Crescita non equilibrata se al bambino manca la figura paterna

CoppiaUn tribunale inglese si è pronunciato su due bambine avute da un donatore di sperma omosessuale, cresciute con la madre biologica e la compagna. Le bambine hanno vissuto sballottate tra le due donne e il padre biologico unito al suo compagno, fino a quando i rapporti tra i quattro adulti si sono rotti. Ogni coppia voleva le bambine per sé.

La sentenza le ha affidate alle due donne sostenendo però che i due uomini debbano avere una relazione seppur minima con le bambine «perché è necessario per ogni bambino avere durante la crescita rapporti anche con figure maschili e non soltanto femminili. C’è un vuoto esistenziale nelle bambine», si legge nella sentenza, «che è dovuta alla mancanza di una relazione significativa con figure maschili».

Al di là delle macabre vicissitudini nelle quali sono costretti a passare i bambini nati in provetta e affidati a coppie omosessuali, occorre sottolineare l’ammissione degli esperti del tribunale inglese: l’assenza della figura paterna nella crescita di un bambino (e lo stesso vale, ovviamente, per l’assenza materna), compresi i casi di divorzio dei genitori, è causa di grosse difficoltà di crescita. Tema fondamentale sopratutto in questo periodo dove si parla esclusivamente dell’importanza della madre, quasi che l’omogenitorialità femminile fosse migliore o più accettabile di quella di due papà gay.

Due eminenti criminologi americani, Michael Gottfredson e Travis Hirschi, hanno ad esempio scritto che «la percentuale della popolazione divorziata, la percentuale di famiglie dirette da donne e la percentuale di individui senza legami all’interno della comunità sono tra i più potenti predittori dei tassi di criminalità». Ovvero, come ha mostrato il prof. W. Bradford Wilcox, docente di Sociologia presso l’Università della Virginia, questi bambini hanno «quasi il doppio delle probabilità di finire delinquente rispetto ai ragazzi che hanno buoni rapporti con il padre». Anche il sociologo David Popenoe, della Rutgers University, ha osservato che «i padri sono importanti per i loro figli come modelli di ruolo. Essi contribuiscono a mantenere l’autorità e la disciplina. E sono importanti per aiutare i loro figli a sviluppare sia l’autocontrollo che sentimenti di empatia verso gli altri»«Uomini e donne portano la diversità nella genitorialità», ha spiegato la psicologa americana Trayce Hansen, «ciascuno da un contributo prezioso per l’allevamento dei figli che non può essere replicato dagli altri: madri e padri semplicemente non sono intercambiabili, due donne possono essere entrambe buone madri, ma non possono essere un buon padre. L’amore materno e quello paterno, anche se ugualmente importanti, sono qualitativamente diversi: ciascuna di queste forme di amore senza l’altra può essere problematica, perché ciò che un bambino ha bisogno è l’equilibrio complementare che i due tipi di amore dei genitori forniscono».

Daniel Paquette, docente di Psicologia presso l’Università di Montreal, ha rilevato che «i padri svolgono un ruolo particolarmente importante nello sviluppo di apertura dei bambini per il mondo. Tendono ad incoraggiare i bambini a correre dei rischi, mentre allo stesso tempo garantiscono la loro sicurezza, permettendo così ai bambini ad imparare ad essere più coraggiosi in situazioni non familiari, nonché di stare in piedi da soli». A causa della predisposizione degli uomini alla forza muscolare, alle maggiori dimensioni fisiche rispetto alla madre, al loro carattere più aggressivo, i padri «svolgono un ruolo importante nel proteggere i propri figli dalle minacce dell’ambiente». Lo psicologo Rob Palkovitz ha infatti notato che «l’assenza di paterna è citata da più studiosi come il fattore di rischio più grande per la gravidanza in età adolescenziale delle ragazze».

Sempre il prof. Wilcox ha scritto un lungo articolo su tutto questo, mettendo a disposizione anche dei grafici riassuntivi. Qui sotto, ad esempio, un grafico che riporta i tassi di gravidanza adolescenziale nelle ragazze che hanno rapporti di alta qualità con i loro padri (azzurro), rapporti di media qualità (rosso), rapporti di bassa qualità (verde) e che vivono con una madre single (viola).

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Qui sotto, invece, un grafico che riporta i tassi di depressione nei ragazzi che hanno rapporti di alta qualità con i loro padri (azzurro), rapporti di media qualità (rosso), rapporti di bassa qualità (verde) e che vivono con una madre single (viola).

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L’amore che dona il padre è qualitativamente differente a quello donato dalla madre, non è sostituibile. Lo ha spiegato recentemente il dott. Alberto Villani, vicepresidente della Società Italiana di Pediatria: «è chiaro che nella formazione, nella crescita di un bambino, il ruolo materno e il ruolo paterno sono fondamentali. Noi dobbiamo prevedere per il bambino quella che è la sua situazione ottimale. Quindi senz’altro esiste un ruolo paterno, un ruolo materno, esiste anche addirittura una genetica diversa e innegabilmente questo ha un valore».

La redazione

10 commenti a Crescita non equilibrata se al bambino manca la figura paterna

  • Emmanuele ha detto:

    Confermo pienamente l’articolo, per esperienza personale. Ho perso mio padre per una malattia da bambino. Non è semplice crescere senza un padre. Certo io ho un buon ricordo di lui, ma resta sempre un ricordo da bambino. Ho sempre un vuoto che porto dentro motivato dal fatto che mi è mancato nei momenti più importanti della mia vita durante la crescita. A volte questa mancanza influisce nel rapporto con chi mi sta attorno e adesso che sono padre vedo i miei figli più sicuri nell’interagire con gli altri rispetto a me. Da un lato sono contento per i miei figli dall’altro soffro perché mi manca questa energia che io non ho avuto da bambino e che solo un padre può dare. Detto questo…questi poveri bambini si vogliono fare crescere con “famiglie” di fatto che di fatto non hanno niente saranno condannati a vivere male la loro vita solo per un puro atto egoistico di gente egoista che pensa solo a soddisfare un piacere che non corrisponderà mai ai bisogni dei bambini loro affidati.

    • Fabrizia ha detto:

      Penso che bisognerebbe analizzare i dati statistici più in profondità. Le famiglie monoparentali con solo la madre sono tali perché il padre se ne è andato, abbandonando moglie e figli? Sono in stato di povertà? Quale è il livello di istruzione? Faccio queste domande perché vedo che sono spesso le donne che rimangono a curarsi dei figli, dopo l’abbandono del marito. Troppo facile far portare loro tutte le colpe. Le madri almeno ci sono e ci restano e fanno quello che umanamente è possibile. È evidente che non possono sostituire i padri. Ma, appunto, dove sono i padri? Vorrei sapere dove ha fatto le sue statistiche il prof. Wilcox: negli USA? A quanto pare là ci sono molte donne nere, povere, che allevano sole i loro figli perché gli uomini neri non si fanno carico delle loro responsabilità di padri. Ancora una volta, non mi sembra giusto prendersela con il genitore che non fugge e che fa quello che può. Non mi sembra che ci siano molti uomini che si allevano da soli i loro figli. Mentre è vero il contrario. Nel mio caso, mia figlia ha perso il papà ( morto ) a quattro anni e mezzo. Non posso prendermela con lui perché è morto. Devo prendermela con me perché non mi sono più innamorata di nessuno? Lo so anche io che il ruolo del padre è fondamentale: bisognerà però che se ne convincano anche gli uomini e che facciano davvero i padri. Ho il piacere comunque di dire che mia figlia – anche se cresciuta senza papà – è molto bella, molto buona e molto brava all’università, nonché molto equilibrata e felicemente fidanzata. C’è speranza.

  • beppino ha detto:

    I bambini che nascono e crescono in queste condizioni perdono da subito la possibilità di realizzazione appieno la propria libertà per garantire la libertà di altri (secondo me una nuova forma di schiavismo caratteristica del XXI secolo… ).

  • Pino ha detto:

    è per questo che Nichi ha pensato di dare al proprio (si fa per dire) figlio non uno ma due padri.

  • Gianfranco ha detto:

    Ho degli amici gay. Riflettevo sul fatto che quasi tutti non hanno avuto un padre almeno nella fase adolescenziale. È una mia supposizione oppure ci sono studi scientifici che legano l’omosessualità alla mancanza della figura del padre?

    • Giuseppe ha detto:

      Per esperienza, credo sia proprio così, benché, come dice Nicolosi e altri, non è un elemento sufficiente da solo. Anche la figura materna è importante; se questa è troppo “oppressiva” e contemporaneamente il padre è distaccato e quasi indifferente verso il figlio, c’è una grossa probabilità di sviluppare tendenze omosessuali. Se a questo si aggiunge la mancata instaurazione di un sano rapporto col gruppo dei “pari”, le probabilità aumentano ulteriormente.
      In fondo, il sentimento omosessuale, è una reazione della psiche e direi dell’animo, di compensare la mancata identificazione di sé col proprio genere, il che causa continui complessi di inferiorità (i quali consistono nel credere di non avere quelle caratteristiche fisico-emotive tipicamente maschili quando ci si confronta con altri maschi). Il guaio è che questo desiderio innato di accetazione e identificazione, viene momentaneamente e ingenuamente appagato attraverso l’erotizzazione delle relazioni, attraverso le quali ci si vorrebbe “impossessare” di quella mascolinità (non intesa solo come caratteristiche fisiche, ma anche e soprattutto emotive) che non si sente di avere, proprio perché è mancata la fase di distacco dalla madre e identificazione col padre. Per questo motivo, credo che le relazione omosessuali, non essendo basate sulla ricerca della complementarietà, sono destinate a non essere ugualmente stabili e felici come le relazioni eterosessuali.

      Già Freud (ma anche Adler e Bieber) comunque aveva visto e capito quanto fosse importante la relazione intrafamiliare tra padre, madre, figlio. Egli tuttavia non credeva che l’omosessualità fosse una malattia e, secondo me, aveva ragione. Penso infatti che l’omosessualità è il sintomo, non la malattia, così come una febbre non è di per se una malattia, ma la manifestazione di un disagio. Disagio che nel caso dell’omosessualità è tutto fuorché di carattere sessuale, ma profondamente emotivo.

      P.S. Visto che chiedi di studi scientifici, puoi provare a controllare in questo ottimo blog: https://ontologismi.wordpress.com/tag/studi-e-ricerche/

      • lorenzo ha detto:

        Concordo in pieno con la tua affermazione che talune forme di omosessualità sono solo il sintomo esteriore di problemi psicologici peraltro rimovibili: chi vuol convivere con i propri disagi non accusi poi gli altri del proprio malessere.

  • Dom ha detto:

    Siamo passato dalla società dei diritti alla società dei desideri.
    Ne parlavo proprio ora con una mia amica su facebook.
    Tutto questo sta avvenendo per contingenze storiche. Innanzitutto dovute ad un sistema capitalistico sfrenato (non a caso pure Luttwak, noto liberale americano, ha definito il nostro capitalismo “turbocapitalismo”) che vorrebbe mercificare ogni cosa, dalla barbie ai polmoni ai feti e poi da una società che rifiuta qualunque autorità, politica o morale: noi decidiamo e basta.

    • Marco S. ha detto:

      Cosa sarebbe l’individuo senza la comunita’ ?

      Nel migliore dei casi un poveraccio, un barbone, costretto in una economia di mera sopravvivenza; nel peggiore un cadavere, morto di stenti.

      E allora perche’ l’individuo rivendica un diritto cosi’ assoluto di fare quello che gli va, anche prescindendo dai danni materiali e morali che potrebbe infliggere alla intera comunita’ ?

      • Dom ha detto:

        Non è più la comunità a legittimare, con una sua moralità, il singolo. Ma è il singolo attraverso il potere economico a farsi legittimare dalla comunità e a decidere i comportamenti leciti. In base alla sua influenza. Se ci pensi un gay povero o una divorziata povera non sono la stessa cosa di un gay ricco o di una divorziata ricca. Il comportamento morale non è più un valore. L’individualità, palesata in un’esteriorità materiale (soldi, fama, potere, estetica) ha un ruolo sociale sulla comunità, che ne subisce i comportamenti. Infatti di colpo essere gayfriendly diventa bello no. Un cantante X lo afferma quindi è accettabile. Ma per chi lo è nella vita quotidiana è un’altra storia.