La conversione della filosofa Jordan Monge: «ho trovato la fede all’università di Harvard»

JordanMongeLa spiritualità e l’agiografia cristiana sono ricche di esempi di conversioni o di radicalizzazioni di una fede tiepida, a volte per diretto intervento soprannaturale (p.es. san Paolo), per l’incontro con sofferenze e ingiustizie sociali (come sembra esser stato per san Francesco), altre volte grazie alla maturazione di un’intelligenza inquieta (p.es. sant’Agostino, e in epoca contemporanea Anthony Flew), oppure dall’aver sperimentato l’effimera vanità dei piaceri della vita (p.es. sant’Ignazio).

Negli Stati Uniti da qualche anno ha una certa visibilità il caso della filosofa e divulgatrice Jordan Monge che, come racconta lei stessa, da un passato di ateismo si è convertita alla fede cristiana divenendo molto attiva tramite pubblicazioni cartacee e online. Dopo un’adolescenza da militante dell’ateismo, le cose cambiarono in età universitaria, ad Harvard (il cui motto è veritas). Lì ha incontrato uno studente cristiano, John Joseph Porter, col quale si trovò a discuteva cordialmente, andando oltre il “ci vuole fede” (in perfetta linea col sola fide luterano), risposta che la Monge giudicava “codardia intellettuale”. Ed invece, racconta,  ad esempio «mi ha spronato a pensare alla mia incoerenza, da atea, quando gli rinfacciavo ciò che era giusto e sbagliato, abbracciando categorie universali».

Il primo passaggio di Monge (www.jordanmonge.comfu spostarsi su posizioni deiste: «il giorno di San Valentino», ha ricordato, «ho cominciato a credere in Dio. Non c’era nessuna vergogna intellettuale nell’essere deista, dopo tutto ero nelle fila di persone rispettabili come Thomas Jefferson e altri padri fondatori», modificando anche le sue riflessioni a livello filosofico e scientifico. Ma questa fase durò poco e presto intuì che la croce del sacrificio di Cristo non era “un grottesco simbolo di divino sadismo” ma “un significativo atto d’amore”, rimedio di mali e peccati dell’umanità. «La Croce sembrava non più soltanto un simbolo di amore, ma la risposta ad un bisogno incurabile. Quando ho letto per la prima volta la scena della crocifissione nel Vangelo di Giovanni mi sono ritrovata in lacrime».

Il bisogno di approfondire l’ha spinta  così a «divorare libri apologetici da diverse prospettive. Ho letto il Corano e “L’Illusione di Dio” di Richard Dawkins, ma nulla in confronto alla ricca tradizione cristiana dell’intelletto. Avevo litigato con i miei coetanei ma non avevo mai studiato le opere dei maestri: Agostino, Anselmo, Aquino, Cartesio, Kant, Pascal, e Lewis. Quando l’ho finalmente fatto, l’unica cosa ragionevole è stata quella di credere nella morte e risurrezione di Gesù Cristo». Ma, altro passaggio bellissimo, «se volevo continuare questa indagine non potevo lasciare che fosse soltanto un mero viaggio intellettuale».

Per questo, la giovane filosofia ha chiesto il battesimo cattolico nella Pasqua del 2009, comprendendo che «Dio si rivela attraverso le scritture, la preghiera, gli amici, e la tradizione cristiana». Un cammino sinergico di fede e ragione che è una perfetta incarnazione dell’incipit della Fides et Ratio (Giovanni Paolo II, 1998): “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità”. Significativa la frase che Jordan Monge ha usato per sintetizzare il suo percorso: «Venni a Harvard cercando la verità. Invece, questa ha trovato me».

Roberto Reggi

5 commenti a La conversione della filosofa Jordan Monge: «ho trovato la fede all’università di Harvard»

  • pipita ha detto:

    Non si cita, nell’articolo, perché secondo “la giovane filosofia” l’unica cosa ragionevole non è solo credere in Dio ma in Gesù. Prima si dice che è l’unica cosa ragionevole poi si dice che non è un mero viaggio intellettuale. Si intende dire che affinché diventi l’unica cosa ragionevole l’intelletto non basta? Allora nemmeno la ragione basta, se intelletto e ragione sono termini equivalenti. Anche la ragione è insufficiente. Ma quello che la ragione non arriva a capire da cosa è reso ragionevole?

    • Luigi ha detto:

      Da un altrimenti che razionale che non è irrazionale, ma che tende alla Verità con il cammino della testimonianza. Nulla però di geometrico o scientificamente misurato, ma come l’aprirsi di un senso nell’orizzonte di una chiamata che conosce il nostro, di ognuno di noi, misterioso nome…

      • pipita ha detto:

        Stai dicendo che “non irrazionale” è identico ad “altrimenti che (=non) razionale”. Potresti specificare meglio questa doppia valenza della razionalità e/o dell’irrazionalità?

  • beppino ha detto:

    ricca tradizione cristiana dell’intelletto…

    Ci vuole un po’ di tempo, disponibilità e mente aperta. Ma quando si arriva a leggere i “grandi calibri” del cristianesimo, e del cattolicesimo in particolare, é difficile non accorgersi che la prospettiva cambia enormemente come enorme é l’arricchimento che si riceve.

  • Rick ha detto:

    Che bella testimonianza, speriamo che sia da esempio per molti (anche per noi credenti che spesso ci dimentichiamo dei grandi classici del nostro pensiero)