Il grande tabù sociale della sindrome post-aborto
- Ultimissime
- 17 Nov 2015
di Antonella Perconte Licatese*
*scrittrice
“La voce sottile” nasce da un desiderio profondo: quello di tentare di raccontare, attraverso le pagine di un romanzo, uno spaccato di realtà. Italo Calvino nelle sue “Lezioni americane”, spiega con maestria e semplicità quel momento cruciale in cui si trova lo scrittore dinanzi alla pagina bianca: “E questo è il momento della scelta: ci è offerta la possibilità di dire tutto, in tutti i modi possibili; e dobbiamo arrivare a dire una cosa, in un modo particolare.” Volevo dire una cosa e questa cosa era che esiste una sofferenza post-abortiva; la volevo dire in un modo particolare e questo modo è diventato Anna e il suo mondo, Anna e la sua storia.
Fin dal momento esatto in cui ho iniziato a documentarmi per poter scrivere di un argomento così delicato, complesso e difficile, ho intuito l’enormità del compito che mi ero assunta. Sì, perché il tipo di dolore di cui mi sono fatta carico era ed è del tutto particolare: nei salotti televisivi e tra le pagine delle riviste patinate si può parlare delle violenze subite dalle donne in ogni tempo e luogo, delle disparità di trattamento sul lavoro, ma non è consentito in nessun modo aprire un serio dibattito su come “l’evento traumatico aborto” abbia causato e continui a causare conseguenze irreparabili sul delicato equilibrio psico-fisico della donna.
E questo accade perché Anna, e quelle come lei, fanno paura; perché quando si parla di aborto si tocca un nervo scoperto di tutta una società e perché Anna è viva e presente nelle famiglie, nei condomini, per le strade; o forse accade anche perché Anna, molto più semplicemente, in un modo o nell’altro, siamo noi stessi quando con il silenzio e l’indifferenza contribuiamo a questa forma di rimozione. Ne “La voce sottile” ho inventato una storia, perché è così che funziona, perché l’arte ha il dovere di restituirci il vero attraverso la finzione, ma in realtà ho tenuto conto di molte esperienze reali, documentate. Perché la sindrome post-aborto è avvalorata da una mole immensa di studi e testi scientifici e perché per fortuna ci sono donne che hanno avuto il coraggio di testimoniare di come l’aborto le abbia cambiate per sempre, e di come, se solo potessero, tornerebbero indietro.
Quando, però, mi sono decisa a scrivere, ho intuito non solo l’enormità e la difficoltà del compito che mi ero assunta, ma anche la sua importanza. Che le donne non siano sufficientemente informate sui rischi che una “interruzione di gravidanza” può avere sulla loro salute, lo considero infatti una delle ingiustizie più gravi perpetrate ai loro danni. In tal senso, quindi, “La voce sottile” è diventato uno strumento di denuncia di una realtà scomoda. Ma non solo: durante il lavoro di scrittura ho sentito con forza la mia “vocazione artistica” come al servizio della vita nascente.
La voce del titolo, infatti, non è solo la voce della coscienza, che parla ad Anna e a tutti noi, non è solo la voce della ragione che ci inchioda di fronte all’evidenza dell’ingiustizia dell’aborto, non è solo la voce del rimpianto e dell’amarezza per un gesto che, lungi dal “tutelare la maternità”, non fa altro che mortificarla, ma è soprattutto la voce sottile di quei figli che non hanno avuto, che non hanno e che non avranno la possibilità di farsi sentire e di gridare la loro volontà di venire al mondo. Questo romanzo, infine, rappresenta anche un “piccolo miracolo”. Quasi paradossalmente è sembrato voler “nascere” a tutti i costi. Il personaggio di Anna mi ha costretta ad affondare nelle viscere di una sofferenza che non mi apparteneva, e questo, lo dico da donna, mi è costato una fatica immensa, tanto che più di una volta sono stata tentata di abbandonare tutto.
Ma ho resistito e sono arrivata fino in fondo. E se c’è un momento in cui io e Anna ci assomigliamo è nel finale, perché (e questo è il messaggio di speranza contenuto nel romanzo) anche lei troverà il modo di svelare la verità con un gesto coraggioso. Io non so quante persone leggeranno il mio libro, se avrà la diffusione che spero, o se rischierà di passare inosservato come il dolore che denuncia. Ma se un giorno dovesse accadere che una donna, anche una sola, incontrandomi per caso, o in un qualsiasi altro modo, mi confidasse di essersi decisa per la vita di suo figlio dopo aver letto, o anche solo sentito parlare del mio libro, allora “La voce sottile” non sarebbe stata scritta invano, e tutto avrebbe avuto un senso.
La redazione UCCR segnala il link attraverso cui acquistare il libro, il sito web e la pagina Facebook di “La voce sottile”.
9 commenti a Il grande tabù sociale della sindrome post-aborto
Libro interessante, se ne parla davvero poco effettivamente!
Redazione, che significa: “e di come, se solo potessero, tornerebbero indietro.”?
Chiedo scusa: avevo scordato gli occhiali…
L’aborto e’, né più ne’ meno, che un sacrificio a Satana. Sappiate che è il sacrificio più gradito in assoluto dalla Bestia.
Ci sarebbe un altro aspetto dell’ormai quarantennale “storia” della legalizzazione del procurato aborto in Italia da approfondire e analizzare: mi riferisco alla dinamica e consistenza del medici obiettori. E’ facile infatti essere favorevoli da parte dei nostri “illuminati” e “progressisti” cittadini quando non si é “direttamente” interessati dal fenomeno (con la donna sempre lasciata sola a decidere ritenendo questo fatto LA conquista di civiltà per eccellenza) e quando il “lavoro sporco” viene eseguito da medici e personale infermieristico. Perché poi le “prestazioni sanitarie obbligatorie” bisogna anche attuarle…
Negli ultimi due anni ho avuto due sorprese. Una mia cara amica, bravissima mamma di due ragazzine, nemmeno credente, un bel giorno ha dato fuori di matto e non la finiva più di dire a noi amici, che cascavamo dalle nuvole, che lei era una pessima persona perché aveva abortito anni prima. Non voleva nemmeno più che le sue bambine le facessero la festa della mamma, perché lei ne era indegna e perché aveva ucciso il loro fratellino/sorellina. Anche il suo divorzio successivo lo attribuiva al fatto che si era sentita abbandonata dal marito che le aveva detto:”Decidi tu”. A tutti i costi ha voluto confessare la sua colpa alle figlie. Adesso non ne parla più. Spero abbia fatto pace con se stessa. L’altra sorpresa, un conoscente psichiatra che mi dice:” Non immagini nemmeno quante ragazze e donne abbiamo in cura io, psichiatra, e mia moglie, psicologa, perché hanno abortito o preso la pillola del giorno dopo”.
Il fatto che sia così pentita e’ un ottimo segno. Il problema, Fabrizia, e’ che oggi l’aborto e’ legalizzato e legittimato .
Si fa la gara, tra femministe, atei e compagnia cantante a proclamare l’assoluta moralità dell’aborto, e per questo molte persone perdono punti di riferimento. Quello madre non lo ha perso, sono felice che si sia pentita, ritroverà il suo bambino in cielo.
Ora, legalizzato, ma legittimato mi pare una parola grossa, con picchi dell’80% di medici obbiettori in alcune regioni. Obbiettori solo di facciata magari e non dietro lauto compenso. Come se un vegano trovasse lavoro in una bisteccheria ma si rifiutasse di servire carne.
No, legittimato, nel senso che, dalla sua legalizzazione, ci si è impegnati in ogni modo per dimostrare l’assoluta liceità morale di quello che altri non è che un barbaro omicidio, dell’innocenza per antonomasia, per giunta.
L’argomento dei medici obiettori paragonati ai lavoranti in una bisteccheria e’ una delle peggiori stronzate che abbia mai letto, dato che i medici obiettori (e quelli che lo sono per finta sono una minoranza, quindi voi devoti del nulla potete anche piantarla) sono i soli fedeli al giuramento di Ippocrate che infatti voi devoti del nulla, della morte e del caos e avversari della gioia, della vita e del senso vorreste abolire. http://archiviostorico.corriere.it/2007/dicembre/09/Giuramento_Ippocrate_Vecchio_vieta_aborto_co_9_071209083.shtml