“Mente e cosmo” di Nagel: l’evoluzione guidata dal finalismo

mente e cosmo

La nostra recensione al libro “Mente e Cosmo” (Cortina Editore 2015) del filosofo americano Thomas Nagel. Un pensatore laico che riconosce il finalismo nell’evoluzione biologica e distrugge le fondamenta del materialismo riduzionista.


 

E’ uscito finalmente anche in Italia!

Ci riferiamo al libro di uno dei più importanti filosofi americani, Thomas Nagel, intitolato Mente e Cosmo. Perché la concezione neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa (Cortina Editore 2015).

Già nel 2012 avevamo dato spazio (grazie al prof. Enzo Pennetta) al volume in occasione della sua pubblicazione in lingua inglese.

 

“Mente e Cosmo”, un colpo al materialismo

L’obiettivo di Nagel, avevamo rilevato, è smontare il riduzionismo materialista, ovvero il caposaldo della filosofia neodarwinista (l’approccio ideologico al darwinismo, secondo un paradigma naturalista ed essenzialmente scientista). Il prof. Nagel, docente presso la New York University, sottolinea infatti nel libro “Mente e Cosmo” che «una comprensione dell’Universo come fondamentalmente predisposto a generare la vita e la mente probabilmente richiede più distacchi dalle familiari forme di spiegazione naturalistica di quanto io adesso possa concepire».

Tra i vari motivi che dimostrano come fortemente carente la spiegazione neo-darwinista c’è la questione della coscienza, come ben descritta da Andrea Lavazza, studioso di scienze cognitive e associato al Centro universitario internazionale di Arezzo.

Nagel istituisce un confronto tra esseri umani e pipistrelli.

Questi ultimi sono coscienti come anche noi lo siamo, ma si può provare che effetto fa essere un pipistrello solo essendo un pipistrello. Possiamo avere una conoscenza del suo funzionamento cognitivo e neuronale, tuttavia, vi è qualcosa in più rispetto a questi processi. Quando il pipistrello ecolocalizza un insetto nel suo campo percettivo, deve avere una rappresentazione interna e un’esperienza con un certo carattere soggettivo, ed è proprio ciò che la ricerca scientifica non riesce a dirci.

L’argomento mira a provare che la coscienza è essenzialmente soggettiva, mentre gli stati fisici, compresi quelli cerebrali, sono privi di questo carattere. La riduzione degli stati coscienti a stati cerebrali li renderebbe stati senza soggettività. Ma ciò è assurdo, quindi non può esservi riduzione della coscienza al cervello, come invece sostiene il riduzionismo neo-darwinista.

La mente non è una semplice appendice o un accidente dell’evoluzione, ma un aspetto fondamentale della natura non sia riducibile al mondo materiale. Inoltre, come possono trovare spazio nel materialismo aspetti quali la coscienza (fenomenica), l’intenzionalità, il significato, gli scopi (dell’esistenza), il pensiero e i valori?

Bisogna perciò richiamarsi alla metafisica descrittiva, che non si distanzia troppo dal senso comune.

 

“Mente e Cosmo” e il finalismo nell’evoluzione

Nella linea che va da Aristotele a Reid fino a Peter Strawson, si muove dalla constatazione che vi sono corpi e persone, non quark o galassie, mentre la scienza riduzionistica ci fa dubitare persino dell’esistenza di amici e parenti, dopo avere convinto molta ontologia che non esistono i tavoli, ma solo specifiche configurazioni di particelle.

Lo snodo chiave (e più controverso) è proprio la presenza di una mente capace, in ciascuno di noi, di cogliere un ordine oggettivo: esistono valori che possiamo scoprire; esiste una razionalità che ci fa rifiutare le contraddizioni logiche; esiste una libertà di seguire la verità oggettiva superando le tendenze innate. E tutto questo non può essere spiegato dall’evoluzione darwiniana, che rimanda al relativismo.

Se della coscienza va dato conto in termini naturali, tale sviluppo doveva essere “scritto” nell’Universo prima della comparsa della vita.

E la mente è una conseguenza dell’ordine che governa il mondo. Inevitabile a questo punto introdurre l’ipotesi di un finalismo naturale, per cui le cose nell’Universo sono determinate da una predisposizione cosmica alla formazione della vita, della coscienza e del valore, che è inseparabile da esse. Difficile da accettare, ammette lo stesso Nagel (non è credente), il quale però non vede altra spiegazione.

 

Le reazioni al libro “Mente e Cosmo”

Il libro di Nagel ha scatenato, prevedibilmente, molte reazioni.

In Italia, ad esempio, è stato recensito da Maurizio Ferraris, ordinario di filosofia presso l’Università di Torino, il quale ha però cercato -come ha notato giustamente il prof. Enzo Pennetta- di ricondurre il celebre filosofo americano nei confini dell’ortodossia neodarwiniana.

Uno sforzo, quello di Ferraris, un po’ ingenuo dato che il sottotitolo del libro di Nagel è: “Perché la concezione materialista neo-darwiniana della natura è quasi certamente falsa”. E’ vero, invece, quando Ferraris nota che Nagel ha proposto anche alla scienza di ampliare le sue visioni senza chiuderle in un cieco materialismo, riportando al centro del dibattito la teleologica: A causa B perché lo scopo di B era C.

Ma, alla fine, Ferraris cerca comunque di mettere in salvo le sue convinzioni: «Dire che il fine dell’occhio è vedere ci aiuta a capirne il funzionamento proprio come dire che fare gol è l’obiettivo delle squadre di calcio ci permette di capire le partite. Ma questo non ci obbliga a sostenere che l’occhio è intrinsecamente creato per vedere più di quanto ci autorizzi a dire che il naso è stato creato per sorreggere gli occhiali. Può essere un caso evolutivo».

Un ragionamento follemente irrazionale e antifattuale (confondendo causa reale con utilizzi secondari) pur di dare l’ultima parola sempre al “caso”, una casualità usata come tappabuchi per evitare la scomodità esistenziale del finalismo. «Disponendo di un tempo lungo come quello che ci separa dal Big Bang e di un materiale grande come l’universo», ha concluso il filosofo di “Repubblica”, «si può arrivare a tutto».

Ecco riproposta la fede neo-darwinista. Esattamente l’opposto della tesi di Nagel, secondo cui la spiegazione più razionale dell’Universo e della vita umana non può essere “il caso”, ma il finalismo.

 

La casualità cieca evolutiva: una non-spiegazione

Lo mostrò il biofisico francese Pierre Lecomte du Noüy dell’Istituto Pasteur di Parigi, quando stimò che la probabilità della formazione casuale di una proteina (di una sola proteina!) è pari a 1 su 10321, portandolo a concludere: «Per studiare i fenomeni più affascinanti, quali la Vita e soprattutto l’Uomo, siamo costretti a chiamare in causa un’antichance: una sorta di giocatore sleale che viola sistematicamente le leggi dei grandi numeri» (P. Lecomte du Noüy, “L’uomo e il suo destino”, Bombiani 1949, p.31).

Il celebre Stephen Jay Gould, sollevando il tema della contingenza nell’evoluzione, spiegò che anche considerando il tempo che ci separa dal Big Bang e le dimensioni dell’Universo, «la probabilità che, riavvolgendo il film della vita emerga qualcosa di simile all’intelligenza umana, è trascurabilmente piccola», tanto che l’uomo può essere considerato a tutti gli effetti come la «personificazione della contingenza» (S.J. Gould, “La vita meravigliosa”, Feltrinelli 1990, p.10).

Non è vero, dunque, che “si può arrivare a tutto” perché, afferma uno dei principali fisici inglesi, Paul Davies, «la tendenza generale dal semplice al complesso, dal microbo alla mente, sembra insita nelle leggi di natura in maniera fondamentale» (P. Davies, “Siamo soli?? Implicazioni filosofiche della scoperta della vita extraterrestre”, Laterza 1994, p. 88).

Chi si ostina ad affidarsi alla spiegazione del “caso” fa di ad esso «un’abile, previdente e sottile potenza intelligente», secondo le parole ironiche del biologo P.P. Grassé (P.P. Grassé, “L’evoluzione del vivente”, Adelphi 1979).

Dunque l’esatto opposto di un processo casuale, una contraddizione quindi. Ed invece oggi la posizione più razionale, cioè più aderente alla realtà dei fatti e comprensiva di tutte le spiegazioni proposte, è proprio quella descritta dal Thomas Nagel nel libro che abbiamo presentato oggi: l’evoluzione naturale sembra procedere grazie ad una tendenza preordinata intrinseca alla natura stessa.

Autore

La Redazione

7 commenti a “Mente e cosmo” di Nagel: l’evoluzione guidata dal finalismo

  • L’occhio non vede sè stesso, il naso non annusa sè stesso, il tatto no si percepisce etc… La mente invece pensa sè stessa, và oltre sè stessa, oltre il materiale. Gli anfibi possono esplorare acqua e terra, uomini e donn possono esplorare materia e spirito.

    • minstrel ha detto:

      Ehehe, bravo Alèudin!
      Ecco la citazione con la fonte, conoscendoti potrebbe piacerti. 🙂

      D’altra parte non si può dare spiegazione in termini meccanici [dell’autocoscienza], ve l’ho detto tante volte.
      Un’attività autoriflessiva non può essere mediata da un organo corporeo!
      La vista non vede sé stessa.
      Il tatto non tocca sé stesso.
      L’udito non ode sé stesso.
      Il pensiero pensa sé stesso.
      Allora vuole dire che non è esercitato attraverso un organo corporeo. Ma i meccanismi fisico-chimici io li conosco attraverso l’analisi di organi corporei. Se un’attività come il pensiero esclude – non può anche bensì ESCLUDE (altrimenti non sarebbe autoriflessiva) – la mediazione corporea, non posso mica spiegarlo in termini chimici. Lo so a priori.”

      Padre Giuseppe Barzaghi OP, Storia critica del pensiero filosofico. Ventottesima lezione, Accademia del Redentore, http://www.accademiadelredentore.it/blog-it/Storia-critica-del-pensiero-filosofico.-Ventottesima-lezione,-10-novembre-2004-157.html, 10 novembre 2004

  • minstrel ha detto:

    «la tendenza generale dal semplice al complesso, dal microbo alla mente, sembra insita nelle leggi di natura in maniera fondamentale» (P. Davies, “Siamo soli?? Implicazioni filosofiche della scoperta della vita extraterrestre”, Laterza 1994, p.88).

    Non solo! E’ dimostrabile che la tendenza dal semplice al complesso è demolizione di informazione primaria, originaria. E come spiegare questa informazione se il caos che assume a principio il neodarwinismo è ontologicamente privo di informazione?!
    Altri dettagli li trovate qui, in questa serie di articoli redatti dal nostro fisico di fiducia:
    pellegrininellaverita.com/tag/complessita-e-informazione/

  • Gianfranco ha detto:

    Il ragionamento di Nagel che demolisce il neo darvinismo non fa una grinza. Tuttavia è il passo successivo che manca: cosa è questo finalismo naturale? Si vuole forse deificare la materia pur di negare Dio?
    Insomma sarà dura, ma la resistenza alla ragione di taluni atei è sconcertante.

    • δ'v ha detto:

      Il panteismo non può essere quella religione che deifica la materia, ad esempio?

    • Luca ha detto:

      Io credo che il grande errore del “riduzionismo materialista” stia nel ridurre la scienza ad ideologia, cioé farla uscire dal suo alveo naturale, dalle sue finalità metodi e limiti. Questo mi pare si legga bene nell’articolo. Starei attento allora a non fare l’errore opposto: quello di rendere la fede in Dio una necessità della ragione RIDUCENDOLA a sua volta e proprio nel senso del materialismo. Semplicemente credo che la ragione ci conduca ad una serie di domande cruciali. Domande non sulla meccanica della realtà o sulla catena di nessi causali in grado di racontare la realtà nostra e del mondo. A queste domande la scienza risponde molto bene perché é il suo campo. Rispondere a domande sul senso della realtà e della nostra presenza nel mondo: questo é il nocciolo cruciale. Nei confronti di queste domande per fortuna di tutti la risposta é libera, e tanto la fede quanto il riduzionismo materialistico sono possibili risposte. Sono risposte sullo stesso piano nei confronti della ragione.
      In sintesi bisognerebbe da un lato che i neodarwinisti si rendessero conto che stanno facendo filosofia (teologia) e non scienza, dall’altro che noi credenti ci rendessimo conto che la fede é solo una libera scelta, o per meglio dire la libera risposta ad una chiamata dall’esterno. Non pertanto la conseguenza obbligata (non libera) di una catena di ragionamenti, perché altrimenti anche la fede sarebbe una povera ideologia come le altre. Come soiega molto bene il nostro catechismo la fede non é contraria alla ragione ma non é riconducibile (riducibile) alla ragione.
      La fede e l’intelligenza

      156 Il motivo di credere non consiste nel fatto che le verità rivelate appaiano come vere e intelligibili alla luce della nostra ragione naturale. Noi crediamo « per l’autorità di Dio stesso che le rivela, il quale non può né ingannarsi né ingannare. Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse “conforme alla ragione”, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione ». Così i miracoli di Cristo e dei santi, le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità « sono segni certissimi della divina rivelazione, adatti ad ogni intelligenza »,
      sono motivi di credibilità i quali mostrano che l’assenso della fede non è « affatto un cieco moto dello spirito »