Gesù ci ha salvato: cosa vuol dire? Non bastava la Bibbia?
- Ultimissime
- 24 Gen 2016
Gesù ci salva? Perché Dio ha dovuto farsi uomo? Non bastavano la Bibbia e i dieci comandamenti? Si dice sempre che “Gesù ci ha salvato”: da che cosa? E cosa vuol dire?
Ecco, questo è un punto centrale. Anzitutto, ha fatto la cosa più imprevista che potessimo immaginare: è diventato uomo, uno di noi. Non per modo di dire: era uno che passava per strada a Gerusalemme, che potevi incontrare sotto il portico del Tempio, o vedere mentre stava con gli amici. Uno che mangiava, beveva, prendeva in braccio i bambini che gli avvicinavano. Un uomo. Che condivide tutto della nostra vita umana. Tutto: persino la sofferenza e la morte.
Ma non bastava la Bibbia e i Comandamenti? No, la legge morale -cioè il contenuto dei Comandamenti-, non bastava. Anche se, dice la Bibbia, è stato Dio in persona a darla all’uomo, il punto è che non riusciamo a seguirla fino in fondo. Molto spesso, che ci piaccia o no, sbagliamo. Ma anche se ci riuscissimo, se fossimo capaci di seguire tutti i Comandamenti sempre, senza sgarrare, alla nostra vita mancherebbe qualcosa.
Pensaci: in fondo, che cosa vuol dire che quella “X” è entrata nella storia? Cioè, nella nostra vita di tutti i giorni? Vuol dire che ciò che il tuo cuore desidera, cioè la felicità vera, diventa possibile per l’uomo ora, nella vita di tutti i giorni. Quello che il tuo cuore desidera è Dio. Ciò per cui è fatto è Dio. “Ci hai fatto per te, il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”, diceva Sant’Agostino. Con Cristo, questo “riposo”, diventa possibile. Il nostro destino diventa incontrabile. La bellezza piena diventa sperimentabile. La giustizia piena diventa qualcosa di sperimentabile. La verità piena diventa qualcosa di sperimentabile. Carne. Ti sembrano cose astratte? Lo sono fino un minuto prima di incontrare Gesù. Ma un istante dopo, non lo sono più: diventano qualcosa che puoi sperimentare. Come? Come ha detto lui ai primi che lo hanno incontrato, Giovanni e Andrea. “Venite e vedete”. Vieni e vedi, constata tu stesso.
La salvezza non nasce dalla regole, ma da un amore. Come dice Giovanni: «la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,1-18). E come ha fatto Dio a salvarci? Lo ha fatto dando la vita per noi, che è il massimo che un uomo possa fare, il massimo della gratuità possibile. Ma cosa significa questo? Gesù ha accettato quel sacrificio e, accettandolo sostiene la Chiesa, ha preso su di sé il peccato. Non lo ha giudicato, lo ha preso su di sé. Come scrive l’evangelista Giovanni: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui” (Gv 3,16,17).
Ecco, la vita eterna. Gesù ci salva perché risorgendo ha sconfitto la morte. Ha superato proprio il limite più grande per l’uomo, e in questo modo ci ha detto: vedi? La morte non è l’ultima parola. Il tuo desiderio, quella promessa di felicità eterna che il tuo cuore sente da subito, non è falso. Ha una risposta: stai con me e vedrai che sarai felice. Non solo domani, o nell’Aldilà: ora. Gesù ci ha salvato così.
di Davide Perillo, tratto da La fede spiegata a mio figlio (Piemme 2007, p. 46-57)
23 commenti a Gesù ci ha salvato: cosa vuol dire? Non bastava la Bibbia?
Bello, bravi! Poche righe per spiegare opportunamente un complesso tema che spesso non si risolve in una intera vita. Spero che questo sito sia seguito da preti e catechisti, questi articoli sono bellissimi
Bello, certo. Ma allora, se siamo salvati, lo siamo davvero. E andiamo tutti in Paradiso con Gesù. Perché o ci ha salvato o non ci ha salvato. E mi piacerebbe tanto avere incontrato o incontrare Gesù. Ma io, finora, ho incontrato tanta gente, che vedo, che tocco, che “sperimento”. Ma Gesù, mi piacerebbe tanto, ma no, purtroppo.
Occhio Fabrizia, siamo redenti, non salvati. Ne abbiamo parlato anche nell’altro topic sull’inferno, la salvezza la si può perdere e dannarsi, eccome.
Per questo bisogna “vigilare e vegliare”. 😉
Siamo salvati ma occorre il nostro assenso alla salvezza. Come diceva Sant’Agostino “chi ti ha creato senza di te non ti salverà senza di te”. 🙂
Però il titolo dice proprio che Gesù ci ha salvati. Ci ha anche redenti, riscattati dal peccato, ma il titolo parla di salvezza.
La salvezza deve essere accettata da noi, non può essere imposta. Ecco perché la possibilità di dannazione è una possibilità reale.
Altrimenti si rischia di cadere nell’eresia protestante del “sola Fide”. 😉
– La salvezza è per tutti ma, nei fatti, non tutti accettano di essere salvati: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.” (Ap 3.20)
– Per la mentalità semitica, il ripetere le stesse parole due volte significare che era una cosa basilare da tenere bene a mente;
nel Vangele di Matteo al cap 25 versetti 40 e 45 puoi leggere: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.”;
come puoi allora affermare di aver incontrato tanti fratelli ma di non aver mai incontrato Gesù?
Caro Lorenzo, perché io sono un po’ come San Tommaso. Non sono molto portata alle metafore. Se io dò un bicchiere d’acqua a un piccolo, lo dò a quel piccolo lì, e lo faccio molto volentieri per Gesù, ma non dico che ho incontrato Gesù, che ho incontrato non un libro ma una persona ecc. Penso che sono modi di dire, metafore, similitudini. Per me , incontrare Gesù vuol dire vederlo e toccarlo com’era quando camminava in Palestina, come è successo ai suoi contemporanei e a qualche santo poi. Ma non mi lamento affatto. Sarò felicissima di incontrarlo un giorno quando vorrà. Perché io voglio.
E dell’Eucarestia che ne dici?
Spero che non sia fuori tema, ma ho un dubbio che riguarda la necessità della morte di Gesù, nel senso della remissione dei peccati.
C’è un detto latino: “Sine sanguine non fit remissio”.
Quindi, se è vero come bene spiegato nell’articolo, che Gesù attraverso la sua Resurrezione ci ha mostrato che la morte non è definitiva, mi chiedo invece perchè Cristo è dovuto morire per i nostri peccati. Forse Dio (Padre) ha bisogno di punirci già su questa Terra e non basti l’Inferno? C’è per caso qualche riflesso vetero-testamentario del Dio che richiede sacrifici umani?
Mi piacerebbe risolvere questa mia questione, perchè una volta ne ho parlato con un sacerdote e mi ha dato quasi dell’eretico.
Grazie
Perché noi uomini abbiamo liberamente deciso di ucciderLo e Lui ha rispettato la nostra libertà fino al punto di lasciarsi uccidere dalla Sua creatura.
Cerco di fare un po’ di chiarezza, anche a me stesso, su questo che è davvero il punto centrale della fede cattolica; l’argomento non è più di moda in questi termini per la Chiesa e per i sacerdoti di oggi, non figura quasi mai nelle omelie, ragion per cui è spesso frainteso dai fedeli.
In seguito alla caduta di Adamo ed Eva (peccato originale), i loro discendenti (tutti) persero lo stato di grazia, ergo le porte del Paradiso erano chiuse (per tutti). Solamente un intervento divino (l’Incarnazione) con l’offerta di una vittima perfetta (Cristo) poteva riscattare i peccati dell’uomo, dando a tutti gli uomini la possibilità (attenzione, la possibilità, non la certezza) di salvarsi (cioè, del Paradiso, ovvero della visione beatifica di Dio per l’eternità). Con la passione e la morte di Cristo, le porte del Paradiso si sono riaperte. La Resurrezione sta a dimostrare che Cristo è Dio, e Dio Padre ha accettato l’offerta. Solo un’offerta dal valore infinito poteva riscattare un peccato infinito (dell’uomo verso Dio).
Per poter accedere alla salvezza, occorrono i Sacramenti (Battesimo e farsi trovare in stato di grazia al momento della morte) e l’amministrazione di questi spetta solamente ed esclusivamente alla Chiesa Cattolica (= Corpo mistico di Cristo, cioè è Cristo stesso che opera attraverso di essa).
Purtroppo spesso si crede che la salvezza portata da Gesù Cristo sia solamente una questione di valori etico-morali (amore, pace, fratellanza, rispetto), in realtà si tratta proprio di una trasformazione ontologica dell’uomo, mediante i Sacramenti.
Esattamente. Inoltre quando scrivi che prima di Cristo le porte del Paradiso erano chiusi per tutti dici una cosa che molti spesso non considerano, ma è vera.
Ci sono infatti molte affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù « è risuscitato dai morti » (1 Cor 15,20) e presuppongono che, preliminarmente alla risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti.È il senso primo che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri.
La Scrittura chiama inferi, Shéol o il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio. Tale infatti èra, nell’attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti.
Il che non vuol dire, beninteso, che la loro sorte fosse identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel « seno di Abramo ».
Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all’inferno. Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati né per distruggere l’inferno della dannazione, ma per liberare i giusti che l’avevano preceduto.
Bravo, concordo con la tua analisi.
Purtroppo queste verità di fede (patrimonio indiscussi di tutti i cattolici fino a pochi decenni fa) oggi spesso risultano scomode per gli stessi cattolici, mi sono sentito ripetere molte obiezioni sulla questione del Paradiso “chiuso” prima dell’Incarnazione-Morte-Resurrezione di Cristo (“Possibile che fossero tutti destinati all’Inferno?” è l’obiezione più comune).
D’altronde, a pensarci bene, molti cattolici non accettano neanche l’idea che “Extra Ecclesiam Nulla Salus”, quindi perchè stupirsi?
In Atti 2,31 l’apostolo Pietro lo spiega, infatti
Atti 2,31
” Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne vide corruzione. Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.”
Poi in Atti 3:14-15 Pietro identifica in maniera inequivocabilmente esplicita la divinità di Cristo, definendolo “l’autore della vita”, che come sappiamo è solo Dio.
“voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni.”
Chi offre cosa? L’autore della vita, la vita. Chi uccide la vita? Gli uccisori dell’autore della vita. Uccisione e offerta coincidono? O l’offerta poteva fare a meno dell’uccisione ( colpevole )?
La domanda è complessa e provocante, perché tocca alcuni aspetti del messaggio cristiano che veramente a volte sono ostacolo a una fede piena e totale.
Gesù fu condannato a morte dai Giudei perché era ritenuto ingannatore del popolo, e le autorità non lo hanno riconosciuto come Messai, e dai Romani perché si diceva re (il titulus “Re dei Giudei” è considerato certamente storico dagli studiosi) e passava per un sobillatore. Ma anche la storia dopo 2000 anni lo condanna, perché aveva promesso vita e salvezza, eliminazione della morte e del male, ma non si vede niente.
Dunque o Gesù è un truffatore e un impostore, o Gesù dice il vero. Supponiamo che dica il vero. Allora è necessario spiegare la liberazione dal peccato, dalla sofferenza e dalla morte in modo diverso da come si pensano e ci appaiono, similmente a quando si guarda il frontale dell’ambulanza con la scritta al contrario: o chi l’ha scritta non sapeva scrivere, oppure va bene in quel modo perché si deve leggere in maniera diversa.
Cominciamo dall’ultima domanda. Se Dio si faceva uomo e basta, senza che nella sua vita umana rivelasse niente, non avrebbe avuto senso. Gesù dice che l’amore più grande è dare la vita per gli amici e nemici (Gv 15,13), e lui era venuto per questo (Gv.3,16). Pensiamoci un attimo: Dio poteva morire per gli altri? No, evidentemente! Per questo si fa uomo, per dimostrare l’amore più grande: Lui il Dio onnipotente, eterno, immortale, facendosi uomo, vuol farci capire che è disposto a morire per ciascuno di noi, non solo per dare l’esempio, ma anche per attuare un piano salvifico. Dunque era necessario che Dio diventasse uomo perché se avesse salvato l’uomo a suon di miracoli, l’uomo senza meriti si ritrovava in paradiso, invece così il paradiso è una conquista personale in risposta all’azione divina, nella linea dell’amore totale fino al sacrificio di se stessi.
A questo punto chiediamoci: perché per salvarci Dio ha scelto di morire in croce invece di andare alle Seychelles a morire d’insolazione? Questo è il punto della prima domanda e quello che ci lascia un po’ perplessi. A me pare che si debba interpretare così. La morte, intesa come disgregazione e sbriciolamento dell’essere, è la conseguenza diretta del peccato. Da questo punto di vista il contrario della morte non è la vita, ma l’amore, perché l’amore in quanto capace di aggregare e unire è la sorgente stessa della vita. Dunque il peccato che è ribellione a Dio, porta morte e dolore, ma Dio dando se stesso fino alla morte in croce, con questo supremo atto d’amore riconcilia l’uomo a sé, rivitalizzandolo di vita abbondante (Gv 10,10). Così la sofferenza e il dolore che sono anch’esse conseguenze del peccato, vengono redente. In questo senso. Quando un ladro è messo in galera per 4 anni, essi sono anni di punizione e sofferenza, ma sono anche redentivi perché una volta uscito dal carcere egli non è più ladro. Dio morendo sulla croce ci vuol far capire che la morte e la sofferenza non sono più «punizioni» distruttive, ma sono esperienze redentive, poiché avendole Lui stesso assunte nella sua persona divina li ha rese «buone», perché tutto ciò che appartiene a Dio è buono. Così sofferenza e morte non sono più conseguenze del peccato, ma strumenti salvifici, perché, resi buoni dalla morte di Cristo, e possono essi stessi produrre vita e salvezza. Insomma Dio non ha eliminato la morte fisica e la sofferenza, perché una volta rese qualità buone per la vita dell’uomo, le ha trasformate in strumenti salfivici. In questo senso Gesù dice il vero, mentre prima della croce di Cristo morte e sofferenza erano i segni del peccato (cf. libro di Giobbe), dopo la morte di Cristo sono rivelazione dell’amore di Dio e strumenti di salvezza (si pensi al desiderio di sofferenza dei santi cristiani).
Dunque il Cristo ha vinto la morte e il dolore, morendo e soffrendo, invece il peccato che non poteva assumere, perché è contraddittorio al suo essere, lo «assolve». Assolvere vuol dire che esso rimane una cosa cattiva, ma in ragione del grande amore verso l’uomo lo assolve, libera l’uomo da quel fatto. A conclusione possiamo allora dire che nell’opera salvifica di Dio c’è una «logica»: Dio poteva salvarci in molte maniere: con miracoli renderci buoni, facendoci entrare in paradiso lasciando perdere quello che abbiamo fatto in vita, ecc., ma sceglie la via della croce perché vuole che la salvezza, che ci concede, noi possiamo già viverla in questa vita, e perché noi stessi possiamo essere attori della nostra salvezza, e non solo spettatori delle opere divine. E la croce rivela benissimo il messaggio divino: la salvezza passa per l’amore radicale fino alla morte per gli altri. Messaggio questo che non avrebbe avuto alcun valore se fosse stato solo detto o scritto, andava vissuto, perché la morte e il dolore non appartengono a Dio, e perché potessero diventare cose buone dovevano entrare a far parte di Dio stesso. Cosa che Dio esattamente ha fatto, al punto da metter su un’opera salvifica complessa e intricata, com’è l’incarnazione, la vita, la morte e la resurrezione di Cristo.
Una risposta che merità una riflessione ma la riflessione impedirebbe l’ulteriore risposta per la scadenza del timer sui commenti…
Posso anticipare un dubbio: vedere in ogni male, in ogni catastrofe l’univoco significato della salvezza già presente (sono rivelazione dell’amore di Dio, dici), nella fede che la sofferenza è già redenta, non comporta rinunciare ad ogni altro criterio di giudizio sulla realtà effettiva della salvezza cioè sull’effettività di una nostra prossimità alla realtà che salva, fino a diventare incapaci di distinguere ciò che avvicina e ciò che allontana dalla salvezza, o quantomeno incapaci di capire il bene come è sentito o pensato non credendo in questo tipo di redenzione?
L’esempio del ladro lo capovolgerei in quello di chi è finito nei gulag o nei campi di sterminio: il bene sarebbe uscire, non redimersi da una colpa.
In quello che hai scritto rimane inevasa la domanda sull’offerta, il dare sé stesso, ossia l’atto d’amore: sarebbe, dici, una “dimostrazione” d’amore cioè un insegnamento per essere attori e non spettatori della nostra salvezza (come? semplicemente soffrendo senza perdere la fede e senza peccare mai). Stando a questa logica anche la morte evidentemente andava sofferta, ma altra cosa è l’idea di espiazione mediante l’ascesi dall’idea di espiazione mediante sacrificio. La prima idea permette di intravvedere (e forse anche verificare) un nesso causale tra l’azione e l’effetto dell’azione (lo stoico raggiunge l’atarassia) nel diventare un’offerta sacrificale il nesso causale scompare mi sembra. Imitare Cristo diventando un’offerta sacrificale non lascia sopravvivere in noi che la speranza che la salvezza sia questo… Ma questa speranza si deve basare solo su sé stessa, cioè sulla volontà di salvarsi (quasi una forma di ottimismo irrazionale), oppure anche su una razionalità più attenta alla verifica delle sue ipotesi (o essa è peccato?) ovvero, su un piano meno intellettuale, a vivere una vera esperienza di salvezza che non sia solo fede?
Se la fede si basa sulla sola fede nessuna religione dev’essere più vera delle altre. Può essere più bella ma non più vera.
O la bellezza è verità… Questa però è un’idea filosofica. Se la bellezza è verità non cade però il discorso sulla sofferenza come segno di salvezza? Sarebbe una bellezza veramente sublime questa verità! Forse è questo ad attrarre: ogni cosa appare bella, anche la peggiore, e si vive immersi in questa bellezza…
Il papa attuale sembra fare discorsi di questo tipo…
Ma attenzione a fare propria l’idea che la bellezza è una forma di verità, perché fare questo è già fare propria una forma di razionalità filosofica; altrimenti, se si rifiuta la filosofia, è solo una forma di fede nella bellezza, una delle tante fedi possibili e la stessa bellezza è allora solo una tra le bellezze possibili, non la più vera. Perché è la sola fede che la unisce alla verità.
è una verità di fede che significa una proposizione accettata per fede, di cui non è chiaro il significato. Lo dice la bibbia e questo sembra tutto, “razionalmente”. Perché, altrimenti, dev’esserci una “vittima”? Non basta una verità, una logica causale, per esempio: agisci bene e salvi/ti salvi? Perché agire bene per Gesù significa diventare vittima? Altro dubbio: la vittima necessaria significa che anche il carnefice (poiché Gesù non sembra sia stato stato vittima di un sacerdote) è stato necessario alla salvezza? Il peccato di coloro che “non sanno quello che fanno” è stato necessario? ha concorso alla salvezza? Gesù forse non poteva suicidarsi, ma non avrebbe potuto offrirsi in altro modo? Quelli che l’hanno ucciso dovevano ucciderlo perché se non l’avessero fatto non ci sarebbe stata l’offerta? E uccidendolo, tradendolo (Giuda), si dovevano dannare perché la salvezza fosse possibile per altri?
Domande interessanti, per certi versi anche intriganti; ma che poco o nulla aggiungono alla fede di un cattolico. Ciò che un cattolico può fare è solamente avere fede nella Divina Rivelazione, la quale è formata dalla Sacra Scrittura (che è parola di Dio, tutta, anche dove non sono riportate parole pronunciate direttamente da Nostro Signore Gesù Cristo) e dalla Sacra Tradizione, ovvero tutto il deposito di fede custodito e trasmesso in oltre 2000 anni dalla Chiesa Cattolica.
Poi, si possono aggiungere domande a piacere, e dare libero sfogo alla curiosità.
Ad esempio, ci si può chiedere perchè Dio abbia scelto di incarnarsi in un maschio ebreo vivente all’epoca dell’Impero Romano, invece che in un antico egizio di 3000 anni prima. Boh! Dio non chiede certo il nostro parere prima di agire (per fortuna).
Carnefici, vittima, sacrificio, espiazione…. Dio ha scelto questa strada per redimere l’uomo, tanto ci basta.
Nel peccato originale l’uomo-Adamo ha abusato del dono libertà ritenendo di diventare come Dio senza rispettare il disegno di Dio.
L’Uomo-Gesù ci ha redento rispettando fino alla morte la libertà dell’uomo in conformità al disegno del Padre.
Grazie.
Mi confermate che si rendeva necessario un sacrificio espiatorio.
É questo concetto che mi riesce difficile da conciliare col Dio della Misericordia.
Dio ha davvero bisogno di questo? Già le sofferenze di ognuno di noi in questa terra non servono ad espiare una colpa neppure nostra ma dei predecessori creati deboli?
Beh mi da che é meglio rinunciare a comprendere logiche troppo superiori e differenti dalle nostre e rivestirsi di umiltà.
Concordo pienamente.
La ragione umana, sebbene capace di grandi cose, è comunque limitata, e certi aspetti della fede vanno presi così come sono. Ciò è persino ovvio, se riflettiamo un attimo sulla distanza infinita tra Creatore e creatura.
Riconoscere i limiti della ragione, ecco una cosa veramente razionale!
Un saluto.