi invece obbliganosemper, ma non ad semper, ma a seconda del luogo e della circostanza». Nella stessa Summa Theologiae, poco oltre l’articolo citato nell’Esortazione, Tommaso spiega perché riguardo agli assoluti morali non si può ricorrere all’epicheia: «La dispensa di una legge è doverosa quando capita un caso particolare in cui l’osservanza letterale verrebbe a contrastare con l’intenzione del legislatore. Ora, l’intenzione di qualsiasi legislatore è ordinata in primo luogo e principalmente al bene comune, e in secondo luogo al buon ordine della giustizia e dell’onestà, nel quale va conservato o perseguito il bene comune. Se quindi si danno dei precetti che implicano la conservazione stessa del bene comune, oppure l’ordine stesso della giustizia e dell’onestà, tali precetti contengono l’intenzione stessa del legislatore: quindi non ammettono dispensa» (Summa Theologiae, I-II, q. 100, a. 8).

                      Ancora, in un altro passo, Tommaso spiega che «propriamente l’epicheia corrisponde alla giustizia legale» (Summa Theologiae, II-II, q. 120, a. 2, ad. 1) e non può quindi essere presa in considerazione nell’ambito della legge naturale, essendo sì superiore alla giustizia legale, ma «non è superiore a qualsiasi giustizia» (Ivi, ad. 2).

                      Occorre fare attenzione anche a tirare in ballo la virtù della prudenza, come se questa fosse una virtù che abilita a trovare eccezioni: «Nel caso dei precetti morali positivi, la prudenza ha sempre il compito di verificarne la pertinenza in una determinata situazione, per esempio tenendo conto di altri doveri forse più importanti o urgenti. Ma i precetti morali negativi, cioè quelli che proibiscono alcuni atti o comportamenti concreti come intrinsecamente cattivi, non ammettono alcuna legittima eccezione; essi non lasciano alcuno spazio moralmente accettabile per la “creatività” di una qualche determinazione contraria. Una volta riconosciuta in concreto la specie morale di un’azione proibita da una regola universale, il solo atto moralmente buono è quello di obbedire alla legge morale e di astenersi dall’azione che essa proibisce» (VS 67). È il principio che ha portato molti al martirio, piuttosto che commettere un male.

                      Perché? Perché la prudenza non concretizza la norma universale adattandola ai casi particolari, ma è quella virtù che guida l’azione concreta perché raggiunga il bene che le è proprio. La prudenza, in certo qual modo, “riconosce” nell’azione concreta il bene da conseguire, quel bene che è indicato dalla legge, e quindi lo persegue.

                      Nel nostro caso, l’atto morale di avere rapporti sessuali al di fuori del matrimonio rientra sempre nella specie morale dell’adulterio o della fornicazione. Non esistono situazioni o circostanze che possano modificarne la specie morale. Come scriveva vent’anni fa il prof. Angel Rodriguez Luño, «non è esatto dire che queste azioni sono in sé cattive indipendentemente dal loro contesto [perché altrimenti, in questo caso, sarebbe legittima l’accusa di astrattismo e legalismo, n.d.a], perché in realtà sono azioni che portano con sé e inseparabilmente un contesto» (Acta Philosophica, 5(1996), fasc. 1, p.72).

                      Una relazione di tipo sessuale ha intrinsecamente legata la dimensione donativa e procreativa e dunque essa richiede il contesto matrimoniale. Se si inizia ad ipotizzare che, nella situazione di divorziati-risposati, «molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”» (Amoris Laetitia, nota 329), allora si opera un’inversione clamorosa e non si capisce più il senso della legge morale. Se io autorizzo a pensare che in certe situazioni, per un fine buono, l’adulterio perde la sua connotazione malvagia, sto facendo implicitamente questo ragionamento: 1) principio generale: l’atto sessuale è un male; 2) applicazione concreta: il matrimonio è l’unica eccezione riconosciuta in cui l’atto sessuale non sia un male; 3) potrebbero darsi altre situazioni concrete in cui l’atto sessuale non sia un male.

                      Invece la posizione corretta è la seguente: 1) l’esercizio della sessualità è un bene che significa intrinsecamente la donazione nuziale; 2) l’esercizio della sessualità in un contesto non matrimoniale contraddice l’intrinseco significato dell’atto; 3) perciò, l’adulterio e la fornicazione sono semper et pro semper intrinsecamente cattive.

                      Ecco perché non ha senso invocare l’epicheia e la virtù di prudenza, perché sarebbe come dire che in certi casi, si possa ammettere un po’ di ingiustizia, un po’ di lussuria, etc. Ed ecco perché la strada della ricerca delle eccezioni rivela in realtà un impianto morale di fondo molto legalistico (che paradossalmente è proprio quello che si voleva respingere!) che non parte dall’equazione bene-legge morale, ma da una visione della legge morale come limite. Perciò appare – falsamente – come un atto di misericordia quella di ricercare delle situazioni in cui liberare le persone da una legge morale che sarebbe per loro oppressiva.

                      A quanti sono divorziati-risposati e non possono per gravi motivi separarsi, la continenza non è un traguardo lodevole, ma è l’unica modalità per conseguire il proprio bene ed il bene della persona con cui si convive.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Per Giuseppe

                      “ripetere sempre le stesse cose non trasforma un concetto da also in vero. Sul discernimento caso per caso e sulla (im)possibilità che il peccato di adulterio possa essere rideimensionato da elemnti in foro interno ti ha già risposto sopra San Giovanni Paolo II, confermato nella sua interezza da Papa Francesco”

                      http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/04/17/insomma-si-o-no-la-comunione-ai-divorziati-risposati-papa-francesco-si-punto/

                    • hic et nunc ha detto:

                      perché i precetti negativi obbligano semper ad semper (sempre e in ogni circostanza)

                      1) robin hood non deve portare da mangiare a dei quasi morti di fame?

                      2) robin hood è obbligato a restituire ai ricchi rubando ad altri ricchi? cioè si trova in una situazione concreta in cui non può prendere la decisione di restituire senza una nuova colpa?

          • sara ha detto:

            Giuseppe Grazie du esistere:).

            Pensavo nella estinzione di un pensiero cosi’ tradizionalmente cattolico, evidentemente mi sbagliavo.

      • Vincent Vega ha detto:

        Per Giuseppe

        ,Infatti che queste aperture non ci siano affatto nel testo è stato espresso da eminenti uomini di Chiesa e teologi, come il teologo domenicano Michelet, il professor Juan José Pérez-Soba, il card. Dolan, il professor Eduardo Echevarria, il card. Burke, mobsignor Livi, il teologo domenicano Cavalcoli, il cardinale Brandmuller ecc”

        Possono dire ciò che vogliono, contra facta nihil valet argumenta.

        Guardare il video dal minuto 17:30 in poi per sentire le parole del Papa. http://youtu.be/FCpruhfRX80

        È la Chiesa che decide se una determinata situazione sia peccato mortale o no, il singolo sacerdote deciderà caso per caso. Punto. Se il sacerdote deciderà che la tal persona, anche se non vive in stato monacale, non è in peccato mortale, questa persona non lo sarà, non fosse altro perché gli verrebbe tolta la piena avvertenza.

        • Giuseppe ha detto:

          nulla nel testo scritto della Amoris Laetitia può giustificare quanto tu auspichi: Il Papa scrive che nulla cambia nella situazione canonica dei divorziati risposati perché la cosa è stata precedentemente esaminata e giudicata dal papa Giovanni Paolo II. Ora siccome il magistero non lo si fa tramite interviste, se c’è contraddizione tra una dichiarazione ai giornalisti e un documento pontifico il pastore è tenuto ad assecondare queest’ultimo

          Per l’ignoarnza invincibile t’ho risposto altrove

          • Vincent Vega ha detto:

            Scusami, le chiacchiere stanno a zero qui, nella situazione canonica dei divorziati risposati non cambia nulla infatti, cambia molto rispetto alla prassi e a come considerare il loro stato.

      • Vincent Vega ha detto:

        Se un prete si innamora, può chiedere la riduzione allo stato laicale. Rimane in realtà prete in eterno, ma gli vengono tolti gli obblighi derivanti dal sacramento, come il celibato.
        Can. 290 – La sacra ordinazione, una volta validamente ricevuta, non diviene mai nulla.

        Tuttavia il chierico perde lo stato clericale:

        1) per sentenza giudiziaria o decreto amministrativo con cui si dichiara l’invalidità della sacra ordinazione;

        2) mediante la pena di dimissione inflitta legittimamente;

        3) per rescritto della Sede Apostolica; tale rescritto viene concesso dalla Sede Apostolica ai diaconi soltanto per gravi cause, ai presbiteri per cause gravissime.

        Can. 291 – Oltre ai casi di cui al can. 290, n. 1, la perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dall’obbligo del celibato: questa viene concessa unicamente dal Romano Pontefice.

        Ti sembra giusto, invece, che ad uno che vede fallire il suo matrimonio debba venire imposto di vivere per sempre in stato monacale, quando magari è stato/a lasciato/a o ha sopportato un’unione che era diventata una galera fino a che i figli non erano cresciuti per potersi separare?

        Semplicemente si applica ciò che si applica ai preti innamorati. Il matrimonio è indissolubile, come il Sacerdozio ma, come nel caso dei sacerdoti, discernendo caso per caso il fedele che non viene giudicato in stato di peccato mortale potrà essere esentato dagli obblighi matrimoniali, e perciò non sarà (sempre dopo adeguato discernimento) costretto a vivere una vita monacale per non essere in peccato mortale.

        • lorenzo ha detto:

          Un sacerdote, anche se viene a perdere lo stato clericale, rimane sacerdote in eterno: lo sapevi?

          • Vincent Vega ha detto:

            Appunto! È esattamente ciò che ho detto. Però lui può venire esentato dagli obblighi del sacerdozio tramite dispensa papale, come l’obbligo del celibato.

            • lorenzo ha detto:

              L’obbligo del celibato è una cosa, l’essere sacerdote validamente ordinato è un’altra: nessuna dispensa papale rende invalide, benché illecite, le azioni di un sacerdote pur anche sospeso “a divinis”.

              • Vincent Vega ha detto:

                Per Lorenzo

                “L’obbligo del celibato è una cosa, l’essere sacerdote validamente ordinato è un’altra: nessuna dispensa papale rende invalide, benché illecite, le azioni di un sacerdote pur anche sospeso “a divinis”.”

                E quindi? Non capisco il punto di questa tua affermazione, scusa. Io sto dicendo che un sacerdote fa il voto di castità per tutta la vita, voto che può essere sciolto dal Papa quando chiede la riduzione allo stato laicale. Ne consegue che, sebbene il sacramento rimanga valido, è sciolto dagli obblighi di tale sacramento, come la continenza sessuale eterna.

                Invece però un fedele che vede andare a monte il matrimonio dovrebbe essere obbligato alla continenza eterna a vita, senza mai poter più essere felice o avere una relazione. A me questo pare tutto meno che giusto.

                • lorenzo ha detto:

                  La continenza sacerdotale non ha nulla che fare col sacramento dell’ordine: molti sacerdoti cattolici sono infatti sposati.

                  Riguardo invece all’adulterio, non dimenticare le parole: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi».

                  • Vincent Vega ha detto:

                    Per Lorenzo

                    “La continenza sacerdotale non ha nulla che fare col sacramento dell’ordine: molti sacerdoti cattolici sono infatti sposati.”

                    Non mi risulta che ad un sacerdote sua concesso, a meno che non sia ridotto allo stato laicale, di avere rapporti sessuali con chicchessia.

                    “Riguardo invece all’adulterio, non dimenticare le parole: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi’c

                    Si, perché all’epica il libello di ripudio potevano mandarlo solo gli uomini, non anche le donne.

                    • lorenzo ha detto:

                      I cattolici non sono solo quelli di rito latino: lo sapevi?

                      Cosa cambia se “all’epoca il libello di ripudio potevano mandarlo solo gli uomini”?

          • Vincent Vega ha detto:

            Lo avevo scritto chiaramente, tra l’altro, che la sacra ordinazione non diviene mai nulla, se valida. Però apounto i preti possono essere dispensati dall’obbligo del celibato. Che significa? Che sebbene il Sacramento sia indissolubile possono essere dispensati dagli obblighi del sacramento (come la continenza eterna).

            Invece coi divorziati risposati si è sempre usato il pugno di ferro fino ad oggi, nonostante non siano in una situazione diversa da quella dei sacerdoti che si innamorano. Per i sacerdoti si era trovata una “via di scampo”, per i divorziati no. Per fortuna che Papa Francesco ha cambiato le cose.

          • sara ha detto:

            Lorenzo, a Vincent piace il grigio e piace accordare una soluzione a tutto e a tutti.

            Peccato Che CONOSCENZA non sempre e’ sinonimo di SAPIENZA.

            • Vincent Vega ha detto:

              Ma quale soluzione a tutto e tutti? Io apprezzo la coerenza odierna della Chiesa, che non lascia vie di scampo dai sacerdoti per poi imporre ai fedeli pesi insopportabili.
              Se si è misericordiosi colla debolezza di un sacerdote che si innamora dispensandolo dall’obbligo del celibato perché condannare una poveretta di 30 anni abbandonata dal marito alla continenza vita natural durante?

              Semplicemente la Chiesa odierna è più vicina ai problemi della gente. Anche perché sennò, ripeto, si tolgano pure le dispense papali per i preti spretati. Mica che un prete (nonostante pure il suo sacramento sia indissolubile) può essere dispensato dagli obblighi del sacramento è il fedele comune no.

              • sara ha detto:

                Non capisco se Provo pena o tenerezza per te.

                Stai attento.
                Tu non sei in grado di giudiziare le casistiche, facendoti interprete di dati Che non conosci e non essendo tu il creatore dei parametri di misura.

                Quello spetta ad altri.
                Tu rimani ” pecora”.
                In tal senso non hai potere di discernere e guidare le anime, che e’ attribuito all’unzione delle mani di um sacerdote, Che ha per sacramento anche il potete di tramutare il pane in corpo e il vino in sangue.

                Dunque i tuoi esempi sono come il commentatore di turno, Che sviliscono di fronte ad una mancata e attenta analisi sul fenomeno trattato.

                • Vincent Vega ha detto:

                  Per Sara

                  “Non capisco se Provo pena o tenerezza per te.”

                  Facciamo tenerezza, la preferisco. 🙂

                  “Stai attento.
                  Tu non sei in grado di giudiziare le casistiche, facendoti interprete di dati Che non conosci e non essendo tu il creatore dei parametri di misura.”

                  Naturalmente. Quante volte infatti ho scritto che è la Chiesa, e i suoi sacerdoti, che sono deputati al discernimento? Non mi pare di avere scritto che sono io ad essere deputato a fare ciò.

                  “Quello spetta ad altri.
                  Tu rimani ” pecora”.
                  In tal senso non hai potere di discernere e guidare le anime, che e’ attribuito all’unzione delle mani di um sacerdote, Che ha per sacramento anche il potete di tramutare il pane in corpo e il vino in sangue.”

                  Giustissimo, mai negato questo, ci mancherebbe altro.

                  “Dunque i tuoi esempi sono come il commentatore di turno, Che sviliscono di fronte ad una mancata e attenta analisi sul fenomeno trattato.”

                  Può essere. A me pare di averle dette giuste alcune cose ma, come sempre, rimetto il giudizio agli altri. 🙂

                • hic et nunc ha detto:

                  non hai potere di discernere e guidare le anime, che e’ attribuito all’unzione delle mani di um sacerdote

                  se non confondi il potere con il dovere, o con il diritto, spiegami questa parte del magistero: nonostante tu, se è vero ciò che dici, non abbia il potere di farlo, perché tutto quello che si dice qui non sono, ai fini del discernimento, che chiacchiere in compagnia…

                  • sara ha detto:

                    Se tu sapessi Cosa e’ il discernimento, almeno in senso religioso, non mi faresti questa domanda.

                    In questo caso non c’entra ne’ diritto ne’ potere.

                    Quello che ho detto hice, non ha bisogno di essere accertato, di essere conosciuto a fondo, e interpretato in una ottica umana, razionale o di fede.

                    E’ una Pura certezza data dal sacramento.
                    Non so se hai mai assistito ad una ordinazione sacerdotale.

                    Le mani di um sacerdote ricevono in quel momento, per sacramento, qualcosa Che per noi credenti e’ indissolubile.
                    Persino dopo la morte.
                    Con Quelle mani Hanno il potere di tramutare il pane, discernere e guidare le anime( soprattutto attraverso la confessione) benedire.
                    Poi per carita’ per guidare bene una anima un sacerdote dovrebbe anche ben formare la sua…

                    Per cio’ dico che il discernimento o qualsiasi questione di tipo spirituale, dovrebbe spettare a loro.

                    Poi ovvio, ogniuno puo’ Dire la sua.

            • Vincent Vega ha detto:

              Perché invece era giusto che i sacerdoti avessero una dispensa e i fedeli no? Ma scherziamo?

              Lc 11,46

              Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!”

        • Giuseppe ha detto:

          Caro Vincent, dal punto di vista umano le tue perlessità sono condivisibili. Ma il punto di vista umano non sempre è quello giusto perché noi cattolici sappiamo (e in questo siamo molto, molto, fortunati) che la vita su questa terra è solo un passaggio verso l’Amore eterno. Dio ha per ciascuno di noi un progetto di Amore ed è nostro dovere fare di tutto per assecondarlo, accettando anche la croce quando c’è da portarla sulle nostre spalle come fece il Cireneo sulla via verso il golgota. Il sesso è certamente un dono di Dio, ma poichè siamo tutti macchiati dal peccato originale, tutti dobbiamo fare i conti con un impulso disordinato. Lo deve fare il celibe, lo deve fare il vedovo, lo deve fare il paralitico che non riesce a trovarsi una compagna di vita, lo deve fare il fidanzato in attesa del matrimonio. Tutte le persone per buona parte della propria vita sono chiamate volenti o nolenti alla castità di stato. E questo per volontà di Dio che ci ha dato il sesto e il nono comandamento, per volontà di Nostro Signore, il quale ha stabilito che il matrimonio è indissolubile. Lo ha fatto per farci soffrire? No. lo ha fatto per guidarci lungo quel piano di salvezza e di amore dove sta la vera felicità

          • Vincent Vega ha detto:

            Ma infatti il matrimonio rimane indissolubile, come il Sacerdozio. Anche il Sacerdozio è indissolubile

            Can. 290 – La sacra ordinazione, una volta validamente ricevuta, non diviene mai nulla.

            Tuttavia il chierico perde lo stato clericale:

            1) per sentenza giudiziaria o decreto amministrativo con cui si dichiara l’invalidità della sacra ordinazione;

            2) mediante la pena di dimissione inflitta legittimamente;

            3) per rescritto della Sede Apostolica; tale rescritto viene concesso dalla Sede Apostolica ai diaconi soltanto per gravi cause, ai presbiteri per cause gravissime.

            Can. 291 – Oltre ai casi di cui al can. 290, n. 1, la perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dall’obbligo del celibato: questa viene concessa unicamente dal Romano Pontefice.

            Perciò qui non è nulla di diverso. I sacerdoti giudicheranno caso per caso se e perché il divorziato risposato sia in stato di peccato mortale e, quindi, farebbe una comunione sacrilega oppure no. La Chiesa è chiamata al discernimento caso per caso, questo mi sembra chiaro. Come è altrettanto chiaro che nell’Al ci sono eccome delle aperture che sembrate non voler accettare.

            • Giuseppe ha detto:

              I “limiti” soggettivi (ignoranza, debolezza, dipendenza da passioni o condizionamenti sociali) che possano rendere meno imputabile in un determinato soggetto l’atto peccaminoso, sono sempre stati presi in attenta considerazione dai buoni confessori: ma non per coonestare una situazione che si è prolungata nel tempo e che sembra priva di soluzione proprio perché il peccato è stato ostinatamente ripetuto malgrado gli incessanti inviti della grazia divina alla conversione e alla riparazione dei danni arrecati al coniuge e alla Chiesa. La buona direzione spirituale da parte dei buoni confessori è sempre stata impegnata a suscitare nell’animo del cristiano che fino ad allora non ha mai voluto cambiare vita le risorse per «resistere fino al sangue nella lotta contro il peccato», che è quello che a tutti chiede il
              Vangelo (cfr Lettera agli Ebrei).

              • Vincent Vega ha detto:

                Cito dall’AL

                “Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[339] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione».[340] Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù,[341] in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù”.”

                • Giuseppe ha detto:

                  cito dal Magistero di GPII che Papa Francesco ha scritto essere confermato nella sua interezza:
                  È da respingere quindi la tesi, propria delle teorie teleologiche e proporzionaliste,
                  secondo cui sarebbe impossibile qualificare come moralmente cattiva secondo la sua specie
                  — il suo «oggetto» — la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo
                  dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili
                  di quell’atto per tutte le persone interessate. L’elemento primario e decisivo per il giudizio
                  morale è l’oggetto dell’atto umano (…) Sono gli atti che, nella tradizione morale della Chiesa,
                  sono stati denominati «intrinsecamente cattivi» (intrinsece malum):
                  lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori
                  intenzioni di chi agisce e dalle circostanze. (…) Insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente
                  cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. L’apostolo Paolo afferma in modo categorico:
                  «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né ubriaconi,
                  né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio» (1 Cor 6,9-10). Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un’intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti «irrimediabilmente» cattivi, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona (…) Per questo, le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto
                  intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto «soggettivamente» onesto o difendibile come scelta (…)

                  • Vincent Vega ha detto:

                    Non so che dirti Giuseppe. Con AL c’è chiaramente uno SVILUPPO rispetto a GPII, che ci piaccia o no. Continuare a far finta di no non serve a nulla, davvero a nulla.

                    • Giuseppe ha detto:

                      che ci sia “chiaramente uno sviluppo” lo dici tu e ti assumi tutta la responsabilità del caso. Io preferisco manenermi nella interpretazione più prudente di tanti ecclesiastici che stimo. Comqune a scnaso di equivoci vorrei dire che non c’è in me alcun intento polemico nei tuoi confronti. Ti manado un abbraccio in Cristo.

          • Andrea VCR ha detto:

            Scusami Giuseppe, ma se l’intera questione non dipende dalla Dottrina ma dalla legislazione ecclesiastica, che senso ha tanto accanimento? La Dottrina è immutabile, la legislazione no…
            Viva Cristo Re

            • Vincent Vega ha detto:

              Si esatto ma faglielo capire. Io ci rinuncio, è inutile, continua a citarmi autisticamente GPII, non c’è nulla da fare….

            • Giuseppe ha detto:

              Caro Andrea, se tu hai visto accanimento da parte mia o degli altri mi dispiace molto. Io ho visto solo selo per le anime e amore pr la Chiesa, anche (sono convinto) da parte di chi la pensa diversamente da me su alcune questioni. Circa la tua osservazione, in realtà la risposta è già contenuta nei paragafi del diritto canonico dove è affrontata la quesione di cui stiamo discutendo e che un tuo omonimo ha riportato più sotto:

              “La proibizione (all’accesso alla comunione per i divorziati risposati, nota mia) fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa. Il testo scritturistico cui si rifà sempre la tradizione ecclesiale è quello di San Paolo: «Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1 Cor 11, 27-29) (3).

              Si tratta appunto di legge divina, non ecclesiastica.
              Per essere più precisi:
              prima si acceedeva alla comunione una volta a settimana, in seguito ogni giorno e da qualche decennio la si può fare anche due volte al giorno. Questa è legge ecclesiastica. Viceversa, che il matrimonio è indissolubile e che per ricevere l’Eucaristia occorre essere in grazia di Dio, è legge divina. Il fatto che per gli atti intrinsecamente cattivi non sia ammissibile un giudizio sogettivo in foro interno che ne ridimensioni le responabilità è legge eclesiastica BASATA SULLA LEGGE DIVINA.

              • Vincent Vega ha detto:

                Ribadisco che ti sbagli. Anche i padri dell’isola di Patmos, che dicono sbagliando che il Papa non ha aperto ai divorziati risposati, cosa falsa come sappiamo, spiega che il Papa ha pieno potere di sciogliere e legare anche in questo http://isoladipatmos.com/amoris-laetitia-la-teologia-dellassegno-in-bianco-il-potere-delle-chiavi-non-e-sindacabile-salvo-cadere-in-eresia/

                • giuseppe ha detto:

                  Caro Vincent ora scivoli sul comico:
                  I padri dell’Isola quando negano che i divorziati risposati non possono accedere alk’Eucaristia SBAGLIANO.
                  quando invece scrivono che il papa potrebbe un giorno decidere di concederà DICONO IL VERO.
                  Come dire prendo ciò che mi piace e butto tutyo il resto.
                  Mi corre l’obbligo di avvisarti che tu continuando a scrivere queste cose ti stai assumendo una gravissima responsabilità davanti a Dio di cui dovrai un giorno rendergli conto perche questo e un luogo può
                  Pubblico. Non vorrei essere nei tuoi panni se accadesse che persone che leggono i tuoi commenti fossero indotti da te a compiere comunioni sacrilegHe. TI Ripeto fraternamente: NON TI ASSUMERE QUESTA GRAVE RESPONSABILTA DAVANTI A DIO

                  • Vincent Vega ha detto:

                    Guarda che io ho scritto sempre e solo che per accedere alla Comunione devono prima passare per il discernimento della Chiesa, nella persona di un Sacerdote che deciderà cosa fare. Questo ho scritto e questo confermo, nient’altro.

                    I padri dell’isola di Patmos semplicemente, benche riconoscano la legittimità del Papa di poter cambiare certe leggi, vogliono illudersi che il cambiamento non ci sia stato. Non sono gli unici. E comunque confutano ogni posizione che tu hai assunto in questo blog.

                    Sia chiaro, io apprezzo la tua premura, ma mi fido della Chiesa, perciò sarà lei a decidere caso per caso, non tu. Io ho semplicemente incitato a questo, non a fare comunioni sacrileghe. Si esporrà la propria posizione al sacerdote il quale deciderà se il fedele potrà fare la comunione.

                    • giuseppe ha detto:

                      Caro Vincent, tu dici che ti fidi della Chiesa però di fatto ti fai portavoce di una tesi contraria alla Chiesa stessa, cioè al suo Magistero, il quale è stato confermato in toto da Papa Francesco, dal momento che ha scritto testualmente che la Familiaris Consortio e il Magistero di Giovanni Paolo II sono confermati per intero. Questo è un dato di fatto e contra facta non valet argumentum (l’hai scritto pure tu). Se così non fosse avrebbe scritto diversamente, e cioè che è da considerare modificata la parte relativa al divieto di accesso alla Comunione. Ma questo non c’è nell’esortazione. Tu per sostenere la presunta apertura alla Comunione ti rifai ad una nota, la 351 (a proposito trovo disonesto da parte tua, scusa la franchezza, che nel riportare il testo del Papa fai diventare la nota in calce, parte integrante del testo: questa è una mancanza di rispetto prima di tutto nei confronti delle intenzioni del pontefice. Pensi che se avesse voluto non ci avrebbe pensato lui a inserirla nel testo principale? Se l’ha messa lì vuol dire che la considera una questione marginale e tu devi rispettare il suo intento), ti rifai dicevo alla nota 351 la quale però non parla di Eucaristia ma parla genericamente di sacramenti, e i sacramenti sono 7. Potrebbe infatti riferirsi alla Estrema Unzione e alla Confessione. Se si fosse riferito invece alla Eucaristia il Papa avrebbe citato esplicitamente questo sacramento a proposito dei divorziati risposati, anche chiarire che lui intende in questo modo modificare la Familiaris Consortio. Ma non lo fa sa nessuna parte. Da nessuna parte compare la parola “Eucaristia” a proposito dei divorziati risposati. Dunque riassumendo , dal momento che Papa Francesco, scrive testualmente che è confermato il Magistero di GPII dove si vieta l’Eucaristia, e dal momento che da nessuna parte egli scrive che sono introdotte eccezioni a questa norma, tutto rimane come prima. Contra facta non valet argumentum. Chi cerca aperture appellandosi a una nota in calce dove si parla geneticamente di sacramenti e non esplicitamente di Eucaristia non fa altro che arrampicarsi sugli specchi. La maggioranza dei commentatori, ripeto la maggioranza, e il numero cresce sempre di piú, sostiene l’evidenza di quanto ti ho appena esposto, e ciò dovrebbe indurti quantomeno a un po’ di prudenza perché qui non stiamo giocando a chi è più bravo e a chi ne sa di più. Qui c’è in gioco la salvezza delle anime e prima di scrivere in un luogo pubblico è bene chiedersi se ciò che si sta per scrivere giova alle anime o può indurle in errore. Questo è ciò che vivamente ti consiglio di fare per tuo bene spirituale. Per quanto riguarda il pensiero dei Padri dell’Isola di Patmos, che personalmente stimo, a proposito della ammissibilità di un giudizio soggettivo in foro interno perché si tratterebbe di una modifica a una legge ecclesiastica, rispetto il loro pensiero ma occorre precisare che lo stesso non è condiviso da altri illustri teologi e membri della gerarchia. Soprattutto si è espresso così un certo San Giovanni Paolo II : “Insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. L’apostolo Paolo afferma in modo categorico: «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio» (1 Cor 6,9-10).”. Parla dunque di una legge divina che sta alla base della legge ecclesiastica. Esattamente quello che dicevo io.

                      E poi aggiunge: È da respingere quindi la tesi, propria delle teorie teleologiche e proporzionaliste, secondo cui sarebbe impossibile qualificare come moralmente cattiva secondo la sua specie — il suo «oggetto» — la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate. L’elemento primario e decisivo per il giudizio morale è l’oggetto dell’atto umano (…) Sono gli atti che, nella tradizione morale della Chiesa, sono stati denominati «intrinsecamente cattivi» (intrinsece malum): lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze. (…) Insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. L’apostolo Paolo afferma in modo categorico: «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio» (1 Cor 6,9-10). Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un’intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti «irrimediabilmente» cattivi, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona (…) Per questo, le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto «soggettivamente» onesto o difendibile come scelta (…) Per giustificare simili posizioni, alcuni hanno proposto una sorta di duplice statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto, occorrerebbe riconoscere l’originalità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un’opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male. Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette «pastorali» contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un’ermeneutica «creatrice», secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare. Non vi è chi non colga che con queste impostazioni si trova messa in questione l’identità stessa della coscienza morale di fronte alla libertà dell’uomo e alla legge di Dio. Solo la chiarificazione precedentemente fatta sul rapporto tra libertà e legge fondato sulla verità rende possibile il discernimento circa questa interpretazione «creativa» della coscienza”.

                      Se devo scegliere tra don Ariel, che ripeto ha tutta la mia stima, e GPII, scelgo quest’ultimo

              • Andrea VCR ha detto:

                Non preoccuparti, penso sempre che le nostre siano discussioni fraterne, senza astio o volntà di ferire.
                Vengo da un percorso particolare, in cui ho potuto vedere sia i disastri che nascono dal mettere la Dottrina “tra parentesi”, vedi alla voce “cattolici adulti”, sia i disastri che nascono da un irrigidimento, anche puramente burocratico, eccessivo ed immotivato o da un cattivo uso della Dottrina (per intendersi se un domani mio figlio osasse dire ad un bambino focomelico non battezzato che è focomelico perchè non è battezzato, passerebbe il proverbiale “quarto d’ora sgradevole”). Personalmente ho poco affetto per entrambe, mentre mi piace molto l’idea della Chiesa “ospedale da campo”, perchè ho visto quanto ce ne sia bisogno.
                Nella questione specifica il matrimonio è , ovviamente indissolubile, ma penso che il Papa abbia ottimi motivi per chiedersi quale sia in realtà la quantità dei matrimoni nulli.
                Scusa il feroce riduzionismo della questione, ma devo staccare subito.
                Stammi bene.
                Viva Cristo Re

  • ele ha detto:

    Grazie per la vostra presenza !
    Dovrebbero esserci più siti e blogs come il vostro !
    Ma purtroppo, più unici che rari …

  • Andrea M ha detto:

    Consiglio a tutti la lettura della prolusione del Car. Em. Rev.ma Sig. Card. Velasio DE PAOLIS,
    Presidente emerito della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede sul tema:
    «I DIVORZIATI RISPOSATI E I SACRAMENTI DELL’EUCARESTIA E DELLA PENITENZA»

    http://www.tribunaleecclesiasticoumbro.it/index.php?option=com_content&view=article&id=129&Itemid=110

    Molto chiara e illuminante

  • Beatrice ha detto:

    Ma come? Nell’altro post non dicevate che l’Amoris laetitia piace anche ai tradizionalisti? Ora avete cambiato idea? Io ho il sospetto che in realtà piaccia solo ai progressisti e che tutti gli altri che dicono di apprezzarla fingano di non vedere quanto di dannoso contenga per non turbare l’unità della Chiesa o perché cercano di autoingannarsi sul fatto che nulla sia cambiato, quando ahimè è sotto gli occhi di tutti ciò che sta avvenendo: c’è la corsa tra i preti e i vescovi su chi è più misericordioso nell’elargire il corpo di Cristo a chicchessia non importa quanto sia indegno di riceverLo e se nel riceverLo indegnamente conficchi un pugnale dritto nel cuore di Gesù, mentre un prete che ha detto che lui non avrebbe profanato l’Eucaristia dandola ai divorziati risposati è stato linciato pubblicamente come fariseo e duro di cuore, perché adesso si scatenerà pure la caccia alle streghe contro gli ultimi preti coraggiosamente rimasti fedeli a Cristo. Per la cronaca, la medaglia di più misericordiosi l’hanno vinta la conferenza episcopale delle Filippine e la diocesi di Bergamo. Oltretutto lo ha detto esplicitamente il Papa come va interpretata la sua esortazione, chiudendo la bocca a tutti i normalisti che cercavano di salvare il salvabile dei pontificati precedenti, la cui azione benefica è stata lentamente demolita in questi tre anni. Tra l’altro si è scoperto che moltissimi preti come Galantino già la davano l’Eucaristia a tutti quelli che la chiedevano agendo contro le indicazioni date da Wojtila e da Ratzinger, quindi un divorziato risposato doveva solo rivolgersi alla persona giusta per avere tutto quello che voleva. Quindi era tutto un falso problema, tirato fuori solo per avere il solito applauso dal mondo che conta, il quale vuole una Chiesa più moderna e che non sia indietro di 200 anni, come diceva Martini, che guarda caso al conclave che elesse Ratzinger aveva proposto Bergoglio come Papa. E’ curioso che proprio ora la Congregazione per la dottrina della fede abbia riconosciuto un miracolo eucaristico avvenuto in Polonia nel 2013, quasi a ricordare a tutti, preti in primis, che nell’Ostia è davvero presente il corpo e il sangue di Gesù, non è semplicemente pane e salame o la vitamina che si dà ai malati per dar loro energia: quando si riceve l’Eucaristia si entra davvero in contatto con Cristo e per amore suo bisogna riceverlo nel proprio cuore solo dopo aver fatto un po’ di pulizia con una confessione fatta bene. Quanto al calo di vocazioni non mi stupisce per niente, basta vedere la fuga di fedeli dalle confessioni protestanti che si sono adeguate al mondo, anglicanesimo per primo (andate a guardare i dati per credere!). Non puoi per duemila anni sostenere una certa verità, cioè che il matrimonio è indissolubile, causando anche svariati scismi pur di difendere questa verità e poi improvvisamente dire il contrario e aspettarti che alla gente non venga il sospetto che ci sia qualcosa di sbagliato in tutto questo, perché il Magistero si può evolvere ma non si può contraddire, il Vangelo può essere compreso meglio ma non può essere cambiato, perché lo Spirito Santo non è incoerente e di certo Gesù non ha cambiato idea sul divorzio: se tornasse oggi sulla Terra direbbe esattamente le stesse cose, perché non può mentire e probabilmente voi lo accusereste di essere tradizionalista! Se c’è una cosa che proprio non sopporto sono i voltagabbana, i trasformisti, quelli che con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sostenevano la difesa dei principi non negoziabili, la difesa della famiglia naturale e della vita umana in tutte le sue fasi, la lotta alla dittatura del relativismo, la difesa dell’indissolubilità del matrimonio, mentre oggi si sono adeguati al nuovo corso della misericordia per tutti e guai a chi ricorda che esiste il peccato o la necessità di pentimento e men che meno la necessità di vivere secondo la legge di Dio, no, no, tutto questo è roba vecchia, ora bisogna seguire solo la propria coscienza e decidere da sé cosa è giusto e cosa no, se si è in stato di grazia o in stato di peccato mortale, il metodo Galantino docet (quello che ha detto nel programma “A sua immagine” è allucinante oltre che confuso), oggi non esistono più situazioni oggettivamente sbagliate e contrarie alla volontà di Dio né atti intrinsecamente cattivi, finalmente ha vinto l’amore come piace tanto dire a Obama e a Renzi. Paolo VI ha detto parole profetiche su quello che stiamo vivendo: “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia”. Newsweek si chiedeva “il Papa è cattolico?”, con l’esortazione abbiamo avuto la risposta. Andatevi a leggere sul blog “Settimo Cielo” di Sandro Magister la bellissima testimonianza di un prete argentino su una prostituta che ha tanto da insegnare a tutti noi, me per prima, perché io non ho mai pianto fiumi di lacrime per il fatto di non poter andare in coda con gli altri fedeli a ricevere la Comunione. Quella prostituta sì che è veramente cattolica e ha compreso davvero il valore immenso dell’Eucaristia.

    • sara ha detto:

      Mammamia Beatrice, ci vai giu’ pesante..

      Ma ti capisco. Non immagini quanto.

    • lorenzo ha detto:

      S. Tommaso, S. Agostino e tutta l’antichità cristiana sono concordi nel ritenere che Giuda ricevete l’Eucarestia dalle stesse mani di Gesù: se Gesù ha dato quella possibilità a Giuda, perché la Chiesa dovrebbe negarla ai divorziati risposati?
      Se poi ai divorziati riposati la comunione darà la forza di rimanere fedeli all’indissolubilità matrimoniale sarà la loro salvezza, altrimenti, come per Giuda, sarà la loro condanna.

      • Vincent Vega ha detto:

        Lorenzo, io credo che alla fine conti quello che stabilirà la Chiesa caso per caso. Perché se un sacerdote stabilirà che il tal divorziato non necessita di vivere come fratello e sorella per ricevere la Comunione non credo proprio che quella persona verrà condannata per questo.

        • lorenzo ha detto:

          Può forse un sacerdote cambiare le parole di Gesù all’adultera “va e non peccare più”?
          Se i rapporti sessuali fuori del matrimonio non fossero peccato avresti ragione.

          Altra cosa è invece considerare peccato mortale, sempre e comunque, ogni adulterio.

          • Vincent Vega ha detto:

            Non so Lorenzo, come ho detto dipende anche dalla coscienza questa cosa. Se non ogni adulterio può essere considerato peccato mortale a maggior ragione molte di quelle persone non si sentono adultere, semplicemente perché il matrimonio era ormai finito, era diventato una gabbia.
            Se in questa situazione un prete decide che quella coppia non è necessario che viva in stato monacale tutta la vita vuol dire che questa coppia potrà farlo, non fosse altro perché con questa decisione il sacerdote toglierà loro qualsiasi piena avvertenza.

            Anche perché rifletti: se io domani mi sposo e poi pianto li mia moglie, per andarmene in Brasile, è giusto che mia moglie, magari a 25 anni, sia costretta a fare una vita monacale a vita? Se la risposta è sì allora dovrebbe essere lo stesso anche per i sacerdoti che si innamorano e chiedono la riduzione allo stato laicale, invece a loro viene concesso di esentarsi dall’obbligo del celibato.

            Anche sulle convivenze mi pare che Al, piuttosto che condannarle, abbia detto che rappresentano una icna imperfetta del matrimonio, e che vanno accompagnate verso l’unione sacramentale. Perciò mi pare che conviventi e divorziati risposati non possano più dirsi sempre e comunque in peccato mortale, esattamente come gli sposati civilmente.

            Anche perché è un po’ assurdo se ci pensi: fino ad oggi, un cattolico osservante era costretto al matrimonio sacramentale per avere una vita sessuale e sentimentale, però poi se il matrimonio sacramentale falliva magari non per colpa sua ce l’aveva in quel posto a vita.

            • lorenzo ha detto:

              La realtà della vita è molto più complessa di quanto non si immagini: che Dio illumini coloro che devono discernere…

          • Vincent Vega ha detto:

            Poi ribadisco, se si vuole essere inflessibili e condannare uno che gli è fallito il matrimonio all’impossibilità di rifarsi una vita, si faccia lo stesso coi preti che si innamorano. Altrimenti è ingiustizia, punto.

          • Vincent Vega ha detto:

            Tra l’altro il discorso della coscienza è anche esplicitato in AL

            “Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[339] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa.”

            Quando succede ciò non è certo facile dire che commettendo quell’atto commetta peccato mortale, perché l’avete grande difficoltà a comprendere i valori insito nella norma morale può configurare la mancanza di piena avvertenza. Anche perché ripeto che non si vede per quale ragione i prete devono essere liberati dall’obbligo della continenza eterna se ridotti allo stato laicale mentre, invece, ai fedeli, tale obbligo dovrebbe essere imposto se gli va male il matrimonio.

            Sui conviventi poi non so che dire. Oggi non è più come una volta dove c’erano i matrimoni combinati e non contava una mazza con chi ti sposavi, l’importante era farlo, perciò ci si si sposava giovani. Oggi ci si sceglie, e se uno trova la donna da sposare non subito, perché prima passa attraverso una serie di storie fallimentari cosa dovrebbe fare?

            Un mio amico di 40 anni si è sposato l’anno scorso, e ha trovato la donna della vita a 37 anni, cosa sempre più frequente (non so se a 37 anni ma accasarsi dopo i 30, anche per una serie di motivi economici, è diventato la norma), come avrebbe dovuto vivere fino a quell’età? Andando avanti a polluzioni notturne. Se avesse detto a quelle donne che non poteva fare nulla prima del matrimonio probabilmente ora non solo non sarebbe sposato, ma la sua storia con la donna che ha sposato non sarebbe manco iniziata.

            Insomma, la società è cambiata in maniera radicale, e secondo me non si può continuare con una morale sessuale dell’età del bronzo. Questo non vuol dire certo aprire al libertinaggio, da aprire al libertinaggio a rendere concretamente la vita impossibile ad un fedele che voglia attenersi alla norma c’è una bella differenza.

            • Michele ha detto:

              Non è chiaro: occorre passare (necessariamente)attraverso il male per raggiungere il bene (caso del tuo amico 40enne)? Se è sì, allora è una tesi pienamente gnostica.
              Se la società cambia, allora cambia anche la morale? Se sì, allora la morale non è altro che costume, ossia l’opinione maggioritaria nella società; il valore perde così ogni sua trascendenza sul fatto, per adeguarsi ad esso.
              Insomma, gnosticismo e sociologismo: sono questi i frutti della nuova “morale” bergogliana?

              • Vincent Vega ha detto:

                Stiamo coi piedi per terra e rispondi alla mia domanda: COME avrebbe dovuto fare?

                Se uno non trova subito la persona da sposare cosa dovrebbe fare per trovarla? Sentiamo. Sono tutt’orecchi.
                E se lui seguendo alla lettera la morale della Chiesa non avesse mai trovato una donna da sposare sarebbe forse meglio?

              • Vincent Vega ha detto:

                Anche perché, non so se lo sai, ma uno finché non è sposato dovrebbe vivere come un sacerdote in tutto e per tutto.
                Secondo la vecchia regola sono ammessi non solo i rapporti completi, ma nulla che porti all’orgasmo, nulla, perciò il mio amico sarebbe dovuto andare avanti a polluzioni notturne fino a 40 anni.

                È forse normale questo? Dimmi.

                E se non è normale cosa avrebbe dovuto fare? Cosa dovremmo fare tornare ai matrimoni combinati dove ti sposavi con persone delle quali non ti fregava nulla perché l’importante era farlo e mettere su famiglia?

                E se non torniamo a questo come dovrebbe gestirsi uno, per avere una vita sessuale e sentimentale normale? No perché se dici ad una che non solo non puoi avere rapporti completi, ma che non puoi fare nulla prima del matrimonio ti scordi di avere una relazione anche col 99,99% delle cattoliche.

                Perciò sentiamo, avanti, sono tutt’orecchi. Io stesso sto rischiando di mandare a puttane la relazione con la ragazza che amo e che dovrei sposare tra un anno per queste cose.

                • sara ha detto:

                  massi’….hai ragione Vincent,
                  cavolo, ma chi me lo fa’ fare di combattere…mannaggia a me che non me ne sono accorta prima…
                  di fatti in fondo penso:
                  Ma che cavolo c’è morto a fare Cristo in croce, ma non l’ha Visto suo Padre che non ce la faceva?..non ha visto come sudava sangue in tentazione nel Getsemani…non ha visto quanto sangue ci ha buttato a pregare di togliergli quel calice amaro se poteva?…
                  ma che caspita..Dio!!!…come hai potuto fargli fare quella morte a tuo figlio!!??…sei un mostro!!…ad un mostro ho creduto per tutto sto tempo?..a questo?..qualcuno che obbliga suo figlio a morire trucidato?…perchè?…
                  ma poi dico …
                  basta per favore…se un maniaco sessuale non ce la fa a non violentare una donna perchè impedirglielo?..e un marito con la moglie?…se non ce la fà a restarle fedele perchè non lo fate tradire in pace…moralisti!!…lasciate le persone libere…cosa sono ste leggi ..sti pesi?…un ragazzo che combatte per rispettare la sua ragazza per un fidanzamento cristiano e casto…suvvia Ortodossi…ma che vi siete bevuti?…se non ce la faccio a rispettarla al di là del solo rapporto conoscitivo, macchè castità…folli…siamo uomini..

                  Dio, come fai a non vedere che siamo solo uomini, un piccolo sconticino dai!!…in fondo sei stato uomo anche tu…un piccolo compromesso, qualcosa fammela passare.

                  E al diavolo il rispetto e l’amore all’altro, al nemico e al prossimo, al diavolo il sacrificio di annientazione per l’altro…son cose superate oggi c’è un nuovo amore moderno e di questo sta Chiesa dovrà pur tenere conto…che diamine!!….vivere la castità oggi?…cose da folli..ma ste suore sti preti…macchè, tutte pazzie, psicopatologie…obbligare un uomo a rinunciare alla sua felicità per leggi e morale…ma la chiesa dovrebbe abolirle…
                  Siamo uomini!!.

                  Non riuscire ad amare una moglie e un marito,sopportare una croce?…rinunciare a me?…siete pazzi…
                  l’amore è desiderio se desidero essere felice in altri modi perchè rinunciare? in fondo non ammazzo mica nessuno…l’importante è essere buoni. poi se USO a mio scopo, mia moglie ,la mia ragazza o altro perchè non ce la faccio vabè, l’importante sono io. ( e qui le massime del tipo: non farte agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te se ne vanno a farsi….benedire)…

                  TU, SEI UN INSULTO A CHI LOTTA OGNI GIORNO LA SUA CROCE PER AMORE DEL SUO DIO
                  SEI UN UNSULTO, A CHI SI SFORZA DI AMARE OLTRE SE STESSO,
                  SEI UN INSULTO A CHI MUORE ABBRACCIATO ALLA FEDE SOTTO MARTIRIO
                  SEI UN INSULTO A MILIONI DI CONSACRATI CHE MANIFESTANO LA PRESENZA DEL VIVERE IN CRISTO IN QUESTA TERRA
                  SEI UN INSULTO A TUTTI I SANTI E I TEOLOGI DELLA STORIA DELLA CHIESA
                  SEI UN INSULTO A CRISTO STESSO.

                  VIVI LA TUA FEDE PER MORALISMO E NON PER AMORE.
                  QUESTO SPIEGA LA GRAN MAGGIORANZA DELLE TUE ARGOMENTAZIONI.

                  LA PROSSIMA VOLTA Dì CHIARO: ” LA CHIESA DICE….E IO PERO'(non riuscendo a farcela) FACCIO ALTRO.”

                  • Vincent Vega ha detto:

                    Ti ringrazio per i giudizi molto teneri nei miei confronti.

                    Solo una cosa

                    “poi se USO a mio scopo, mia moglie ,la mia ragazza o altro perchè non ce la faccio vabè, l’importante sono io. ( e qui le massime del tipo: non farte agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te se ne vanno a farsi….benedire)…”

                    Chi ha parlato di usare? Io sto parlando di rapporti tra persone che si amano, non certo di rapporti occasionali, ma evidentemente non sei riuscita a capirlo. Perciò la domanda rimane ancora inevasa.

                    E riguardo a questo

                    “basta per favore…se un maniaco sessuale non ce la fa a non violentare una donna perchè impedirglielo?..e un marito con la moglie?…se non ce la fà a restarle fedele perchè non lo fate tradire in pace…’

                    Chi accidenti ha parlato di legittimare le violenze sessuali o i tradimenti?

                    “vivere la castità oggi?…cose da folli..ma ste suore sti preti…macchè, tutte pazzie, psicopatologie…obbligare un uomo a rinunciare alla sua felicità per leggi e morale…”

                    Cara IMBECILLE, io per la fedeltà a queste leggi sto mandando a monte il rapporto con la ragazza che amo, se vuoi saperlo, perché ora lei, dopo gli insegnamenti che le ho dato (perché lei era una cattolica come tante, che non conosceva la dottrina) si fa mille pare e, quando cadiamo (perché capita inevitabilmente di cadere) si sente in colpa sia per lei che per me.

                    Non per il peccato in se (perché nè io nè lei riusciamo a capire cosa ci sia di male) ma ler le conseguenze che potrebbero esserci qualora uno dei due morisse.

                    Perciò io proprio per la fedeltà a questa leggi sto rinunciando alla felicità, ma una povera cretinotta imbecille come te non poteva certo capirlo. E calcola che col 99,99% delle altre ragazze, anche cattoliche, sarebbe già andato tutto a monte.

                    Perciò io, siccome questa situazione la sto vivendo, capisco bene cosa significhino certe cose.
                    Ma per il resto va avanti pure coi tuoi giudizi del cazzo. Tanto sei solo una povera cretina.

                    • sara ha detto:

                      Grazie Vincent.
                      Adesso si, Che sei umano.

                    • sara ha detto:

                      E scusami se puoi.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Ma si, ti scuso, però spero che tu abbia capito i miei problemi, che sono quelli che affliggono tante persone. Scusami tu per gli insulti, ma mi sono sentito ferito. Credi che accetterei mai di passare al culto di maometto, se dovessi scegliere tra quello e la morte? Beh, se credi così ti sbagli. Però alcune cose della Chiesa non le capisco, specie sulla morale sessuale, è un mio limite purtroppo.

                      E sono anni che ci rifletto, non giorni.

                      Un abbraccio in Cristo.

                    • sara ha detto:

                      Ma certo Che ti capisco!!!
                      Credi che non ci sia passata?…so benissimo Cosa intendi, ma ho frainteso, da quello Che dicevi non sembrava cosi’..per quello anche io mi son sentita toccata in qualcosa di personale.
                      Ma non mi sto giustificando he?.. Ho sbagliato e basta!..mannaggia..credevo che la tastiera bastasse a frenare la bocca..e invece..

                      Vabe’…ormai e’ fatta.

                      Un consiglio Vincent, se posso,tieni duro i sacrifici che fai ora sono il guadagno di dopo.

                      Un abbraccio e ancora scusa.
                      Prometto Che me le lego ste cavolo di mani!

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Grazie Sara.
                      Come ti ho detto, se dovessi scegliere tra farmi fucilare dall’Isis e rinnegare Cristo accetterei senza problemi la morte, consapevole tra l’altro che Lo abbraccerei subito dopo in Paradiso, ma alcune questioni della morale sessuale della Chiesa le trovo proprio assurde, non riesco a capirle.

                      Cerco di tenere duro ma le cadute ci sono, inevitabili. Spero che questo non mandi a monte il mio rapporto.

                      Un abbraccio a te

                    • sara ha detto:

                      Tranquillo Vincent non Devi spiegarlo a me.

                      No no..si puo’ solo fortificare, ma capisco tutti i dubbi…

                      Ti senti una rara mosca bianca.
                      Tieni duro.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Si Sarà, adesso dobbiamo parlarne col nostro padre spirituale, perché di certo non vogliamo che vada tutto a monte. Faremo quello che lui ci dirà di fare, per il nostro bene.

                      Un abbraccio, gli insulti ti sono scusati, anzi si vede che sei una che ci tiene a Gesù, perciò ben vengano insulti se dati per difendere Gesù. Perché era quello il tuo pensiero quando mi insultavi fraintendendo le mie intenzioni.
                      Perciò non solo i tuoi insulti ti sono scusati, ma ti fanno onore (sto parlando seriamente).

                      Un bacio e un abbraccio.

                • Michele ha detto:

                  Rispondo volentieri alla tua domanda, anche se percepisco in essa una certa incoerenza: se, infatti, ogni caso/situazione va valutato singolarmente (come si dice sulla scorta del recentissimo Magistero, anche se rimane in piedi la foglia di fico della “norma generale”), allora esso è unico, e come tale può essere compreso pienamente solo da chi lo vive. Perché quindi chiedere a me, che tale situazione non vivo, un giudizio su di essa?

                  Ma veniamo al punto. Quello che un cattolico deve fare in una simile situazione è dichiarare anzitutto alla fidanzata le sue convinzioni al riguardo, per un dovere di trasparenza nei suoi confronti e di corretta impostazione del fidanzamento.
                  Nel caso (probabilissimo) che emergano delle incongruenze, difendere ed argomentare le proprie ragioni (razionali, se come cattolici crediamo che la grazia non elimini ma perfezioni la natura, vuol dire che la “nostra” è un’etica “naturale” nel senso di natura umana, caratterizzata dalla razionalità) e cercare di confutare le tesi dell’altro mostrandone la contraddittorietà oppure il carattere dogmatico (ad es. l’affermazione “se non fai sesso con me, vuol dire che non mi ami” è basata su una pretesa evidenza non dimostrata, e cioè che l’amore equivalga al sesso: chi la fa deve farsi carico di provare quest’affermazione e non di darla per scontata).
                  Francamente non vedo altra strada, se si vuole costruire un rapporto serio e duraturo, che mettere in chiaro le cose, senza infingimenti o compromessi che lascino le incongruenze sottotraccia e meravigliandosi poi se emergono durante la vita matrimoniale, magari nell’educazione dei figli.

                  Dal punto di vista pratico, se sei convinto della castità prematrimoniale e per “quieto vivere” non la rispetti:

                  a) agisci contro la tua coscienza retta e certa;
                  b) sei un consequenzialista perché ritieni che si possa compiere un’azione cattiva per raggiungere un fine buono;
                  c) sei infine un conformista.

                  Senza essere stato esaustivo, ho tentato un abbozzo di risposta.
                  Non mi aspetto invece una tua risposta a ciò che ho evidenziato nel mio primo commento, perché implicitamente me l’hai già data confermando ciò che da tempo vado pensando. Ovvero che il “bergoglismo”, con la sua esaltazione della “misericordia” (la quale sembra essere nient’altro che una riedizione della vecchia “giustificazione” luterana, ossia una grazia estrinseca che lascia l’uomo nella sua condizione di peccatore, senza perciò trasformarlo), rappresenti un allontanamento impressionante (sebbene in nuce e con contraddizioni) dal pensiero morale cattolico; e lo è, non tanto e non solo nel caso dei divorziati risposati, soprattutto nell’adozione di categorie mutuate da dottrine, altre e contrarie rispetto a quella cattolica.

                  Dico “in nuce e con contraddizioni” perché continuate a sostenere ad esempio l’immoralità dell’aborto o dell’utero in affitto, immoralità difficilmente sostenibile se si fanno propri consequenzialismo e sociologismo, per ora incoerentemente ristretti solo in un ambito specifico, ma i cui principi non tarderanno a farsi sentire in ogni campo della morale. Perché, ad esempio, rifiutare l’utero in affitto (ammesso e non concesso che sia un male) se da esso nascono dei beni come una nuova nascita, la felicità di una “coppia”, ecc.? Perché condannare l’aborto (ad es. di un feto malato) se la nascita arrecasse instabilità psichica/emotiva alla donna o alla coppia? Dopotutto detta stabilità non sarebbe un bene?
                  Sono domande legittime che sorgono, quando si notano ambiguità negli insegnamenti dei Pastori.

                  • Michele ha detto:

                    Un’altra nota, che mi è venuta in mente dopo aver postato il commento.

                    Nessuno nega che al giorno d’oggi sia difficile essere cattolici coerenti; però del disprezzo del mondo Qualcuno ci aveva avvertito con largo anticipo così come ci disse che non era lecito venir meno alle esigenze morali per essere più accomodanti.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Caro Michele, ti rispondo volentieri

                      “Dal punto di vista pratico, se sei convinto della castità prematrimoniale e per “quieto vivere” non la rispetti:
                      a) agisci contro la tua coscienza retta e certa;
                      b) sei un consequenzialista perché ritieni che si possa compiere un’azione cattiva per raggiungere un fine buono;
                      c) sei infine un conformista.”

                      In realtà è l’esatto contrario. Io NON sono convinto della castità prematrimoniale ma cerco in ogni modo di rispettarla perché temo le conseguenze qualora non la rispettassi e dovessi morire giovane.

                      Perciò io, paradossalmente, agisco contro la mia coscienza rispettandola. Anche la mia ragazza fa lo stesso, e il nostro rapporto, a differenza di quello avuto con altre in passato, è molto serio, ma per queste ragioni sta rischiando seriamente di andare a monte.

                      Perciò i tuoi tre punti non sono vedi per me, perché io non ritengo l’avere i rapporti prematrimoniali con una persona che sia ama un male. So che la Chiesa li considera tali ma io non riesco a convincermene. Ciononostante, cerco in ogni modo di rispettare la norma per paura delle conseguenze.

                      “Dico “in nuce e con contraddizioni” perché continuate a sostenere ad esempio l’immoralità dell’aborto o dell’utero in affitto, immoralità difficilmente sostenibile se si fanno propri consequenzialismo e sociologismo, per ora incoerentemente ristretti solo in un ambito specifico, ma i cui principi non tarderanno a farsi sentire in ogni campo della morale. Perché, ad esempio, rifiutare l’utero in affitto (ammesso e non concesso che sia un male) se da esso nascono dei beni come una nuova nascita, la felicità di una “coppia”, ecc.? Perché condannare l’aborto (ad es. di un feto malato) se la nascita arrecasse instabilità psichica/emotiva alla donna o alla coppia? Dopotutto detta stabilità non sarebbe un bene?”

                      No, queste sono argomentazioni pessime. L’aborto toglie la vita ad un’altra persona, e l’utero in affitto riduce la persona a merce. Io non vorrei mai essere stato abortito, nè che qualcuno mi avesse strappato dalle braccia dei miei genitori per soddisfare il suo desiderio di paternità.

                      Se permetti, i rapporti tra due persone adulte e consenzienti e libere (ovvero non sto parlando di tradimenti nè coniugali nè tra fidanzati) che non fanno del male a nessuno è una cosa del tutto diversa, come e cosa del tutto diversa la felicità di due divorziati risposati che dopo essersi liberati di un matrimonio diventato un ergastolo (dopo che, magari, avevano aspettato 15 anni a separarsi per il bene dei figli) hanno trovato una persona che li rende felice.

                      Perciò rigetto qualsiasi paragone con aborto e utero in affitto.

                      “Senza essere stato esaustivo, ho tentato un abbozzo di risposta.
                      Non mi aspetto invece una tua risposta a ciò che ho evidenziato nel mio primo commento, perché implicitamente me l’hai già data confermando ciò che da tempo vado pensando. Ovvero che il “bergoglismo”, con la sua esaltazione della “misericordia” (la quale sembra essere nient’altro che una riedizione della vecchia “giustificazione” luterana, ossia una grazia estrinseca che lascia l’uomo nella sua condizione di peccatore, senza perciò trasformarlo), rappresenti un allontanamento impressionante (sebbene in nuce e con contraddizioni) dal pensiero morale cattolico; e lo è, non tanto e non solo nel caso dei divorziati risposati, soprattutto nell’adozione di categorie mutuate da dottrine, altre e contrarie rispetto a quella cattolica.”

                      O forse c’è semplicemente maggiore fiducia nel potere redentivo della morte in croce di Cristo? Se ci salviamo solo con l’osservanza della Legge, perché San Paolo diceva il contrario, ovvero che chiunque vive sotto la legge è sotto la maledizione e che il giusto vivrà per la Fede?

                      Nessuna pensa che le opere non contino, ma a me pare che la “morale bergogliana”, come la chiami, si focalizzi più sul fare che sul non fare, sulla carità e l’amore verso gli altri piuttosto che sulla morale del divieto.

                      La prima lettera di Pietro insegnava che la carità copre molti peccati. Cosa significa questo, per te, se anche una relazione prematrimoniale o tra divorziati risposati basta per dannarsi? Perché calcola che è ciò che ha sempre insegnato la Chiesa. Perciò se uno non si pente di un suo peccato sessuale, anche se poi è una persona di grande carità verso gli altri, che aiuta davvero il suo prossimo, dovrebbe dannarsi, perché compirebbe quelle opere in stato di peccato mortale.

                      Perciò, se vuoi saperlo, io sono contrario sia alla giustificazione protestante sia all’eccessivo legalismo che c’è stato fino ad oggi. Per questo apprezzo la Chiesa di oggi.

                      Firmato: uno che per la fedeltà a certe leggi sta rischiando di mandare a monte il rapporto con la persona alla quale tiene di più al mondo.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Aggiungo una cosa Michele

                      “Dico “in nuce e con contraddizioni” perché continuare a sostenere ad esempio l’immoralità dell’aborto o dell’utero in affitto, immoralità difficilmente sostenibile se si fanno propri consequenzialismo e sociologismo, per ora incoerentemente ristretti solo in un ambito specifico”

                      Questo è falso, come già detto, e la prova ce l’hai nella Chiesa Ortodossa (che è una Chiesa scismatica, non eretica, e ha come noi la Tradizione e la successione apostolica) che considera convivenze e matrimoni civili icone imperfette del matrimonio sacramentale ma certo non peccati mortali, e che ammette la benedizione per le seconde nozze (nonostante che un matrimonio rato e consumato, e valido, sia a tutti gli effetti indissolubile).

                      Eppure nonostante questo “sociologismo” della Chiesa ortodossa non si sognerebbe mai di aprire ad orrori come aborto e utero in affitto.
                      È calcola che sono secoli e secoli che ammette le seconde nozze (in conformità, del resto, con diverse comunità cristiane dei primi secoli), all’epoca (secoli fa) non ammetteva le convivenze perché non esistevano.

                      Perciò come vedi i tuoi timori sono ingiustificati. Le chiese vere, con Traditio e successione apostolica, non faranno MAI E POI MAI gli errori delle Chiese eretiche protestanti. È semplicemente impossibile, perché il depositum fidei lo impedisce.

  • sara ha detto:

    ALLA REDAZIONE UCCR:

    sbaglio o e’ stato tolto un link Che avevo postato?..

    Forse non era abbastanza di Parte?..
    Non Che fossi completamente d’accordo ma forse sarebbe stato interessante tirarci fuori degli spunti.

    Almeno so’ come la pensa: ” unita” CCR.
    Peccato perche’ e’ l’unico articoli, questo, che mi trova in leggero disaccordo.

    Quindi come sempre si ha:

    PERMESSO DI TRASMETTERE E IL DIVIETO DI PARLARE.

  • lorenzo ha detto:

    Non dovremmo mai dimenticare che l’Eucarestia ci separa anche dal peccato.
    Il Corpo di Cristo che riceviamo nella Comunione è “dato per noi”, e il Sangue che beviamo, è “sparso per molti in remissione dei peccati” e perciò l’Eucaristia non può unirci a Cristo senza purificarci dai peccati commessi e, nello stesso tempo, preservarci da quelli futuri,
    “Ogni volta che lo riceviamo, annunciamo la morte del Signore”. Se annunciamo la morte, annunziamo la remissione dei peccati. Se, ogni volta che il suo Sangue viene sparso, viene sparso per la remissione dei peccati, devo riceverlo sempre, perché sempre mi rimetta i peccati. Io che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina.

    • Giuseppe ha detto:

      Sì lorenzo, ci separa dal peccato, ma solo da quello veniale. Per il peccato mortale è diverso, perché l’insegnamnto costante della Chiesa dice che non si può ricevere l’Eucarestia in stato di peccato mortale;
      Ti riporto un articolo di don Morselli:
      1 L’insegnamento costante della Chiesa

      La Chiesa ha sempre proposto a credere che non si può ricevere l’Eucarestia in stato di peccato mortale; se dobbiamo riportare qualche testo magisteriale in proposito, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta:
      “Chi si comunicasse in peccato mortale, riceverebbe Gesù Cristo, ma non la sua grazia, anzi commetterebbe sacrilegio e si farebbe meritevole della sentenza di dannazione” (San Pio X, Catechismo maggiore, n. 632).
      “…vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma inculcata da san. Paolo e dallo stesso Concilio di Trento, per cui alla degna recezione dell’Eucaristia si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale” (San Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della penitenzieria, 30 gennaio 1981).
      “Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione” (Catechismo della Chiesa Cattolica, §1385).
      “Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale»” (San Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 17-4-2003 § 36).
      2. Non è una imposizione arbitraria

      Questa norma non deriva dal volere arbitrario di chi detiene l’autorità nella Chiesa, ma ha la sua ragion d’essere nella essenza stessa dell’Eucaristia che significa, produce e presuppone la perfetta unione dell’uomo con Gesù Cristo mediante la fede e la carità. Ora chi in stato di peccato mortale ha solo una
      fede informe (conosce bene chi è Gesù Cristo, ma non lo ama abbastanza); chi ricevesse l’Eucarestia in questo stato, si ritroverebbe ad essere una “menzogna vivente”, imprigionando Gesù fisicamente nel suo corpo e nel contempo rigettandolo con il peccato. Per questo San Basilio paragona la Comunione sacrilega alla viltà di un servo, che sfrutta ipocritamente la bontà del suo sovrano mangiando alla sua mensa, pur nutrendo ostilità nei suoi confronti (2º Discorso sul Battesimo, cap. 3).

      3. Anche la S. Scrittura parla chiaro

      S. Paolo afferma chiaramente l’estrema gravità della Comunione sacrilega, dicendo che chi riceve indegnamente l’Eucarestia è “reo del Corpo e Sangue del Signore” (1 Cor 11, 27).
      La parola greca che noi traduciamo con “reo” (énochos) è molto forte: nell’antico testamento, in alcuni casi, è associata a delitti gravi, meritevoli della pena capitale e corrisponde all’ebraico “di morte deve morire”. La somma gravità del gesto consiste nel rendersi direttamente colpevoli contro “il Corpo e Sangue del Signore”; secondo S. Giovanni Crisostomo è come se venisse colpito nuovamente il Corpo e versato nuovamente il Sangue di Gesù: “Con questo peccato – dice il santo – è calpestato il Corpo del Signore”
      Se tutti i peccatori “crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia” (Eb 6,6), chi riceve indegnamente l’Ostia santa rinnova formalmente (non solo come causa remota, come gli altri peccati) la crocifissione di Gesù. Per questo San Cipriano dice che con la Comunione senza le disposizioni dovute “viene inferta violenza al corpo del Signore, e con la bocca e con le mani si delinque contro di Lui” (Discorso sui lapsi).
      Si capisce bene come Giuda abbia consegnato ai Giudei Gesù immediatamente dopo essersi comunicato nell’ultima cena, quando “il satana entrò in lui” (Gv 13,27): l’esecuzione del tradimento, il primo oltraggio tra i supplizi della Passione, è il primo frutto diabolico – perfettamente conseguente – della prima Comunione sacrilega della storia.

      4. L’abito nuziale

      Gesù stesso ci mette in guardia dalla Comunione in peccato mortale, quando, raccontandoci la parabola degli invitati al banchetto di nozze (Mt 22, 1-14), ci narra della triste fine di chi era entrato nella sala senza l’abito nuziale.
      C’erano dunque un re (Dio Padre) e uno sposo figlio del re (il Figlio di Dio incarnato, Gesù Cristo); la sposa è la Chiesa, a cui sono chiamati tutti gli uomini, caldamente e ripetutamente invitati dagli Apostoli e dai loro successori etc. (i servi).
      Le nozze incominciano con l’Incarnazione e si consumano nello stato di gloria. In attesa della gloria, bisogna indossare “l’abito nuziale”, ovvero la fede informata dalla carità, dalla quale procedono le buone opere, che sono come “il vestito dell’uomo nuovo” (S. Gerolamo).
      Ora, siccome Eucarestia è una reale anticipazione dello stato glorioso (“pignus futurae gloriae”, pegno della gloria futura), come pure ė l’inizio della consumazione delle nozze, è necessario che colui che accede al banchetto nuziale eucaristico sia rivestito di carità, e non pretenda di presentarsi allo sposo in stato di adulterio.
      Terribile è il giudizio del re nei confronti di quel malvagio invitato: il sacrilego “ammutolì”, perché nel momento del giudizio particolare non ci sono più le giustificazioni di questa vita per fare i nostri comodi; la coscienza stessa constata quanto il giudizio di Dio è veritiero e come non ci sia altro da aggiungere.
      Ammutoliranno quel giorno non solo i sacrileghi, ma anche quei teologi che spadroneggiano nei media e hanno il consenso del mondo, e portano alla rovina quelli che, incoraggiati dalle loro false dottrine, si accostano indegnamente all’Eucarestia.

      5. Medicina sì, ma da assumere a determinate condizioni

      L’Eucarestia non è un premio per quelli che sono già buoni (solo la Madonna, se così fosse, potrebbe fare la Comunione), ma una medicina per gli ammalati, che ricorrono al Medico celeste.
      Tuttavia la S. Comunione è un farmaco non per tutti i peccati, ma “distrugge il peccato veniale [tanto quanto ci si comunica con fervore] e fa evitare il mortale” (Innocenzo III); invece, per i rimettere i peccati mortali, Gesù ha istituito il Battesimo e la Confessione.
      Così insegnava San Giovanni Paolo II: “La celebrazione dell’Eucaristia, però, non può essere il punto di avvio della comunione, che presuppone come esistente, per consolidarla e portarla a perfezione”. (Ecclesia de Eucharistia, § 35).
      Una medicina data nel momento sbagliato può danneggiare il malato; non per nulla a Corinto si verificò una sorta di epidemia, e molti di coloro che si accostavano indegnamente all’Eucarestia morivano: “…chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11, 29-30). E tutto questo fu permesso da Dio proprio per farci capire quanto sia nociva la Comunione in stato di peccato; continua l’Apostolo: “Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando poi siamo giudicati dal Signore [cioè castigati in questa vita come i Corinti], siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo” (1 Cor 11, 31-32).

      BIBLIOGRAFIA

      GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia (17-4-2003), LEONE XIII, lettera enciclica Mirae caritatis (28-5-1902), ANTONIO PIOLANTI «Comunione Eucaristica» I. Effetti, in Enciclopedia Cattolica, vol. IV, pp. 126-129, S. TOMMASO D’AQUINO, Somma teologica, III, 79.

      • lorenzo ha detto:

        700. Che cosa si richiede perché un peccato sia mortale?
        Perché un peccato sia mortale si richiedono tre cose: materia grave, piena avvertenza, e perfetto consenso della volontà.

        701. Quand’è che vi ha materia grave?
        Vi ha materia grave quando si tratta di una cosa notabilmente contraria alla legge di Dio e della Chiesa.

        702. Quand’è che vi ha piena conoscenza nel peccare?
        Vi ha piena conoscenza nel peccare, quando si conosca perfettamente di fare un grave male.

        703. Quand’è che, nel peccato, si ha il perfetto consenso della volontà?
        Si ha, nel peccato, il perfetto consenso della volontà, quando si vuol fare deliberatamente una cosa, sebbene si conosca peccaminosa.

        • Vincent Vega ha detto:

          Ben detto Lorenzo. Aggiungo una nota da Al

          “Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[339] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. “

          • sara ha detto:

            Non estrapolare concetti fuori dai contesti.

            Detta cosi’ mi parli di peccato soggettivo e non oggettivo.

            Interpreti.

            • Vincent Vega ha detto:

              E va bene, ecco la citazione completa

              “Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[339] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione».[340] Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù,[341] in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù”.

              Più chiaro di così si muore. Le situazioni irregolari a cui si riferisce sono i divorziati risposati, i conviventi, e gli sposati civilmente. La citazione che ho fatto a Lorenzo l’ho fatta a “corredo” di quanto aveva già scritto lui. 🙂

              • sara ha detto:

                Ok Vincent..

                Cosa mi hai citato?..un passo Sulla nuova pastorale sinodale giusto?.
                Quel passo va letto e interpretato e meditato all’interno di tutto il documento sulla famiglia, che ne spiega i presupposti.

                Il documento l’ho letto, non me lo citare piu’.

                Si rivolge ai pastori. E’ futile fare da Parte tua deduzioni e interpretazioni, non essendo prete e non avendo ben chiaro le situazioni e il tipo di approccio.

                Infine, mi dispiace, ma quello che scrivi mi conferma, Che la paura che ha la chiesa nella possibilita’ di utilizzare diciture di documenti per fare apparire il peccato o la dottrina distorta, e’ vera e fondata.

                I Media in questo, sono eccellenti maestri.

                • Vincent Vega ha detto:

                  Guarda Sara, più che citare l’al e riportare le parole a prova di coglione del Papa in aereo io non so che fare. Vi lascio ai vostri contorsionismi per dire che il cielo è verde, e che se tutti lo vedono blu è perché sono daltonici.

                  • sara ha detto:

                    E quando si arriva alla frutta e’ perche’ si e’ finito il primi, il secondo e il dolce…

                    Non la mettere sul personale,ma e’ piu’ forte di me…non riesco a tacere di fronte a certe affermazioni, spero di non averti offeso, ma vorrei Che tu sapessi Che se io non avessi saputo la netta distinzione tra il Bianco e il nero sarei ancora a brancolare nel buio.

                    E questa e’ gratitudine a Chi me l’ha insegnata..quando le cose diventano indistinte c’e’ un forte rischio, non per Dio, ma per Chi sta nella melma( per non Dire altro). Ho solo paura Che troppo lassismo porti a precludere agli alte la conoscenza di poter uscire da ogni peccato, Grazie a Cristo, piu’ forti di prima, e negargli cio’ che e’ stato concesso a me.

                    Percio’ difendo Cristo, la Chiesa e la sua dottrina. Sempre.

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Stai dicendo che il Papa è contro la dottrina?

                    • sara ha detto:

                      Tu lo dici. Non e’ mai uscito dalla Mia bocca. Io ho giurato fedelta’ a Pietro incondizionatamente, nel bene e nel male. Perche’ la chiesa e’ la stessa giusta.
                      Ma anch’essa e’ fatta di uomini…

                    • sara ha detto:

                      Stessa= strada…

                      Sto cell adesso lo butto…

                    • Vincent Vega ha detto:

                      Ottimo. 🙂
                      È fatta da uomini ma è sostenuta dallo Spirito Santo, perciò anche basta sezionare ogni sillaba del Santo Padre. 🙂

                    • sara ha detto:

                      Io seziono?
                      Ma se sei tu che mi riporti citazioni dagli antenati ad oggi.
                      Quello che io dico e’ semplicemente la prudenza punto.

          • lorenzo ha detto:

            Tieni presente che, per definire il peccato mortale, ho fatto copia/incolla del Catechismo di S. Pio X: giusto per chi ritiene che la Dottrina sia cambiata…

      • sara ha detto:

        Bravo Giuseppe

      • Andrea M ha detto:

        Per completezza ed entrare proprio nel caso, ecco la posizione magisteriale del PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI: DICHIARAZIONE “CIRCA L’AMMISSIBILITÀ ALLA SANTA COMUNIONE DEI DIVORZIATI RISPOSATI”
        http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/intrptxt/documents/rc_pc_intrptxt_doc_20000706_declaration_it.html
        In sintesi, ma leggetelo tutto:
        “Il Codice di Diritto Canonico stabilisce che: «Non siano ammessi alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (can. 915). Negli ultimi anni alcuni autori hanno sostenuto, sulla base di diverse argomentazioni, che questo canone non sarebbe applicabile ai fedeli divorziati risposati.
        […] Ad esempio, poiché il testo parla di «peccato grave» ci sarebbe bisogno di tutte le condizioni, anche soggettive, richieste per l’esistenza di un peccato mortale, per cui il ministro della Comunione non potrebbe emettere ab externo un giudizio del genere; inoltre, perché si parli di perseverare «ostinatamente» in quel peccato, occorrerebbe riscontrare un atteggiamento di sfida del fedele, dopo una legittima ammonizione del Pastore.
        Davanti a questo preteso contrasto tra la disciplina del Codice del 1983 e gli insegnamenti costanti della Chiesa in materia, questo Pontificio Consiglio, d’accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede e con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dichiara quanto segue:
        1. La proibizione fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa. Il testo scritturistico cui si rifà sempre la tradizione ecclesiale è quello di San Paolo: «Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1 Cor 11, 27-29) (3).
        […] In effetti, ricevere il corpo di Cristo essendo pubblicamente indegno costituisce un danno oggettivo per la comunione ecclesiale; è un comportamento che attenta ai diritti della Chiesa e di tutti i fedeli a vivere in coerenza con le esigenze di quella comunione. Nel caso concreto dell’ammissione alla sacra Comunione dei fedeli divorziati risposati, lo scandalo, inteso quale azione che muove gli altri verso il male, riguarda nel contempo il sacramento dell’Eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio.
        2. Qualunque interpretazione del can. 915 che si opponga al suo contenuto sostanziale, dichiarato ininterrottamente dal Magistero e dalla disciplina della Chiesa nei secoli, è chiaramente fuorviante. Non si può confondere il rispetto delle parole della legge (cfr. can. 17) con l’uso improprio delle stesse parole come strumenti per relativizzare o svuotare la sostanza dei precetti.
        […]
        a) il peccato grave, inteso oggettivamente, perché dell’imputabilità soggettiva il ministro della Comunione non potrebbe giudicare;
        b) l’ostinata perseveranza, che significa l’esistenza di una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e a cui la volontà del fedele non mette fine, non essendo necessari altri requisiti (atteggiamento di sfida, ammonizione previa, ecc.) perché si verifichi la situazione nella sua fondamentale gravità ecclesiale;
        c) il carattere manifesto della situazione di peccato grave abituale.

        Non si trovano invece in situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo per seri motivi -quali, ad esempio, l’educazione dei figli- «soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Familiaris consortio, n. 84), e che sulla base di tale proposito hanno ricevuto il sacramento della Penitenza. Poiché il fatto che tali fedeli non vivono more uxorio è di per sé occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno accedere alla Comunione eucaristica solo remoto scandalo.

        • Andrea M ha detto:

          Prima del punto a) c’è la seguente frase:
          “La formula «e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» è chiara e va compresa in un modo che non deformi il suo senso, rendendo la norma inapplicabile. Le tre condizioni richieste sono:”

  • bluestar ha detto:

    Un conto è dire “fare questo è peccato”, un’altro dire “è sbagliato”. Se dici “è peccato” sei cristiano se dici “è sbagliato”, anche per ciò che è sbagliato solo perché peccato, sei un… va bene cristianista?

  • giovannidb ha detto:

    Che tristezza! Scusate ma a me invece della “laetitia” tutto questo disputare se sia peccato mortale o no, se si possa o no, se il papa abbia cambiato la dottrina o no , da’ una profonda tristezza.
    Al di la’ della disputa, i fedeli comuni sono TRISTI e non gioiosi vedendo che la Chiesa a cominciare dai pastori è divisa e chi dice una cosa e chi un altra. la tristezza deriva dal fatto che non si sa più a chi dare retta. non ci si fida più di nessuno. non si sa quale sia la vera dottrina, e se lo stesso papa insegna la vera dottrina o un eresia.
    la tristezza, opera del maligno, deriva dalla divisione, opera del maligno, e dalla menzogna o falsità, opera del maligno.
    la vera letizia sta nella verità, nell’unità, nella fede nel successore di Pietro.
    che tristezza per un cattolico non fidarsi più neppure del papa!

  • Marco N. ha detto:

    Un’osservazione oggettiva: uccronline, dopo il momento di pausa di metà 2015, è molto cambiata. Ancora nel 2013, già regnante Francesco, questo sito pubblicava, condividendolo, l’articolo https://www.uccronline.it/2013/11/29/le-ragioni-della-chiesa-sui-divorziati-risposati/ ancora online. Esso riportava le osservazioni del card. Muller e della congregazione della dottrina della fede, che tra le altre cose dicono: “Se i divorziati risposati sono soggettivamente nella convinzione di coscienza che il precedente matrimonio non era valido, ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale. Il matrimonio non riguarda solo il rapporto tra due persone e Dio, ma è anche una realtà della Chiesa, un sacramento, sulla cui validità non solamente il singolo per se stesso, ma la Chiesa, in cui egli mediante la fede e il Battesimo è incorporato, è tenuta a decidere.””Anche la dottrina dell’epichèia, secondo la quale una legge vale sì in termini generali, ma non sempre l’azione umana vi può corrispondere totalmente, non può essere applicata in questo caso, perché l’indissolubilità del matrimonio sacramentale è una norma di diritto divino, che non è dunque nella disponibilità autoritativa della Chiesa.” “Un’ulteriore tendenza a favore dell’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti è quella che invoca l’argomento della misericordia. Poiché Gesù stesso ha solidarizzato con i sofferenti donando loro il suo amore misericordioso, la misericordia sarebbe quindi un segno speciale dell’autentica sequela. Questo è vero, ma è un argomento debole… “Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia…”
    Sono passati due anni, e non è venuta meno la stima del sito per il card. Muller, di cui si rivendica con orgoglio l’essere ratzingeriano; e tuttavia l’Amoris Laetitia di Francesco sembra dire il contrario (comunione comunque ai divorziati risposati, proprio con l’epikeia condannata da Muller), e molti utenti del sito plaudono, come se non fosse successo niente. Anzi compaiono articoli dove si parla, per chi solleva dubbi, di eresia tradizionalista. Va comunque tutto bene, oppure i gestori del sito dovrebbero fare una riflessione sul cambio di rotta, e spiegare alcune cose ai suoi lettori? E magari dire cosa ne pensano sulle parole di Muller? Grazie per l’attenzione

    • EquesFidus ha detto:

      E’ quello che dico anch’io, ed è fuori discussione. Intanto, chiunque dissente o espone perplessità sul “nuovo corso Vaticano” e sui “misericordini” (e sono sempre di più, checché ne dica la pravda vaticana) viene tacciato di essere un “eretico tradizionalista”, come dici giustamente; questo non solo non ha senso, ma è ideologico e pretestuoso. Se è così ne sono fiero, dato che condivido la schiatta con cattolici (non esenti da difetti, ma sfido chiunque a dimostrare eretici) come Messori e Cammilleri. Sempre più convinto che questo sito abbia attirato interessi ed attenzioni molto, molto poco gradite che hanno portato ad un “cambio di rotta” rispetto a prima.

  • Vincent Vega ha detto:

    Le seconde nozze c’erano già nella Chiesa primitiva, prima dello scisma tra Catfolici e protestanti http://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=72411228#entry591230916

    • EquesFidus ha detto:

      E ora, come i topi che scappano dopo che le fogne si sono riempite d’acqua, tutte le eresie stanno uscendo fuori, incluse palesi falsità che portano a supportare la pratica di una sorta di “divorzio cristiano”, che in realtà non è mai esistito se non nella mente di ideologi settantottardi e di eretici conclamati. Per fugare ogni dubbio basta leggere “Permanere nella verità di Cristo”, in un capitolo del quale viene proprio smontata questa falsità (la qual pratica, peraltro, delle seconde, terze finanche quarte nozze risale all’ortodossia, su basi politiche e non teologiche).

      • Vincent Vega ha detto:

        Balle http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350707

        Di quello che dicono libri di parte non mi interessa, a me interessa la storia.

        • EquesFidus ha detto:

          Sarebbe un libro di parte “Permanere nella verità di Cristo”? Sarebbero “balle” i documenti citati in tale testo?

          E’ di parte il Cristo riguardo l’indossolubilità del matrimonio (se non in caso di porneia, cioè concubinato)?
          E’ di parte san Paolo quando parla del matrimonio, anch’esso indissolubile nella conzione paolina (e cristiana)?
          E’ di parte Atenagora quando parla esplicitamente di una divorziata “risposata” nel II secolo?
          E’ di parte Origene quando, riportando il caso di alcuni vescovi che avevano permesso seconde nozze col marito ancora in vita, ribadisce per tre volte che tale pratica è contraria alle Scritture?
          E’ di parte il concilio di Arles (314 d.C.), quando ribadisce che ai mariti di mogli adultere è proibito risposarsi finché la consorte è ancora in vita?
          Certo che sono di parte: sono dalla parte di Cristo. E io pure.

          La verità è che, se ci sono fonti che sembrano approvare seconde e terze nozze tra i primi cristiani, ce ne sono parecchie (anche e soprattutto scritturali, le quali hanno un valore normante ben maggiore e normante rispetto, se permetti, alle riflessioni, che pure possono essere travisate, di san Gregorio Nazianzeno e di sant’Agostino) di segno opposto; anzi, pare che le cose fossero esattamente contrarie rispettoa quanto sostenuto dai “misericordini” e dai kasperiani, per cui se si può parlare di seconde nozze nella Chiesa primitiva queste fossero dei veri e propri abusi, casomai giustificabili nell’ottica pagana del tempo che non in quella eminentemente cristiana.
          La storia è che l’approvazione del divorzio con relative seconde “nozze” non è mai esistita nella Chiesa, ma si tratta di una precisa scelta nata nell’ortodossia per ragioni eminentemente politiche e divenuta sempre più insostenibile nel mondo cattolico col passare dei secoli (anche per una mera questione di attinenza al Vangelo).
          La verità è anche che la fede cattolica non è un archeologismo, per cui tentare di giustificare prassi moderne secolari alla luce della Scrittura e degli autori dei primi secoli è assai difficile da sostenere e da credere; inoltre, la verità è che sostenere la dissolubilità del matrimonio significa non credere nella sua indissolubilità ed aver sempre a malapena tollerato questo concetto eminentemente cattolico. Quindi, dammi retta, invece di perdere tempo sui siti dei protestanti passa più tempo dinanzi al Tabernacolo: l’adulterio non ha mai salvato nessuno, anzi ne ha condannati molti, il Cristo invece sì.

          • EquesFidus ha detto:

            P.S.: citare il canone 8 di Nicea, riferendosi ad inesistenti divorziati “risposati” cattolici del IV secolo, vuol dire essere in malafede: infatti, i novaziani negavano le seconde nozze anche in caso di vedovanza di uno dei coniugi, pratica mai sostenuta dalla Cattolica (“finché morte non vi separi”). E’ ovvia tale condanna di tale pratica, piuttosto che l’ammissione di una sorta di “divorzio cattolico”, il quale peraltro contrasterebbe le Scritture e pure autori e concili precedenti.
            Il negare l’indissolubilità del matrimonio (a parte casi in cui, per vizio di forma, tale matrimonio non fosse già invalido in principio, casi a cui Benedetto XVI fa riferimento) è negare l’insegnamento del Cristo, è bene che si sappia. Come pure non è fare un buon servizio alla Verità spacciare che la “Chiesa (quale?) primitiva” fosse a favore della Comunione ai divorziati “risposati”: non è vero, semplicemente.

            • EquesFidus ha detto:

              *in malafede o ignoranti, primo rigo; è saltata una parola.

            • Vincent Vega ha detto:

              Peccato che anche Raztinger stesso abbia confermato che nella Chiesa primitiva si dava la comunione ai divorziati risposati, come conferma anche quel documento.
              Negare questo è essere in malafede, non altro.

              E no, come dimostra anche quel documento non è vero che è una cosa nata in ambito ortodosso, ma veniva fatto nella Chiesa già da molto prima dello scisma.

              Punto. Questi sono fatti. Possono non piacere ma è cosi. Perciò non c’è nessuna eresia in ciò che sta facendo Papa Francesco oggi.

            • Vincent Vega ha detto:

              Per Eques Fidus

              “citare il canone 8 di Nicea, riferendosi ad inesistenti divorziati “risposati” cattolici del IV secolo, vuol dire essere in malafede: infatti, i novaziani negavano le seconde nozze anche in caso di vedovanza di uno dei coniugi, pratica mai sostenuta dalla Cattolica (“finché morte non vi separi”). E’ ovvia tale condanna di tale pratica, piuttosto che l’ammissione di una sorta di “divorzio cattolico””

              Falso, cito da chiesa espresso

              “A proposito di quelli che si definiscono puri, qualora vogliono entrare nella Chiesa cattolica, questo santo e grande concilio stabilisce […] prima di ogni altra cosa che essi dichiarino apertamente, per iscritto, di accettare e seguire gli insegnamenti della Chiesa cattolica: e cioè essi entreranno in comunione sia con coloro che sono passati a seconde nozze, sia con coloro che hanno ceduto nella persecuzione, per i quali sono stabiliti il tempo e le circostanze della penitenza, così da seguire in ogni cosa le decisioni della Chiesa cattolica e apostolica”.

              I novaziani erano rigoristi, perciò non tolleravano che venisse ammesso alla Comunione chi aveva commesso peccati mortali, come puoi leggere anche qui https://books.google.it/books?id=GWxbCwAAQBAJ&pg=PR168&lpg=PR168&dq=i+novaziani+negano+la+comunione&source=bl&ots=S2YtC7vNyI&sig=r-PBRM1kwCwMSBPlHQtWQ_mTe64&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjP7K6l4KXMAhViD8AKHUddDEsQ6AEIIDAD#v=onepage&q=i%20novaziani%20negano%20la%20comunione&f=false .
              Ma un matrimonio dopo che ti era morto il coniuge non è mai stato peccato, nè veniale nè tantomeno mortale.

            • Vincent Vega ha detto:

              E li si parla di coloro che accedono a sexonde nozze dopo penitenza, il che implica che erano divorziati risposati, perché se fossero stati vedovi non gli sarebbe stata imposta nessuna penitenza.

              Perciò Eques, io non dubito della tua buona Fede, ma non diciamo balle, per favore.
              Se si è ststi misericordiosi a quei tempi a maggior ragione è bene esserlo oggi, in una società empia e secolarizzata come la nostra conta salvare più anime possibile, non attenersi ad un rigorismo disumano.

              • giuseppe ha detto:

                La tesi di Cereti è stata confutata dal Cardinale Brandmuller che oltre a essere un principe Pella Chiesa è un’anima mente considerato il più grande esperto al mondo di storia della Chiesa

                http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/divorziati-risposati-cosi-nella-chiesa-primitiva.aspx

                • Vincent Vega ha detto:

                  Guarda che lo stesso Ratzinger ha ammesso che i Padri della Chiesa hanno ammesso alla comunione i divorziati risposati. Prenditela con Ratzinger a questo punto.

                • Vincent Vega ha detto:

                  Ratzinger scrive

                  Più aderente alla realtà storica è stato Ratzinger, i in un suo scritto del 1998 ripubblicato il 30 novembre 2011 in più lingue su “L’Osservatore Romano”, che così riassume lo stato della questione secondo i più recenti studi:

                  “Si afferma che il magistero attuale si appoggerebbe solo su un filone della tradizione patristica, ma non su tutta l’eredità della Chiesa antica. Sebbene i Padri si attenessero chiaramente al principio dottrinale dell’indissolubilità del matrimonio, alcuni di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in riferimento a singole situazioni difficili. Su questo fondamento le Chiese orientali separate da Roma avrebbero sviluppato più tardi accanto al principio della akribìa, della fedeltà alla verità rivelata, quello della oikonomìa, della condiscendenza benevola in singole situazioni difficili. Senza rinunciare alla dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, essi permetterebbero in determinati casi un secondo e anche un terzo matrimonio, che d’altra parte è differente dal primo matrimonio sacramentale ed è segnato dal carattere della penitenza. Questa prassi non sarebbe mai stata condannata esplicitamente dalla Chiesa cattolica. Il sinodo dei vescovi del 1980 avrebbe suggerito di studiare a fondo questa tradizione, per far meglio risplendere la misericordia di Dio”.

                  • giuseppe ha detto:

                    Estrapolare una frase non rende giustizia al pensiero di Ratzinger,
                    ECCO IL TESTO COMPLETO

                     

                    A proposito di alcune obiezioni contro la dottrina della Chiesa
                    circa la recezione della Comunione eucaristica
                    da parte di fedeli divorziati risposati [1]

                    Joseph Card. Ratzinger

                     

                    La Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati del 14 settembre 1994 ha avuto una vivace eco in diverse parti della Chiesa. Accanto a molte reazioni positive si sono udite anche non poche voci critiche. Le obiezioni essenziali contro la dottrina e la prassi della Chiesa sono presentate qui di seguito in forma per altro semplificata.

                    Alcune obiezioni più significative – soprattutto il riferimento alla prassi ritenuta più flessibile dei Padri della Chiesa, che ispirerebbe la prassi delle Chiese orientali separate da Roma, così come il richiamo ai principi tradizionali dell’epicheia e della “aequitas canonica” – sono state studiate in modo approfondito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Gli articoli dei Professori Pelland, Marcuzzi e Rodriguez Luño[2] sono stati elaborati nel corso di questo studio. I risultati principali della ricerca, che indicano la direzione di una risposta alle obiezioni avanzate, saranno ugualmente qui brevemente riassunti.

                    1. Molti ritengono, adducendo alcuni passi del Nuovo Testamento, che la parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio permetta un’applicazione flessibile e non possa essere classificata in una categoria rigidamente giuridica.

                    Alcuni esegeti rilevano criticamente che il Magistero in relazione all’indissolubilità del matrimonio citerebbe quasi esclusivamente una sola pericope – e cioè Mc 10, 11-12 – e non considererebbe in modo sufficiente altri passi del Vangelo di Matteo e della 1a Lettera ai Corinzi. Questi passi biblici menzionerebbero una qualche “eccezione” alla parola del Signore sull’indissolubilità del matrimonio, e cioè nel caso di “porneia” (Mt 5, 32; 19, 9) e nel caso di separazione a motivo della fede (1 Cor 7, 12-16). Tali testi sarebbero indicazioni che i cristiani in situazioni difficili avrebbero conosciuto già nel tempo apostolico un’applicazione flessibile della parola di Gesù.

                    A questa obiezione si deve rispondere che i documenti magisteriali non intendono presentare in modo completo ed esaustivo i fondamenti biblici della dottrina sul matrimonio. Essi lasciano questo importante compito agli esperti competenti. Il Magistero sottolinea però che la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio deriva dalla fedeltà nei confronti della parola di Gesù. Gesù definisce chiaramente la prassi veterotestamentaria del divorzio come una conseguenza della durezza di cuore dell’uomo. Egli rinvia – al di là della legge – all’inizio della creazione, alla volontà del Creatore, e riassume il suo insegnamento con le parole: “L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10, 9). Con la venuta del Redentore il matrimonio viene quindi riportato alla sua forma originaria a partire dalla creazione e sottratto all’arbitrio umano – soprattutto all’arbitrio del marito, per la moglie infatti non vi era in realtà la possibilità del divorzio. La parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio è il superamento dell’antico ordine della legge nel nuovo ordine della fede e della grazia. Solo così il matrimonio può rendere pienamente giustizia alla vocazione di Dio all’amore ed alla dignità umana e divenire segno dell’alleanza di amore incondizionato di Dio, cioè “Sacramento” (cfr Ef 5, 32).

                    La possibilità di separazione, che Paolo prospetta in 1 Cor 7, riguarda matrimoni fra un coniuge cristiano ed uno non battezzato. La riflessione teologica successiva ha chiarito che solo i matrimoni tra battezzati sono “sacramento” nel senso stretto della parola e che l’indissolubilità assoluta vale solo per questi matrimoni che si collocano nell’ambito della fede in Cristo. Il cosiddetto “matrimonio naturale” ha la sua dignità a partire dall’ordine della creazione ed è pertanto orientato all’indissolubilità, ma può essere sciolto in determinate circostanze a motivo di un bene più alto – nel caso la fede. Così la sistematizzazione teologica ha classificato giuridicamente l’indicazione di San Paolo come “privilegium paulinum”, cioè come possibilità di sciogliere per il bene della fede un matrimonio non sacramentale. L’indissolubilità del matrimonio veramente sacramentale rimane salvaguardata; non si tratta quindi di una eccezione alla parola del Signore. Su questo ritorneremo più avanti.

                    A riguardo della retta comprensione delle clausole sulla “porneia” esiste una vasta letteratura con molte ipotesi diverse, anche contrastanti. Fra gli esegeti non vi è affatto unanimità su questa questione. Molti ritengono che si tratti qui di unioni matrimoniali invalide e non di eccezioni all’indissolubilità del matrimonio. In ogni caso la Chiesa non può edificare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche incerte. Essa deve attenersi all’insegnamento chiaro di Cristo.

                    2. Altri obiettano che la tradizione patristica lascerebbe spazio per una prassi più differenziata, che renderebbe meglio giustizia alle situazioni difficili; la Chiesa cattolica in proposito potrebbe imparare dal principio di “economia” delle Chiese orientali separate da Roma.

                    Si afferma che il Magistero attuale si appoggerebbe solo su di un filone della tradizione patristica, ma non su tutta l’eredità della Chiesa antica. Sebbene i Padri si attenessero chiaramente al principio dottrinale dell’indissolubilità del matrimonio, alcuni di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in riferimento a singole situazioni difficili. Su questo fondamento le Chiese orientali separate da Roma avrebbero sviluppato più tardi accanto al principio della “akribia”, della fedeltà alla verità rivelata, quello della “oikonomia”, della condiscendenza benevola in singole situazioni difficili. Senza rinunciare alla dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, essi permetterebbero in determinati casi un secondo ed anche un terzo matrimonio, che d’altra parte è differente dal primo matrimonio sacramentale ed è segnato dal carattere della penitenza. Questa prassi non sarebbe mai stata condannata esplicitamente dalla Chiesa cattolica. Il Sinodo dei Vescovi del 1980 avrebbe suggerito di studiare a fondo questa tradizione, per far meglio risplendere la misericordia di Dio.

                    Lo studio di Padre Pelland mostra la direzione, in cui si deve cercare la risposta a queste questioni. Per l’interpretazione dei singoli testi patristici resta naturalmente competente lo storico. A motivo della difficile situazione testuale le controversie anche in futuro non si placheranno. Dal punto di vista teologico si deve affermare:

                    a. Esiste un chiaro consenso dei Padri a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio. Poiché questa deriva dalla volontà del Signore, la chiesa non ha nessun potere in proposito. Proprio per questo il matrimonio cristiano fu fin dall’inizio diverso dal matrimonio della civiltà romana, anche se nei primi secoli non esisteva ancora nessun ordinamento canonico proprio. La Chiesa del tempo dei Padri esclude chiaramente divorzio e nuove nozze, e ciò per fedele obbedienza al Nuovo Testamento.

                    b. Nella Chiesa del tempo dei Padri i fedeli divorziati risposati non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra comunione dopo un tempo di penitenza. E’ vero invece che la Chiesa non ha sempre rigorosamente revocato in singoli paesi concessioni in materia, anche se esse erano qualificate come non compatibili con la dottrina e la disciplina. Sembra anche vero che singoli Padri, ad es. Leone Magno, cercarono soluzioni “pastorali” per rari casi limite.

                    c. In seguito si giunse a due sviluppi contrapposti:

                    – Nella Chiesa imperiale dopo Costantino si cercò, a seguito dell’intreccio sempre più forte di Stato e Chiesa, una maggiore flessibilità e disponibilità al compromesso in situazioni matrimoniali difficili. Fino alla riforma gregoriana una simile tendenza si manifestò anche nell’ambito gallico e germanico. Nelle Chiese orientali separate da Roma questo sviluppo continuò ulteriormente nel secondo millennio e condusse ad una prassi sempre più liberale. Oggi in molte Chiese orientali esiste una serie di motivazioni di divorzio, anzi già una “teologia del divorzio”, che non è in nessun modo conciliabile con le parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio. Nel dialogo ecumenico questo problema deve essere assolutamente affrontato.

                    – Nell’Occidente fu recuperata grazie alla riforma gregoriana la concezione originaria dei Padri. Questo sviluppo trovò in qualche modo una sanzione nel Concilio di Trento e fu riproposto come dottrina della Chiesa nel Concilio Vaticano II.

                    La prassi delle Chiese orientali separate da Roma, che è conseguenza di un processo storico complesso, di una interpretazione sempre più liberale – e che si allontanava sempre più dalla parola del Signore – di alcuni oscuri passi patristici così come di un non trascurabile influsso della legislazione civile, non può per motivi dottrinali essere assunta dalla Chiesa cattolica. Al riguardo non è esatta l’affermazione che la Chiesa cattolica avrebbe semplicemente tollerato la prassi orientale. Certamente Trento non ha pronunciato nessuna condanna formale. I canonisti medievali nondimeno ne parlavano continuamente come di una prassi abusiva. Inoltre vi sono testimonianze secondo cui gruppi di fedeli ortodossi, che divenivano cattolici, dovevano firmare una confessione di fede con un’indicazione espressa dell’impossibilità di un secondo matrimonio.

                    3. Molti propongono di permettere eccezioni dalla norma ecclesiale, sulla base dei tradizionali principi dell’epicheia e della aequitas canonica.

                    Alcuni casi matrimoniali, così si dice, non possono venire regolati in foro esterno. La Chiesa potrebbe non solo rinviare a norme giuridiche, ma dovrebbe anche rispettare e tollerare la coscienza dei singoli. Le dottrine tradizionali dell’epicheia e della aequitas canonica potrebbero giustificare dal punto di vista della teologia morale ovvero dal punto di vista giuridico una decisione della coscienza, che si allontani dalla norma generale. Soprattutto nella questione della recezione dei sacramenti la Chiesa dovrebbe qui fare dei passi avanti e non soltanto opporre ai fedeli dei divieti.

                    I due contributi di don Marcuzzi e del prof. Rodríguez Luño illustrano questa complessa problematica. In proposito si devono distinguere chiaramente tre ambiti di questioni:

                    a. Epicheia ed aequitas canonica sono di grande importanza nell’ambito delle norme umane e puramente ecclesiali, ma non possono essere applicate nell’ambito di norme, sulle quali la Chiesa non ha nessun potere discrezionale. L’indissolubilità del matrimonio è una di queste norme, che risalgono al Signore stesso e pertanto vengono designate come norme di “diritto divino”. La Chiesa non può neppure approvare pratiche pastorali – ad esempio nella pastorale dei Sacramenti -, che contraddirebbero il chiaro comandamento del Signore. In altre parole: se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione in nessuna circostanza può essere considerata come conforme al diritto, e pertanto per motivi intrinseci non è possibile una recezione dei sacramenti. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma.[3]

                    b. La Chiesa ha invece il potere di chiarire quali condizioni devono essere adempiute, perché un matrimonio possa essere considerato come indissolubile secondo l’insegnamento di Gesù. Nella linea delle affermazioni paoline in 1ª Cor 7 essa ha stabilito che solo due cristiani possano contrarre un matrimonio sacramentale. Essa ha sviluppato le figure giuridiche del “privilegium paulinum” e del “privilegium petrinum”. Con riferimento alle clausole sulla “porneia” in Matteo e in Atti 15, 20 furono formulati impedimenti matrimoniali. Inoltre furono individuati sempre più chiaramente motivi di nullità matrimoniale e furono ampiamente sviluppate le procedure processuali. Tutto questo contribuì a delimitare e precisare il concetto di matrimonio indissolubile. Si potrebbe dire che in questo modo anche nella Chiesa occidentale fu dato spazio al principio della “oikonomia”, senza toccare tuttavia l’indissolubilità del matrimonio come tale.

                    In questa linea si colloca anche l’ulteriore sviluppo giuridico nel Codice di Diritto Canonico del 1983, secondo il quale anche le dichiarazioni delle parti hanno forza probante. Di per se, secondo il giudizio di persone competenti, sembrano così praticamente esclusi i casi, in cui un matrimonio invalido non sia dimostrabile come tale per via processuale. Poiché il matrimonio ha essenzialmente un carattere pubblico-ecclesiale e vale il principio fondamentale “Nemo iudex in propria causa” (“Nessuno è giudice nella propria causa”), le questioni matrimoniali devono essere risolte in foro esterno. Qualora fedeli divorziati risposati ritengano che il loro precedente matrimonio non era mai stato valido, essi sono pertanto obbligati a rivolgersi al competente tribunale ecclesiastico, che dovrà esaminare il problema obiettivamente e con l’applicazione di tutte le possibilità giuridicamente disponibili.

                    c. Certamente non è escluso che in processi matrimoniali intervengano errori. In alcune parti della Chiesa non esistono ancora tribunali ecclesiastici che funzionino bene. Talora i processi durano in modo eccessivamente lungo. In alcuni casi terminano con sentenze problematiche. Non sembra qui in linea di principio esclusa l’applicazione della epicheia in “foro interno”. Nella Letteradella Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994 si fa cenno a questo, quando viene detto che con le nuove vie canoniche dovrebbe essere escluso “per quanto possibile” ogni divario tra la verità verificabile nel processo e la verità oggettiva (cfr Lettera 9). Molti teologi sono dell’opinione che i fedeli debbano assolutamente attenersi anche in “foro interno” ai giudizi del tribunale a loro parere falsi. Altri ritengono che qui in “foro interno” sono pensabili delle eccezioni, perché nell’ordinamento processuale non si tratta di norme di diritto divino, ma di norme di diritto ecclesiale. Questa questione esige però ulteriori studi e chiarificazioni. Dovrebbero infatti essere chiarite in modo molto preciso le condizioni per il verificarsi di una “eccezione”, allo scopo di evitare arbitri e di proteggere il carattere pubblico – sottratto al giudizio soggettivo – del matrimonio.

                    4. Molti accusano l’attuale Magistero di involuzione rispetto al Magistero del Concilio e di proporre una visione preconciliare del matrimonio.

                    Alcuni teologi affermano che alla base dei nuovi documenti magisteriali sulle questioni del matrimonio starebbe una concezione naturalistica, legalistica del matrimonio. L’accento sarebbe posto sul contratto fra gli sposi e sullo “ius in corpus”. Il Concilio avrebbe superato questa comprensione statica e descritto il matrimonio in un modo più personalistico come patto di amore e di vita. Così avrebbe aperto possibilità per risolvere in modo più umano situazioni difficili. Sviluppando questa linea di pensiero alcuni studiosi pongono la domanda se non si possa parlare di “morte del matrimonio”, quando il legame personale dell’amore fra due sposi non esiste più. Altri sollevano l’antica questione se il Papa non abbia in tali casi la possibilità di sciogliere il matrimonio.

                    Chi però legga attentamente i recenti pronunciamenti ecclesiastici riconoscerà che essi nelle affermazioni centrali si fondano su “Gaudium et spes” e con tratti totalmente personalistici sviluppano ulteriormente sulla traccia indicata dal Concilio la dottrina ivi contenuta. E’ tuttavia inadeguato introdurre una contrapposizione fra la visione personalistica e quella giuridica del matrimonio. Il Concilio non ha rotto con la concezione tradizionale del matrimonio, ma l’ha sviluppata ulteriormente. Quando ad esempio si ripete continuamente che il Concilio ha sostituito il concetto strettamente giuridico di “contratto” con il concetto più ampio e teologicamente più profondo di “patto”, non si può dimenticare in proposito che anche nel “patto” è contenuto l’elemento del “contratto” pur essendo collocato in una prospettiva più ampia. Che il matrimonio vada molto al di là dell’aspetto puramente giuridico affondando nella profondità dell’umano e nel mistero del divino, è già in realtà sempre stato affermato con la parola “sacramento”, ma certamente spesso non è stato messo in luce con la chiarezza che il Concilio ha dato a questi aspetti. Il diritto non è tutto, ma è una parte irrinunciabile, una dimensione del tutto. Non esiste un matrimonio senza normativa giuridica, che lo inserisce in un insieme globale di società e Chiesa. Se il riordinamento del diritto dopo il Concilio tocca anche l’ambito del matrimonio, allora questo non è tradimento del Concilio, ma esecuzione del suo compito.

                    Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio è morto, quando i due coniugi non si amano più, allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l’indissolubilità del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non più in modo fattuale. L’opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea. Un tale matrimonio non può essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedeltà fino alla morte.

                    Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti – battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio – veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è “ipso facto” un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale “valido” fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cfr CIC, can. 1055, § 2). All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di “non fede” abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi.[4]

                    5. Molti affermano che l’atteggiamento della Chiesa nella questione dei fedeli divorziati risposati è unilateralmente normativo e non pastorale.

                    Una serie di obiezioni critiche contro la dottrina e la prassi della Chiesa concerne problemi di carattere pastorale. Si dice ad esempio che il linguaggio dei documenti ecclesiali sarebbe troppo legalistico, che la durezza della legge prevarrebbe sulla comprensione per situazioni umane drammatiche. L’uomo di oggi non potrebbe più comprendere tale linguaggio. Gesù avrebbe avuto un orecchio disponibile per le necessità di tutti gli uomini, soprattutto per quelli al margine della società. La Chiesa al contrario si mostrerebbe piuttosto come un giudice, che esclude dai sacramenti e da certi incarichi pubblici persone ferite.

                    Si può senz’altro ammettere che le forme espressive del Magistero ecclesiale talvolta non appaiano proprio come facilmente comprensibili. Queste devono essere tradotte dai predicatori e dai catechisti in un linguaggio, che corrisponda alle diverse persone e al loro rispettivo ambiente culturale. Il contenuto essenziale del Magistero ecclesiale in proposito deve però essere mantenuto. Non può essere annacquato per supposti motivi pastorali, perché esso trasmette la verità rivelata. Certamente è difficile rendere comprensibili all’uomo secolarizzato le esigenze del Vangelo. Ma questa difficoltà pastorale non può condurre a compromessi con la verità. Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica “Veritatis splendor” ha chiaramente respinto le soluzioni cosiddette “pastorali”, che si pongono in contrasto con le dichiarazioni del Magistero (cfribid. 56).

                    Per quanto riguarda la posizione del Magistero sul problema dei fedeli divorziati risposati, si deve inoltre sottolineare che i recenti documenti della Chiesa uniscono in modo molto equilibrato le esigenze della verità con quelle della carità. Se in passato nella presentazione della verità talvolta la carità forse non risplendeva abbastanza, oggi è invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la verità in nome della carità. Certamente la parola della verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. “Allora conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32).

                    [1] Questo testo riprende la terza parte della Introduzione del Cardinale Joseph Ratzinger al numero 17 della Collana “Documenti e Studi”, diretta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati, LEV, Città del Vaticano 1998, p. 20-29. Le note sono state aggiunte.

                    [2] Cf. Angel Rodríguez Luño, L’epicheia nella cura pastorale dei fedeli divorziati risposati, ibid., p. 75-87; Piero Giorgio Marcuzzi, S.D.B., Applicazione di “aequitas et epikeia” ai contenuti della Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 14 settembre 1994, ibid., p. 88-98; Gilles Pelland, S.J., La pratica della Chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposati, ibid., p. 99-131.

                    [3] A tale riguardo vale la norma ribadita da Giovanni Paolo II nella Esortazione apostolica postsinodale “Familiaris consortio”, n. 84: “La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi.” Cfr. anche Benedetto XVI, Esortazione apostolica postsinodale “Sacramentum caritatis”, n. 29.

                    [4] Durante un incontro con il clero della Diocesi di Aosta, svoltosi il 25 luglio 2005, Papa Benedetto XVI ha affermato in merito a questa difficile questione: “particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. ”

                     

              • EquesFidus ha detto:

                Rigorismo? Ma che accidenti stai dicendo? Guarda, la smetto qui; pentiti e convertiti, te lo ordino in nome di Cristo!

                • Q.B. ha detto:

                  @EF
                  Eques, purtroppo VV é un esempio del disorientamento che si vive nella Chiesa da tempo. Tutto é opinabile e la verità me la costruisco io in un patchwork si citazioni a tesi pescate dove mi conviene. Persino un’intervista può divenire fonte della rivelazione se utile. É un procedere dolorosamente non cattolico. Dopo avere esposto il tuo ammonimento credo non ti si potrà imputare alcun peccato di omissione. Il resto credo sia da lasciar nelle mani della Provvidenza.

  • Vincent Vega ha detto:

    ROMA, 31 gennaio 2014 – A metà febbraio i cardinali e vescovi del consiglio della segreteria del sinodo si riuniranno per valutare le risposte al questionario distribuito in ottobre in tutto il mondo.

    Il sinodo ha per tema “le sfide pastorali sulla famiglia” e si terrà a Roma dal 5 al 19 ottobre. Fra le trentanove domande del questionario, cinque riguardano i cattolici divorziati e passati a seconde nozze, e la loro impossibilità di ricevere i sacramenti dell’eucaristia e della riconciliazione.

    Su questo punto la discussione è molto vivace e le pressioni per ammettere alla comunione i divorziati risposati sono molto forti nell’opinione pubblica, con il sostegno di vescovi e cardinali di spicco.

    Oggi infatti, nella Chiesa cattolica, l’unica via per essere ammessi alla comunione eucaristica, da parte dei divorziati risposati che restano fermi nel loro secondo matrimonio, è l’accertamento della nullità del precedente matrimonio celebrato in chiesa.

    La nullità può essere ricondotta a numerose cause e i tribunali ecclesiastici sono generalmente comprensivi nel risolvere per questa via casi matrimoniali anche difficili.

    Ma i tribunali ecclesiastici sono impossibilitati a far fronte al gran numero dei matrimoni in sospetto di invalidità. A detta di papa Francesco – che ha citato in proposito l’arcivescovo di Buenos Aires suo predecessore – i matrimoni nulli potrebbero essere addirittura “la metà” di quelli celebrati in chiesa, perché celebrati “senza maturità, senza accorgersi che è per tutta la vita, per convenienza sociale”.

    La gran parte di questi matrimoni invalidi neppure viene sottoposta al giudizio dei tribunali ecclesiastici. Non solo. I tribunali ecclesiastici esistono e funzionano solo in alcuni paesi, mentre ne sono prive ampie regioni dell’Africa, dell’Asia e della stessa America latina. In alcune aree di recente evangelizzazione il matrimonio monogamico e indissolubile neppure è stato ancora accettato dal comune sentire cattolico, in un persistente contesto di unioni instabili o di poligamia.

    Su questo sfondo, come ovviare all’impossibilità di risolvere per via giudiziale il gran numero dei passaggi a seconde nozze?

    Joseph Ratzinger, sia da cardinale che da papa, aveva più volte affacciato l’ipotesi di consentire l’accesso alla comunione ai divorziati risposati “giunti alla motivata convinzione di coscienza circa la nullità del loro primo matrimonio ma impossibilitati di provare tale nullità per via giudiziale”.

    Benedetto XVI avvertiva che “il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito”.

    Intanto, però, l’accesso spontaneo dei divorziati risposati alla comunione è diventato una prassi diffusa, tollerata da preti e vescovi, anzi, qua e là incoraggiata e ufficializzata, come nella diocesi tedesca di Friburgo. Col rischio di scaricare tutto sulla coscienza del singolo e di accrescere la distanza tra la visione alta ed esigente del matrimonio quale appare nei Vangeli e la vita pratica di numerosi fedeli.

    In questa fase di avvicinamento al sinodo sulla famiglia, papa Francesco ha dato spazio a un confronto tra posizioni diverse se non opposte, contribuendo lui stesso a generare l’attesa di “aperture”.

    Da un lato ha voluto la pubblicazione in sette lingue su “L’Osservatore Romano” del 23 ottobre di una nota del prefetto della congregazione per la dottrina della fede Gerhard L. Müller molto rigorosa nel riaffermare la “santità” indissolubile del matrimonio cristiano e nel respingere “un adeguamento allo spirito dei tempi” quale sarebbe la concessione della comunione ai divorziati risposati sulla base semplicemente delle loro scelte di coscienza.

    Dall’altro lato il papa ha lasciato che vescovi e cardinali – anche di sua conclamata fiducia, come Reinhard Marx e Óscar Rodríguez Maradiaga – si esprimessero pubblicamente contro Müller e a favore di un superamento del divieto della comunione.

    I fautori del cambiamento, quando esplicitano la loro posizione, fanno affidamento da ultimo sulla coscienza dei singoli.

    Ma è la coscienza l’unica via di soluzione al problema dei divorziati risposati?

    Stando a quanto accadeva nei primi secoli del cristianesimo, no. La soluzione era allora un’altra.

    *

    A richiamare recentemente l’attenzione su come la Chiesa dei primi secoli affrontò la questione dei divorziati risposati è un sacerdote di Genova, Giovanni Cereti, studioso di patristica e di ecumenismo, oltre che per più di trent’anni assistente del movimento di spiritualità coniugale delle Equipes Notre-Dame.

    Cereti ha ristampato pochi mesi fa un suo dotto studio pubblicato la prima volta nel 1977 e riedito nel 1998, dal titolo: “Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva”.

    La chiave di volta di questo studio – ricchissimo di riferimenti ai Padri della Chiesa alle prese col problema delle seconde nozze – è il canone 8 del concilio di Nicea del 325, il primo dei grandi concili ecumenici della Chiesa, la cui autorità è stata sempre riconosciuta da tutti i cristiani.

    Il canone 8 del concilio di Nicea dice:

    “A proposito di quelli che si definiscono puri, qualora vogliono entrare nella Chiesa cattolica, questo santo e grande concilio stabilisce […] prima di ogni altra cosa che essi dichiarino apertamente, per iscritto, di accettare e seguire gli insegnamenti della Chiesa cattolica: e cioè essi entreranno in comunione sia con coloro che sono passati a seconde nozze, sia con coloro che hanno ceduto nella persecuzione, per i quali sono stabiliti il tempo e le circostanze della penitenza, così da seguire in ogni cosa le decisioni della Chiesa cattolica e apostolica”.

    I “puri” al quale il canone si riferisce sono i novaziani, i rigoristi dell’epoca, intransigenti fino alla definitiva rottura sia con gli adulteri risposati sia con chi aveva apostatato per aver salva la vita, anche se si erano poi pentiti, erano stati sottoposti alla penitenza ed erano stati assolti dal loro peccato.

    Esigendo dai novazioni, per essere riammessi nella Chiesa, di “entrare in comunione” con queste categorie di persone, il concilio di Nicea ribadiva dunque il potere della Chiesa di perdonare qualsiasi peccato e di riaccogliere nella piena comunione anche i “digami”, cioè gli adulteri risposati, e gli apostati.

    Da allora, riguardo ai divorziati risposati, nella cristianità hanno convissuto due tendenze, una più rigorista e una più disposta al perdono. Nel secondo millennio, nella Chiesa di Roma si è imposta la prima. Ma in precedenza per molti secoli anche in Occidente ha avuto spazio la prassi del perdono.

    Il neocardinale Müller, nella sua nota su “L’Osservatore Romano”, scrive che “nell’epoca patristica i credenti separati che si erano risposati civilmente non venivano riammessi ai sacramenti nemmeno dopo un periodo di penitenza”. Ma subito dopo riconosce che “a volte sono state cercate soluzioni pastorali per rarissimi casi limite”.

    Più aderente alla realtà storica è stato Ratzinger, i in un suo scritto del 1998 ripubblicato il 30 novembre 2011 in più lingue su “L’Osservatore Romano”, che così riassume lo stato della questione secondo i più recenti studi:

    “Si afferma che il magistero attuale si appoggerebbe solo su un filone della tradizione patristica, ma non su tutta l’eredità della Chiesa antica. Sebbene i Padri si attenessero chiaramente al principio dottrinale dell’indissolubilità del matrimonio, alcuni di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in riferimento a singole situazioni difficili. Su questo fondamento le Chiese orientali separate da Roma avrebbero sviluppato più tardi accanto al principio della akribìa, della fedeltà alla verità rivelata, quello della oikonomìa, della condiscendenza benevola in singole situazioni difficili. Senza rinunciare alla dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, essi permetterebbero in determinati casi un secondo e anche un terzo matrimonio, che d’altra parte è differente dal primo matrimonio sacramentale ed è segnato dal carattere della penitenza. Questa prassi non sarebbe mai stata condannata esplicitamente dalla Chiesa cattolica. Il sinodo dei vescovi del 1980 avrebbe suggerito di studiare a fondo questa tradizione, per far meglio risplendere la misericordia di Dio”.

    Più avanti, in questo stesso scritto, Ratzinger indica in san Leone Magno e in altri Padri della Chiesa coloro che “cercarono soluzioni pastorali per rari casi limite” e riconosce che “nella Chiesa imperiale dopo Costantino si cercò una maggiore disponibilità al compromesso in situazioni matrimoniali difficili”.

    Il concilio ecumenico di Nicea fu convocato infatti proprio da Costantino e il suo canone 8 espresse proprio questo orientamento.

    Va anche precisato che in quel periodo i passati a seconde nozze che venivano riammessi nella comunione della Chiesa restavano assieme al nuovo coniuge.

    In Occidente, nei secoli successivi, il periodo penitenziale che precedeva la riammissione all’eucaristia, inizialmente breve, si prolungò man mano fino a diventare permanente, mentre in Oriente ciò non avvenne.

    Furono i tribunali ecclesiastici, in Occidente nel secondo millennio, ad affrontare e risolvere i “casi limite” di seconde nozze, accertando la nullità del precedente matrimonio. Ma con ciò cancellando la conversione e la penitenza.

    Oggi coloro che, come Giovanni Cereti, richiamano l’attenzione sulla prassi della Chiesa dei primi secoli, propongono il ritorno a un sistema penitenziale simile a quello allora adottato, e tuttora conservato in una certa forma nelle Chiese d’Oriente.

    Estendendo il potere della Chiesa di assolvere tutti i peccati anche a chi ha rotto il primo matrimonio ed è entrato in una seconda unione, si aprirebbe la strada – sostengono – a “una maggiore valorizzazione del sacramento della riconciliazione” e a “un ritorno alla fede di molti che oggi si sentono esclusi dalla comunione ecclesiale”.

    Punto. Contra facta nihil valet argumenta.

    • giuseppe ha detto:

      In previsione del prossimo Sinodo dei vescovi, la discussione sulla posizione dei divorziati risposati all’interno della comunità della Chiesa ha acquistato nuova urgenza. In tale contesto vengono citate una serie di testimonianze dell’era patristica che deporrebbero a favore di una ammissione di questo gruppo di persone all’Eucaristia. Ciò avviene soprattutto in un’opera di Giovanni Cereti, un sacerdote della diocesi di Genova che ha studiato patristica e teologia ecumenica e continua tutt’oggi a lavorare in questi campi.

      Con il suo libro Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva, del 1977 (riedito da Aracne nel 2013), Cereti intende perseguire un interesse ecumenico e pastorale: il riconoscimento delle seconde nozze dei divorziati da parte della Chiesa e il loro accesso alla comunione eucaristica. Egli ritiene che ciò sia stato una prassi già nella Chiesa primitiva. Pare che la riedizione del 2013 da parte di Aracne del volume sia stata intrapresa proprio in occasione del Sinodo dei vescovi, che si terrà in Vaticano nell’ottobre del 2014.

      La tesi di fondo di Cereti è tuttavia insostenibile. Sebbene alcuni Padri abbiano manifestato una certa tolleranza in riferimento a singole situazioni difficili, né nell’Occidente, né nell’Oriente si può però parlare di un regolare riconoscimento delle seconde nozze dopo il divorzio e di una ammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati. Nonostante gli Ortodossi riconoscano oggi un secondo e un terzo matrimonio di penitenza, si deve tener presente che nella Chiesa primitiva la possibilità di accedere a nuove nozze si verificava unicamente per i vedovi e non nel caso del matrimonio dopo un divorzio.

      Cereti chiede molto suggestivamente che lo sguardo sulla Chiesa primitiva si liberi dalla severa prassi odierna, la quale non consente una riammissione dei divorziati risposati all’eucaristia. Nella Chiesa primitiva si parlava spesso di seconde e terze nozze e, secondo Cereti, con ciò si intendevano le nozze dopo un precedente divorzio. Certamente, è davvero necessario liberarsi della visione odierna nel guardare all’antichità: dobbiamo però stare bene attenti a non proiettare sulla Chiesa primitiva la disinvoltura con la quale la società odierna accetta il divorzio e le seconde nozze. Già l’antichità precristiana trattava il divorzio e le seconde nozze in modo molto restrittivo. Non si può assolutamente parlare nell’epoca dei Padri di una prassi generale di divorzio e di nuove nozze.

      Un secondo matrimonio simultaneo, cioè contratto mentre era in vita il primo coniuge, veniva considerato come un adulterio perpetuo e mai era preso in considerazione come una scelta cristiana. Non risulta nessuna iniziativa dei Padri per regolare pastoralmente un tale matrimonio. Solo la separazione poteva essere, eventualmente, permessa. Quando invece nei testi ecclesiastici si parla di seconde, terze o quarte nozze, si intendono le nozze dei vedovi. Se ne parlava perché erano permesse, ma non viste di buon occhio. Dove i Padri o i Sinodi parlano di un divorzio permesso o addirittura dovuto, Cereti ne deduce inoltre il diritto dirisposarsi mentre il coniuge è ancora in vita, ma da nessuna parte esiste una prova di ciò. Divorzio e seconde nozze sono due realtà completamente distinte. La separazione e l’adulterio venivano sanzionati e non si poteva affatto parlare di un permesso per un secondo matrimonio contratto durante la vita del primo coniuge.

      Cereti ritiene che i Sinodi del quarto secolo, che riammettevano nella Chiesa i digamoi (coloro che contraevano un secondo matrimonio) dopo un periodo di penitenza, intendevano con ciò sia il caso delle seconde nozze simultanee (un secondo matrimonio mentre il primo coniuge è in vita) che di quelle successive (un secondo matrimonio dopo la morte del primo coniuge). In tal senso anche i divorziati risposati avrebbero potuto essere ammessi all’Eucaristia. Addirittura il Concilio ecumenico di Nicea (can. 8) lo avrebbe considerato un’ovvietà. In realtà, in nessun Padre della Chiesa si può trovare un riferimento alla parola digamoi nel senso di un’equiparazione tra le seconde nozze simultanee e quelle successive dei vedovi.

      A maggior ragione nessun testo sinodale, che di per sé esigeva chiarezza giuridica, avrebbe mai potuto intendere con digamoi sia le seconde nozze simultanee che quelle successive. Con ciò si sarebbero messe sullo stesso livello le seconde nozze simultanee, che risultano sempre da un adulterio, con le seconde nozze successive dei vedovi, che venivano considerate dalla maggioranza dei Padri come indesiderate, ma non peccaminose.

      A favore di una simile interpretazione del termine digamoi da parte dei Sinodi depone anche il canone 19 del Sinodo di Ancira (314), il quale prevedeva che chi infrange il voto di verginità doveva sottoporsi alla disciplina (penitenziale) dei digamoi. Infine, il Sinodo di Laodicea, nella seconda metà del quarto secolo, disponeva che ai digamoi che avessero celebrato un secondo matrimonio in modo libero e formale, e non in segreto, venisse imposto solo un breve tempo di penitenza.

      Ma anche qui si tratta dei digamoi nel senso delle seconde nozze dei vedovi. Come risulta da quanto sinteticamente sopra esposto (ma criticamente documentato in modo più ampio e adeguato in altra sede: cfr. W. Brandmüller, Den Vätern ging es um die Witwen, “Die Tagespost”, 27 febbraio 2014, p. 7; H. Crouzel, S.J., L’Église primitive face au divorce: du premier au cinquième siècle, Paris 1971; G. Pelland, S.J., La pratica della Chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposati, in: Congregazione per la dottrina della fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi, LEV, Città del Vaticano 2010, pp. 99-131), un’interpretazione dei testi che voglia seguire correttamente le esigenze del metodo storico-critico, non permette di trarre le conclusioni alle quali Cereti arriva. Inoltre non pare superfluo ricordare che solo un consensus Patrum, un insegnamento consensuale dei Padri – e non una scelta arbitraria di testi – può pretendere di possedere autorità dottrinale e quindi avere valore probante in vista di una nuova prassi pastorale. Va infine ricordato che lo Spirito guida la Chiesa nella verità tutta intera (cfr.Gv 16,13). Ciò comporta che la Chiesa avanza in una comprensione sempre più approfondita della verità. Poiché d’altra parte lo Spirito Santo nel percorso della storia non può contraddirsi, ogni successiva acquisizione non può contraddire le precedenti.

      Walter Brandmüller

      • Vincent Vega ha detto:

        Falso. Ci sono state riammissioni dei divorziati risposati già molto prima dello scisma con gli ortodossi, come ha ammesso lo stesso Ratzinger http://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=72411228#entry591230916

        • giuseppe ha detto:

          Come ti permetti, e soprattutto con quale autorità di affermare che è falso ciò che scrive il cardinale Brandmuller che è la massima autorità mondiale sulla Soria della Chiesa? Ora stai superando ogni limite. I forum dilettanteschi non contano nulla dinanzi a un gigante della s iena storica come Brandmuller

          • EquesFidus ha detto:

            Soprattutto, è bello notare questo archeologismo, che pure è un’eresia: esistono fior fiore di documenti, prodotti negli ultimi secoli (ma non solo) che sanciscono inequivocabilmente la indissolubilità matrimoniale. E, siccome il Magistero non è a scadenza ed un documento magisteriale vale più dell’opinione (da contestualizzare, sono sicuro che Gregorio Nazianzeno non intendesse divorziati “risposati” ma vedovi, per esempio) di un santo, ne consegue che di pronunciamenti dottrinali ce ne sono a bizzeffe. Quindi, sostenere che il matrimonio cristiano (cioè indissolubile) è un semplice “ideale” che se c’è oppure no è la stessa cosa è un’eresia, e dare la Santa Comunione ai divorziati “risposati” è un sacrilegio. Questo è; e a me non frega nulla di certe opinioni riguardo al “cristianesimo delle origini”, che sono state giustamente contestate da chi ha l’autorità e la conoscenza per farlo. Figurati se me ne frega qualcosa di quattro dilettanti o dell’opinione di qualche ultramodernista come Kasper (criticato e smontato punto per punto nel suddetto libro, peraltro, il quale riporta anche tutti i pronunciamenti magisteriali recenti sulla questione).

  • lorenzo ha detto:

    Sta scritto: “chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”.

    Domanda: commette adulterio chi, regolarmente sposato, ha volontari rapporti sessuali col coniuge immaginando di averli con un’altra persona o chi subisce divorzio e successivo matrimonio e, costretto a rapporti sessuali controvoglia, sogna di averli col coniuge del primo matrimonio?