Papa Bergoglio e le critiche, risposte agli oppositori
- Attualità
- 17 Mar 2015
Le critiche a Bergoglio da parte dei suoi oppositori, sono giustificate o basate sulla disinformazione? In questo dossier prendiamo in considerazione l’enorme mole di accuse e critiche che certi settori dell’area cattolica tradizionalista-conservatrice ha rivolto contro il Santo Padre, rispondendo puntualmente con fatti, documenti e un’opera di debunking delle fake news.
Apparentemente Francesco è uno dei Pontefici più amati degli ultimi secoli, in pochi mesi di pontificato è stato definito “uomo dell’anno” dalla rivista “Time” come «persona simbolo del cambiamento in questo 2013» ed ha rischiato di vincere il Premio Nobel per la Pace. Eppure, ha ricevuto questi onori mondani a suo discapito essendo, infatti, molto più incompreso e strumentalizzato rispetto ai suoi predecessori, bersagliato dal fuoco progressista e quello tradizionalista.
La nuova strategia del mondo laico-progressista.
Verso Francesco (dopo un primo tentativo di proseguire con lo stesso modus operandi, si ricordino le accuse di misoginia e connivenza con la dittatura argentina apparse subito dopo il conclave) il mondo mediatico anticlericale e progressista ha optato per una diversa strategia rispetto ai predecessori, ovvero onorarlo e incensarlo indipendente dal contenuto dei suoi pronunciamenti, manipolando ed enfatizzando ogni suo intervento come “apertura” cercando di porlo in contraddizione con i suoi predecessori ed in opposizione alla Chiesa stessa (Francesco si, la Chiesa no). Tanto che lui stesso ha affermato di sentirsi offeso da chi lo mitizza e lo idealizza, contrapponendolo ai predecessori. L’obiettivo dei progressisti è quello di confondere la comunità cattolica, renderla disarmata ed inefficace, mettendole contro addirittura il Pontefice.
L’ingenuità e l’odio del mondo conservatore-tradizionalista.
E’ stata una strategia vincente quella dei media progressisti avendo mandato in tilt il conservatorismo tradizionalista: infastidito da questi onori verso Francesco da parte dell’opinione pubblica laicista, non ha criticato i media della evidente manipolazione, ma si è convinto che davvero Francesco fosse quello descritto da Repubblica e dal New York Post. Hanno abboccato al “tranello mediatico”, trovandosi spiazzati, sorpresi, spesso arrabbiati, arrivando a parlare addirittura di apostasia da parte del Papa. Un esempio classico è l’incredibile conversione all’antipapismo dello scrittore Antonio Socci, alle cui accuse abbiamo dedicato diversi paragrafi.
Un doppio fuoco, quindi, giustifica questo dossier. Creandolo abbiamo seguito il criterio suggerito da Francesco stesso: «Sempre ci sono timori, però perché non leggono le cose, o leggono una notizia in un giornale, un articolo, e non leggono quello che ha deciso il Sinodo, quello che si è pubblicato […]. Io ho scritto un’enciclica a quattro mani, e un’esortazione apostolica, di continuo faccio dichiarazioni e omelie, e questo è magistero. Questo sta lì, è ciò che penso, non ciò che i media dicono che io pensi». Non c’è miglior modo di replicare alle numerose accuse contro il Papa che mostrare ciò che lui ha detto e scritto, contestualizzando i suoi interventi e suddividendoli per argomenti.
Come tutti i nostri dossier, anche questo sarà in continuo aggiornamento. Consigliamo l’utilizzo dell’indice qui sotto per orientarsi in questo lungo e complesso documento.
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1. POVERTA’ ED ACCUSE DI PAUPERISMO
L’approfondimento sul pensiero di Francesco riguardo alla povertà e le accuse di pauperismo è stato trattato in questo apposito articolo.
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2. FAKE NEWS DEGLI OPPOSITORI E DEI CRITICI
L’19 giugno 2020 su Libero, Andrea Cionci, storico membro della redazione de La Nuova Bussola Quotidiana, ha sostenuto che il trasferimento in Germania di Benedetto XVI per visitare il fratello malato don Georg, è stato «deciso a stretto giro, sarebbe stata la soluzione ideale per TOGLIERE A RATZINGER proprio una delle PREROGATIVE TIPICHE DA PAPA REGNANTE, ovvero la permanenza presso la Santa Sede. Peggio ancora quando le prime conferme arrivano dal quotidiano tedesco Bild, circa il fatto che Ratzinger potrebbe davvero non fare più ritorno in Vaticano, magari per “condizioni di salute che non gli consentiranno il rientro”. Non ha nemmeno giovato la “discrezione” con cui il viaggio si è svolto e l’impossibilità di fotografare o intervistare papa Benedetto». L’articolo prosegue con un delirante accostamento tra i dettami del Nuovo Ordine Mondiale trovati su Wikipedia ed il pontificato di Francesco. Ovviamente Benedetto XVI, dopo la visita al fratello, è rientrato tranquillamente in Vaticano.
L’11 giugno 2020 su Libero compare l’articolo intitolato “Dimissioni scritte male apposta“. E’ firmato da Andrea Cionci, storico membro della redazione de La Nuova Bussola Quotidiana, il quale sostiene che Benedetto XVI nella sua dichiarazione di rinuncia commise appositamente un errore di latino così da portare a sospettare della sua incapacità di intendere e volere, con la conseguenza di rendere invalide le sue dimissioni. La conclusione è che, per questo, Benedetto XVI sarebbe ancora Papa. Cionci scrive: «Peraltro Ratzinger non scrive nemmeno “rinuncio”, bensì “dichiaro di rinunciare”, il che non implica che la sua rinuncia sia sincera, così come “dichiarare di amare” non corrisponde per forza ad “amare”». Per avvallare la sua tesi, Cionci sostiene che nessuno abbia colto gli errori nella Declaratio di Benedetto XVI. Su Avvenire la tesi di Cionci (sostenuta anche dal sedicente frà Alexis Bugnolo, eremita francescano) è stata commentata con ironia, ricordando che «quanto al piccolo errore di latino, poi, se ne sono accorti tutti da subito. Hanno chiuso i manicomi, da noi, e hanno fatto bene! Ma i giornali hanno una logica diversa: non tutto ciò che si può liberamente e follemente pensare si può anche pubblicare con decenza senza una valutazione di credibilità e di coerenza con i fatti, e questo vale sempre e ovunque, anche in ogni redazione che abbia senso di responsabilità: canonisti, latinisti, e anche giornalisti».
Il 23 maggio 2020 su Libero Andrea Cionci, storico membro della redazione de La Nuova Bussola Quotidiana, ha incluso «il teologo palermitano don Alessandro Minutella» nell’elenco di «vescovi, preti e monaci del tutto fedeli alle basi dottrinali della fede cattolica e accomunati dal non riconoscere come valide le dimissioni di papa Benedetto. Di conseguenza, non reputano legittima nemmeno l’elezione di papa Francesco». Peccato che don Minutella è stato ufficialmente scomunicato dalla Chiesa cattolica per eresia e scisma, ma per Cionci è del tutto fedele alle basi dottrinali del cattolicesimo.
Il 12 ottobre 2018 il sito LifeSiteNews ha pubblicato veleni contro il card. Francesco Coccopalmerio, reo ai loro occhi di aver difeso teologicamente Amoris Laetitia. Così viene scritto che il porporato avrebbe partecipato ad un’orgia gay in Vaticano dove si consumava anche droga, beccato però dalla Gendarmeria. Perfino Libero ha ironizzato sulla fake news, commentando: “mancava solo il rock’n’roll. Il sito catto-fondamentalista accredita la notizia ad una fonte rigorosamente anonima ma “di alto livello e con conoscenza diretta del caso”, che però -guarda la sfortuna- “non vuole apparire”. Oltretutto la stessa fonte dice di averlo saputo da “dei preti in un incontro privato”, anch’essi anonimi. A confermare la notizia anche Church Militant, altro blog di sedevacantisti vicino all’estrema destra statunitense, per i quali “Coccopalmerio è la persona che il Pontefice ha chiamato a consulto per le eventuali punizioni canoniche contro Viganò”. Mai avvenute, anche a distanza di anni. Andrea Morigi commenta: “ma quel filone si è esaurito e ha fatto cilecca , ed ecco che riparte un’altra carica, seppur di minore intensità e fra l’altro con speranze di successo ancora più scarse del #metoo Vaticano”. In Italia la fake news contro il cardinale è stata rilanciata da Marco Tosatti e Maurizio Blondet, la cui cosa conferma definitivamente la falsità della notizia. Coccopalmerio ha annunciato querele.
Il 5 settembre 2018 lo storico tradizionalista Roberto De Mattei ha diffuso falsamente la notizia che l’ex nunzio apostolico Carlo Maria Viganò, autore di un memoriale di accusa contro Papa Francesco, sarebbe stato in procinto di una punizione «per aver detto la verità». In particolare, ha scritto -mentendo- De Mattei- «Papa Francesco sta esaminando questa possibilità», ovvero «sanzioni canoniche da irrogare nei confronti dell’arcivescovo, a cominciare dalla sospensione a divinis». Nulla di tutto ciò è mai avvenuto e nessuna fonte ha mai confermato la fake news.
Il 29 maggio 2018 su Il Timone, rivista guidata da Riccardo Cascioli, la blogger Giulia Tanel ha rilanciato la fake news contro mons. Toribio Ticona Porco, vescovo emerito di Corocoro, in Bolivia, in occasione della sua nomina a cardinale da parte di Papa Francesco. La Tanel ha dato ampio credito a notizie prive di fondamento sul fatto che il card. Ticona Porco avrebbe “moglie e figli”, e quini avrebbe «violato in maniera palese e pubblica il celibato sacerdotale, generando scandalo e un grave danno alla Chiesa». L’obiettivo reale, in realtà, è quello di colpire Papa Francesco, tanto che l’articolo si conclude collegando la nomina di un cardinale “concubino” con la seconda falsità, cioè «il desiderio di papa Francesco di sopprimere il celibato sacerdotale». La fake news si è diffusa sui blog nemici del Papa, con titoli come “Un cardinale Porco di nome e di fatto”. Non solo il vescovo boliviano ha smentito queste calunnie, annunciando querele giudiziarie, ma nessuno ha saputo dimostrare le illazioni scritte contro di lui, ma più volte Francesco ha difeso il celibato sacerdotale.
Il 06 agosto 2017 lo scrittore Antonio Socci ha ripreso e diffuso la bufala inventata da Marco Tosatti nel 2016, secondo la quale ci sarebbe un progetto vaticano di creare cardinale Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, senza che quest’ultimo abbia mai preso gli ordini religiosi. Oltre ad essere una fake news senza alcun fondamento, nel 2020 proprio Francesco ha allontanato Bianchi dalla comunità da lui fondata a seguito di un commissariamento voluto dal Vaticano per problemi di gestione interna e –secondo qualche ricostruzione– per un eccesso di spirito progressista.
Il 22 marzo 2016 il blogger Marco Tosatti diffonde la falsa notizia che Papa Bergoglio intende fare cardinale Enzo Bianchi, uno scrittore esponente del cattolicesimo progressista che, pur essendo priore della Comunità di Bose, non ha mai preso gli ordini religiosi. Oltre ad essere una fake news senza alcun fondamento, nel 2020 proprio Francesco ha allontanato Bianchi dalla comunità da lui fondata a seguito di un commissariamento voluto dal Vaticano per problemi di gestione interna e –secondo qualche ricostruzione– per un eccesso di spirito progressista.
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3. FAMIGLIA, UNIONI CIVILI, ADOZIONI E MATRIMONI OMOSESSUALI
A causa dell’abbondanza di interventi del Papa riguardo all’omosessualità e alla famiglia, l’approfondimento del suo pensiero è stato trattato in questo apposito articolo, in cui abbiamo raccolto tutti i suoi discorsi in merito.
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4. IL CASO DEL “CHI SONO IO PER GIUDICARE UN OMOSESSUALE”?
Questo famoso caso è nato attraverso la frase “chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio?” pronunciata dal Papa durante una conversazione con i giornalisti nel 2013. I media l’hanno immediatamente estrapolata dal contesto e diffusa come inno al relativismo e anticipo di una presunta interruzione degli interventi pubblici su queste tematiche, i conservatori tradizionalisti ci sono cascati e hanno gridato allo scandalo.
Come abbiamo fatto notare, se si legge l’intera frase, Francesco ribadiva semplicemente i fondamenti del Catechismo cattolico: la posizione della Chiesa non è contro le persone, a giudicarle ci penserà Dio, ma giudica i comportamenti, semmai, e sopratutto sulle leggi che vorrebbero ridefinire il matrimonio a seguito di questi comportamenti. Lui stesso citava il Catechismo, ecco la frase integrale: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo, ma dice: “non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società”». Forse non aveva previsto la strumentalizzazione mediatica, tanto che qualche settimana dopo ha affermato: «non ho riconosciuto me stesso quando sul volo di ritorno da Rio de Janeiro ho risposto ai giornalisti che mi facevano le domande. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo». E’ evidente che non è facile essere Papa e avere gli occhi del mondo addosso, sguardi pronti a manipolare ogni tuo intervento.
L’arcivescovo emerito di Pamplona, Fernando Sebastián Aguilar, nominato cardinale proprio da Papa Francesco, ha commentato il “Chi sono io per giudicare?”, spiegando: «Il papa accentua i gesti di rispetto e di stima a tutte le persone, ma non tradisce né modifica il magistero tradizionale della Chiesa. Una cosa è manifestare accoglienza e affetto a una persona omosessuale, un’altra è giustificare moralmente l’esercizio dell’omosessualità. A una persona posso dire che ha una deficienza, ma ciò non giustifica che io rinunci a stimarla e aiutarla. Credo che è questa la posizione del papa».
Il card. Loris Capovilla, nominato proprio da Papa Francesco, ha spiegato: «La Chiesa della misericordia è la stessa che voleva Giovanni XXIII, una Chiesa che condanna il peccato ma non il peccatore. Anzi, non chiude le porte in faccia a nessuno. “Chi sono io per giudicare un gay?”, si chiese Francesco», confermando dunque la giusta interpretazione da dare a quella frase del Pontefice.
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6. SINODO SULLA FAMIGLIA
Per molti critici la prima parte del Sinodo sulla famiglia ha rappresentato “il fumo di Satana penetrato nella Chiesa”, ovvero un rinnegamento del magistero della Chiesa, per altri la premessa per chissà quale catastrofismo. In realtà, come abbiamo spiegato, sia la “Relatio post disceptationem“ (una sorta di bozza iniziale), sia la “Relatio Synodi” (la relazione ufficiale dell’assemblea), non contegno nulla di controverso se si legge paragrafo per paragrafo. L’unico limite, se vogliamo, erano delle affermazioni facilmente strumentalizzabili nella bozza iniziale, che potevano indurre in errore i fedeli, ma che non sono state riportate nella Relazione ufficiale.
Come abbiamo fatto notare, della “Relatio post disceptationem“ molti hanno criticato in particolare due frasi: «La Chiesa si volge con rispetto a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto e imperfetto, apprezzando più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze». Ad alcuni è sembrata una legittimazione, ma è semplicemente il “linguaggio positivo” che intende valorizzare quel che ci può essere di buono per aiutare il prossimo al cambiamento. Infatti se si legge subito dopo: «Infatti, quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di resistere nelle prove, può essere vista come un germe da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. Stesso discorso per un’altra frase: «anche in tali unioni è possibile cogliere autentici valori familiari o almeno il desiderio di essi. Occorre che l’accompagnamento pastorale parta sempre da questi aspetti positivi. Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo». L’obiettivo è valorizzare il matrimonio naturale: in passato si sono sottolineati i limiti e la sterilità delle altre forme di unioni (definite “imperfette”), oggi -che tutto questo è stato ben recepito- si punta allo stesso obiettivo guardando anche alle possibili tracce di positività. E’ una grande metodologia pastorale, non c’è alcun cambiamento sulla dottrina. La terza frase criticata è stata: «le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana». Non c’è bisogno di chiarire che nessuno ha mai detto nulla di diverso, ci si scandalizza per un’ovvietà: qualunque persona ha doti e qualità da offrire alla comunità cristiana, a prescindere dai suoi comportamenti sessuali. I critici non si sono invece occupati di tutto il resto della bozza, dove ci si oppone fermamente alla teoria del gender e al matrimonio omosessuale, così come si invita a non negare «le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali». Appare una netta opposizione alla contraccezione e una valorizzazione dei metodi naturali, così come il messaggio dell’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI. Nessuna decisione sulla comunione ai divorziati risposati.
Per quanto riguarda la “Relatio Synodi”, ovvero la relazione ufficiale dell’assemblea straordinaria prima del “vero” Sinodo, ci sono state piccole differenze che hanno chiarito i punti che potevano essere più strumentalizzabili. Innanzitutto viene definito il “linguaggio positivo” già apparso nella “Relatio post disceptationem”: «è opportuno apprezzare prima le possibilità positive e, alla luce di esse, valutare limiti e carenze. Mentre continua ad annunciare e promuovere il matrimonio cristiano, il Sinodo incoraggia anche il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà. È importante entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza. Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze. Occorre che nella proposta ecclesiale, pur affermando con chiarezza il messaggio cristiano, indichiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più ad esso. […] Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo». Non valorizzazione fine a se stessa per un malcapito buonismo, dunque, ma per trasformare queste situazioni irregolari nel matrimonio cristiano. Questo approccio si utilizza nel rapporto con le altre religioni, infatti continua il documento: «La presenza dei semina Verbi nelle culture potrebbe essere applicata, per alcuni versi, anche alla realtà matrimoniale e familiare di tante culture e di persone non cristiane. Ci sono quindi elementi validi anche in alcune forme fuori del matrimonio cristiano –comunque fondato sulla relazione stabile e vera di un uomo e una donna –, che in ogni caso riteniamo siano ad esso orientate. Con lo sguardo rivolto alla saggezza umana dei popoli e delle culture, la Chiesa riconosce anche questa famiglia come la cellula basilare necessaria e feconda della convivenza umana». Anche qui manca la decisione sulla comunione ai divorziati risposati, mentre è stata tolta la frase sulle «doti e qualità» che le persone omosessuali possono offrire alla comunità cristiana, dato che avrebbe potuto far cadere in una sorta di legittimazione o avrebbe semplicemente ribadito un’ovvietà. Il paragrafo relativo è stato sostituito con questo: «Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: “Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. “A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, È del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso». Come si vede si è optato per citare direttamente documenti già noti della Chiesa, confermando che l’accoglienza alle persone omosessuali non è affatto una novità e non si tratta di una improvvisa “apertura”. Questo paragrafo non ha avuto la maggioranza assoluta dei consensi tra i Padri sinodali, probabilmente diversi preferivano lasciare le espressioni utilizzate nella bozza iniziale, anche a rischio di essere strumentalizzati.
La relazione ufficiale dell’assemblea si è espressa a favore dei metodi naturali, invitando anche alla considearzione dell’adozione e dell’affido, anche per coniugi non sterili. Si è criticata invece la mentalità antinatalista: «Anche il calo demografico, dovuto ad una mentalità antinatalista e promosso dalle politiche mondiali di salute riproduttiva, non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire», si è specificato che l’indossolubilità del matrimonio è un dono di Dio, da richiedere, e non è una capacità degli sposi, si è criticata la mentalità individualista della società, «che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto». Si è parlato della dignità della donna, della violenza che spesso subisce e del «dono della maternità che viene spesso penalizzato piuttosto che essere presentato come valore». Una forte critica per le «tendenze culturali che sembrano imporre una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi».
Il Papa ha lasciato campo libero ai cardinali di esprimersi con chiarezza, non ha mai ostacolato e non è intervenuto nel dibattito. Nel suo intervento conclusivo ha spiegato: «ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la “suprema lex”, la “salus animarum” (cf. Can. 1752). E questo sempre – lo abbiamo detto qui, in Aula – senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita».
Nulla di ambiguo o di controverso, dunque. Purtroppo i tanti critici del Sinodo sono influenzati dalla strumentalizzazione fatta dai vaticanisti italiani, come abbiamo denunciato e mostrato. Tanto che il presidente dell’Associazione internazionale dei giornalisti accreditati in Vaticano, Salvatore Mazza, è intervenuto criticando chi «spinge sull’acceleratore della polemica per ribaltare, impacchettare, e (provare a) consegnare alle cronache – e, in definitiva, a umiliare – il Sinodo in corso per quello che non è». Lo stesso Francesco lo ha sottolineato: «Sempre ci sono timori, però perché non leggono le cose, o leggono una notizia in un giornale, un articolo, e non leggono quello che ha deciso il Sinodo, quello che si è pubblicato […]. Dunque al Sinodo si è parlato della famiglia e delle persone omosessuali in relazione alle loro famiglie, perché è una realtà che incontriamo nei confessionali […]. Io ho scritto un’enciclica a quattro mani, e un’esortazione apostolica, di continuo faccio dichiarazioni e omelie, e questo è magistero. Questo sta lì, è ciò che penso, non ciò che i media dicono che io pensi. Vada lì, e lo trova ed è ben chiaro. L’”Evangelii gaudium” è molto chiara».
Anche dopo il Sinodo, Francesco è intervenuto più volte per chiarirne le conclusioni e rispondere alle critiche:
Il 18 ottobre 2014 nel discorso di conclusione del Sinodo sulla Famiglia, Francesco ha spiegato che il Sinodo è stato «”un cammino” – e come ogni cammino ci sono stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore. Ci sono stati momenti di profonda consolazione ascoltando la testimonianza dei pastori veri che portano nel cuore saggiamente le gioie e le lacrime dei loro fedeli […]. Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni, se tutti fossero stati d’accordo o taciturni in una falsa e quietista pace. Invece ho visto e ho ascoltato – con gioia e riconoscenza – discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia. ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la “suprema lex”, la “salus animarum” (cf. Can. 1752). E questo sempre – lo abbiamo detto qui, in Aula – senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita […]. Tanti commentatori, o gente che parla, hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio dove una parte è contro l’altra, dubitando perfino dello Spirito Santo, il vero promotore e garante dell’unità e dell’armonia nella Chiesa. Lo Spirito Santo che lungo la storia ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi Ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori».
Il 30 novembre 2014 nella conferenza stampa durante il ritorno dal viaggio in Turchia, Papa Francesco ha risposto ad una domanda sulle “aperture” del Sinodo sulla Famiglia: «Il Sinodo è un percorso, è un cammino. Primo. Secondo: il Sinodo non è un parlamento. E’ uno spazio protetto perché possa parlare lo Spirito Santo. Tutti i giorni si faceva quel briefing con Padre Lombardi e altri padri sinodali, che dicevano cosa si era detto in quel giorno. Erano cose contrastanti, alcune. Poi, alla fine di questi interventi, è stata fatta quella bozza, che è la prima relatio. Poi questa è stata documento di lavoro per i gruppi linguistici che hanno lavorato su di esso, e poi hanno dato i loro apporti che sono stati resi pubblici: erano nelle mani di tutti i giornalisti. Cioè, come questo gruppo linguistico – inglese, spagnolo, francese, italiano – ha visto ogni parte di quella [prima relazione]. Poi, tutto è tornato alla commissione redattrice e questa commissione ha cercato di inserire tutti gli emendamenti. Ciò che è sostanziale rimane, ma tutto deve essere ridotto, tutto, tutto. E quello che è rimasto di sostanziale è nella relazione finale. Ma non finisce lì: anche questa è una redazione provvisoria, perché è diventata i “Lineamenta” per il prossimo Sinodo. Questo documento è stato inviato alle Conferenze episcopali, che devono discuterlo, inviare i loro emendamenti; poi si fa un altro “Instrumentum laboris” e poi l’altro Sinodo ne farà delle sue. E’ un percorso. Per questo non si può prendere un’opinione, di una persona o di una bozza. Il Sinodo dobbiamo vederlo nella sua totalità. Io non sono neanche d’accordo – ma questa è un’opinione mia, non voglio imporla – non sono d’accordo che si dica: “Oggi questo padre ha detto questo, oggi questo padre ha detto quello”. No, si dica che cosa è stato detto, ma non chi l’ha detto, perché – ripeto – non è un parlamento, il Sinodo, è uno spazio ecclesiale protetto, e questa protezione è perché lo Spirito Santo possa lavorare. Questa è la mia risposta».
Il 7 dicembre 2014 in un’intervista per “La Nacion”, Papa Francesco ha affermato: «Sempre ci sono timori, però perché non leggono le cose, o leggono una notizia in un giornale, un articolo, e non leggono quello che ha deciso il Sinodo, quello che si è pubblicato. Che cosa vale del Sinodo? La relazione post-sinodale, il messaggio post-sinodale, e il discorso del Papa. Il Sinodo è stato un processo e così come l’opinione di un padre sinodale, era di un padre sinodale, la prima bozza era una prima bozza, dove si raccoglieva tutto. Nessuno ha parlato di matrimonio omosessuale nel Sinodo. Quello di cui abbiamo parlato è come una famiglia che ha un figlio o una figlia omosessuale, come lo educa, come lo cresce, come si aiuta questa famiglia ad andare avanti in questa situazione un po’ inedita. Dunque al Sinodo si è parlato della famiglia e delle persone omosessuali in relazione alle loro famiglie, perché è una realtà che incontriamo nei confessionali […]. Io ho scritto un’enciclica a quattro mani, e un’esortazione apostolica, di continuo faccio dichiarazioni e omelie, e questo è magistero. Questo sta lì, è ciò che penso, non ciò che i media dicono che io pensi. Vada lì, e lo trova ed è ben chiaro. L’”Evangelii gaudium” è molto chiara».
Il 10 dicembre 2014 durante l’Udienza generale, Francesco ha ricordato: «Anzitutto io ho chiesto ai Padri sinodali di parlare con franchezza e coraggio e di ascoltare con umiltà, dire con coraggio tutto quello che avevano nel cuore. Nel Sinodo non c’è stata censura previa, ma ognuno poteva – di più doveva – dire quello che aveva nel cuore, quello che pensava sinceramente. “Ma, questo farà discussione”. E’ vero, abbiamo sentito come hanno discusso gli Apostoli. Dice il testo: è uscita una forte discussione. Gli Apostoli si sgridavano fra loro, perché cercavano la volontà di Dio sui pagani, se potevano entrare in Chiesa o no. Era una cosa nuova. Sempre, quando si cerca la volontà di Dio, in un’assemblea sinodale, ci sono diversi punti di vista e c’è la discussione e questo non è una cosa brutta! Sempre che si faccia con umiltà e con animo di servizio all’assemblea dei fratelli. […]. Nessun intervento ha messo in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio, cioè: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e l’apertura alla vita. Questo non è stato toccato. […] Il Sinodo è uno spazio protetto affinché lo Spirito Santo possa operare; non c’è stato scontro tra fazioni, come in parlamento dove questo è lecito, ma un confronto tra i Vescovi, che è venuto dopo un lungo lavoro di preparazione e che ora proseguirà in un altro lavoro, per il bene delle famiglie, della Chiesa e della società».
Il 2 febbraio 2015 mons. Livio Melina ha affermato in un’intervista che «Gesù non fece sondaggi quando propose il perdono dei nemici, l’indissolubilità del matrimonio, l’eucaristia o la parola della croce: sapeva benissimo come la pensavano persino i discepoli». Molti, compreso Antonio Socci, hanno letto in queste parole un’accusa a Francesco e al Vaticano per aver diffuso un questionario annesso al breve documento preparatorio del Sinodo straordinario sulla famiglia. Non si è affatto trattato di un “sondaggio” ma del sincerarsi di come venga diffuso e recepito l’insegnamento della Chiesa su questa materia, quali siano le difficoltà nel metterlo in pratica e quanto questo insegnamento entri nei programmi pastorali ad ogni livello. Come pure quali siano i punti più attaccati e rifiutati fuori dagli ambienti ecclesiali. E’ un modo che aiuta alle Chiese particolari a partecipare attivamente alla preparazione del Sinodo Straordinario e, per i padri sinodali, di confrontarsi e decidere in base a quanto avviene realmente attorno a loro.
Il 11 maggio 2015 Francesco ha incontrato i vescovi del Togo affermando: «So che vivete concretamente questa sollecitudine facendo partecipare le vostre diocesi alle riflessioni preparatorie al Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, che si riunirà il prossimo ottobre a Roma. È importante che gli aspetti positivi della famiglia che sono vissuti in Africa si esprimano e siano compresi. In particolare, la famiglia africana è accogliente verso la vita, rispetta e tiene conto delle persone anziane. Questa eredità deve essere dunque conservata e servire da esempio e da incoraggiamento per gli altri. Il sacramento del matrimonio è una realtà pastorale ben accolta nel vostro paese, sebbene ostacoli di ordine culturale e legale sussistano ancora, impedendo ad alcune coppie di realizzare il loro desiderio di fondare la propria vita coniugale sulla fede in Cristo. Vi incoraggio a perseverare nei vostri sforzi per sostenere le famiglie nelle loro difficoltà, soprattutto attraverso l’educazione e le opere sociali, e a preparare le coppie agli impegni, esigenti ma magnifici, del matrimonio cristiano. Il Togo non è risparmiato dagli attacchi ideologici e mediatici, oggi diffusi ovunque, che propongono modelli di unione e famiglie incompatibili con la fede cristiana. Conosco la vigilanza di cui date prova in questo ambito, come pure gli sforzi che realizzate, in particolare nel campo dei mass media». Ricordiamo che molti denigratori del Sinodo hanno più volte sottolineato la presunta non considerazione dell’episcopato africano.
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5. IL MEMORIALE E LE ACCUSE DELL’EX NUNZIO CARLO MARIA VIGANO’
A causa della complessità delle dichiarazioni esternate dall’ex nunzio Carlo Maria Viganò nei confronti del Papa, l’approfondimento della questione verrà a breve trattata in un apposito articolo, nel quale abbiamo ricostruito la vicenda.
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7. FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Il Pontefice è intervenuto anche su questa specifica tematica entrata nel dibattito pubblico in questi ultimi anni. Nel richiamo alla sacralità della persona da mettere al centro della società, non ha evitato di ricordare che i bambini non sono oggetti di produzione, e che non è una «conquista scientifica m (15/11/14)
Purtroppo anche su questo è stato strumentalizzato, come ha fatto la blogger de “Il Fatto Quotidiano” Elisabetta Ambrosi, secondo cui Francesco «mai avrebbe concepito che a una coppia sterile scoraggiata e disperata fosse riservato un trattamento così disumano come quello previsto da una norma votata da un Parlamento privo, oltre che delle nozioni elementari del diritto, anche di qualsiasi traccia di pietà», riferendosi alla legge 40. Ma si tratta appunto di disinformazione sul pensiero del Papa.
Di seguito in ordine cronologico tutti gli interventi del Pontefice su questa tematica:
Il 15 novembre 2014 nel discorso all’Associazione Medici Cattolici, Francesco ha ricordato che «il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”. Quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre […]. Noi stiamo vivendo un tempo di sperimentazioni con la vita. Ma uno sperimentare male. Fare figli invece di accoglierli come dono, come ho detto. Giocare con la vita. Siate attenti, perché questo è un peccato contro il Creatore: contro Dio Creatore, che ha creato le cose così».
Il 25 novembre 2014 nel discorso al Parlamento Europeo, Francesco ha affermato: «un impegno importante e ammirevole, poiché persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi».
Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «Le famiglie numerose sono una gioia per la Chiesa. In esse l’amore esprime la sua fecondità generosa. Questo non implica dimenticare una sana avvertenza di san Giovanni Paolo II, quando spiegava che la paternità responsabile non è «procreazione illimitata o mancanza di consapevolezza circa il significato di allevare figli, ma piuttosto la possibilità data alle coppie di utilizzare la loro inviolabile libertà saggiamente e responsabilmente, tenendo presente le realtà sociali e demografiche così come la propria situazione e i legittimi desideri».
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8. EUTANASIA
A causa dell’abbondanza di interventi del Papa riguardo ad eutanasia e suicidio assistito, l’approfondimento del suo pensiero è stato trattato in questo apposito articolo, in cui abbiamo raccolto tutti i suoi discorsi in merito.
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9. ABORTO
A causa dell’abbondanza di interventi del Papa riguardo all’interruzione di gravidanza, l’approfondimento del suo pensiero è stato trattato in questo apposito articolo, in cui abbiamo raccolto tutti i suoi discorsi in merito.
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10. CONTRACCEZIONE, CONTROLLO DELLE NASCITE E METODI NATURALI
Francesco è il Papa che ha maggiormente valorizzato Paolo VI e l’enciclica ”Humana Vitae”, famosa per la sua netta chiusura alla contraccezione artificiale. Non solo, il Pontefice ha apertamente onorato Paolo VI per il coraggio di questa scelta nonostante il parere negativo di moltissimi teologi, influenzati dalla mentalità sessantottina: «ebbe il coraggio di schierarsi contro la maggioranza, di difendere la disciplina morale, di esercitare un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo presente e futuro», ha ricordato Francesco. E in un’altra occasione: «Penso al Beato Paolo VI. In un momento in cui si poneva il problema della crescita demografica, ebbe il coraggio di difendere l’apertura alla vita nella famiglia […]. Paolo VI era coraggioso, era un buon pastore e mise in guardia le sue pecore dai lupi in arrivo. Che dal Cielo ci benedica questa sera».
Di seguito in ordine cronologico tutti gli interventi del Pontefice su questa tematica:
Il 5 marzo 2014 Papa Francesco ha concesso un’intervista al “Corriere della Sera” e, alla domanda se la Chiesa può riprendere il tema del controllo delle nascite, come chiedeva il card. Martini, lasciandosi così alle spalle l’Humanae Vitae di Paolo VI, Papa Francesco ha risposto: «Tutto dipende da come viene interpretata l’Humanae Vitae. Lo stesso Paolo VI, alla fine, raccomandava ai confessori molta misericordia, attenzione alle situazioni concrete. Ma la sua genialità fu profetica, ebbe il coraggio di schierarsi contro la maggioranza, di difendere la disciplina morale, di esercitare un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo presente e futuro. La questione non è quella di cambiare la dottrina, ma di andare in profondità e far sì che la pastorale tenga conto delle situazioni e di ciò che per le persone è possibile fare». Ricordiamo che negli anni Sessanta si verificò una massiccia pressione di cambiamento sulla liceità dei contraccettivi, con teologi, vescovi e cardinali schierati in larga parte a favore. Nel 1968 Paolo VI decise contro, con l’enciclica “Humanae Vitae”, che subì aspre contestazioni da parte di interi episcopati e la disobbedienza di innumerevoli fedeli.
Il 2 giugno 2014 durante l’omelia della messa mattutina celebrata in Santa Marta, Francesco ha affermato che «ci sono cose che a Gesù non piacciono», ovvero i matrimoni sterili per scelta: «Questi matrimoni che non vogliono i figli, che vogliono rimanere senza fecondità. Questa cultura del benessere di dieci anni fa ci ha convinto: “E’ meglio non avere i figli! E’ meglio! Così tu puoi andare a conoscere il mondo, in vacanza, puoi avere una villa in campagna, tu stai tranquillo”… Ma è meglio forse – più comodo – avere un cagnolino, due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino. E’ vero o no questo? Lo avete visto voi? E alla fine questo matrimonio arriva alla vecchiaia in solitudine, con l’amarezza della cattiva solitudine. Non è fecondo, non fa quello che Gesù fa con la sua Chiesa: la fa feconda».
Il 29 giugno 2014 in un’intervista al Messaggero Papa Francesco ha parlato nuovamente in modo poco politicamente corretto di quanto gli animali contino più dei bambini: «Si tratta di un altro fenomeno di degrado culturale. Questo perché il rapporto affettivo con gli animali è più facile, maggiormente programmabile. Un animale non è libero, mentre avere un figlio è una cosa complessa».
Il 16 gennaio 2015 durante l’incontro con le famiglie a Manila, Papa Francesco ha affermato: «Penso al Beato Paolo VI. In un momento in cui si poneva il problema della crescita demografica, ebbe il coraggio di difendere l’apertura alla vita nella famiglia. Lui conosceva le difficoltà che c’erano in ogni famiglia, per questo nella sua Enciclica era molto misericordioso verso i casi particolari, e chiese ai confessori che fossero molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari. Però lui guardò anche oltre: guardò i popoli della Terra, e vide questa minaccia della distruzione della famiglia per la mancanza dei figli. Paolo VI era coraggioso, era un buon pastore e mise in guardia le sue pecore dai lupi in arrivo. Che dal Cielo ci benedica questa sera».
Il 19 gennaio 2015 durante la conferenza stampa con i giornalisti in ritorno dal suo viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha affermato: «È vero che l’apertura alla vita è condizione del Sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento alla donna e la donna darlo all’uomo se non sono in questo punto d’accordo, di essere aperti alla vita. A tal punto che, se si può provare che questo o questa si è sposato con l’intenzione di non essere aperto alla vita, quel matrimonio è nullo, è causa di nullità matrimoniale, no? L’apertura alla vita, no? Paolo VI ha studiato questo con una commissione, come fare per aiutare tanti casi, tanti problemi, problemi importanti che fanno l’amore della famiglia. Il rifiuto di Paolo VI non era soltanto ai problemi personali, sui quali dirà poi ai confessori di essere misericordiosi e capire le situazioni e perdonare o essere misericordiosi, comprensivi, no? Ma lui guardava al neo-Malthusianismo universale che era in corso. E come si chiama questo neo-Malthusianismo? Eh, è il meno dell’1% del livello delle nascite in Italia, lo stesso in Spagna. Quel neo-Malthusianismo che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Questo non significa che il cristiano deve fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei. “Ma lei vuole lasciare orfani sette?”. Questo è tentare Dio. Si parla di paternità responsabile. Quella è la strada: la paternità responsabile. Ma quello che io volevo dire era che Paolo VI non è stato un arretrato [antiquato], un chiuso. No, è stato un profeta, che con questo ci ha detto: guardatevi dal neo-Malthusianismo che è in arrivo». Ad un’altra domanda sullo stesso tema, ha risposto: «Io credo il numero di 3 per famiglia che lei menziona, credo che è quello che dicono i tecnici: che è importante per mantenere la popolazione, no? 3 per coppia, no? Quando scende questo, accade l’altro estremo, che accade in Italia, dove ho sentito – non so se è vero – che nel 2024 non ci saranno i soldi per pagare i pensionati. Il calo della popolazione, no? Per questo la parola chiave per rispondere è quella che usa la Chiesa sempre, anche io: è paternità responsabile. Come si fa questo? Col dialogo. Ogni persona, col suo pastore, deve cercare come fare quella paternità responsabile. Quell’esempio che ho menzionato poco fa, di quella donna che aspettava l’ottavo e ne aveva sette nati col cesareo: ma questa è una irresponsabilità. “No, io confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti da i mezzi, sii responsabile”. Alcuni credono che – scusatemi la parola, eh? – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No. Paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori, e si cerca. E io conosco tante e tante vie d’uscita lecite che hanno aiutato a questo». A seguito di queste parole molti opinionisti hanno parlato di “apertura alla contraccezione”, la vaticanista Franca Giansoldati, de “Il Messaggero”, ha scritto che il Papa avrebbe aperto alla contraccezione: in realtà Francesco sta smontando il vecchio luogo comune anticattolico sul sesso solo per procreazione, dimenticando gli insegnamenti sui metodi naturali, non a caso parla di «vie d’uscite lecite», invitando a chiudeere ai pastori e agli esperti nei gruppi matrimoniali delle parrocchie. Di «maternità e paternità responsabile» si parla nel Sinodo sulla Famiglia proprio nel capitolo contro la contraccezione e a favore dei metodi naturali. Di «paternità responsabile» si parla anche nella Humanae Vitae” di Paolo Vi citata da Francesco, universalmente nota per la sua forte opposizione ai metodi contraccettivi artificiali. Facciamo anche notare che Francesco ha più volte sostenuto e valorizzato la “Humanae Vitae” di Paolo VI, universalmente nota per la sua forte chiusura alla contraccezione artificiale.
Il 17 febbraio 2016 durante la conferenza stampa nel ritorno dal suo viaggio in Messico, Papa Francesco ha affermato: «L’aborto non è un “male minore”. E’ un crimine. E’ fare fuori uno per salvare un altro. E’ quello che fa la mafia. E’ un crimine, è un male assoluto. Riguardo al “male minore”: evitare la gravidanza è un caso – parliamo in termini di conflitto tra il quinto e il sesto comandamento. Paolo VI – il grande! – in una situazione difficile, in Africa, ha permesso alle suore di usare gli anticoncezionali per i casi di violenza. Non bisogna confondere il male di evitare la gravidanza, da solo, con l’aborto. L’aborto non è un problema teologico: è un problema umano, è un problema medico. Si uccide una persona per salvarne un’altra – nel migliore dei casi – o per passarsela bene. E’ contro il Giuramento di Ippocrate che i medici devono fare. E’ un male in sé stesso, ma non è un male religioso, all’inizio, no, è un male umano. Ed evidentemente, siccome è un male umano – come ogni uccisione – è condannato. Invece, evitare la gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho menzionato del Beato Paolo VI, era chiaro».
Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «Anche il calo demografico, dovuto ad una mentalità antinatalista e promosso dalle politiche mondiali di salute riproduttiva, non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire. Lo sviluppo delle biotecnologie ha avuto anch’esso un forte impatto sulla natalità. Possono aggiungersi altri fattori come l’industrializzazione, la rivoluzione sessuale, il timore della sovrappopolazione, i problemi economici, […]. La società dei consumi può anche dissuadere le persone dall’avere figli anche solo per mantenere la loro libertà e il proprio stile di vita. E’ vero che la retta coscienza degli sposi, quando sono stati molto generosi nella trasmissione della vita, può orientarli alla decisione di limitare il numero dei figli per motivi sufficientemente seri, ma sempre per amore di questa dignità della coscienza la Chiesa rigetta con tutte le sue forze gli interventi coercitivi dello Stato a favore di contraccezione, sterilizzazione o addirittura aborto. Tali misure sono inaccettabili anche in luoghi con alto tasso di natalità, ma è da rilevare che i politici le incoraggiano anche in alcuni paesi che soffrono il dramma di un tasso di natalità molto basso. Come hanno indicato i Vescovi della Corea, questo è agire in un modo contraddittorio e venendo meno al proprio dovere».
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11. OBIEZIONE DI COSCIENZA
Difendere oggi l’obiezione di coscienza dei medici significa toccare l’argomento più divisivo della nostra società, perché se si usa l’obiezione, come fecero coloro che non intendevano combattere e uccidere, inevitabilmente l’aborto appare per quello che è: un omicidio. Francesco non solo ha più volte parlato di questo, ha più volte paragonato l’aborto ad un omicidio, ma ha palesemente invitato i medici a praticare l’obiezione di coscienza, andando ben oltre i suoi predecessori. Alla faccia di chi lo accusa di cercare il facile consenso mediatico.
Di seguito in ordine cronologico tutti gli interventi del Pontefice su questa tematica:
Il 20 settembre 2013 nel suo discorso alla Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, Francesco ha fatto appello «alle coscienze, alle coscienze di tutti i professionisti e i volontari della sanità, in maniera particolare di voi ginecologi, chiamati a collaborare alla nascita di nuove vite umane». Perché «La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone, la cui vita sempre è sacra e inviolabile». Infatti, «ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito», ha giudicato Francesco, «ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo». «Non si possono scartare, come ci propone la “cultura dello scarto”! Non si possono scartare!». Ha quindi spronato ad «un impegno di nuova evangelizzazione che richiede spesso di andare controcorrente, pagando di persona. Il Signore conta anche su di voi per diffondere il “vangelo della vita”».
Il 24 marzo 2014 Papa Francesco ha incontrato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, autore di una controversa riforma sanitaria (l’obamacare), osteggiata dalla gerarchia cattolica americana, che prevede l’obbligo per le aziende, anche cattoliche, di copertura delle spese per la contraccezione e per l’aborto dei dipendenti. In una dichiarazione ufficiale la Santa Sede ha scritto che il Papa avrebbe enfatizzato «l’importanza per la chiesa dei diritti di libertà religiosa, vita e obiezione cosciente». Come hanno riportato i quotidiani, in queste poche righe –e Obama e i suoi l’hanno capito immediatamente– si trova una gelida presa di distanza dalle politiche sanitarie dell’amministrazione americana.
L’11 aprile 2014 Francesco ha incontrato il Movimento per la Vita italiano e ha ricordato questo episodio: «Io ricordo una volta, tanto tempo fa, che avevo una conferenza con i medici. Dopo la conferenza ho salutato i medici – questo è accaduto tanto tempo fa. Salutavo i medici, parlavo con loro, e uno mi ha chiamato in disparte. Aveva un pacchetto e mi ha detto: “Padre, io voglio lasciare questo a lei. Questi sono gli strumenti che io ho usato per fare abortire. Ho incontrato il Signore, mi sono pentito, e adesso lotto per la vita”. Mi ha consegnato tutti questi strumenti. Pregate per quest’uomo bravo!».
Il 15 novembre 2014 nel discorso all’Associazione Medici Cattolici, Francesco ha invitato apertamente i medici a praticare l’obiezione di coscienza: «il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”», ha affermato il Pontefice. «Quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre. […] La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza».
Il 27 settembre 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto: «l’obiezione di coscienza è un diritto ed entra in ogni diritto umano. E’ un diritto, e se una persona non permette di esercitare l’obiezione di coscienza, nega un diritto. In ogni struttura giudiziaria deve entrare l’obiezione di coscienza, perché è un diritto, un diritto umano».
Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «In questo contesto, non posso non affermare che, se la famiglia è il santuario della vita, il luogo dove la vita è generata e curata, costituisce una lacerante contraddizione il fatto che diventi il luogo dove la vita viene negata e distrutta. È così grande il valore di una vita umana, ed è così inalienabile il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che in nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio corpo la possibilità di prendere decisioni nei confronti di tale vita, che è un fine in sé stessa e che non può mai essere oggetto di dominio da parte di un altro essere umano. La famiglia protegge la vita in ogni sua fase e anche al suo tramonto. Perciò a coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza. Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia», ma «rigetta fermamente la pena di morte».
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12. EDUCAZIONE SESSUALE E TEORIA DEL GENDER
A causa dell’abbondanza di interventi del Papa riguardo alla teoria gender, l’approfondimento del suo pensiero è stato trattato in questo apposito articolo, in cui abbiamo raccolto tutti i suoi discorsi in merito.
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31.
COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI E L’ESORTAZIONE “AMORIS LAETITIA”
A causa della complessità dell’argomento riguardo ad Amoris Laetita e l’accesso all’Eucarestia alle persone in seconda unione, l’approfondito chiarimento della questione è stato trattato in questo apposito articolo.
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13. LAICITA’, LAICISMO E INTERVENTISMO NELLA POLITICA
La più efficace manipolazione mediatica contro Francesco è che la “sua Chiesa” avrebbe smesso di essere “interventista”, ovvero non avrebbe più intenzione di “intromettersi” -per usare il vocabolario laicista- nella politica e nella vita civile degli altri Paesi.
Purtroppo anche il vaticanista de “La Stampa” Andrea Tornielli ha affermato che con Francesco sarebbe «messo in discussione» il modello «ruiniano di una Chiesa interventista, particolarmente concentrata su alcuni temi bioetici, che cerca di garantirsi spazi di influenza nelle questioni legislative» (concludendo il pezzo parlando dei fantomatici “diritti ai gay” che verrebbero dalle unioni civili). L’anticlericale Furio Colombo ha scritto: «Vi siete accorti che Francesco ha indotto, fin dal primo giorno, la curia vaticana – da monsignor Fisichella a S.E. Bagnasco – a smettere di dettar legge in Italia». Eppure, non solo mons. Bagnasco ha continuato ad intervenire con diritto nella scena pubblica, parlando a nome della Conferenza Episcopale Italiana, sia verso i corsi antiomofobia nelle scuole, sia verso le unioni civili ecc., ma lo stesso Francesco è più volte intervenuto, addirittura invitando i medici a praticare l’obiezione di coscienza, invocando una difesa giuridica dell’embrione, nonché leggi in favore della famiglia ecc. Tanto che il giornalista Massimo Fini ha accusato Francesco di ingerenza, «la deve smettere di intromettersi negli affari interni dello Stato italiano. Non sono affari suoi».
Il cambiamento che c’è stato è aver dato ancora più responsabilità e autonomia alle specifiche Conferenze Epsicopali di ogni Paese nell’intervenire a livello sociale, ma questo va visto nell’ottica di un maggior intento “interventista” e non il contrario. Sul tema della laicità ha più volte criticato il tentativo di «ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo».
Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice e i suoi collaboratori sono intervenuti “politicamente” e i pronunciamenti sul tema della laicità/laicismo e della secolarizzazione:
Il 03 maggio 2013 il card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, è intervenuto sul referendum bolognese sulle scuole paritarie: «I fondi alle materne private? Non si tratta in alcun modo di un onere di Stato, e per questo risulta pretestuoso il riferimento all’articolo 33 della Costituzione fatto dai promotori».
Il 12 maggio 2013 durante il Regina Caeli in piazza San Pietro, Francesco ha “benedetto” i partecipanti alla Marcia per la Vita: «Saluto i partecipanti alla “Marcia per la vita” che ha avuto luogo questa mattina a Roma e invito a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento. A questo proposito, mi piace ricordare anche la raccolta di firme che oggi si tiene in molte parrocchie italiane, al fine di sostenere l’iniziativa europea “Uno di noi”, per garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza». Alla fine della celebrazione e smessi i paramenti sacri, si è avvicinato ai promotori dell’iniziativa, salutandoli e scambiando qualche parola con loro.
Il 19 maggio 2013, in occasione del messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2013, Francesco ha ricordato: «a volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: “Sarebbe un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà è un omaggio a questa libertà” (Esort, ap. Evangelii nuntiandi, 80). Dobbiamo avere sempre il coraggio e la gioia di proporre, con rispetto, l’incontro con Cristo, di farci portatori del suo Vangelo».
Il 16 settembre 2013 Papa Francesco durante la meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta, ha spiegato: «A volte abbiamo sentito dire: un buon cattolico non si interessa di politica. Ma non è vero: un buon cattolico si immischia in politica offrendo il meglio di sé perché il governante possa governare».
Il 20 settembre 2013 nel suo discorso alla Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, Francesco ha indicato il modello di sistema sanitario ideale: «La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone, la cui vita sempre è sacra e inviolabile», ricordando che «la Chiesa fa appello alle coscienze, alle coscienze di tutti i professionisti e i volontari della sanità, in maniera particolare di voi ginecologi, chiamati a collaborare alla nascita di nuove vite umane». Ha quindi spronato ad «un impegno di nuova evangelizzazione che richiede spesso di andare controcorrente, pagando di persona. Il Signore conta anche su di voi per diffondere il “vangelo della vita”».
Il 18 novembre 2013 durante la meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta, il Pontefice ha criticato «lo spirito della mondanità che anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al pensiero unico» che nel libro dei Maccabei che stava commentando ha portato alle «condanne a morte, ai sacrifici umani. Voi pensate che oggi non si fanno sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti. E ci sono delle leggi che li proteggono».
Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge: «Il processo di secolarizzazione tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo. Inoltre, con la negazione di ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad un disorientamento generalizzato, specialmente nella fase dell’adolescenza e della giovinezza, tanto vulnerabile dai cambiamenti. Come bene osservano i Vescovi degli Stati Uniti d’America, mentre la Chiesa insiste sull’esistenza di norme morali oggettive, valide per tutti, “ci sono coloro che presentano questo insegnamento, come ingiusto, ossia opposto ai diritti umani basilari. Tali argomentazioni scaturiscono solitamente da una forma di relativismo morale, che si unisce, non senza inconsistenza, a una fiducia nei diritti assoluti degli individui. In quest’ottica, si percepisce la Chiesa come se promuovesse un pregiudizio particolare e come se interferisse con la libertà individuale” [….]. Un sano pluralismo, che davvero rispetti gli altri ed i valori come tali, non implica una privatizzazione delle religioni, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe o delle moschee. Si tratterebbe, in definitiva, di una nuova forma di discriminazione e di autoritarismo. Il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in un modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose. Questo alla lunga fomenterebbe più il risentimento che la tolleranza e la pace. […]. Al momento di interrogarsi circa l’incidenza pubblica della religione, bisogna distinguere diversi modi di viverla. Sia gli intellettuali sia i commenti giornalistici cadono frequentemente in grossolane e poco accademiche generalizzazioni quando parlano dei difetti delle religioni e molte volte non sono in grado di distinguere che non tutti i credenti – né tutte le autorità religiose – sono uguali. Alcuni politici approfittano di questa confusione per giustificare azioni discriminatorie. Altre volte si disprezzano gli scritti che sono sorti nell’ambito di una convinzione credente, dimenticando che i testi religiosi classici possono offrire un significato destinato a tutte le epoche, posseggono una forza motivante che apre sempre nuovi orizzonti, stimola il pensiero, allarga la mente e la sensibilità. Vengono disprezzati per la ristrettezza di visione dei razionalismi. È ragionevole e intelligente relegarli nell’oscurità solo perché sono nati nel contesto di una credenza religiosa? Portano in sé principi profondamente umanistici, che hanno un valore razionale benché siano pervasi di simboli e dottrine religiose». Rispetto al diritto della Chiesa di intervenire nella società pubblica, «i Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo […]. La conversione cristiana esige di riconsiderare «specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune. Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra».
Il 27 novembre 2013 durante l’Udienza generale, Francesco ha spiegato: «A me sempre ha colpito la domanda: perché soffrono i bambini?, perché muoiono i bambini? Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse. Questa concezione della morte è tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla. Ma esiste anche un ateismo pratico, che è un vivere solo per i propri interessi e vivere solo per le cose terrene. Se ci lasciamo prendere da questa visione sbagliata della morte, non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura».
Il 28 novembre 2013 nella meditazione mattutina a Santa Marta, Francesco ha spiegato che il divieto di adorare Dio è il segno di una «apostasia generale», è la grande tentazione che prova a convincere i cristiani a prendere «una strada più ragionevole, più tranquilla», obbedendo «agli ordini dei poteri mondani» che pretendono di ridurre «la religione a una cosa privata».
Il 29 dicembre 2013 il vescovo ausiliare di Malta Francesco Sciclunatr ha riferito che nell’incontro con Papa Francesco del 12 dicembre hanno parlato del disegno di legge sulle unioni civili che permetterà le adozioni a persone dello stesso sesso e il Pontefice si è dichiarato “scioccato”. «Abbiamo discusso molti aspetti e quando ho sollevato il problema che mi preoccupa come vescovo mi ha incoraggiato ad intervenire».
Il 15 febbraio 2014 il card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, è intervenuto contro una «strategia persecutoria» nei confronti della famiglia.
Il 18 agosto 2014 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Corea del Sud, Francesco ha affermato : «se pensiamo alla storia dell’Albania, è stata religiosamente l’unico dei Paesi comunisti che nella sua Costituzione aveva l’ateismo pratico. Se tu andavi a Messa era anticostituzionale. E poi, mi diceva uno dei ministri, che sono state distrutte – voglio essere preciso nella cifra – 1.820 chiese. Distrutte! Ortodosse, cattoliche… in quel tempo. E poi, altre chiese sono state trasformate in cinema, teatro, sale da ballo…».
Il 29 maggio 2014 mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI (scelto direttamente da Papa Francesco), è intervenuto in merito al ddl sul divorzio breve: «non darà nessun contributo. Non credo si possa parlare di conquista, tanto meno definirla storica. Una accelerazione per quel che riguarda il divorzio non fa che consentire una deriva culturale. Togliere spazio alla riflessione non risolverà. Il matrimonio e la famiglia restano il fondamento della nostra società. La fretta non porterà da nessuna parte».
Il 14 ottobre 2014 Papa Francesco ha risposto, attraverso l’Assessore per gli affari generali della Segreteria di Stato monsignor Peter Brian Wells, alla lettera inviatagli da Arianna Lazzarini, vicecapogruppo regionale della Lega Nord nel Veneto. La consigliera lo informava della sua iniziativa a favore della famiglia tradizionale in fase di approvazione in aula, rivendicando il diritto dei genitori all’educazione dei figli secondo i propri valori e non basandosi sui documenti dell’OMS. Francesco ha risposto: «Sua Santità desidera manifestarLe viva gratitudine per il premuroso gesto e per i sentimenti di venerazione e affetto che lo hanno suggerito e chiede di perseverare nell’impegno a favore della persona umana, per l’adeguata tutela dei valori tradizionali e per il riconoscimento del proprio diritto all’educazione dei figli, secondo i valori cristiani».
Il 10 novembre 2014 il card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, è intervenuto contro le unioni civili e i matrimoni per persone dello stesso sesso, affermando che « hanno l’unico scopo di confondere la gente e di essere una specie di cavallo di troia di classica memoria – per scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano».
Il 15 novembre 2014 nel discorso all’Associazione Medici Cattolici, Francesco ha invitato apertamente i medici a praticare l’obiezione di coscienza: «il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”», ha affermato il Pontefice. «Quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre. […] La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza».
Il 22 novembre 2014 mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei scelto personalmente da Papa Francesco, ha affermato che i sindaci che trascrivono le nozze gay contratte all’estero «come minimo, sono irrispettosi della legge. Ho lavorato tanto con i tossicodipendenti. Quei sindaci mi ricordano un mio ragazzo che mi dicesse: che male faccio se mi drogo e spaccio? Tanto tra poco la droga sarà liberalizzata. Basta mettersi la fascia, due foto e quattro firme. Un paio d’ore in tutto, al massimo. Invece una politica seria della famiglia richiederebbe mesi di lavoro, grande impegno, fatica. L’Italia è fortemente segnata dall’azione lobbistica di minoranze aggressive, in grado di imporre un pensiero unico. Spesso a dettare l’agenda sono loro, non la maggioranza».
Il 25 novembre 2014 nel discorso al Parlamento Europeo, Francesco ha ricordato che «un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello “spirito umanistico” che pure ama e difende. Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l’hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona». Così, «un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e le potenzialità, può essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza […] In tal senso, ritengo che l’Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell’Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l’ideale dell’unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie […] E una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro. Essa è la nostra identità. E l’Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa stessa non è ancora esente dai conflitti».
Il 29 dicembre 2014 nell’incontro con l’Associazione nazionale delle Famiglie numerose, Francesco ha affermato: «Giustamente voi ricordate che la Costituzione Italiana, all’articolo 31, chiede un particolare riguardo per le famiglie numerose; ma questo non trova adeguato riscontro nei fatti. Resta nelle parole. Auspico quindi, anche pensando alla bassa natalità che da tempo si registra in Italia, una maggiore attenzione della politica e degli amministratori pubblici, ad ogni livello, al fine di dare il sostegno previsto a queste famiglie. Ogni famiglia è cellula della società, ma la famiglia numerosa è una cellula più ricca, più vitale, e lo Stato ha tutto l’interesse a investire su di essa!».
Il 26 gennaio 2015 il card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, è intervenuto contro l’introduzione del gender nelle scuole: «si vuole colonizzare le menti dei bambini e dei ragazzi con una visione antropologica distorta e senza aver prima chiesto e ottenuto l’esplicita autorizzazione dei genitori».
Il 30 gennaio 2015 mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI, è intervenuto contro l’ideologia di gender accusata di «capovolgere l’alfabeto dell’umano», aggiungendo che «le unioni civili mi sembrano un diversivo per chi non è sintonizzato sul fuso orario della gente».
Il 7 febbraio 2015 il card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, è nuovamente intervenuto sull’ideologia del gender invocando un intervento unitario: «contro l’insegnamento del gender a scuola, che va avanti, serve una mobilitazione che veda protagonisti anche realtà come i giuristi e i medici cattolici. Troppo spesso – ha aggiunto – sono i genitori stessi che non si oppongono con decisione a queste teorie, perché temono ritorsioni degli insegnanti contro i loro figli. Se si tratta di creare un caso nazionale, allora creiamo un caso nazionale!».
Il 23 marzo 2015 il card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, è nuovamente intervenuto sull’ideologia del gender.
Il 28 marzo 2015 il segretario generale della CEI, mons. Nunzio Galantino (scelto personalmente da Papa Francesco), è duramente intervenuto contro il ddl Crinnà sulle unioni civili parlando di «forzatura ideologica».
Il 27 aprile 2015 durante l’udienza ai vescovi del Benin, Francesco ha affermato: «È dunque importante che il desiderio di una conoscenza profonda del mistero cristiano non sia appannaggio di una élite, ma animi tutti i fedeli, poiché tutti sono chiamati alla santità. Ciò è essenziale affinché la Chiesa in Benin possa resistere e vincere i venti contrari che si alzano ovunque nel mondo e che non mancheranno di soffiare da voi. So che siete vigili di fronte alle molteplici aggressioni ideologiche e mediatiche. Lo spirito del secolarismo è all’opera anche nel vostro paese, sebbene ciò sia ancora poco visibile. Solo una fede profondamente radicata nel cuore dei fedeli, e concretamente vissuta, permetterà di far fronte a tutto ciò».
Il 7 maggio 2015 durante l’udienza ai vescovi del Mali, Francesco ha detto: «Oggi le Chiese e le Comunità ecclesiali in Europa si trovano ad affrontare sfide nuove e decisive, alle quali possono dare risposte efficaci solo parlando con una voce sola. Penso, per esempio, alla sfida posta da legislazioni che, in nome di un principio di tolleranza male interpretato, finiscono con l’impedire ai cittadini di esprimere liberamente e praticare in modo pacifico e legittimo le proprie convinzioni religiose».
Il 24 maggio 2015 nell’Enciclica Laudato Sii, Francesco ha scritto: «Desidero ricordare che «i testi religiosi classici possono offrire un significato destinato a tutte le epoche, posseggono una forza motivante che apre sempre nuovi orizzonti […]. È ragionevole e intelligente relegarli nell’oscurità solo perché sono nati nel contesto di una credenza religiosa?». In realtà, è semplicistico pensare che i principi etici possano presentarsi in modo puramente astratto, slegati da ogni contesto, e il fatto che appaiano con un linguaggio religioso non toglie loro alcun valore nel dibattito pubblico. I principi etici che la ragione è capace di percepire possono riapparire sempre sotto diverse vesti e venire espressi con linguaggi differenti, anche religiosi».
Il 29 ottobre 2015 mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI (scelto direttamente da Francesco) è nuovamente intervenuto sulle unioni civili: ««La famiglia è una, quella fondata sul matrimonio di padre e madre e figli, non lo dice la Chiesa, ma la Sacra Scrittura e l’articolo 29 della Costituzione italiana, che prevede che la famiglia sia fondata su due persone di sesso diverso. L’aggettivo “tradizionale” non va applicato alla famiglia. Non esiste la famiglia tradizionale, esiste la famiglia, che è una e inconfondibile». Rispetto ai sindaci ribelli che trascrivono i matrimoni contratti all’estero di persone omosessuali ha affermato: «Marino e de Magistris vanno contro la Costituzione. Ci si mette più tempo a pensare a politiche serie per la famiglia che a realizzare un registro scritto: un’ora emezza per realizzare un registro delle coppie di fatto, mentre per intervenire su politiche per la famiglia occorrerebbero
tantissime energie».
Il 21 novembre 2015 al congresso sull’Educazione cattolica, Papa Francesco ha affermato: «Educare cristianamente non è soltanto fare una catechesi: questa è una parte. Non è soltanto fare proselitismo – non fate mai proselitismo nelle scuole! Mai! – Educare cristianamente è portare avanti i giovani, i bambini nei valori umani in tutta la realtà, e una di queste realtà è la trascendenza. Oggi c’è la tendenza ad un neopositivismo, cioè educare nelle cose immanenti, al valore delle cose immanenti, e questo sia nei Paesi di tradizione cristiana sia nei Paesi di tradizione pagana. E questo non è introdurre i ragazzi, i bambini nella realtà totale: manca la trascendenza. Per me, la crisi più grande dell’educazione, nella prospettiva cristiana, è questa chiusura alla trascendenza. Siamo chiusi alla trascendenza. Occorre preparare i cuori perché il Signore si manifesti, ma nella totalità; cioè, nella totalità dell’umanità che ha anche questa dimensione di trascendenza. Educare umanamente ma con orizzonti aperti. Ogni sorta di chiusura non serve per l’educazione […]. Don Bosco, ai tempi della più brutta massoneria del Nord Italia, ha cercato una “educazione di emergenza”. E oggi ci vuole una “educazione di emergenza”, bisogna puntare sull’“educazione informale”, perché l’educazione formale si è impoverita a causa dell’eredità del positivismo. Concepisce soltanto un tecnicismo intellettualista e il linguaggio della testa. E per questo, si è impoverita. Bisogna rompere questo schema».
Il 17 dicembre 2015, durante il discorso di presentazione degli ambasciatori di Guinea, Lettonia, India e Bahrein, Francesco ha affermato: «L’indifferenza verso Dio, quella verso il prossimo e quella verso l’ambiente sono tra loro collegate e si alimentano a vicenda; e pertanto si possono contrastare solamente con una risposta che le affronti tutte insieme, cioè con un rinnovato umanesimo, che ricollochi l’essere umano nella sua giusta relazione con il Creatore, con gli altri e con il creato».
Il 03 gennaio 2016, in un’intervista, mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei, è intervenuto in difesa del Family Day: «È stata un’esperienza certamente positiva, per tanti motivi. Non fosse altro perché abbiamo sperimentato concretamente il valore delle parole rivolteci dal Papa: noi non dobbiamo essere vescovi-piloti. Ma questo non significa essere gente disattenta e distratta. Il tema del Family day e dei relativi dibattiti può trovare adeguata collocazione e diventare occasione di confronto leale, per la politica e per la stessa comunità ecclesiale».
Il 17 febbraio 2016 durante la conferenza stampa nel ritorno dal suo viaggio in Messico, al Papa è stato chiesto cosa ne pensasse delle unioni civili proposte dal governo italiano: «Prima di tutto, io non so come stanno le cose nel Parlamento italiano. Il Papa non si immischia nella politica italiana. Nella prima riunione che ho avuto con i Vescovi [italiani], nel maggio 2013, una delle tre cose che ho detto: “Con il governo italiano, arrangiatevi voi”. Perché il Papa è per tutti, e non può mettersi nella politica concreta, interna di un Paese: questo non è il ruolo del Papa. E quello che penso io è quello che pensa la Chiesa, e che ha detto in tante occasioni. Perché questo non è il primo Paese che fa questa esperienza: sono tanti. Io penso quello che la Chiesa sempre ha detto». E’ stato criticato da chi rileva una sua contraddizione: non si vorrebbe immischiare nella politica italiana ma si sarebbe immischiato nella politica americana sostenendo che il candidato alle primarie repubblicane, Donald Trump, non è cristiano. In realtà il Papa è rimasto coerente: «una persona che pensa soltanto a fare muri, sia dove sia, e non a fare ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo. Poi, quello che mi diceva, cosa consiglierei, votare o non votare: non mi immischio. Soltanto dico: se dice queste cose, quest’uomo non è cristiano. Bisogna vedere se lui ha detto queste cose. E per questo do il beneficio del dubbio».
Il 03 marzo 2016 durante un colloquio con il settimanale La vie, Papa Francesco ha criticato la politica francese: «La Francia deve diventare uno Stato più laico. Una critica che faccio alla Francia è che la laicità risulta talvolta troppo dalla filosofia dei Lumi, per la quale le religioni erano una sottocultura. La Francia non è ancora riuscita a superare questa eredità. Una laicità sana comprende un’apertura a tutte le forme di trascendenza, secondo tutte le differenti tradizioni religiose e filosofiche. La ricerca della trascendenza non è solo un fatto, ma un diritto».
Il 25 marzo 2016 durante la Via Crucis, La vie, Papa Francesco ha affermato: «O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato».
Il 01 novembre 2016 durante una conferenza stampa nel ritorno dal viaggio in Svezia, Papa Francesco ha risposto: «quando l’uomo riceve il mondo da Dio e per farlo cultura, per farlo crescere, dominarlo, a un certo punto l’uomo si sente tanto padrone di quella cultura – pensiamo al mito della Torre di Babele – è tanto padrone di quella cultura che incomincia a fare lui il creatore di un’altra cultura, ma propria, e occupa il posto di Dio creatore. E nella secolarizzazione io credo che prima o poi si arriva al peccato contro il Dio creatore. L’uomo autosufficiente. Non è un problema di laicità, perché ci vuole una sana laicità, che è l’autonomia delle cose, l’autonomia sana delle cose, l’autonomia sana delle scienze, del pensiero, della politica, ci vuole una sana laicità. No, un’altra cosa, è un laicismo piuttosto come quello che ci ha lasciato in eredità l’illuminismo».
L’11 gennaio 2017 l’opinionista Carlo Troilo, membro della Associazione Luca Coscioni, ha affermato che «nei rapporti con lo Stato italiano, Bergoglio si impegno a non intervenire di persona ma poi lascia che i Cardinali parlino e contrastino con forza le leggi non gradite, in particolare quella sulle unioni civili. Valga per tutti l’esempio del card. Paglia che, appena nominato presidente del Consiglio Pontificio per la Famiglia attacca in modo volgare i sostenitori dell’eutanasia. Qualche volta il Papa non si trattiene. L’intervento più clamoroso di Francesco è stato a mio avviso quello contro Ignazio Marino. Il Papa non può perdonare a Marino di avere istituito a Roma i registri dei testamenti biologici e delle unioni civili, spingendosi fino a celebrare le “nozze” di due omosessuali: nella Capitale del cattolicesimo mondiale! Così, quando Marino commette l’imprudenza di farsi trovare in prima fila fra quanti accolgono il Papa a Filadelfia, il Papa decide di “affrontarlo”. Sull’aereo che lo riporta a Roma “si fa chiedere” da un giornalista (uso le virgolette per descrivere un espediente ben noto per chi, come me, si è occupato a lungo di uffici stampa) se aveva invitato il sindaco di Roma. E risponde quasi con rabbia: “Io non l’ho invitato. E’ chiaro?”. Un colpo mortale per un sindaco già molto traballante per altre e complicate ragioni».
Il 29 gennaio 2017 il vescovo “bergogliano” di Bologna, mons. Matteo Zuppi, è intervenuto contro lo spettacolo teatrale Lgbt Fà-afafine.
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14. ACCUSE DI RELATIVISMO, AMBIGUITA’ SUL PECCATO E PROGRESSIMO
Chi avanza questo tipo di accuse afferma che Francesco abbia archiviato il confronto con la modernità, la condanna al relativismo, alla secolarizzazione e al pensiero unico, tematiche care al suo predecessore. Ovviamente c’è chi si compiace di questo, usiamo come esempio il cattolico adulto Alberto Melloni, che ha scritto: «quella di Bergoglio non è una parola che usa il radicalismo come un frustino per deprecare ideologicamente i vizi della modernità o altri soggetti identificati con gli “-ismi” di ratzingeriana memoria (relativismo, laicismo, ecc.)». Leggendo le parole di Francesco si scopre invece una particolare insistenza su temi politicamente scorretti e contrari alle convinzioni della modernità: contro il relativismo della società che abbaglia la verità (cfr. 17/08/14), contro il progressismo adolescenziale (cfr. 18/11/13), contro il tradizionalismo zelante (cfr. 18/10/14), contro l’allarmismo catastrofico (cfr. 15/12/14), contro il feticismo degli idoli della società moderna (cfr. Evangelii gaudium); contro l’egoismo di chi ha paura di sposarsi (cfr. 4/10/13) e di chi non ama la vita (cfr. 25/12/14), contro il relativismo che rovina il matrimonio (cfr. 25/10/14); contro il consumismo esasperato della società (cfr. 25/11/14); contro il buonismo distruttivo (cfr. 18/10/14); contro il machismo in gonnella (cfr. 19/09/13) ecc.
Per non parlare delle critiche ai quotidiani e ai mass media, in un modo tanto diretto che si fa fatica a trovare affermazioni simili nei discorsi dei predecessori.
Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice e i suoi collaboratori sono intervenuti in modo simile:
Il 25 maggio 2012, quando ancora era arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio ha affermato: «Il relativismo che, con la scusa del rispetto delle differenze, omogeneizza nella trasgressione e nella demagogia, consente tutto pur di non assumere la contrarietà che esige il coraggio maturo di sostenere valori e principi. Il relativismo è, curiosamente, assolutista e totalitario, non permette di differire dal proprio relativismo, in niente differisce dal “taci” o dal “fatti gli affari tuoi».
Il 23 aprile 2013 durante l’omelia in occasione della Festa di San Giorgio, Francesco ha detto: «Se noi vogliamo andare sulla strada della mondanità, negoziando con il mondo – come volevano fare i Maccabei, che erano tentati in quel tempo – mai avremo la consolazione del Signore. E se noi cerchiamo soltanto la consolazione, sarà una consolazione superficiale, non quella del Signore, sarà una consolazione umana. La Chiesa va sempre tra la Croce e la Risurrezione, tra le persecuzioni e le consolazioni del Signore. E questo è il cammino: chi va per questa strada non si sbaglia».
L’8 maggio 2013 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha parlato della verità e di come vada comunicata: la verità «non entra in una enciclopedia»; è piuttosto l’«incontro con la somma verità: Gesù, la grande verità. Nessuno è padrone della verità la verità non si può gestire a proprio piacimento, non si può strumentalizzare, neppure per difenderci. L’apostolo Pietro ci dice: “Voi dovete dar conto della vostra speranza”. Sì, ma una cosa è dar conto della propria speranza e altra cosa è dire: “Noi abbiamo la verità: questa è! Se voi non la accettate, andate via”». Aggiungendo: «quando la Chiesa perde il coraggio apostolico, diventa una Chiesa ferma. Ordinata, bella; tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove ci sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole».
Il 30 giugno 2013 durante l’Angelus domenicale, Francesco ha detto: «dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace… Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele […] è nella coscienza che si dà dialogo con Dio; uomini e donne, capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione».
L’11 settembre 2013 nel Messaggio ai partecipanti alla Settimana sociale dei cattolici italiani, Francesco ha scritto: «La famiglia è scuola privilegiata di generosità, di condivisione, di responsabilità, scuola che educa a superare una certa mentalità individualistica che si è fatta strada nelle nostre società […]. Non possiamo ignorare la sofferenza di tante famiglie, dovuta alla mancanza di lavoro, al problema della casa, alla impossibilità pratica di attuare liberamente le proprie scelte educative».
Il 20 settembre 2013 nel suo discorso alla Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, Francesco ha criticato la proliferazione e l’ideologia dei “nuovi diritti”: «Una diffusa mentalità dell’utile, la “cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli. La nostra risposta a questa mentalità è un “sì” deciso e senza tentennamenti alla vita». Esiste una situazione paradossale, ha spiegato, dove «mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti, non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo. Il fine ultimo dell’agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita». Invitando i medici a difendere la vita «è questo un impegno di nuova evangelizzazione che richiede spesso di andare controcorrente, pagando di persona».
Il 4 ottobre 2013 durante l’incontro con i giovani dell’Umbria, Francesco ha affermato: «la società in cui voi siete nati privilegia i diritti individuali piuttosto che la famiglia – questi diritti individuali -, privilegia le relazioni che durano finché non sorgono difficoltà, e per questo a volte parla di rapporto di coppia, di famiglia e di matrimonio in modo superficiale ed equivoco. Basterebbe guardare certi programmi televisivi e si vedono questi valori!».
Il 4 ottobre 2013, nel discorso durante l’incontro ad Assisi con i poveri della Caritas, Francesco ha affermato: «Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano – dicono – senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero! Qualcuno dirà: “Ma di che cosa deve spogliarsi la Chiesa?”. Deve spogliarsi oggi di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo della mondanità. Il cristiano non può convivere con lo spirito del mondo. La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio. E’ un idolo! E l’idolatria è il peccato più forte!”».
Il 18 novembre 2013 durante la meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta, il Pontefice, commentando il libro dei Maccabei, ha criticato «lo spirito della mondanità che anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al pensiero unico». Coloro che dicono: «Non ci chiudiamo. Siamo progressisti», «lo spirito del progressismo adolescente» secondo il quale, davanti a qualsiasi scelta, si pensa che sia giusto andare comunque avanti piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni». Il Papa fa riferimento al romanzo “Il padrone del mondo” di Benson che si sofferma proprio su «quello spirito di mondanità che ci porta all’apostasia». Oggi, avverte il Papa, si pensa che «dobbiamo essere come tutti, dobbiamo essere più normali, come fanno tutti, con questo progressismo adolescente».
Il 24 novembre 2013
viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge: «La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo. […] L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari […]. La cultura mediatica e qualche ambiente intellettuale a volte trasmettono una marcata sfiducia nei confronti del messaggio della Chiesa, e un certo disincanto. Come conseguenza, molti operatori pastorali, benché preghino, sviluppano una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana e le loro convinzioni. Si produce allora un circolo vizioso, perché così non sono felici di quello che sono e di quello che fanno, non si sentono identificati con la missione evangelizzatrice, e questo indebolisce l’impegno. Finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri e per avere quello che gli altri possiedono. […]. È evidente che in alcuni luoghi si è prodotta una “desertificazione” spirituale, frutto del progetto di società che vogliono costruirsi senza Dio o che distruggono le loro radici cristiane. […] In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario». E ancora: «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». Si nota la critica alla «diffusa indifferenza relativista, connessa con la disillusione e la crisi delle ideologie verificatasi come reazione a tutto ciò che appare totalitario. Ciò non danneggia solo la Chiesa, ma la vita sociale in genere. Riconosciamo che una cultura, in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità soggettiva, rende difficile che i cittadini desiderino partecipare ad un progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali». Il Papa critica anche la «diffusa indifferenza relativista, connessa con la disillusione e la crisi delle ideologie verificatasi come reazione a tutto ciò che appare totalitario. Ciò non danneggia solo la Chiesa, ma la vita sociale in genere. Riconosciamo che una cultura, in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità soggettiva, rende difficile che i cittadini desiderino partecipare ad un progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali […]. Con la negazione di ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad un disorientamento generalizzato, specialmente nella fase dell’adolescenza e della giovinezza, tanto vulnerabile dai cambiamenti. Come bene osservano i Vescovi degli Stati Uniti d’America, mentre la Chiesa insiste sull’esistenza di norme morali oggettive, valide per tutti, ci sono coloro che presentano questo insegnamento, come ingiusto, ossia opposto ai diritti umani basilari. Tali argomentazioni scaturiscono solitamente da una forma di relativismo morale, che si unisce, non senza inconsistenza, a una fiducia nei diritti assoluti degli individui. In quest’ottica, si percepisce la Chiesa come se promuovesse un pregiudizio particolare e come se interferisse con la libertà individuale. Viviamo in una società dell’informazione che ci satura indiscriminatamente di dati, tutti allo stesso livello, e finisce per portarci ad una tremenda superficialità al momento di impostare le questioni morali. Di conseguenza, si rende necessaria un’educazione che insegni a pensare criticamente e che offra un percorso di maturazione nei valori […]. La cultura mediatica e qualche ambiente intellettuale a volte trasmettono una marcata sfiducia nei confronti del messaggio della Chiesa, e un certo disincanto. Come conseguenza, molti operatori pastorali, benché preghino, sviluppano una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana e le loro convinzioni. Si produce allora un circolo vizioso, perché così non sono felici di quello che sono e di quello che fanno, non si sentono identificati con la missione evangelizzatrice, e questo indebolisce l’impegno. Finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri e per avere quello che gli altri possiedono. In questo modo il compito dell’evangelizzazione diventa forzato e si dedicano ad esso pochi sforzi e un tempo molto limitato. […]. A volte perdiamo l’entusiasmo per la missione dimenticando che il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno. Non si può perseverare in un’evangelizzazione piena di fervore se non si resta convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa».
Il 28 novembre 2013 nella meditazione mattutina a Santa Marta, Francesco ha spiegato che il divieto di adorare Dio è il segno di una «apostasia generale», è la grande tentazione che prova a convincere i cristiani a prendere «una strada più ragionevole, più tranquilla», obbedendo «agli ordini dei poteri mondani» che pretendono di ridurre «la religione a una cosa privata».
Il 29 novembre 2013 nella meditazione mattutina a Santa Marta, Francesco ha affermato: «Il Signore vuole che noi capiamo cosa succede: cosa succede nel mio cuore, cosa succede nella mia vita, cosa succede nel mondo, nella storia… Cosa significa questo che accade adesso? Questi sono i segni dei tempi! Invece, lo spirito del mondo ci fa altre proposte, perché lo spirito del mondo non ci vuole popolo: ci vuole massa, senza pensiero, senza libertà [….] vuole che andiamo per una strada di uniformità», ma, come avverte San Paolo, «lo spirito del mondo ci tratta come se noi non avessimo la capacità di pensare da noi stessi; ci tratta come persone non libere». «Il pensiero uniforme, il pensiero uguale, il pensiero debole, un pensiero così diffuso. Lo spirito del mondo non vuole che noi ci chiediamo davanti a Dio: ‘Ma perché questo, perché quell’altro, perché accade questo?’. O anche ci propone un pensiero prêt-à-porter, secondo i propri gusti: ‘Io penso come mi piace!’. Ma quello va bene, dicono loro… Ma quello che lo spirito del mondo non vuole è questo che Gesù ci chiede: il pensiero libero, il pensiero di un uomo e di una donna che sono parte del popolo di Dio e la salvezza è stata proprio questa! Pensate ai profeti… ‘Tu non eri mio popolo, adesso ti dico popolo mio’: così dice il Signore. E questa è la salvezza: farci popolo, popolo di Dio, avere libertà».
Il 18 gennaio 2014 nel discorso ai dirigenti della Rai, Francesco ha spiegato: «La qualità etica della comunicazione è frutto, in ultima analisi, di coscienze attente, non superficiali, sempre rispettose delle persone, sia di quelle che sono oggetto di informazione, sia dei destinatari del messaggio. Ciascuno, nel proprio ruolo e con la propria responsabilità, è chiamato a vigilare per tenere alto il livello etico della comunicazione, ed evitare quelle cose che fanno tanto male: la disinformazione, la diffamazione e la calunnia. Mantenere il livello etico».
Il 30 gennaio 2014 durante l’omelia mattutina a Santa Marta, Francesco ha commentato: «Il cristiano non è un battezzato che riceve il Battesimo e poi va avanti per la sua strada. Il primo frutto del Battesimo è farti appartenere alla Chiesa, al popolo di Dio. Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda […]. Fedeltà alla Chiesa; fedeltà al suo insegnamento; fedeltà al Credo; fedeltà alla dottrina, custodire questa dottrina».
L’11 aprile 2014 , incontrando la delegazione dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia (BICE), il Papa ha spiegato che «lavorare per i diritti umani presuppone di tenere sempre viva la formazione antropologica, essere ben preparati sulla realtà della persona umana, e saper rispondere ai problemi e alle sfide posti dalle culture contemporanee e dalla mentalità diffusa attraverso i mass media».
Il 1 giugno 2014 nel messaggio per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, il Pontefice ha scritto: «Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte. Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute». Nel corso della conferenza stampa monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, ha risposto a una domanda dei giornalisti circa il rischio che un passaggio del messaggio papale venga letto come un’affermazione di relativismo. Mons Celli ha spiegato che invece è «in sintonia con tutto quello che è stato l’insegnamento della Chiesa. Non parliamo di un relativismo: direi che oggi ormai è diventato quasi un cliché, quando si analizzano certi discorsi di Papa Francesco. Secondo me, qui proprio è il capire che non è la dimensione della fede e del Vangelo che si relativizza, ma come io vivo il Vangelo e vivo quella fede». Ha quindi ricordato la somiglianza con le parole di Benedetto XVI quando diceva che la Chiesa «deve imparare a saper dialogare rispettosamente con la verità degli altri», eppure «a volte veniva accusato di essere dogmatico», ha commentato mons. Celli.
Il 2 giugno 2014 durante l’omelia della messa mattutina celebrata in Santa Marta, Francesco ha affermato che «ci sono cose che a Gesù non piacciono», ovvero i matrimoni sterili per scelta: «Questi matrimoni che non vogliono i figli, che vogliono rimanere senza fecondità. Questa cultura del benessere di dieci anni fa ci ha convinto: “E’ meglio non avere i figli! E’ meglio! Così tu puoi andare a conoscere il mondo, in vacanza, puoi avere una villa in campagna, tu stai tranquillo”… Ma è meglio forse – più comodo – avere un cagnolino, due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino. E’ vero o no questo? Lo avete visto voi? E alla fine questo matrimonio arriva alla vecchiaia in solitudine, con l’amarezza della cattiva solitudine. Non è fecondo, non fa quello che Gesù fa con la sua Chiesa: la fa feconda».
Il 28 luglio 2014 Francesco ha rilasciato un’intervista al quotidiano argentino ”Clarin” sintetizzando in modo simpatico un decalogo di alcuni principi che possono aiutare le persone a vivere meglio. Alcune critiche sono arrivate parlando di “banalità” e relativismo, ma come si vede dal video dell’intervista -oltretutto piena di tagli- il contesto è in gran parte scherzoso e informale.
Il 17 agosto 2014 nel suo discorso ai vescovi dell’Asia durante il viaggio in Corea del Sud, Francesco ha affermato: «Il compito di appropriarci della nostra identità e di esprimerla si rivela tuttavia non sempre facile, poiché, dal momento che siamo peccatori, saremo sempre tentati dallo spirito del mondo, che si manifesta in modi diversi. Vorrei qui segnalarne tre. Il primo di essi è l’abbaglio ingannevole del relativismo, che oscura lo splendore della verità e, scuotendo la terra sotto i nostri piedi, ci spinge verso sabbie mobili, le sabbie mobili della confusione e della disperazione. È una tentazione che nel mondo di oggi colpisce anche le comunità cristiane, portando la gente a dimenticare che “al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli” (Gaudium et spes, 10; cfr Eb 13,8). Non parlo qui del relativismo inteso solamente come un sistema di pensiero, ma di quel relativismo pratico quotidiano che, in maniera quasi impercettibile, indebolisce qualsiasi identità. […] Un secondo modo attraverso il quale il mondo minaccia la solidità della nostra identità cristiana è la superficialità: la tendenza a giocherellare con le cose di moda, gli aggeggi e le distrazioni, piuttosto che dedicarsi alle cose che realmente contano (cfr Fil 1,10). In una cultura che esalta l’effimero e offre numerosi luoghi di evasione e di fuga, ciò presenta un serio problema pastorale». Ha quindi aggiunto: «In questo vasto Continente, nel quale abita una grande varietà di culture, la Chiesa è chiamata ad essere versatile e creativa nella sua testimonianza al Vangelo, mediante il dialogo e l’apertura verso tutti. […] Ma nell’intraprendere il cammino del dialogo con individui e culture, quale dev’essere il nostro punto di partenza e il nostro punto di riferimento fondamentale che ci guida alla nostra meta? Certamente esso è la nostra identità propria, la nostra identità di cristiani. Non possiamo impegnarci in un vero dialogo se non siamo consapevoli della nostra identità. Dal niente, dal nulla, dalla nebbia dell’autocoscienza non si può dialogare, non si può incominciare a dialogare. E, d’altra parte, non può esserci dialogo autentico se non siamo capaci di aprire la mente e il cuore, con empatia e sincera accoglienza verso coloro ai quali parliamo. Un chiaro senso dell’identità propria di ciascuno e una capacità di empatia sono pertanto il punto di partenza per ogni dialogo. Se vogliamo comunicare in maniera libera, aperta e fruttuosa con gli altri, dobbiamo avere ben chiaro ciò che siamo, ciò che Dio ha fatto per noi e ciò che Egli richiede da noi. E se la nostra comunicazione non vuole essere un monologo, dev’esserci apertura di mente e di cuore per accettare individui e culture. Senza paura: la paura è nemica di queste aperture […]. Questa capacità di empatia conduce ad un genuino incontro – dobbiamo andare verso questa cultura dell’incontro – in cui il cuore parla al cuore. Siamo arricchiti dalla sapienza dell’altro e diventiamo aperti a percorrere insieme il cammino di una più profonda conoscenza, amicizia e solidarietà. “Ma, fratello Papa, noi facciamo questo, ma forse non convertiamo nessuno o pochi…”. Intanto tu fai questo: con la tua identità, ascolta l’altro. Qual è stato il primo comandamento di Dio Padre al nostro padre Abramo? “Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile”. E così, con la mia identità e con la mia empatia, apertura, cammino con l’altro. Non cerco di portarlo dalla mia parte, non faccio proselitismo. Papa Benedetto ci ha detto chiaramente: “La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione». Francesco fa riferimento all’omelia di Benedetto XVI del 13 maggio 2007.
Il 21 settembre 2014 durante il suo viaggio in Albania, Francesco ha affermato: «vorrei accennare ad una cosa che è sempre un fantasma: il relativismo, “tutto è relativo”. Al riguardo, dobbiamo tenere presente un principio chiaro: non si può dialogare se non si parte dalla propria identità. Senza identità non può esistere dialogo. Sarebbe un dialogo fantasma, un dialogo sull’aria: non serve. Ognuno di noi ha la propria identità religiosa, è fedele a quella. Ma il Signore sa come portare avanti la storia. Partiamo ciascuno dalla propria identità, non facendo finta di averne un’altra, perché non serve e non aiuta ed è relativismo».
Il 18 ottobre 2014 nel discorso di conclusione dell’Assemblea generale straordinaria del Sinodo sulla Famiglia, Francesco ha affermato: «Tanti commentatori, o gente che parla, hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio dove una parte è contro l’altra, dubitando perfino dello Spirito Santo, il vero promotore e garante dell’unità e dell’armonia nella Chiesa. Lo Spirito Santo che lungo la storia ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi Ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori». Ha aggiunto poi: «Questa è la Chiesa, la nostra madre! E quando la Chiesa, nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la forza del sensus fidei, di quel senso soprannaturale della fede, che viene donato dallo Spirito Santo affinché, insieme, possiamo tutti entrare nel cuore del Vangelo e imparare a seguire Gesù nella nostra vita, e questo non deve essere visto come motivo di confusione e di disagio».
Il 25 ottobre 2014 ricevendo il movimento apostolico Schoenstatt, Francesco ha spiegato che «c’è una crisi della famiglia, crisi perché la bastonano da tutte le parti e la lasciano molto ferita!», criticando la «cultura del provvisorio […]. Quello che stanno proponendo non è un matrimonio, è una associazione. Ma non è matrimonio! E’ necessario dire cose molto chiare e questo dobbiamo dirlo! Quel “per sempre” che oggi viene messo in discussione dalla “cultura del provvisorio”».
Il 25 novembre 2014 nel discorso al Parlamento Europeo, Francesco ha ricordato la situazione attuale priva di ideali dell’Occidente, invitando come soluzione la consapevolezza delle radici cristiane: «un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e le potenzialità, può essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza […]. In tal senso, ritengo che l’Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell’Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l’ideale dell’unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie […] E una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro. Essa è la nostra identità. E l’Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa stessa non è ancora esente dai conflitti […]. Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il suo futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda, difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!».
Il 2 dicembre 2014 padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e persona molto vicina a Papa Francesco, ha commentato: «C’è un vaticanismo che rischia di essere un “vaticinismo”, una palestra di vaticini, di predizioni, antiveggenze spesso fondate su dietrologie…Esiste un vaticanismo che vive di se stesso. Ma alla fine diventa paludoso e soprattutto, se parliamo di Chiesa, non respira l’aria sana del «popolo fedele di Dio in cammino».
Il 7 dicembre 2014 in un’intervista per “La Nacion”, Papa Francesco ha affermato: ««Sempre ci sono timori, però perché non leggono le cose, o leggono una notizia in un giornale, un articolo, e non leggono quello che ha deciso il Sinodo, quello che si è pubblicato. […]. Io ho scritto un’enciclica a quattro mani, e un’esortazione apostolica, di continuo faccio dichiarazioni e omelie, e questo è magistero. Questo sta lì, è ciò che penso, non ciò che i media dicono che io pensi. Vada lì, e lo trova ed è ben chiaro. L’”Evangelii gaudium” è molto chiara».
Il 9 dicembre 2014 nella lettera al presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, Francesco ha scritto: «Siamo chiamati, invece, a rivedere il nostro stile di vita che è sempre esposto al rischio di venire “contagiato” da un mentalità mondana – individualista, consumista, edonista – e ritrovare sempre di nuovo la strada maestra, per vivere e proporre la grandezza e la bellezza del matrimonio e la gioia di essere e fare famiglia».
Il 15 dicembre 2014 durante l’Udienza ai Dirigenti, Dipendenti e Operatori della Televisione TV 2000, Francesco ha ricordato che il comunicatore deve evitare «quelli che, come ho già detto, sono i peccati dei media: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione. Questi tre sono i peccati dei media. La disinformazione, in particolare, spinge a dire la metà delle cose, e questo porta a non potersi fare un giudizio preciso sulla realtà. Una comunicazione autentica non è preoccupata di “colpire”: l’alternanza tra allarmismo catastrofico e disimpegno consolatorio, due estremi che continuamente vediamo riproposti nella comunicazione odierna, non è un buon servizio che i media possono offrire alle persone. Occorre parlare alle persone intere: alla loro mente e al loro cuore, perché sappiano vedere oltre l’immediato, oltre un presente che rischia di essere smemorato e timoroso. Di questi tre peccati – la disinformazione, la calunnia e la diffamazione – la calunnia sembra sia il più grave, ma nella comunicazione il più grave è la disinformazione, perché ti porta a sbagliare, all’errore; ti porta a credere soltanto una parte della verità».
Il 17 dicembre 2014 nella lettera ai partecipanti al colloqui internazionale sulla complementarietà tra uomo e donna, Francesco ha scritto: «Nel nostro tempo il matrimonio e la famiglia sono in crisi. Viviamo in una cultura del provvisorio, in cui sempre più persone rinunciano al matrimonio come impegno pubblico. Questa rivoluzione nei costumi e nella morale ha spesso sventolato la “bandiera della libertà”, ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili. È sempre più evidente che il declino della cultura del matrimonio è associato a un aumento di povertà e a una serie di numerosi altri problemi sociali che colpiscono in misura sproporzionata le donne, i bambini e gli anziani. E sono sempre loro a soffrire di più, in questa crisi».
Il 1 gennaio 2015 durante l’omelia per la solennità di Maria, Francesco ha affermato: «Altrettanto inseparabili sono Cristo e la Chiesa, perché la Chiesa e Maria vanno sempre insieme e questo è proprio il mistero della donna nella comunità ecclesiale, e non si può capire la salvezza operata da Gesù senza considerare la maternità della Chiesa. Separare Gesù dalla Chiesa sarebbe voler introdurre una “dicotomia assurda”, come scrisse il beato Paolo VI. Non è possibile “amare il Cristo, ma non la Chiesa, ascoltare il Cristo, ma non la Chiesa, appartenere al Cristo, ma al di fuori della Chiesa” (Ibid.) Infatti è proprio la Chiesa, la grande famiglia di Dio, che ci porta Cristo. La nostra fede non è una dottrina astratta o una filosofia, ma è la relazione vitale e piena con una persona: Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio fattosi uomo, morto e risorto per salvarci e vivo in mezzo a noi. Dove lo possiamo incontrare? Lo incontriamo nella Chiesa, nella nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica. È la Chiesa che dice oggi: “Ecco l’agnello di Dio”; è la Chiesa che lo annuncia; è nella Chiesa che Gesù continua a compiere i suoi gesti di grazia che sono i Sacramenti […]. Nessuna manifestazione di Cristo, neanche la più mistica, può mai essere staccata dalla carne e dal sangue della Chiesa, dalla concretezza storica del Corpo di Cristo. Senza la Chiesa, Gesù Cristo finisce per ridursi a un’idea, a una morale, a un sentimento. Senza la Chiesa, il nostro rapporto con Cristo sarebbe in balia della nostra immaginazione, delle nostre interpretazioni, dei nostri umori».
Il 9 gennaio 2015 durante l’omelia in Santa Marta, Francesco ha commentato: «Tu puoi fare mille corsi di catechesi, mille corsi di spiritualità, mille corsi di yoga, zen e tutte queste cose. Ma tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio. Soltanto è lo Spirito Santo che muove il tuo cuore per dire ‘Padre’. Soltanto lo Spirito Santo è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore e fare un cuore docile al Signore. Docile alla libertà dell’amore».
Il 15 gennaio 2015 durante la conferenza stampa nel viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha affermato: «Ognuno non solo ha la libertà, il diritto, ha anche l’obbligo di dire quello che pensa per aiutare il bene comune […]. Abbiamo l’obbligo di dire apertamente, avere questa libertà, ma senza offendere. Perché è vero che non si può reagire violentemente, ma se il dott. Gasbarri, grande amico, mi dice una parolaccia contro la mia mamma, gli arriva un pugno! E’ normale! Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede. Papa Benedetto in un discorso – non ricordo bene dove – aveva parlato di questa mentalità post-positivista, della metafisica post-positivista, che portava alla fine a credere che le religioni o le espressioni religiose sono una sorta di sottocultura, che sono tollerate, ma sono poca cosa, non fanno parte della cultura illuminata. E questa è un’eredità dell’illuminismo. Tanta gente che sparla delle religioni, le prende in giro, diciamo “giocattolizza” la religione degli altri, questi provocano, e può accadere quello che accade se il dott. Gasbarri dice qualcosa contro la mia mamma. C’è un limite. Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana. E io non posso prenderla in giro. E questo è un limite».
Il 17 gennaio 2015 alcune persone hanno equivocato un gesto delle mani di Papa Francesco a Manila, simile a quello dei rapper (le corna più il pollice). Tuttavia quel gesto significa “ti voglio bene” nel linguaggio dei segni in uso tra i sordomuti, tant’è che tra i partecipanti all’incontro con il Papa c’erano alcuni sordi con i quali si stava utilizzando quel linguaggio. Lo dimostrano queste foto.
Il 23 gennaio 2015 nel discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, Francesco ha affermato: «La crisi dei valori nella società non è certo un fenomeno recente. Il beato Paolo VI, già quaranta anni fa, proprio rivolgendosi alla Rota Romana, stigmatizzava le malattie dell’uomo moderno “talora vulnerato da un relativismo sistematico, che lo piega alle scelte più facili della situazione, della demagogia, della moda, della passione, dell’edonismo, dell’egoismo, così che esteriormente tenta di impugnare la “maestà della legge”, e interiormente, quasi senza avvedersi, sostituisce all’impero della coscienza morale il capriccio della coscienza psicologica” (Allocuzione del 31 gennaio 1974: AAS 66 [1974], p. 87). In effetti, l’abbandono di una prospettiva di fede sfocia inesorabilmente in una falsa conoscenza del matrimonio, che non rimane priva di conseguenze nella maturazione della volontà nuziale. […]. L’esperienza pastorale ci insegna che vi è oggi un gran numero di fedeli in situazione irregolare, sulla cui storia ha avuto un forte influsso la diffusa mentalità mondana».
L’11 febbraio 2015 Francesco ha contestato la bassa natalità dell’Europa: «una società avara di generazione, che non ama circondarsi di figli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa. Pensiamo a tante società che conosciamo qui in Europa: sono società depresse, perché non vogliono i figli, non hanno i figli, il livello di nascita non arriva all’uno percento. Perché? Ognuno di noi pensi e risponda. Se una famiglia generosa di figli viene guardata come se fosse un peso, c’è qualcosa che non va!».
Il 15 febbraio 2015 Papa Francesco ha risposto allo scandalismo mediatico dopo aver incontrato privatamente un transessuale spagnolo, affermando: «Gesù non […] pensa alle persone chiuse che si scandalizzano addirittura per una guarigione, che si scandalizzano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali, a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda alle loro abitudini di pensiero e alla loro purità ritualistica. Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio. Queste due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare […]. Questo non vuol dire sottovalutare i pericoli o fare entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito; sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” essenziali dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Lc 5,31-32)».
Il 04 marzo 2015 il vaticanista Aldo Maria Valli ha scritto: «Qualcuno sostiene che la proposta di Francesco, con questa accentuazione del Vangelo di Gesù rispetto alla precettistica, rischia di cadere nel buonismo e di ridurre lo stesso messaggio cristiano a un invito consolatorio e sentimentale. Il rischio c’è, ma papa Francesco è il primo a esserne consapevole. Lo ha dimostrato quando, rivolto ai preti, ha chiesto di non essere né rigoristi né lassisti, perché se il rigorista, avendo in mente soltanto la legge, si comporta con freddo distacco, il lassista a sua volta dimostra di non avere sufficientemente a cuore la sorte delle anime affidate alle sue cure. Si tratta di trovare il giusto equilibrio, senza mai dimenticare che l’adesione a ogni tipo di obbligazione morale, tanto più a quelle più lontane e incomprensibili per la mentalità dominante, può nascere non dalla reiterazione di alcuni precetti, ma dal rapporto d’amore con il Padre attraverso il Figlio».
Il 12 marzo 2015 durante il discorso al Tribunale della Penitenzieria Apostolica, Francesco ha spiegato: «Tante volte si confonde la misericordia con l’essere confessore “di manica larga”. Ma pensate questo: né un confessore di manica larga, né un confessore rigido è misericordioso. Nessuno dei due. Il primo, perché dice: “Vai avanti, questo non è peccato, vai, vai!”. L’altro, perché dice: “No, la legge dice…”. Ma nessuno dei due tratta il penitente come fratello, lo prende per mano e lo accompagna nel suo percorso di conversione! L’uno dice: “Vai tranquillo, Dio perdona tutto. Vai, vai!”. L’altro dice: “No, la legge dice no”. Invece, il misericordioso lo ascolta, lo perdona, ma se ne fa carico e lo accompagna, perché la conversione sì, incomincia – forse – oggi, ma deve continuare con la perseveranza… Lo prende su di sé, come il Buon Pastore che va a cercare la pecora smarrita e la prende su di sé. Ma non bisogna confondere: questo è molto importante. Misericordia significa prendersi carico del fratello o della sorella e aiutarli a camminare. Non dire “ah, no, vai, vai!”, o la rigidità. Questo è molto importante. E chi può fare questo? Il confessore che prega, il confessore che piange, il confessore che sa che è più peccatore del penitente, e se non ha fatto quella cosa brutta che dice il penitente, è per semplice grazia di Dio. Misericordioso è essere vicino e accompagnare il processo della conversione».
Il 14 marzo 2015 il cardinale Walter Kasper, da molti tradizionalisti visto come il diavolo progressista in persona, ha spiegato che spesso «si confonde misericordia con un laissez-faire superficiale, con una pseudo-misericordia, e c’è chi sentendo parlare di misericordia subodora il pericolo che in tal modo si favorisca un’arrendevolezza pastorale e un cristianesimo light, un essere cristiani a prezzo scontato. Si vede così nella misericordia una specie di ammorbidente che erode i dogmi e i comandamenti e svaluta il significato centrale e fondamentale della verità. Questo è un rimprovero che nel Nuovo Testamento i farisei facevano anche a Gesù, ma la Sua misericordia li portò a un tale livello di incandescenza che decisero di farlo morire. Siamo però di fronte a un grossolano fraintendimento del senso biblico profondo della misericordia, perché essa è allo stesso tempo una fondamentale verità rivelata e un comandamento di Gesù esigente e provocante [….]. Non può perciò, se rettamente compresa, mettere in discussione la verità e i comandamenti. Mettere la misericordia contro la verità o contro i comandamenti, e porli tra loro in opposizione, è perciò un non senso teologico. Nella gerarchia delle verità è invece corretto intendere la misericordia – la proprietà fondamentale di Dio e la più grande delle virtù – come principio ermeneutico, non per sostituire o scalzare la dottrina e i comandamenti ma per comprenderli e realizzarli nel modo giusto, secondo il Vangelo».
Il 22 marzo 2015 durante la visita pastorale a Napoli, Francesco ha, in modo politicamente scorretto, criticato la sostituzione dell’amore verso i bambini per quello verso gli animali: «I bambini non sono utili: perché avere bambini? Meglio non averne. Ma io ho comunque affetto, mi arrangio anche con un cagnolino e un gatto. La nostra società è così: quanta gente preferisce scartare i bambini e confortarsi con il cagnolino o con il gatto!».
L’11 aprile 2015 nella bolla d’indizione del Giubileo della Misericordia, il “Misericordiae Vultus”, Francesco ha scritto: «È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. In base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (cfr Mt 25,31-45). Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine». Bisogna «consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti […]. Quando ti dicono la verità non è bello sentirla, ma se è detta con carità e con amore è più facile accettarla». Dunque, «si deve parlare dei difetti agli altri», ma con carità. Rispetto alla correzione fraterna: «Se tu non sei capace di farla con amore, con carità, nella verità e con umiltà, tu farai un’offesa, una distruzione al cuore di quella persona, tu farai una chiacchiera in più, che ferisce, e tu diventerai un cieco ipocrita, come dice Gesù. “Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio”. Ipocrita! Riconosci che tu sei più peccatore dell’altro, ma che tu come fratello devi aiutare a correggere l’altro […]. Giustizia e misericordia non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà. La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono».
L’18 maggio 2015 durante l’apertura dell’assemblea della CEI, Francesco ha detto: «La gioia del Vangelo, in questo momento storico ove spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti, da situazioni locali e internazionali che ci fanno sperimentare afflizione e tribolazione – in questo quadro realisticamente poco confortante – la nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare contro corrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo Risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri».
Il 24 maggio 2015 nell’Enciclica Laudato Sii, Francesco ha scritto: «Papa Benedetto ci ha proposto di riconoscere che l’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irresponsabile. Anche l’ambiente sociale ha le sue ferite. Ma tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti».
Il 29 maggio 2015 ai partecipanti del Pontificio consiglio per la Nuova Evangelizzazione, Francesco ha detto: «Quanti uomini e donne, nelle periferie esistenziali generate dalla società consumista, atea, attendono la nostra vicinanza e la nostra solidarietà! Il Vangelo è l’annuncio dell’amore di Dio che, in Gesù Cristo, ci chiama a partecipare della sua vita».
Il 10 novembre 2015 durante nell’omelia durante la visita pastorale a Prato e a Firenze, Francesco ha affermato: «A Gesù interessa quello che la gente pensa non per accontentarla, ma per poter comunicare con essa. Senza sapere quello che pensa la gente, il discepolo si isola e inizia a giudicare la gente secondo i propri pensieri e le proprie convinzioni. Mantenere un sano contatto con la realtà, con ciò che la gente vive, con le sue lacrime e le sue gioie, è l’unico modo di poterla aiutare, di poterla formare e comunicare […]. Solo se riconosciamo Gesù nella Sua verità, saremo in grado di guardare la verità della nostra condizione umana, e potremo portare il nostro contributo alla piena umanizzazione della società. Custodire e annunciare la retta fede in Gesù Cristo è il cuore della nostra identità cristiana, perché nel riconoscere il mistero del Figlio di Dio fatto uomo noi potremo penetrare nel mistero di Dio e nel mistero dell’uomo. Alla domanda di Gesù risponde Simone: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16). Questa risposta racchiude tutta la missione di Pietro e riassume ciò che diventerà per la Chiesa il ministero petrino, cioè custodire e proclamare la verità della fede; difendere e promuovere la comunione tra tutte le Chiese; conservare la disciplina della Chiesa. Papa Leone è stato e rimane, in questa missione, un modello esemplare, sia nei suoi luminosi insegnamenti, sia nei suoi gesti pieni della mitezza, della compassione e della forza di Dio».
Il 12 novembre 2015 ai presuli della Conferenza episcopale slovacca, Francesco ha detto: «Di fatto, nonostante le tante lusinghe che invitano all’edonismo, alla mediocrità e al successo immediato, i giovani non si lasciano intimorire facilmente dalle difficoltà e sono particolarmente sensibili all’impegno senza riserve, quando si presenta loro l’autentico significato della vita. Hanno perciò bisogno di avere da voi chiare indicazioni dottrinali e morali, per edificare nella città dell’uomo la città di Dio».
Il 16 novembre 2015 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha parlato di “mondanità, apostasia, persecuzione”, la mondanità è fare ciò che fa il mondo, è dire: «Mettiamo all’asta la nostra carta d’identità; siamo uguali a tutti. La mondanità ti porta al pensiero unico e all’apostasia. Non sono permesse, non ci sono permesse le differenze: tutti uguali. E nella storia della Chiesa, nella storia abbiamo visto, penso ad un caso, che alle feste religiose è stato cambiato il nome – il Natale del Signore ha un altro nome – per cancellare l’identità. Mi ha sempre colpito che il Signore, nell’Ultima Cena, in quella lunga preghiera, pregasse per l’unità dei suoi e chiedesse al Padre che li liberasse da ogni spirito del mondo, da ogni mondanità, perché la mondanità distrugge l’identità; la mondanità porta al pensiero unico. Incomincia da una radice, ma è piccola, e finisce nell’abominazione della desolazione, nella persecuzione. Questo è l’inganno della mondanità, e per questo Gesù chiedeva al Padre, in quella cena: ‘Padre, non ti chiedo che di toglierli dal mondo, ma custodiscili dal mondo’, da questa mentalità, da questo umanismo, che viene a prendere il posto dell’uomo vero, Gesù Cristo, che viene a toglierci l’identità cristiana e ci porta al pensiero unico: ‘Tutti fanno così, perché noi no?’. Questo, di questi tempi, ci deve far pensare: com’è la mia identità? E’ cristiana o mondana? O mi dico cristiano perché da bambino sono stato battezzato o sono nato in un Paese cristiano, dove tutti sono cristiani? La mondanità che entra lentamente, cresce, si giustifica e contagia: cresce come quella radice, si giustifica – ‘ma, facciamo come tutta la gente, non siamo tanto differenti’ -, cerca sempre una giustificazione, e alla fine contagia, e tanti mali vengono da lì. Chiediamo al Signore per la Chiesa, perché il Signore la custodisca da ogni forma di mondanità. Che la Chiesa sempre abbia l’identità disposta da Gesù Cristo; che tutti noi abbiamo l’identità che abbiamo ricevuto nel battesimo, e che questa identità per voler essere come tutti, per motivi di ‘normalità’, non venga buttata fuori. Che il Signore ci dia la grazia di mantenere e custodire la nostra identità cristiana contro lo spirito di mondanità che sempre cresce, si giustifica e contagia».
Il 18 novembre 2015 durante l’Udienza generale, Francesco ha affermato: «La gestione simbolica delle “porte” – delle soglie, dei passaggi, delle frontiere – è diventata cruciale. La porta deve custodire, certo, ma non respingere. La porta non dev’essere forzata, al contrario, si chiede permesso, perché l’ospitalità risplende nella libertà dell’accoglienza, e si oscura nella prepotenza dell’invasione. La porta si apre frequentemente, per vedere se fuori c’è qualcuno che aspetta, e magari non ha il coraggio, forse neppure la forza di bussare. Quanta gente ha perso la fiducia, non ha il coraggio di bussare alla porta del nostro cuore cristiano, alle porte delle nostre chiese… E sono lì, non hanno il coraggio, gli abbiamo tolto la fiducia: per favore, che questo non accada mai. La porta dice molte cose della casa, e anche della Chiesa. La gestione della porta richiede attento discernimento e, al tempo stesso, deve ispirare grande fiducia».
Il 20 novembre 2015 durante l’incontro con la Congregazione del Clero, Francesco ha affermato: «Sapere e ricordare di essere “costituiti per il popolo” -popolo santo, popolo di Dio -, aiuta i preti a non pensare a sé, ad essere autorevoli e non autoritari, fermi ma non duri, gioiosi ma non superficiali, insomma, pastori, non funzionari».
Il 14 dicembre 2015 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha commentato una lettura del Libro dei Numeri: «””Nel suo cammino Balaam incontra l’angelo del Signore e cambia il cuore”. Non cambia di partito» ma «cambia dall’errore alla verità e dice quello che vede»: il Popolo di Dio dimora nelle tende in mezzo al deserto e lui «oltre il deserto vede la fecondità, la bellezza, la vittoria». Ha aperto il cuore, «si converte» e «vede lontano, vede la verità», perché «con buona volontà sempre si vede la verità».
Il 15 dicembre 2015 per la XLIX Giornata Mondiale per la Pace, Francesco ha affermato: «La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato. È questo uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico. L’uomo pensa di essere l’autore di sé stesso, della propria vita e della società; egli si sente autosufficiente e mira non solo a sostituirsi a Dio, ma a farne completamente a meno; di conseguenza, pensa di non dovere niente a nessuno, eccetto che a sé stesso, e pretende di avere solo diritti. Contro questa autocomprensione erronea della persona, Benedetto XVI ricordava che né l’uomo né il suo sviluppo sono capaci di darsi da sé il proprio significato ultimo; e prima di lui Paolo VI aveva affermato che «non vi è umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto, nel riconoscimento di una vocazione, che offre l’idea vera della vita umana».
Nel gennaio 2016, nel libro-intervista “Il nome di Dio è Misericordia” (Piemme 2016), curato da Andrea Tornielli, Papa Francesco ha scritto: «La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio. La Chiesa è chiamata a effondere la sua misericordia su tutti coloro che si riconoscono peccatori, responsabili del male compiuto, che si sentono bisognosi di perdono. La Chiesa non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio. La corruzione è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere», ha spiegato Francesco. «Non ci sentiamo più bisognosi di perdono e di misericordia, ma giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti. Il peccatore pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza, trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto, invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo. Il corrotto non conosce l’umiltà, non si ritiene bisognoso di aiuto, conduce una doppia vita. Il corrotto si stanca di chiedere perdono e finisce per credere di non doverlo più chiedere. Non ci si trasforma di colpo in corrotti, c’è un declino lungo, nel quale si scivola e che non si identifica semplicemente con una serie di peccati. Il peccatore, nel riconoscersi tale in qualche modo ammette che ciò a cui ha aderito, o aderisce, è falso. Il corrotto, invece, nasconde ciò che considera il suo vero tesoro, ciò che lo rende schiavo, e maschera il suo vizio con la buona educazione, facendo sempre in modo di salvare le apparenze».
Il 16 marzo 2016 è comparsa sui media un intervento di Benedetto XVI risalente all’ottobre 2015, in cui il Papa emerito ha confermato il cuore del pontificato di Papa Bergoglio. Dopo ever elogiato che il tema della misericordia è sempre più centrale nella Chiesa, a partire da Suor Faustina e da Giovanni Paolo II, ha aggiunto che «la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza. Papa Francesco si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto». Una profonda convergenza di vedute, quindi.
Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «Non dobbiamo temere di riconoscerci e confessarci peccatori. Tutti siamo peccatori, ma tutti siamo perdonati: tutti abbiamo la possibilità di ricevere questo perdono che è la misericordia di Dio. Non dobbiamo temere, dunque, di riconoscerci peccatori, confessarci peccatori, perché ogni peccato è stato portato dal Figlio sulla Croce».
Il 20 aprile 2016 nell’udienza generale, Papa Francesco ha detto: «Il fariseo non concepisce che Gesù si lasci “contaminare” dai peccatori. Ma la Parola di Dio ci insegna a distinguere tra il peccato e il peccatore: con il peccato non bisogna scendere a compromessi, mentre i peccatori – cioè tutti noi! – siamo come dei malati, che vanno curati, e per curarli bisogna che il medico li avvicini, li visiti, li tocchi. E naturalmente il malato, per essere guarito, deve riconoscere di avere bisogno del medico!».
Il 21 aprile 2016 il teologo padre Angelo Bellon ha scritto: «la misericordia predicata da Papa Francesco è la misericordia predicata e insegnata da sempre. È la misericordia che vuole vincere il male, non quella che lascia nel male. È la misericordia che vuole vincere il peccato, non quella che lascia nel peccato».
Il 03 maggio 2016 nella sua omelia a Santa Marta, Papa Francesco ha parlato dei cristiani confusi: «La loro vita è girare, di qua e di là, e perdono così la bellezza di avvicinarsi a Gesù nella vita di Gesù. Perdono la strada, perché girano e tante volte questo girare, girare errante, li porta ad una vita senza uscita: il girare troppo si trasforma in labirinto e poi non sanno come uscire. Quella chiamata di Gesù l’hanno persa. Non hanno bussola per uscire e girano, girano; cercano. Ci sono altri che nel cammino vengono sedotti da una bellezza, da una cosa e si fermano a metà strada, affascinati da quello che vedono, da quella idea, da quella proposta, da quel paesaggio… E si fermano! La vita cristiana non è un fascino: è una verità! E’ Gesù Cristo!».
Il 18 gennaio 2017 il presidente dell’Associazione dei Teologi italiani, Roberto Repole, ha affermato: «Ci troviamo di fronte a un magistero che si pone davanti ad alcuni aspetti. In fondo è un papato che sollecita il confronto tra le diverse posizioni alla ricerca di un’autentica fedeltà al Vangelo senza pre-comprensioni e preconcetti. In questo senso Francesco ha avviato un processo che per certi aspetti dovrebbe essere connaturale alla natura stessa della Chiesa dal Concilio Vaticano II, anche se non sempre in questi cinquant’anni è stato così. Nel suo pontificato la dimensione della misericordia, dell’amore e della speranza per tutti sono davvero il senso profondo della guida dello Spirito della Chiesa nella storia, la nostra storia. Un confronto a volte anche molto serrato ma che aiuterà la comunità cristiana a essere più autentica. Nello stesso tempo papa Francesco è il rappresentante di una Chiesa che dona speranza e luce. Parole e azioni concrete che richiamano al cuore dell’uomo il messaggio e la presenza di Cristo nella storia. Il suo è un programma magisteriale molto concreto. Per esempio un aspetto fondamentale è la grande enfasi con la quale il Papa riconosce le idolatrie del nostro tempo, soprattutto una certa idolatria economicista. In questo momento non troviamo molti altri personaggi che dimostrano questo coraggio. E credo che questa sua voce vada compresa nella sua consistenza teologica, l’altra faccia della medaglia che nella sua prima parte presenta la necessità di una Chiesa missionaria e in uscita».
Il 22 gennaio 2017 è apparsa una recensione del libro Papa Francesco. Quale teologia in cui autori sono Alberto Cozzi, docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, Roberto Repole, docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e presidente dell’Associazione dei Teologi italiani (ATI) e Giannino Piana, già docente di etica cristiana presso le università di Urbino e di Torino ed ex presidente dell’Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM). Nella prefazione del libro si legge che i tre teologi «muovendo da prospettive diverse e con metodi diversi, offrono uno spaccato significativo della “teologia” di papa Francesco, smentendo le critiche, talvolta aspre e preconcette, di quanti lo accusano di scarsa profondità dottrinale». La teologia di papa Francesco nell’analisi di Cozzi – si legge nella Prefazione – «è una teologia robusta, fortemente ancorata alla tradizione e legata al contesto latinoamericano, più interessata all’azione pastorale che alla speculazione teorica».
Il 17 febbraio 2017 nel discorso che Francesco ha lasciato ma non pronunciato nella visita all’Università degli Studi Roma Tre, si legge: «E parlando di trascendenza, voglio parlarvi da persona a persone, e dare testimonianza di chi sono. Mi professo cristiano e la trascendenza alla quale mi apro e guardo ha un nome: Gesù. Sono convinto che il suo Vangelo è una forza di vero rinnovamento personale e sociale. Parlando così non vi propongo illusioni o teorie filosofiche o ideologiche, neppure voglio fare proselitismo. Vi parlo di una Persona che mi è venuta incontro, quando avevo più o meno la vostra età, mi ha aperto orizzonti e mi ha cambiato la vita. Questa Persona può riempire il nostro cuore di gioia e la nostra vita di significato. E’ il mio compagno di strada; Lui non delude e non tradisce. E’ sempre con noi. Si pone con rispetto e discrezione lungo il sentiero della nostra vita, ci sostiene soprattutto nell’ora dello smarrimento e della sconfitta, nel momento della debolezza e del peccato, per rimetterci sempre in cammino. Questa è la testimonianza personale della mia vita».
Il 19 febbraio 2017 durante l’Angelus, Francesco ha spiegato: «Gesù non vuole proporre un nuovo ordinamento civile, ma piuttosto il comandamento dell’amore del prossimo, che comprende anche l’amore per i nemici: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (v. 44). E questo non è facile. Questa parola non va intesa come approvazione del male compiuto dal nemico, ma come invito a una prospettiva superiore, a una prospettiva magnanima, simile a quella del Padre celeste il quale – dice Gesù – “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (v. 45). Anche il nemico, infatti, è una persona umana, creata come tale a immagine di Dio, sebbene al presente questa immagine sia offuscata da una condotta indegna».
Il 20 marzo 2017 Papa Francesco è tornato sul tema del peccato. «La vergogna dei propri peccati è una grazia che non possiamo ottenere da soli». E non basta andare «a confessarti, dire i miei peccati, il prete mi perdona, mi dà tre Ave Maria da pregare e poi torno in pace». Altrimenti si ritorna sempre al moralismo, «sei andato al confessionale a fare un’operazione bancaria a fare una pratica di ufficio, hai creduto che il confessionale fosse una tintoria per coprire le macchie. Sei stato incapace di vergognarti dei tuoi peccati. E’ l’ipocrisia di rubare un perdono, un perdono finto». «Posso perdonare soltanto se mi sento perdonato. Se tu non hai coscienza di essere perdonato mai potrai perdonare, mai», ha ricordato Francesco nella sua omelia mattutina. Ha quindi concluso e sintetizzato: «Il perdono è totale. Ma soltanto si può fare quando io sento il mio peccato, mi vergogno, ho vergogna e chiedo il perdono a Dio e mi sento perdonato dal Padre e così posso perdonare. Se no, non si può perdonare, ne siamo incapaci. Per questo il perdono è un mistero».
Il 22 marzo 2017 il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha commentato a riguardo delle radici cristiane: «Queste radici sono la linfa vitale dell’Europa. Basti rileggere i discorsi che i protagonisti del 25 marzo 1957 tennero in Campidoglio, per scoprire come essi vedessero nel comune patrimonio cristiano un elemento fondamentale sul quale costruire la Comunità economica europea. Poi è subentrato un lento processo che ha cercato di relegare sempre più il cristianesimo all’ambito privato. È stato così necessario ricercare altri denominatori comuni, apparentemente più concreti, ma che hanno condotto a quel vuoto di valori cui accennavo prima, con gli esiti che abbiamo dinanzi agli occhi di società sempre più frammentate».
Il 24 marzo 2017 Papa Francesco ha affermato davanti ai Capi di Stato dell’Unione Europea: «Il denominatore comune dei Padri dell’Europa era la consapevolezza che all’origine della civiltà europea si trova il cristianesimo, senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprensibili. E ancor oggi – affermava san Giovanni Paolo II –, l’anima dell’Europa rimane unita, perché, oltre alle sue origini comuni, vive gli identici valori cristiani e umani, come quelli della dignità della persona umana, del profondo sentimento della giustizia e della libertà, della laboriosità, dello spirito di iniziativa, dell’amore alla famiglia, del rispetto della vita, della tolleranza, del desiderio di cooperazione e di pace, che sono note che la caratterizzano. Nel nostro mondo multiculturale tali valori continueranno a trovare piena cittadinanza se sapranno mantenere il loro nesso vitale con la radice che li ha generati».
Il 14 gennaio 2018 il vescovo definito “conservatore” e “tradizionalista” mons. Luigi Negri, ha affermato: «Papa Francesco viene strumentalizzato dal pensiero dominante e la sua denuncia iniziale sta perdendo forza».
Il 25 febbraio 2018t il vaticanista Sandro Magister, tra i più accaniti fustigatori del Papa, ha riportato alcune opinioni di Francesco contro il Sessantotto e i “nuovi diritti”: «Ne sanno qualcosa gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, che nel discorso che Francesco ha loro rivolto all’inizio di quest’anno si sono sentiti rinfacciare proprio quelli che il papa ritiene gli effetti perversi del Sessantotto. Era la prima volta che Bergoglio diceva la sua su quell’anno, ed è andato subito al sodo. Dal Sessantotto in poi, ha detto, i “diritti dell’uomo” proclamati vent’anni prima dalle Nazioni Unite, “primo fra tutti quello alla vita”, sono sempre più impunemente violati: “e penso anzitutto ai bambini innocenti, scartati ancor prima di nascere”. Ma non solo. Ha denunciato che da allora hanno preso piede “nuovi diritti” in contrasto con le tradizioni socio-culturali di vari Paesi, e nonostante questo imposti con la forza, in una sorta di “colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli”».
Il 25 maggio 2018 padre Samir Khalil Samir esperto di islamismo e già collaboratore di Benedetto XVI, ha affermato: «Quando si dice “musulmano”, si contrappone a “cristiano”. Io penso all’evangelizzazione, è vero, ma non per convertire, ma per annunciare il Vangelo, un progetto di liberazione! Se tu pensi che questo messaggio ti aiuti a essere migliore, prendi quel che vuoi. Ma non cerco di farti cristiano. Cerchiamo una strada più bella. Se ne vedi una, seguila, ma alla condizione che non vi sia mai qualcuno che ne soffre, che ne paga il prezzo».
Il 10 luglio 2020 il card. Camillo Ruini ha mostrato di non condividere le critiche alla Conferenza Episcolpale Italiana, avanzate dal noto gruppo conservatore di antibergogliani, per essersi sottomessa alle decisioni del governo sulle celebrazioni eucaristiche in tempo di pandemia da Covid-19. «Il governo ha pretese di decidere sul se, sul quando e sul come della partecipazione alla Messa: ho già detto pubblicamente, associandomi alla protesta della CEI, che in questo modo si violano le norme del Concordato e, più radicalmente, non si rispettano la libertà di culto e la reciproca autonomia dello Stato e della Chiesa».
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15. INTERVISTE DI EUGENIO SCALFARI E LA MANO TESA A PANNELLA E BONINO
Sulle interviste che Papa Francesco ha rilasciato al quotidiano “Repubblica” si sono scritti fiumi di parole, Francesco ha lanciato un segno di apertura verso un ambiente culturale fortemente anticlericale, ha incontrato Eugenio Scalfari e ha dialogato con lui.
Purtroppo, com’era prevedibile, Scalfari non si è dimostrato all’altezza e con disonestà ha pubblicato i dialoghi privati avuti con il Pontefice, mettendogli in bocca affermazioni ambigue che mai Francesco ha ripreso o ripetuto durante i suoi discorsi pubblici.
Il portavoce della Santa Sede è intervenuto, anche duramente, per smentire l’attendibilità delle singole affermazioni attribuite al Papa. Il giochino è durato qualche mese, poi gli incontri, o semplicemente il permesso di pubblicare i contenuti, si sono interrotti.
Un’altra critica a Francesco è aver voluto andare incontro ai leader radicali Marco Pannella ed Emma Bonino, telefonando al primo e congratulandosi con la seconda per il suo attivismo verso i migranti e nel far conoscere la situazione dell’Africa. Senza mai diventare complice o benedire le loro battaglie etiche, in particolare pro-eutanasia, pro-aborto e pro-cannabis.
Di seguito in ordine cronologico lo svolgimento dei fatti:
Il 4 settembre 2013 Papa Francesco ha risposto tramite lettera ad alcune domande poste da Eugenio Scalfari su “Repubblica”. Si legge: «Senza la Chiesa – mi creda – non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità». E ancora: «la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire […]. Io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: “Io sono la via, la verità, la vita”? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione».
Il 1 ottobre 2013 il quotidiano “Repubblica” ha pubblicato un’intervista di Eugenio Scalfari a Francesco in cui quest’ultimo afferma: «ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce». Uno strano inno al relativismo in stile scalfariano, ed infatti Scalfari ha ammesso che nelle interviste «cerco di capire la persona intervistata e poi scrivo le risposte con parole mie. Sono dispostissimo a pensare che alcune delle cose scritte da me e a lui attribuite, il Papa non le condivida, ma credo anche che ritenga che, dette da un non-credente, siano importanti per lui e per l’azione che svolge». La segreteria di Stato Vaticano ha rimosso l’intervista dal proprio sito web e padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha spiegato benevolmente che il colloquio «non era stato rivisto parola per parola». Quindi l’intervista è «attendibile nel suo senso generale ma non nelle singole formulazioni. In questo senso è stato ritenuto più corretto lasciargli la sua natura giornalistica, con l’intervista pubblicata su Repubblica, e non il testo sul sito della Santa Sede».
Il 27 ottobre 2013 lo scrittore Antonio Socci ha scritto: «il Papa da settimane viene “impiccato” (moralmente) a una battuta attribuitagli da Eugenio Scalfari nel corso di un colloquio privato che poi è stato pubblicato sulla “Repubblica” il 1° ottobre. Si tratta di quelle due righe sulla coscienza, il bene e il male. Da settimane nella rete (e in qualche giornale) ribolle il malcontento di certi cattolici che, scandalizzati, sollevano sospetti sul Papa per quelle due righe. Nessuno di loro sembra porsi la domanda più ovvia: papa Francesco pensa veramente che ognuno possa decidere da solo cosa è bene e cosa è male e autogiustificarsi così? Possibile che il Papa professi un’idea per la quale non avrebbe più alcun senso né essere cristiani, né credere in Dio (tantomeno fare il papa)? E’ evidente che si tratta di una colossale baggianata. Qualunque persona in buonafede si rende conto facilmente che è assurdo aver alimentato tanta confusione per quelle due righe. Se poi qualcuno, più sospettoso, continuasse ad vere dei dubbi gli basterebbe, per chiarirsi le idee, ascoltare il magistero quotidiano di Francesco […] Ma chi sta col “randello” del pregiudizio in mano con l’unico obiettivo di coglierlo in fallo, non sente ragioni, si attacca a ogni pretesto ed è sempre pronto a colpire. Il fondamentalista non riflette su come quella frase sia stata veramente detta dal Papa e magari su com’è stata capita e riportata da Scalfari, non coglie la circostanza colloquiale, né il fatto che Bergoglio parla in una lingua che non è la sua e che non padroneggia alla perfezione. Infine tutto andrebbe valutato alla luce del vero e costante magistero ufficiale di papa Francesco. Non so cosa il papa sapesse di Scalfari e come si sia svolto quell’incontro. Però una volta che il malinteso si è prodotto il papa ha cercato di evitare equivoci. A padre Lombardi è stato detto di far presente che quell’intervista non era stata da lui rivista, è uscita dalla penna di Scalfari dopo una chiacchierata informale. Soprattutto – come padre Lombardi ha sottolineato – essa non fa parte in alcun modo del magistero di papa Francesco. Ma anche in questo caso ci sono i “troppo zelanti” che l’indomani, il 2 ottobre, hanno rilanciato quell’intervista addirittura sull’Osservatore romano. Pare che il papa se ne sia rammaricato e che il 4 ottobre, durante la visita ad Assisi, se ne sia lamentato col direttore Gian Maria Vian. C’è anche un video che probabilmente immortala proprio la protesta di papa Francesco per quell’improvvida iniziativa. Il Papa si è reso conto che è facile essere strumentalizzato dai media. Anche Benedetto XVI incappò nel doloroso malinteso di Ratisbona. Dipende molto dai media, dalla loro superficialità, approssimazioni o dalla malafede del pregiudizio».
Il 28 aprile 2014 il sito “Dagospia” ha rivelato che Scalfari si sarebbe fatto ricevere un’altra volta da Francesco. Una volta concluso il dialogo, Scalfari avrebbe ricevuto una telefonata dal segretario del Papa il qualo lo ha pregato di non rendicontare su ”Repubblica” i contenuti dell’incontro avuto. La fonte che ha diffuso questa notizia ci impone di parlare al condizionale.
Il 13 luglio 2014 su “Repubblica” è uscita una seconda intervista a Francesco da parte di Eugenio Scalfari, in essa il Papa affermerebbe: «Il due per cento di pedofili sono sacerdoti e perfino vescovi e cardinali», e rispetto all’abolizione dell celibato sacerdotale: «Il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò».
Il 13 luglio 2014 padre Federico Lombardi è dovuto intervenire nuovamente su una nuova intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco pubblicata su “Repubblica”: «Non si può e non si deve parlare in alcun modo di intervista nel senso abituale del termine. Il colloquio è cordiale e molto interessante e tocca principalmente i temi della piaga degli abusi sessuali su minori e dell’atteggiamento della Chiesa verso la mafia. Tuttavia come già in precedenza in una circostanza analoga, bisogna far notare che ciò che Scalfari attribuisce al Papa, riferendo “fra virgolette” le sue parole, è frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell’interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite. Non si può e non si deve quindi parlare in alcun modo di un’intervista nel senso abituale del termine, come se si riportasse una serie di domande e di risposte che rispecchiano con fedeltà e certezza il pensiero preciso dell’interlocutore”. Se quindi si può ritenere che nell’insieme l’articolo riporti il senso e lo spirito del colloquio fra il Santo Padre e Scalfari, occorre ribadire con forza quanto già si era detto in occasione di una precedente “intervista” apparsa su Repubblica, cioè che le singole espressioni riferite, nella formulazione riportata, non possono essere attribuite con sicurezza al Papa. Ad esempio e in particolare ciò vale per due affermazioni che hanno attirato molta attenzione e che invece non sono attribuibili al Papa. Cioè che fra i pedofili vi siano dei “cardinali”, e che il Papa abbia affermato con sicurezza, a proposito del celibato, “le soluzioni le troverò”. Nell’articolo pubblicato su Repubblica queste due affermazioni vengono chiaramente attribuite al Papa, ma – curiosamente – le virgolette vengono aperte prima, ma poi non vengono chiuse. Semplicemente mancano le virgolette di chiusura… Dimenticanza o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?».
Il 15 luglio 2014 lo scrittore Vittorio Messori ha affermato a proposito dell’intervista di Scalfari a Francesco: «non solo siamo di fronte a un colloquio privato, e non a un testo magisteriale, ma in più non si sa nemmeno che cosa abbia detto il papa. Sappiamo che cosa ha detto Scalfari, o meglio, cosa ha capito, affibbiandolo poi al papa».
Il 02 novembre 2015 padre Federico Lombardi è tornato a smentire le affermazioni fatte da Eugenio Scalfari, il quale ha scritto di aver ricevuto una telefonata dal Papa il quale gli avrebbe detto (virgolettando le sue parole) che «per quanto riguarda l’ammissione dei divorziati ai Sacramenti conferma che quel principio è stato accettato dal Sinodo. Questo è il risultato di fondo, le valutazioni di fatto sono affidate ai confessori ma alla fine di percorsi più veloci o più lenti tutti i divorziati che lo chiedono saranno ammessi». Il portavoce del Papa ha commentato: «Come già avvenuto in passato, Scalfari riferisce con virgolettati cosa il Papa gli ha presumibilmente detto, ma spesso non corrisponde alla realtà, poiché non registra né trascrive le esatte parole del Papa, come egli stesso ha detto molte volte. Per cui è chiaro che quello che viene riferito da lui nell’ultimo articolo in merito ai divorziati risposati non è in alcun modo affidabile e non può essere considerato il pensiero del Papa».
Il 08 febbraio 2016 l’associazione Papaboys è intervenuta in merito all’elogio di Francesco verso l’impegno umanitario di Emma Bonino, scrivendo: «Papa Francesco ha semplicemente dato a Cesare il suo. Francesco non ha messo sull’altare Emma Bonino, ha riconosciuto il suo impegno ed il suo lavoro per l’Africa».
Il 19 maggio 2016 padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, alla morte di Marco Pannella ha scritto: «Marco Pannella è una persona con cui ci siamo trovati spesso in passato su posizioni discordanti, ma di cui non si poteva non apprezzare l’impegno totale e disinteressato per nobili cause, ad esempio quella a cui si è molto dedicato negli anni recenti, in favore dei carcerati».
Il 20 maggio 2016 mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Istituto della Nuova Evangelizzazione, ha scritto: «Non ho certo condiviso le battaglie di Marco Pannella come l’aborto o in tempi più recenti, quella per l’eutanasia. Ma non posso dimenticare che è stato anche capace di far sentire la voce dei senza voce. Ho condiviso ben poco, anzi nulla, di certe battaglie radicali degli anni ’70 e ’80. Ma non posso nemmeno dimenticare le iniziative per combattere la fame nel mondo o quelle per far sentire la voce di chi non aveva voce, come nel caso dei carcerati. Questo non dovrebbe stupire. È importante cercare con chi non crede un dialogo fondato sulla ragione».
Il 20 maggio 2016, dopo la morte di Marco Pannella, si è saputo che in punto di morte ha voluto scrivere una lettera a Papa Francesco, con il quale era nato un rapporto telefonico grazie all’iniziativa del Pontefice. «Ti voglio bene. Ho preso in mano la croce che portava mons. Romero e non riesco a staccarmene». Mons. Paglia ha spiegato il riavvicinamento del leader radicale alla croce.
Il 17 dicembre 2016 Eugenio Scalfari ha nuovamente attribuito presunte parole che gli avrebbe detto Francesco. «Ma quali sono i Santi che il nostro Papa predilige? Gliel’ho chiesto e lui mi ha risposto così: “Il primo è naturalmente Paolo. È lui ad aver costruito la nostra religione”». E’ una falsità storica che mai Francesco avrebbe detto, oltretutto la dimostrazione che Scalfari inventa è che la creazione del cristianesimo da parte di Paolo è una sua vecchia ossessione, come più volte ha dimostrato. Scalfari, quindi, continua a correggere frasi che il Papa probabilmente gli dice, facendoli però affermare tesi che, in realtà, sono care a lui stesso.
Il 13 febbraio 2017 sul nostro sito web abbiamo spiegato che il tentativo di Francesco nel tendere una mano ai due leader radicali altro non è che quel che fece Gesù con Zaccheo. Senza mai diventare complici delle loro battaglie contrarie all’etica cristiana anzi, professando apertamente il contrario. Facendo inoltre notare che Pannella dopo il “contatto” con Francesco si avvicinò alla croce e mise da parte le battaglie etiche (seppur senza rimangiarsele) -addirittura cambiò idea sulle unioni civili, allineandosi agli attivisti per la famiglia nell’invocare un referendum.
Il 11 luglio 2018 il card. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, ha affermato: «L’Europa – di cui il san Benedetto è patrono – ha ancora bisogno dei valori cristiani, gli unici capaci di governare davvero i popoli verso la pace e il bene».
Il 03 maggio 2022 in un’intervista al Corriere, Papa francesco ha parlato della parlamentare radicale Emma Bonino, affermando: «Rispetto tanto Emma Bonino: non condivido le sue idee ma conosce l’Africa meglio di tutti. Di fronte a questa donna dico, chapeau».
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16. GIUDIZI SU PROGRESSISMO E TRADIZIONALISMO
Come abbiamo scritto siamo molto grati a Francesco per aver sconfessato sia l’ideologia progressista che quella tradizionalista, entrambi estremismi minoritari nella religione cattolica. I primi hanno cercato di manipolarlo facendo credere che fosse il Papa che finalmente avrebbe rivoluzionato la Chiesa adeguandola al mondo, e i secondi ci sono cascati opponendosi al profilo del Papa disegnato dai progressisti.
Né gli uni né gli altri raccontano il vero e Francesco ha ben pensato di lanciare stoccate agli uni e agli altri: si è scagliato contro il «progressismo adolescenziale» e contro il «tradizionalismo zelante»; ha criticato l’allarmismo catastrofico così come il feticismo degli idoli della società moderna; si è opposto al buonismo distruttivo e al machismo in gonnella, ha criticato i gruppi tradizionalisti chiedendo però di rispettarli («dobbiamo essere rispettosi con loro e non stancarci di spiegare, di catechizzare, di dialogare, senza insultare, senza sporcarli, senza sparlare. Perché tu non puoi annullare una persona dicendo: “Questo è un conservatore”. No. Questo è figlio di Dio tanto quanto me. Ma tu vieni, parliamo. Se lui non vuole parlare è un problema suo, ma io ho rispetto. Pazienza, mitezza e dialogo»). Ha scomunicato i fondatori di “Noi siamo Chiesa”, riferimento principale del progressismo cattolico internazionale (gli amici di Vito Mancuso, per intenderci). Il discorso più importante è stato certamente quello a conclusione del Sinodo sulla Famiglia, quando ha preso posizione chiaramente contro entrambe queste ideologie.
Il prof. Guzmán Carriquiry Lecour, vicepresidente della Pontificia Commissione per l’America Latina e amico personale del Santo Padre, ha criticato «il rifiuto sistematico e pieno di pregiudizi che si avvertono in alcune reazioni di settori ultraminoritari in seno alla Chiesa stessa». Il Papa, per usare termini politici, è strumentalizzato da “sinistra” e combattuto da “destra”, «i reazionari concordano e si alimentano anche con la figura falsata che pretendono di diffondere ambienti ecclesiastici e mediatici di progressismo liberal. Li accomuna l’immagine di un Papa che vuole cambiare insegnamenti dottrinali e morali della Chiesa, e che viene contrapposto dai predecessori».
Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice ha parlato del progressismo e del tradizionalismo:
Il 12 giugno 2013 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha ricordato che sono due le tentazioni da affrontare in questo momento della storia della Chiesa: andare indietro perché timorosi della libertà che viene dalla legge «compiuta nello Spirito Santo» e cedere a un «progressismo adolescente», incline cioè a seguire i valori più accattivanti proposti dalla cultura dominante. Il progressismo è una cultura che va avanti, dalla quale non riusciamo a distaccarci e della quale prendiamo le leggi e i valori che ci piacciono di più, come fanno appunto gli adolescenti. Alla fine il rischio che si corre è di scivolare, «così come la macchina scivola sulla strada gelata e va fuori strada».
Il 18 novembre 2013 durante la meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta, il Pontefice, commentando il libro dei Maccabei, ha criticato «lo spirito della mondanità che anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al pensiero unico». Coloro che dicono: «Non ci chiudiamo. Siamo progressisti», «lo spirito del progressismo adolescente» secondo il quale, davanti a qualsiasi scelta, si pensa che sia giusto andare comunque avanti piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni». Il Papa fa riferimento al romanzo “Il padrone del mondo” di Benson che si sofferma proprio su «quello spirito di mondanità che ci porta all’apostasia». Oggi, avverte il Papa, si pensa che «dobbiamo essere come tutti, dobbiamo essere più normali, come fanno tutti, con questo progressismo adolescente».
Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge una critica al «neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare». In questo e in altri casi «né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico.»
Il 22 maggio 2014 è emersa la notizia che la Chiesa di Francesco ha scomunicato i due fondatori di “Noi siamo Chiesa”, Martha Heizer e il marito Gert. Si tratta di una delle organizzazioni “cattoliche” progressiste più critiche verso la Chiesa e il suo magistero, in Italia è vicina all’agenzia “Adista” e al vaticanista de “Il Manifesto” Luca Kocci, che infatti ha criticato duramente l’accaduto, scrivendo: «la scomunica alla presidente è un duro colpo al dialogo con il mondo cattolico di base, che sembrava essersi riaperto con papa Francesco, il quale però era sicuramente informato del provvedimento». La scomunica è arrivata da Francesco, come ha confermato la giornalista Tiziana Volpi di “Il mio Papa”. Anche il teologo Vito Mancuso ha scritto: «La chiesa di papa Francesco ha scomunicato di recente, il 18 settembre 2013, un sacerdote australiano, Greg Reynolds, per aver promosso l’ordinazione sacerdotale delle donne e il riconoscimento sacramentale delle coppie gay, e sempre sotto Francesco si è avuta un mese fa la scomunica di Martha Heizer, teologa cattolica austriaca, presidente del movimento internazionale “Noi Siamo Chiesa”, sostanzialmente per gli stessi motivi».
Il 18 ottobre 2014 nel discorso di conclusione del “Sinodo sulla Famiglia”, Francesco ha sintetizzato le caratteristiche dei momenti di tensione verificatosi: «una: la tentazione dell’ irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – “tradizionalisti” e anche degli intellettualisti. La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”. La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente (cf. Lc 4,1-4) e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati (cf.Gv 8,7) cioè di trasformarlo in “fardelli insopportabili” (Lc 10, 27). La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. La tentazione di trascurare il “depositum fidei”, considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall’altra parte, la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano “bizantinismi”, credo, queste cose».
Il 10 novembre 2014 lo scrittore Antonio Socci ha accusato Francesco di occuparsi “soltanto” di randellare i “conservatori”: come si evince da questo dossier, Francesco ha “randellato” molto anche i “progressisti” (“progressismo adolescenziale”, cfr. 18/11/13 e 12/07/13). Tuttavia, chi pensava di aver la coscienza a posto in quanto “conservatore” e “tradizionalista” è stato preso in contropiede da Francesco che ha definito questo comportamento definendolo una «presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare». Non stupisce la campagna antipapista di Antonio Socci e la coda di paglia dei tradizionalisti.
Il 13 novembre 2014 in un’intervista il vaticanista Sandro Magister ha parlato di presunte contraddizioni di Francesco, commentando anche il fatto che critichi sia i progressisti che i tradizionalisti: «È un altro dei moduli espressivi ricorrenti di questo pontefice: la reprimenda di una parte e all’altra. Però, a voler fare un inventario, le sue bacchettate ai tradizionalisti, ai legalisti, ai rigidi difensori dell’arida dottrina, appaiono molto più numerose e mirate. Quando invece se la prende con i buonisti, non si capisce mai a chi si riferisca». Suona abbastanza ridicolo mettersi a conteggiare gli interventi del Papa contro una parte piuttosto che contro l’altra, probabilmente Francesco sta cercando di equilibrare le critiche dato che i suoi predecessori hanno giustamente preso di mira sopratutto il “cattolicesimo adulto” dei progressisti. In secondo luogo è invece decisamente chiaro cosa intenda il Papa quando critica i “buonisti”: «La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”. La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio» . Più chiaro di così!
Il 21 agosto 2015 Papa Francesco ha partecipato in maniera privata alla messa tridentina in Vaticano dedicata a san Pio X. Il Papa era già presente davanti all’altare per recitare una preghiera, accortosi dell’inizio della celebrazione si è fermato ad assisterla. Uscendo ha detto al celebrante, mons. Bonora, «Te l’avevo detto che sono devoto di san Pio X».
Il 10 novembre 2015 durante la sua visita pastorale a Prato e a Firenze, Francesco ha affermato: «L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di “rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”. […]. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo. La riforma della Chiesa poi – e la Chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività. Una seconda tentazione da sconfiggere è quella dello gnosticismo. Essa porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Il fascino dello gnosticismo è quello di “una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti”. Lo gnosticismo non può trascendere. La differenza fra la trascendenza cristiana e qualunque forma di spiritualismo gnostico sta nel mistero dell’incarnazione. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo».
Il 13 dicembre 2016 sono emersi su un quotidiano alcuni scritti del giovane Joseph Ratzinger, allora docente della facoltà teologica cattolica dell’Università di Bonn. «È forse normale», si chiede nel gennaio 1963, «che 2500 vescovi, per non parlare dei tanti altri credenti, siano condannati a essere muti testimoni di una liturgia nella quale, oltre al celebrante, ha la parola solo la Cappella Sistina? Il fatto che non fosse richiesta la partecipazione attiva dei presenti non era forse sintomo di una situazione che andava superata?». E ancora: «L’attitudine dello spirito antimodernista, la linea della chiusura, della condanna, della difesa che giunge fin quasi al timoroso rifiuto, deve essere mantenuta, oppure la Chiesa, dopo aver operato la necessaria demarcazione, vuole aprire una pagina nuova, entrando in dialogo positivo con le sue origini, con i suoi fratelli, con il mondo di oggi? Questo Concilio si è trasformato in un nuovo inizio per il fatto che una maggioranza molto netta si decise per la seconda alternativa. È così che esso ha oltrepassato il rango di continuazione del Vaticano I: infatti Trento e Vaticano I servirono al movimento di chiusura, di salvaguardia e di demarcazione, l’attuale Concilio, sulla base di quello che era stato operato, si è rivolto a un nuovo compito». Occorre esprimersi «contro la prosecuzione unilaterale dello spirito antimodernistico» e «imboccare una nuova strada, positiva, a livello del pensiero e del linguaggio». Ed infine: «Credo che nella Curia romana ci siano molti ruoli che potrebbero essere ricoperti da laici. Propongo dunque che si stabilisca che nella Curia sia diminuito non solo il numero dei vescovi che vi lavorano, ma anche il numero dei sacerdoti, e che vi debbano essere ammessi anche i laici». Ecco altre citazioni, contro il ««conservatorismo» si radicava «nella sua estraneità alla storia e quindi in fondo in una “carenza” di Tradizione, cioè di apertura verso l’insieme della storia cristiana». Le cose – spiegava Ratzinger – stavano esattamente al contrario: erano quelli etichettati come “progressisti”, o perlomeno «la parte prevalente di loro» che stava lavorando per favorire un «ritorno all’ampiezza e alla ricchezza di ciò che è stato tramandato». Essi ritrovavano le sorgenti del rinnovamento da loro auspicato proprio nella «intrinseca larghezza propria della Chiesa».
Il 29 giugno 2019 scrivendo al popolo tedesco, Francesco ha ricordato loro che «l’evangelizzazione non è una tattica di riposizionamento ecclesiale nel mondo di oggi o un atto di conquista, dominio o espansione territoriale; non è neppure un “ritocco” che l’adatta allo spirito del tempo, ma che le fa perdere la sua originalità e profezia; e non è neppure la ricerca di recuperare abitudini o pratiche che davano un senso in un altro contesto culturale». E ancora: «Dovremmo pertanto domandarci che cosa lo Spirito di oggi dice alla Chiesa (Ap 2, 7), riconoscere i segni dei tempi, il che non è sinonimo di adattarsi semplicemente allo spirito dei tempi e basta (Rom 12, 2)».
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17. INSULTI RICEVUTI DAL MONDO CATTO-TRADIZIONALISTA
Il pontificato di Francesco ha scatenato la rabbia e la frustrazione di buona parte del mondo tradizionalista-conservatore, un’area del cattolicesimo marginale e legata agli ambienti della destra (o estrema destra), con la missione -a loro dire- di preservare il vero cattolicesimo nei confronti delle eresie del modernismo, anche ecclesiastico. Hanno giustificato la denigrazione continua di preti, vescovi, cardinali e la strenua opposizione al Papa e la sua persecuzione mediatica quotidiana sostenendo che sia «legittimo esprimere delle valutazioni, anche critiche, sull’operato del Papa» e dei suoi collaboratori, che si tratta semplicemente di una «espressione sincera e rispettosa di preoccupazione». La loro intenzione sarebbe «manifestare i nostri dubbi con parresìa e franchezza e con atteggiamento umile, costruttivo, per il bene della Verità, verso le affermazioni che possono sembrare distanti dal Magistero». Abbiamo raccolto alcune manifestazioni di “critiche costruttive” del catto-tradizionalismo, soprattutto da parte degli esponenti più in vista.
Di seguito in ordine cronologico gli insulti ricevuti dai sedicenti “difensori della fede cattolica autentica”:
Il 13 aprile 2019 il giornalista conservatore Renato Farina, dopo aver calunniato preti e vescovi su un quotidiano a tiratura nazionale, ha chiesto scusa su un settimanale di bassa tiratura e in un articolo destinato solo agli abbonati. «Confesso che li ho calunniati con perfide battute sul loro rinchiudersi in canonica per l’emergenza. Mi sbagliavo. Non hanno mai smesso di lavorare. E di morire».
Il 12 aprile 2019 lo storico dell’arte sovranista Carlo Franza, blogger de Il Giornale, ha scritto: «L’ignoranza di Papa Bergoglio. Vuol fare impropriamente il professore di sociologia e non sa far bene il Papa. Sproloquiare, parlare a vanvera, senza cognizione di causa, forse in malafede. Papa Bergoglio se le attira tutte. Dimostra una vasta ignoranza nonostante sia gesuita e sia stato eletto Papa ( con il divieto dei suoi superiori gesuiti che non lo volevano vescovo) e dimostra di essere lontano mille miglia dalla cultura di Papa Benedetto XVI, non solo mio Papa, ma Santo per acclamazione popolare. Volgare, ignorante nella Dottrina (non ha neanche conseguito il dottorato in teologia) e nella storia…non conosce nemmeno il latino (e neanche l’inglese). Non crede in un Dio cattolico (parole sue) e, secondo me, in nessun Dio».
Il 09 aprile 2019 il blogger tradizionalista Marco Tosatti ha scritto che quelle del Papa sono «affermazioni desolanti per il panorama di ignoranza, genericità e superficialità che svelano. Chiacchiere da bar, più che Sala Clementina. Benedetto XVI, pur in una crescente e devastante fragilità fisica, mantiene una mente lucida e acuta. Un grande dono, una grazia. L’esperienza ci insegna che purtroppo non per tutti l’età ha gli stessi frutti».
Il 27 febbraio 2019 su Libero, il giornalista Gianluca Veneziani “esulta” per la condanna del card. George Pell, braccio destro di Papa Francesco. “Il tesoriere del Papa è un pedofilo. Amen”, titola il quotidiano, a fianco una foto di Francesco che stringe la mano al cardinale. Pell verrà assolto da ogni accusa nell’aprile del 2020.
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18. ALTRE RELIGIONI E ACCUSE DI SINCRETISMO RELIGIOSO
Francesco ha indubbiamente molto a cuore l’unità dei cristiani, ha introdotto anche un’osservazione che ormai è di dominio pubblico: l’ecumenismo del sangue. «Per coloro che uccidono, siamo cristiani», ha spiegato. «Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d’identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato». Ha tuttavia ricevuto anche dure accuse di relativismo e sincretismo religioso che riteniamo infondate.
Chi avanza queste accuse dimentica che proprio in un documento importante del suo pontificato, l’Evangelii Gaudium, Francesco ha messo in guardia dal «sincretismo conciliante», definito una forma di «totalitarismo». Ha quindi ricordato che la vera “apertura”, termine abusato da media e sincretisti, «implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa». Altrimenti un’apertura diplomatica «che dice sì a tutto per evitare i problemi, sarebbe un modo di ingannare l’altro e negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente». Per questo ha sostenuto che il dialogo interreligioso ha il fine di evangelizzare gli altri: «L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente».
Francesco ha anche ribadito insistentemente, molto più di quanto fecero Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, che senza Chiesa cattolica, Cristo non è carnalmente incontrabile, così come affermare “Cristo si e la Chiesa no” è una dicotomia assurda riprendendo l’espressione di Paolo VI. Dove si incontra Cristo? «Lo incontriamo nella Chiesa, nella nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica», ha spiegato. «È nella Chiesa che Gesù continua a compiere i suoi gesti di grazia che sono i Sacramenti […]. Nessuna manifestazione di Cristo, neanche la più mistica, può mai essere staccata dalla carne e dal sangue della Chiesa, dalla concretezza storica del Corpo di Cristo. Senza la Chiesa, Gesù Cristo finisce per ridursi a un’idea, a una morale, a un sentimento. Senza la Chiesa, il nostro rapporto con Cristo sarebbe in balia della nostra immaginazione, delle nostre interpretazioni, dei nostri umori». In un’altra occasione: «Talvolta capita di sentire qualcuno dire: “Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa…”. Quante volte abbiamo sentito questo? E questo non va. C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose».
Un caso spesso citato dai critici di papa Bergoglio per accusarlo di sincretismo religioso è la visita alla Moschea Blu di Instanbul nel novembre 2014, nella quale si è fermato in preghiera assieme all’imam di fronte al Mihrab, la nicchia che indica la direzione della Mecca. Il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, lo ha definito un momento «di adorazione silenziosa» e di «dialogo interreligioso». Magdi Cristiano Allam ha accusato il Papa di “relativismo religioso” di “legittimazione dell’Islam”, un gesto di “sottomissione” all’Islam. Il Pontefice stesso ha spiegato il suo gesto ed è intervenuto anche uno dei maggiori studiosi di Islam turco, Padre Alberto Fabio Ambrosio, domenicano, e professore associato presso il dipartimento di teologia dell’Università di Metz in Francia, che ha valorizzato il gesto di Francesco spiegando che non vi è stato nulla di sincretistico, blasfemo o relativistico. D’altra parte anche Benedetto XVI nel 2006 si recò nella Moscha Blu: accompagnato dal Gran Mufti di Istanbul, Mustafa Cagrici, si è anch’egli fermato in preghiera davanti al Mihrab verso la quale indirizzano le loro preghiere i fedeli musulmani, come è stato descritto. In quell’occasaione padre Federico Lombardi precisò: «Davanti al Mihrab, nella Moschea Blu, il Papa ha sostato in meditazione e certamente ha rivolto a Dio il suo pensiero». La notizia della “preghiera di Benedetto XVI nella moschea” raggiunse subito i media, ma nessuno lo accusò di sincretismo o relativismo.
Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice è intervenuto su queste tematiche:
Il 23 aprile 2013 durante l’omelia in occasione della Festa di San Giorgio, Francesco ha detto: «L’identità cristiana è un’appartenenza alla Chiesa, perché tutti questi appartenevano alla Chiesa, alla Chiesa Madre, perché trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile. Il grande Paolo VI diceva: è una dicotomia assurda voler vivere con Gesù senza la Chiesa, seguire Gesù fuori della Chiesa, amare Gesù senza la Chiesa. E quella Chiesa Madre che ci dà Gesù ci dà l’identità che non è soltanto un sigillo: è un’appartenenza. Identità significa appartenenza».
Il 28 luglio 2013 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, Papa Francesco ha affermato: «I movimenti sono una grazia dello Spirito. […]. Per questo credo che il movimento del Rinnovamento carismatico non solo serva ad evitare che alcuni passino alle confessioni pentecostali. Ma no! Serve alla Chiesa stessa! Ci rinnova. E ognuno cerca il proprio movimento secondo il proprio carisma, dove lo porta lo Spirito».
Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge: «Le forme proprie della religiosità popolare sono incarnate, perché sono sgorgate dall’incarnazione della fede cristiana in una cultura popolare. Per ciò stesso esse includono una relazione personale, non con energie armonizzanti ma con Dio, con Gesù Cristo, con Maria, con un santo. Hanno carne, hanno volti. Sono adatte per alimentare potenzialità relazionali e non tanto fughe individualiste. In altri settori delle nostre società cresce la stima per diverse forme di “spiritualità del benessere” senza comunità, per una “teologia della prosperità” senza impegni fraterni, o per esperienze soggettive senza volto, che si riducono a una ricerca interiore immanentista». Per quanto riguarda il rischio di sincretismo, Francesco ha spiegato: «In questo dialogo, sempre affabile e cordiale, non si deve mai trascurare il vincolo essenziale tra dialogo e annuncio, che porta la Chiesa a mantenere ed intensificare le relazioni con i non cristiani. Un sincretismo conciliante sarebbe in ultima analisi un totalitarismo di quanti pretendono di conciliare prescindendo da valori che li trascendono e di cui non sono padroni. La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti “a comprendere quelle dell’altro” e “sapendo che il dialogo può arricchire ognuno”. Non ci serve un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi, perché sarebbe un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente».
Il 16 dicembre 2013 nell’intervista per “La Stampa” Francesco ha affermato: «Giovanni Paolo II aveva parlato in modo ancora più esplicito di una forma di esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova. Ma non solo dal punto di vista dei rapporti ecumenici, anche nei rapporti con la Curia e con le Chiese locali. In questi primi nove mesi ho accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo Zizioulas, il copto Tawadros: quest’ultimo è un mistico, entrava in cappella, si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l’eucaristia insieme, ma l’amicizia c’è. Credo che la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l’unità. Ci siamo benedetti l’un l’altro, un fratello benedice l’altro, un fratello si chiama Pietro e l’altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso. […]. Oggi esiste l’ecumenismo del sangue. In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L’unità è una grazia, che si deve chiedere. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d’identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato. Dobbiamo prendere in considerazione questa realtà».
Nel maggio 2014 è uscito in Italia il volume “Chi sono i gesuiti”, una conferenza tenuta dall’allora arcivescovo Bergoglio in Argentina nel 1985, preceduto dall’introduzione di Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica. Il teologo valdese Paolo Ricca ha criticato la pubblicazione poiché «è vero che le sue pagine risalgono a quasi 30 anni fa. Ma sono state pubblicate tali e quali 30 anni dopo, in italiano, nel maggio di quest’anno, senza la minima modifica o nota esplicativa, e anzi presentate come un “ricchissimo affresco”». Ricca riporta che per il card. Bergoglio, Lutero era eretico e l’eresia è «un’idea buona impazzita» (p. 22). Calvino, invece, oltre che eretico è stato anche scismatico in tre diverse aree: l’uomo, la società, la chiesa. Con lui avviene nell’uomo la scissione «tra la ragione e il cuore», da cui nasce «lo squallore calvinista» (p. 23). E lo scisma si verifica anche «tra la conoscenza positiva e la conoscenza speculativa», con danni irreparabili a «tutta la tradizione umanistica» (p. 23). Nella società, Calvino provoca lo scisma tra le classi borghesi, che egli privilegia «come apportatrici di salvezza» (p. 25), e le corporazioni dei mestieri che rappresentano «la nobiltà del lavoro». Calvino sarebbe promotore di «un’internazionale della borghesia» e, come tale, «il vero padre del liberalismo» (p. 26). Nella chiesa, infine, Calvino provoca lo scisma peggiore: «la comunità ecclesiale viene ridotta a una classe sociale» – quella borghese – e «Calvino decapita il popolo di Dio dell’unità con il Padre. Decapita tutte le confraternite dei mestieri privandole dei santi. E, sopprimendo la messa, priva il popolo della mediazione in Cristo realmente presente» (p. 32). Rispetto alle conseguenze della Riforma, secondo il card. Bergoglio «a partire dalla posizione luterana, se siamo coerenti, restano solo due possibilità fra cui scegliere nel corso della storia: o l’uomo si dissolve nella sua angoscia e non è niente (ed è la conseguenza dell’esistenzialismo ateo), o l’uomo, basandosi su quella medesima angoscia e corruzione, fa un salto nel vuoto e si auto decreta superuomo (è l’opzione di Nietzsche) … Un simile potere [quello vagheggiato da Nietzsche], come ultima ratio, implica la morte di Dio. Si tratta di un paganesimo che, nei casi del nazismo e del marxismo, acquisterà forme organizzate» (p. 34).
Il 19 maggio 2013 nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale, Francesco ha scritto: «A volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: “Sarebbe … un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà … è un omaggio a questa libertà”. Dobbiamo avere sempre il coraggio e la gioia di proporre, con rispetto, l’incontro con Cristo, di farci portatori del suo Vangelo. Gesù è venuto in mezzo a noi per indicare la via della salvezza, ed ha affidato anche a noi la missione di farla conoscere a tutti, fino ai confini della terra. E’ urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo dall’interno stesso della Chiesa. Perché, in questa prospettiva, è importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. Paolo VI scriveva che “quando il più sconosciuto predicatore, missionario, catechista o Pastore, annuncia il Vangelo, raduna la comunità, trasmette la fede, amministra un Sacramento, anche se è solo, compie un atto di Chiesa”. Egli non agisce “per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa”. E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo».
Il 25 giugno 2014 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «Siamo cristiani perché apparteniamo alla Chiesa. È come un cognome: se il nome è “sono cristiano”, il cognome è “appartengo alla Chiesa”. Il cristiano appartiene a un popolo che si chiama Chiesa e questa Chiesa lo fa cristiano, nel giorno del Battesimo, e poi nel percorso della catechesi, e così via. Ma nessuno, nessuno diventa cristiano da sé. Nella Chiesa non esiste il “fai da te”, non esistono “battitori liberi”. Quante volte Papa Benedetto ha descritto la Chiesa come un “noi” ecclesiale! Talvolta capita di sentire qualcuno dire: “Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa…”. Quante volte abbiamo sentito questo? E questo non va. C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose. Sono, come diceva il grande Paolo VI, dicotomie assurde. Ricordatevi bene: essere cristiano significa appartenenza alla Chiesa. Il nome è “cristiano”, il cognome è “appartenenza alla Chiesa”. Cari amici, chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, la grazia di non cadere mai nella tentazione di pensare di poter fare a meno degli altri, di poter fare a meno della Chiesa, di poterci salvare da soli, di essere cristiani di laboratorio. Al contrario, non si può amare Dio senza amare i fratelli, non si può amare Dio fuori della Chiesa; non si può essere in comunione con Dio senza esserlo nella Chiesa».
Il 30 giugno 2014 durante l’omelia nella Messa in Santa Marta, Francesco ha spiegato: «Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda».
Il 18 agosto 2014 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Corea del Sud, Francesco ha parlato della preghiera per la pace dell’8 giugno 2014 nei Giardini Vaticani alla presenza dei presidenti di Israele e Palestina, Shimon Peres e Abu Mazen, per invocare la fine del conflitto interreligioso: «Quella Preghiera per la pace, assolutamente non è stata un fallimento. Primo, l’iniziativa non è venuta da me: l’iniziativa di pregare insieme è venuta dai due Presidenti, dal Presidente dello Stato di Israele e dal Presidente dello Stato di Palestina. Loro mi avevano fatto arrivare questo desiderio. Poi, volevamo farla là [in Terra Santa], ma non si trovava il posto giusto, perché il costo politico di ognuno era molto forte se andava dall’altra parte. La Nunziatura, sì, sarebbe stata un posto neutrale, ma per arrivare in Nunziatura il Presidente dello Stato di Palestina sarebbe dovuto entrare in Israele e la cosa non era facile. E loro mi hanno detto: “Lo facciamo in Vaticano, e noi veniamo!”. Questi due uomini sono uomini di pace, sono uomini che credono in Dio, e hanno vissuto tante cose brutte, tante cose brutte che sono convinti che l’unica strada per risolvere quella storia lì è il negoziato, il dialogo e la pace. E’ stato un fallimento? No, io credo che la porta è aperta. Tutti e quattro, come rappresentanti, e Bartolomeo ho voluto che fosse lì come capo dell’Ortodossia, Patriarca ecumenico era bene che fosse con noi. E’ stata aperta la porta della preghiera. E’ un dono, la pace è un dono, un dono che si merita con il nostro lavoro, ma è un dono. E dire all’umanità che insieme con la strada del negoziato – che è importante -, del dialogo – che è importante – c’è anche quella della preghiera. Quell’incontro non era congiunturale: è un passo fondamentale di atteggiamento umano: la preghiera. Adesso il fumo delle bombe, delle guerre non lascia vedere la porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento. E siccome io credo in Dio, io credo che il Signore guarda quella porta, e guarda quanti pregano e quanti gli chiedono che Lui ci aiuti».
Il 21 settembre 2014 durante il suo viaggio in Albania, Francesco ha affermato: «vorrei accennare ad una cosa che è sempre un fantasma: il relativismo, “tutto è relativo”. Al riguardo, dobbiamo tenere presente un principio chiaro: non si può dialogare se non si parte dalla propria identità. Senza identità non può esistere dialogo. Sarebbe un dialogo fantasma, un dialogo sull’aria: non serve. Ognuno di noi ha la propria identità religiosa, è fedele a quella. Ma il Signore sa come portare avanti la storia. Partiamo ciascuno dalla propria identità, non facendo finta di averne un’altra, perché non serve e non aiuta ed è relativismo».
Il 30 novembre 2014 nella conferenza stampa durante il ritorno dal viaggio in Turchia, Papa Francesco ha parlato del rapporto con gli Ortodossi e del primato petrino: «Io credo che con l’Ortodossia siamo in cammino. Loro hanno i sacramenti, hanno la successione apostolica… siamo in cammino […]. Le Chiese cattoliche orientali hanno diritto di esistere, è vero. Ma l’uniatismo è una parola di un’altra epoca. Oggi non si può parlare così. Si deve trovare un’altra strada […] Io credo che tutti questi problemi che vengono tra di noi, tra i cristiani – almeno parlo della nostra Chiesa cattolica – vengono quando guarda se stessa: diventa autoreferenziale […] Loro accettano il Primato: nelle Litanie, oggi, hanno pregato per il “Pastore e Primate”. Lo riconoscono, lo hanno detto oggi, davanti a me. Ma per la forma del Primato, dobbiamo andare un po’ al primo millennio per ispirarci. Non dico che la Chiesa ha sbagliato, no. Ha fatto la sua strada storica. Ma adesso la strada storica della Chiesa è quella che ha chiesto san Giovanni Paolo II: “Aiutatemi a trovare un punto d’accordo alla luce del primo millennio”. Il punto chiave è questo. Quando si rispecchia in se stessa, la Chiesa rinuncia ad essere Chiesa per essere una “Ong teologica”».
Il 1 dicembre 2014, durante il discorso ai presuli della Conferenza Episcopale della Svizzera, frequentemente a contatto con la comunità protestante, Papa Francesco ha ricordato: «Nella preghiera e nell’annuncio comune del Signore Gesù dobbiamo però fare attenzione a permettere ai fedeli di tutte le confessioni cristiane di vivere la loro fede in maniera inequivocabile e libera da confusione, e senza ritoccare cancellando le differenze a scapito della verità. Quando, per esempio, con il pretesto di un certo andarsi incontro dobbiamo nascondere la nostra fede eucaristica, non prendiamo sufficientemente sul serio né il nostro patrimonio, né quello del nostro interlocutore. Allo stesso modo, nelle scuole l’insegnamento della religione deve tener conto delle particolarità di ogni confessione».
Il 1 gennaio 2015 durante l’omelia per la solennità di Maria, Francesco ha affermato: «Altrettanto inseparabili sono Cristo e la Chiesa, perché la Chiesa e Maria vanno sempre insieme e questo è proprio il mistero della donna nella comunità ecclesiale, e non si può capire la salvezza operata da Gesù senza considerare la maternità della Chiesa. Separare Gesù dalla Chiesa sarebbe voler introdurre una “dicotomia assurda”, come scrisse il beato Paolo VI. Non è possibile “amare il Cristo, ma non la Chiesa, ascoltare il Cristo, ma non la Chiesa, appartenere al Cristo, ma al di fuori della Chiesa” (Ibid.) Infatti è proprio la Chiesa, la grande famiglia di Dio, che ci porta Cristo. La nostra fede non è una dottrina astratta o una filosofia, ma è la relazione vitale e piena con una persona: Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio fattosi uomo, morto e risorto per salvarci e vivo in mezzo a noi. Dove lo possiamo incontrare? Lo incontriamo nella Chiesa, nella nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica. È la Chiesa che dice oggi: “Ecco l’agnello di Dio”; è la Chiesa che lo annuncia; è nella Chiesa che Gesù continua a compiere i suoi gesti di grazia che sono i Sacramenti […]. Nessuna manifestazione di Cristo, neanche la più mistica, può mai essere staccata dalla carne e dal sangue della Chiesa, dalla concretezza storica del Corpo di Cristo. Senza la Chiesa, Gesù Cristo finisce per ridursi a un’idea, a una morale, a un sentimento. Senza la Chiesa, il nostro rapporto con Cristo sarebbe in balia della nostra immaginazione, delle nostre interpretazioni, dei nostri umori».
Il 9 gennaio 2015 durante l’omelia in Santa Marta, Francesco ha commentato: «Tu puoi fare mille corsi di catechesi, mille corsi di spiritualità, mille corsi di yoga, zen e tutte queste cose. Ma tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio. Soltanto è lo Spirito Santo che muove il tuo cuore per dire ‘Padre’. Soltanto lo Spirito Santo è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore e fare un cuore docile al Signore. Docile alla libertà dell’amore».
Il 15 gennaio 2015 durante la conferenza stampa nel viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha affermato: «Quando ero bambino – in quel tempo, 70 anni fa – tutti i protestanti andavano all’inferno, tutti. Così ci dicevano […]. Ma credo che la Chiesa sia cresciuta tanto nella coscienza del rispetto – come ho detto loro nell’Incontro interreligioso, a Colombo -, nei valori. Quando leggiamo quello che ci dice il Concilio Vaticano II sui valori nelle altre religioni – il rispetto – è cresciuta tanto la Chiesa in questo. E sì, ci sono tempi oscuri nella storia della Chiesa, dobbiamo dirlo, senza vergogna, perché anche noi siamo in una strada di conversione continua: dal peccato alla grazia sempre. E questa interreligiosità come fratelli, rispettandosi sempre, è una grazia».
Il 24 gennaio 2015 nel discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal pontificio istituto di studi arabi, Francesco ha affermato: «Bisogna fare attenzione a non cadere nei lacci di un sincretismo conciliante ma, alla fine, vuoto e foriero di un totalitarismo senza valori. Un comodo approccio accomodante, che dice sì a tutto per evitare i problemi, finisce per essere un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. Questo ci invita, in primo luogo, a tornare ai fondamenti».
Il 24 maggio 2015 durante il Regina Coeli, Francesco ha detto: «La Chiesa non nasce isolata, nasce universale, una, cattolica, con una identità precisa ma aperta a tutti, non chiusa, un’identità che abbraccia il mondo intero, senza escludere nessuno».
Nel settembre 2016 il giornalista Peter Seewald nel libro Ultime conversazioni, ha scritto: «Dopo Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, è il secondo papa a parlare in una moschea; è il primo a partecipare a una funzione religiosa protestante. Un gesto storico unico è la visita, la prima di un capo della Chiesa, alla città in cui operò Martin Lutero. Nomina un protestante presidente della Pontificia accademia delle scienze, anche questa una novità; porta un musulmano a insegnare alla Gregoriana» (P. Seewald, Garazanti 2016, p.12).
Il 17 novembre 2016 Papa Francesco ha spiegato: «Non direi che questi incontri ecumenici sono il frutto dell’Anno della Misericordia. No. Perché anche questi sono tutti parte di un percorso che viene da lontano. Non è una cosa nuova. Sono solo passi in più, lungo un cammino iniziato da tempo. Da quando è stato promulgato il decreto conciliare Unitatis redintegratio, più di cinquant’anni fa, e si è riscoperta la fratellanza cristiana basata sull’unico battesimo e sulla stessa fede in Cristo, il cammino sulla strada della ricerca dell’unità è andato avanti a piccoli e grandi passi e ha dato i suoi frutti. Continuo a seguire questi passi. Tutti quelli che sono stati compiuti dai miei predecessori. Come un passo in più è stato quel colloquio di papa Luciani con il metropolita russo Nikodim che gli morì tra le braccia e, abbracciato al fratello vescovo di Roma, Nikodim gli disse cose tanto belle sulla Chiesa. Ricordo i funerali di san Giovanni Paolo II, c’erano tutti i capi delle Chiese d’Oriente: questa è fratellanza. Gli incontri e anche i viaggi aiutano questa fratellanza, a farla crescere. È il cammino dal Concilio che va avanti, s’intensifica. Ma è il cammino, non sono io. Questo cammino è il cammino della Chiesa. Io ho incontrato i primati e i responsabili, è vero, ma anche gli altri miei predecessori hanno fatto i loro incontri con questi o altri responsabili. Non ho dato nessuna accelerazione. Nella misura in cui andiamo avanti il cammino sembra andare più veloce, è il motus in fine velocior, per dirla secondo quel processo espresso nella fisica aristotelica. Sappiamo anche che le ferite delle nostre divisioni, che lacerano il corpo di Cristo, non possiamo guarirle da noi stessi. Quindi non si possono imporre progetti o sistemi per tornare uniti. Per chiedere l’unità tra noi cristiani possiamo solo guardare Gesù e chiedere che operi tra noi lo Spirito Santo. Che sia lui a fare l’unità […]. Prima di me Benedetto XVI era andato a Erfurt, e su questo aveva parlato accuratamente, con molta chiarezza. Aveva ripetuto che la domanda su «come posso avere un Dio misericordioso » era penetrata nel cuore di Lutero, e stava dietro ogni sua ricerca teologica e interiore. C’è stata una purificazione della memoria. Lutero voleva fare una riforma che doveva essere come una medicina. Poi le cose si sono cristallizzate, si sono mescolati gli interessi politici del tempo, e si è finiti nel cuius regio eius religio, per cui si doveva seguire la confessione religiosa di chi aveva il potere. Io proseguo sulla strada di chi mi ha preceduto, seguo il Concilio».
Il 19 gennaio 2017 nel discorso alla delegazione ecumenica finlandese, Francesco ha detto: «Su questo cammino, cattolici e luterani, da vari Paesi, insieme a diverse comunità che condividono il cammino ecumenico, abbiamo percorso una tappa significativa, quando, il 31 ottobre scorso, ci siamo riuniti a Lund, in Svezia, per commemorare l’inizio della Riforma con una preghiera comune. Questa commemorazione congiunta della Riforma ha avuto un significato importante sul piano umano e teologico-spirituale. Dopo cinquant’anni di dialogo ecumenico ufficiale tra cattolici e luterani, siamo riusciti a esporre chiaramente le prospettive sulle quali oggi possiamo dirci d’accordo. Di questo siamo riconoscenti. Nello stesso tempo teniamo vivo nel cuore il pentimento sincero per le nostre colpe. In questo spirito, a Lund è stato ricordato che l’intento di Martin Lutero, cinquecento anni fa, era quello di rinnovare la Chiesa, non di dividerla. Quell’incontro ci ha dato il coraggio e la forza di guardare avanti, nel nostro Signore Gesù Cristo, al cammino ecumenico che siamo chiamati a percorrere insieme».
Il 09 febbraio 2017 durante l’dienza generale, Papa Francesco ha affermato: «Nessuno impara a sperare da solo. Non è possibile. La speranza, per alimentarsi, ha bisogno necessariamente di un “corpo”, nel quale le varie membra si sostengono e si ravvivano a vicenda. Questo allora vuol dire che, se speriamo, è perché tanti nostri fratelli e sorelle ci hanno insegnato a sperare e hanno tenuto viva la nostra speranza. Nel caso della speranza cristiana questo corpo è la Chiesa, mentre il soffio vitale, l’anima di questa speranza è lo Spirito Santo. Senza lo Spirito Santo non si può avere speranza».
Il 16 febbraio 2017 sul nostro sito web abbiamo dimostrato che le parole utilizzate da Francesco nei confronti di Lutero e della Riforma protestante sono le stesse utilizzate dai suoi predecessori, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II.
Il 22 marzo 2017 padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, ha affermato: «Lutero non voleva fare la scissione. All’inizio lui vuole fare una riforma all’interno della Chiesa, cosa che è sempre avvenuta nei secoli. Lui compie un cammino spirituale; il punto di partenza è dunque buono. Poi, però, ci sono state pressioni da tutte le parti, elementi intervenuti dall’esterno – storici, politici ed economici – che hanno influito sulla “involuzione” della riforma stessa sfociando poi in una rottura […]. Lutero è stato percepito nei secoli del passato come l’incarnazione del diavolo, quello che ha rotto la comunione e via dicendo… Oggi non si tratta di dire che quello che ha fatto Lutero sia una cosa buona, però possiamo spiegare gli eventi che hanno portato alla riforma e agli sviluppi che sono seguiti».
Il 31 marzo 2017 Papa Francescoha spiegato la sua posizione su Lutero in occasione del convegno «Lutero 500 anni dopo», organizzato dal Pontificio comitato di Scienze storiche: «Approfondimenti seri sulla figura di Lutero e la sua critica contro la Chiesa del suo tempo ed il papato contribuiscono certamente a superare quel clima di mutua sfiducia e rivalità che per troppo tempo in passato ha caratterizzato i rapporti tra cattolici e protestanti. «lo studio attento e rigoroso, libero da pregiudizi e polemiche ideologiche, permette alle Chiese, oggi in dialogo, di discernere e assumere quanto di positivo e legittimo vi è stato nella Riforma, e di prendere le distanze da errori, esagerazioni e fallimenti, riconoscendo i peccati che avevano portato alla divisione. Siamo tutti ben consapevoli che il passato non può essere cambiato».
Il 02 aprile 2017 mons. Giafranco Ravasi ha scritto che Lutero non appese mai le 95 tesi sul portone della chiesa del castello di Wittenberg: «Lutero, in realtà, turbato dallo scandalo del mercimonio delle indulgenze ai fini dell’edificazione della nuova basilica di San Pietro, avrebbe solo scritto una missiva articolata in 95 commi al vescovo locale Hieronymus Schulze e all’arcivescovo Alberto di Brandeburgo, responsabile per la predicazione delle indulgenze in Germania […]. Più che contestare Chiesa e papato alla radice, le asserzioni di Lutero sono animate in filigrana da un sincero anelito alla purezza della fede e della vita ecclesiale. Le cose, come è noto, andarono diversamente e il confronto acquistò presto il profilo di uno scontro».
Il 25 gennaio 2018 Papa Francesco ha spiegato il motivo per cui ritiene l’ecumenismo così importante: «Il nostro servizio ecumenico consiste, precisamente in un’epoca in cui le società sono ampiamente secolarizzate, nel testimoniare la presenza del Dio vivente, perché la principale sfida comune nell’ecumenismo è ribadire la centralità della questione di Dio, non di un Dio qualsiasi, ma di quel Dio che ci ha rivelato il suo volto concreto nell’uomo Gesù di Nazareth. Poiché oggi luterani e cattolici sono in grado di confessare insieme la centralità della questione di Dio, è stato possibile realizzare una commemorazione ecumenica della Riforma, e questo non in senso meramente pragmatico, ma nel senso profondo della fede nel Cristo crocifisso e risorto, che possiamo adesso testimoniare insieme».
Il 22 febbraio 2018 il cardinale conservatore Timothy Dolan, arcivescovo di New York, ha detto questo alla morte del predicatore protestante Billy Graham: «Era fuori discussione che noi Dolan fossimo una famiglia cattolica, ferma nella nostra fede, ma in casa nostra c’è sempre stato rispetto e ammirazione per Billy Graham e per quanto faceva per portare la gente a Dio».
Il 04 giugno 2018 Luis Francisco Ladaria, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ha inviato ai vescovi tedeschi una lettera “con l’esplicito consenso del papa”, la quale blocca la pubblicazione del documento dei vescovi tedeschi a favore della comunione eucaristica anche al coniuge protestante, rinviando la questione a una riflessione più matura a livello di Chiesa “universale” e di rapporti ecumenici con altre Chiese anche diverse dalle protestanti.
Il 21 giugno 2018 durante una conferenza stampa, Papa Francesco ha risposto ad una domanda sulla inter-Comunione tra coniugi cattolici e protestanti: «Nel Codice di diritto canonico è previsto quello di cui i vescovi tedeschi parlavano: la Comunione in casi speciali. E loro guardavano al problema dei matrimoni misti: se è possibile o non è possibile. Però, il Codice dice che il vescovo della Chiesa particolare – questa parola è importante: particolare, se è di una diocesi – deve gestire questa cosa: è nelle sue mani. Questo c’è nel Codice. I vescovi tedeschi, poiché avevano visto che il caso non era chiaro, e anche che alcuni sacerdoti facevano cose non d’accordo con il vescovo, hanno voluto studiare questo tema e hanno fatto questo studio che – non voglio esagerare – è stato uno studio di più di un anno, non so bene ma più di un anno, ben fatto, ben fatto. E lo studio è restrittivo: quello che i vescovi volevano è dire chiaramente quello che c’è nel Codice. E anch’io, che l’ho letto, dico: questo è un documento restrittivo. Non era un “aprire a tutti”. No. Era una cosa ben pensata, con spirito ecclesiale. E hanno voluto farlo per la Chiesa locale: non quella particolare. Non hanno voluto. E’ scivolata la cosa fino a lì, cioè, dicendo che è per la Conferenza episcopale tedesca. E lì c’è un problema, perché il Codice non prevede questo. Prevede la competenza del vescovo diocesano, ma non della Conferenza episcopale. Perché? Perché una cosa approvata in una Conferenza episcopale, subito diventa universale. E questa è stata la difficoltà della discussione: non tanto il contenuto, ma questo. Hanno inviato il documento; poi ci sono stati due o tre incontri di dialogo e di chiarimento; e l’arcivescovo Ladaria ha inviato quella lettera, ma con il mio permesso, non l’ha fatto da solo. Gli ho detto: “Sì, è meglio fare un passo avanti e dire che il documento ancora non è maturo – questo diceva la lettera – e che si doveva studiare di più la cosa”. Poi c’è stata un’altra riunione, e alla fine studieranno la cosa. Credo che questo sarà un documento orientativo, perché ognuno dei vescovi diocesani possa gestire quello che già il Diritto canonico permette. Non c’è stata nessuna frenata, no. E’ stato un gestire la cosa perché andasse per la buona strada».
Il 23 giugno 2018 incontrando l’Associazione Emouna Fraternitè Alumni, Papa Francesco ha spiegato: «La vera fraternità non la si può vivere che in questo atteggiamento di apertura agli altri, che non cerca mai un sincretismo conciliante; al contrario, cerca sempre sinceramente di arricchirsi delle differenze, con la volontà di capirle per rispettarle meglio, perché il bene di ciascuno sta nel bene di tutti. Di qui la necessità di testimoniare che la religione non è un problema ma è parte della soluzione».
Il 09 febbraio 2019 sul nostro sito web abbiamo ricordato le parole su Lutero del card. Gherard Ludwig Müller, ex prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, e del card. Walter Brandmüller, entrambi ritenuti “tradizionalisti” e critici del pontificato bergogliano. Entrambi tuttavia condivido che le intenzioni di Lutero erano quelle di rinnovare non dividere, così come ricordato da Papa Francesco. «L’obiettivo di Lutero era la riforma e il rinnovamento della Chiesa, pulirla dagli errori dogmatici che avevano prodotto una pratica pericolosa, non voleva colpire l’unità della Chiesa», ha detto Muller. «Certamente Lutero non ha voluto lo scisma della Chiesa. Non è riuscito a spaccarla, o non l’ha nemmeno voluto», ha invece dichiarato Brandmuller, voleva «salvare la missione di Cristo» e «c’era bisogno di un ritorno liberatorio alla pura origine che era il Vangelo incontaminato» rispetto alla Chiesa diventata «meretrice babilonese».
Il 22 marzo 2019 Papa Francesco ricevendo in udienza una delegazione di parlamentari della Repubblica Ceca e della Repubblica Slovacca, ha invitato gli esponenti dei due governi a non guardare al Vangelo come amplificatore delle diversità culturale. Ha detto: «La vostra storia insegna che il Cristianesimo ha sempre rappresentato la fonte della speranza e la forza della ripresa, specialmente nei periodi più bui e difficili. Come rappresentanti del popolo nelle istituzioni, siete chiamati a riscoprire l’intrinseco legame esistente tra il Vangelo e la vostra identità culturale, rivalutando le vostre radici cristiane per costruire una società in cui possa attuarsi la mutua accoglienza e la solidarietà reciproca. San Cirillo ha saputo tessere rapporti di conoscenza e di cordialità tra i popoli, diventando anello di congiunzione tra diverse culture e tradizioni ecclesiali», auspicando -ha concluso il Papa- che «una così significativa eredità spirituale e culturale susciti in tutti i vostri concittadini il desiderio dell’incontro e dell’apertura all’altro».
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19. “LAUDATO SII”, ECOLOGIA ED AMBIENTALISMO NEW AGE
Il 24 maggio 2015 Papa Francesco ha pubblicato la sua Enciclica ”Laudato sii” sulla «cura della casa comune». Fin da prima della pubblicazione i suoi detrattori hanno iniziato a calunniarne le intenzioni sostenendo di perseguire politiche ambientaliste, ecologiste in puro stile new age, lo stesso è avvenuto in seguito alla pubblicazione. Per il giornalista sovranista Antonio Socci, ad esempio, si tratta di «una raccolta di luoghi comuni eco-catastrofisti più triti. Un vero Banal grande». Mentre il tradizionalista catto-conservatore Riccardo Cascioli sostiene che l’enciclica è «è una presa di distanza dalla tradizionale antropologia cattolica per includere categorie sociali e politiche che hanno la loro radice nel darwinismo sociale. Si tratta di una visione fondamentalmente panteistica».
Eppure fin dalle prime righe dell’enciclica, Francesco ha chiarito che la sua preoccupazione per la “casa comune” è una preoccupazione per l’uomo, per la povertà e la fame del mondo, per la “cultura dello scarto” dovuta all’ideologia dell’efficentismo (si scarta la vita umana): «La distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado». Infatti, «Benedetto XVI ha ricordato che il mondo non può essere analizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché “il libro della natura è uno e indivisibile” e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, “il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana”». Proprio al contrario del pensiero darwinistico, Francesco ha spiegato l’errore nell’equiparare l’uomo agli altri esseri, così come divinizzare la terra: «Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. Certamente ci deve preoccupare che gli altri esseri viventi non siano trattati in modo irresponsabile, ma ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi disuguaglianze che esistono tra di noi, perché continuiamo a tollerare che alcuni si considerino più degni di altri». Prima di lui, Giovanni Paolo II chiese una “conversione ecologica” dell’uomo.
Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice o altri esponenti di rilievo sono intervenuti su questa tematica, chiarendo il pensiero del Papa:
Il 29 maggio 2020, il prof. Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà ed ordinario di Statistica Metodologica presso l’Università Bicocca, ha scritto: «Sono trascorsi cinque anni dalla pubblicazione della Laudato si’ di papa Francesco. Eppure nemmeno la ricorrenza ha dato a questa enciclica il risalto che meritava, quando invece è un documento fondamentale del nostro tempo. Giusto per chi avesse ancora in mente che la Laudato si’ sia un manifesto ecologista, diversi passaggi», che cita, «mostrano che la vera cifra dell’enciclica è quella di una visione globale e unitaria, che guarda a tutti gli aspetti in gioco come a fenomeni connessi l’uno all’altro. I problemi sociali, economici, ambientali sono contemporaneamente causa ed effetto l’uno dell’altro». Inoltre, «la seconda ragione per cui la Laudato si’ può essere “scomoda” riguarda invece chi si rende benissimo conto che le cose come sono non vanno, ma ritiene che il problema siano gli esseri umani».
Il 26 marzo 2017, don Leonardo Salutati, docente di Teologia morale sociale alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale, ha osservato: «La Laudato si’ esprime la propria preoccupazione per il fatto “che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi principi alla vita umana” (n. 136), e prende le distanze da versioni puramente spiritualistiche dell’ecologia quando afferma: “Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Lui senza conoscere limite. Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi” (n. 75)».
Il 27 dicembre 2016 il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha dichiarato: «La Chiesa ha una missione integrale. La prima missione è quella del Vangelo, dei sacramenti, dell’incontro con Dio, del dialogo con Dio, della comunione con Dio. Ma questo non può non integrare anche l’impegno per la dignità umana. Punto di riferimento per noi è la dottrina sociale della Chiesa e ora anche l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Tutti parlano, con maggiore o minore consapevolezza, dell’ecologia, ma il Papa è stato il primo che ha dato un fondamento teologico alla nostra responsabilità per la casa comune che Dio ha dato a tutta l’umanità».
Il 29 febbraio 2016 il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha commentato la Laudato Sì, spiegando che grazie a questa Enciclica, «possiamo introdurre il tema della Creazione, per esempio», anche in ambienti lontani dal cattolicesimo, come quelli ecologisti e animalisti.
Il 27 gennaio 2016 il card. Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, ha avviato un dibattito pubblico sull’enciclica, ed è stato in prima linea sul tema della protezione dell’ambiente. Egli stesso ha preceduto l’edizione francese della Laudato Sii, prima di nominare nell’ottobre 2015 addirittura un delegato episcopale per l’ecologia. Il card. Barbarin è considerato molto vicino a Benedetto XVI, creato vescovo e poi cardinale da Giovanni Paolo II. Ha affermato di aver celebrato la Messa tridentina visitando la chiesa di Saint-Georges.
Il 17 dicembre 2015, durante il discorso di presentazione degli ambasciatori di Guinea, Lettonia, India e Bahrein, Francesco ha affermato: «Sono molteplici le forme in cui tale atteggiamento di indifferenza si manifesta, e diverse sono anche le cause che concorrono ad alimentarlo, ma essenzialmente esse si riconducono ad un umanesimo squilibrato, in cui l’uomo ha preso il posto di Dio e, quindi, è rimasto a sua volta vittima di varie forme di idolatria. Anche la gravissima crisi ecologica che stiamo attraversando si può ricondurre a tale squilibrio antropologico».
Il 10 settembre 2015 il filosofo laico Edgar Morin ha affermato a proposito della Laudato Sii: «Francesco definisce “l’ecologia integrale”, la quale non è affatto quell’ecologia “profonda” che pretende di convertirci al culto della Terra, subordinando tutto il resto. Egli mostra che l’ecologia riguarda le nostre vite in profondità, la nostra civiltà, i nostri modi d’agire, le nostre riflessioni. Più profondamente, critica un paradigma “tecno-economico”, questo modo di pensare che presiede tutti i nostri discorsi, rendendoli obbligatoriamente fedeli ai postulati tecnici ed economici per risolvere ogni cosa. Questo testo segna al contempo una presa di coscienza, un incitamento a ripensare la nostra società e ad agire. È dunque provvidenziale, nel senso che è un testo imprevisto che indica il cammino». Questa tesi è stata apprezzata dall’Osservatore Romano.
Il 18 giugno 2015 il filosofo Benedetto Ippolito, docente dell’Università di Roma Tre e membro della Società Italiana di Studio del Pensiero Medievale, ha analizzato il contenuto dell’enciclica, definendola “la considerazione complessiva più sostanziosa e profonda degli ultimi anni sul rapporto tra natura umana e sfida tecnica globale. Anche indipendentemente dal mondo cattolico cui il testo pontificio si rivolge e di cui è alta espressione intellettuale, è chiaro che lo scritto concede a tutti la possibilità finalmente di riflettere in modo studiato su alcuni dei temi tra i più scottanti e controversi del nostro presente. E’ scorretto definire l’Enciclica di papa Bergoglio ‘ambientalista’, se non altro perché l’interesse ultimo riguarda la rivendicazione razionale e cristiana di un’ecologia dell’umano, la cui tappa decisiva è il riconoscimento della responsabilità che la libertà razionale ha di alterare o tutelare, secondo i casi, il dato biologico di partenza indispensabile per la vita, calpestando o mantenendo il limite etico indispensabile per la conservazione o la distruzione del creato”. La preoccupazione del Papa, ha osservato ancora Ippolito è anche quello di evitare di “snaturare, prima ancora dell’ambiente, il dato antropologico di partenza che definisce oggettivamente la specificità trascendente della vita personale: anzitutto la dualità sessuale di maschile e femminile, nonché le modalità etiche che decifrano il meccanismo materiale e spirituale della riproduzione, vale a dire matrimonio e famiglia. Un documento che esprime la posizione che ha da sempre la Chiesa sul creato, e che punta l’indice di nuovo coraggiosamente, analogamente a quanto aveva fatto Benedetto XVI nella Spe salvi, sulle false utopie e i nefasti messianismi secolarizzati del dominio”.
Il 18 gennaio 2015, durante il suo viaggio nelle Filippine, Francesco ha affermato: «Siete chiamati a prendervi cura del creato non solo come cittadini responsabili, ma anche come seguaci di Cristo! Il rispetto dell’ambiente richiede di più che semplicemente usare prodotti puliti o riciclarli. Questi sono aspetti importanti ma non sufficienti. Abbiamo bisogno di vedere, con gli occhi della fede, la bellezza del piano di salvezza di Dio, il legame tra l’ambiente naturale e la dignità della persona umana. L’uomo e la donna sono creati ad immagine e somiglianza di Dio e a loro è stato dato il dominio sulla creazione (cfr Gen 1,26-28). Come amministratori della creazione, siamo chiamati a fare della Terra un bellissimo giardino per la famiglia umana. Quando distruggiamo le nostre foreste, devastiamo il suolo e inquiniamo i mari, noi tradiamo quella nobile chiamata».
Il 25 novembre 2014 nel discorso al Parlamento Europeo, Francesco ha ricordato la «responsabilità di custodire il Creato, prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che noi ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona, che ho inteso richiamare quest’oggi rivolgendomi a voi».
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20. IL CASO DELL’ORDINE DI MALTA
Tra il 2016 e il 2017, l’allora Gran Maestro dell’Ordine di Malta, Matthew Festing, ha tolto l’incarico al Gran Cancelliere Albrecht Freiherr von Boeselager, accusandolo della distribuzione di preservativi in Myanmar quando era responsabile delle attività caritatevoli. Boeselager ha respinto tali accuse dichiarandosi fedele ai principi morali cattolici («La mia coscienza è pulita: non ero a conoscenza di questa iniziativa e quando l’ho saputo ho preso le misure per fermarla»), rifiutandosi si dimettersi. Il card. Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, interpellò il Papa che rispose con una lettera nella quale si mostrò sfavorevole a risolvere il caso con una drastica epurazione.
Nonostante ciò, Festing e Burke hanno ugualmente deciso di allontanare il Gran Cancelliere il 15 dicembre 2016, obbligando così l’intervento del card. Pietro Parolin, segretario di Stato e di una commissione per raccogliere informazioni attendibili sullo stato della vicenda. Si scoprirono altre versioni rispetto a quelle contenute nei rapporti di Festing e Burke, verso i quali crollò inevitabilmente la fiducia. Dopo l’ottenimento delle dimissioni di Fra Matthew Festing (24 gennaio 2017) e un periodo di transizione, nel maggio 2018 l’Ordine ha eletto un nuovo Gran Maestro, con il compito di purificare le numerose deviazioni spirituali venute a galla.
Il caso è stato usato dai nemici di Papa Francesco come volontà di erigere un sistema dittatoriale nella Chiesa e cercare di colpire uno dei suoi critici in ambito ecclesiastico, il card. Burke. Ma diversi fatti smentiscono questa tesi:
Il 10 novembre 2016 il cardinale patrono dell’Ordine di Malta, Raymond Leo Burke, viene ricevuto in udienza dal Pontefice. Il vaticanista del National Catholic Register, Edward Pentin, ha spiegato che il Papa ha chiesto al cardinale Burke, in qualità di patrono dell’ordine di Malta, di vigilare e di riferirgli in merito ad eventuali membri affiliati alla Massoneria. Il compito del Cardinale Burke è quello di promuovere le relazioni tra la Santa Sede e i Cavalieri e di mantenere il Santo Padre informato circa gli aspetti spirituali e religiosi dell’ordine.
Il 01 dicembre 2016 Francesco indirizza una lettera al card. Burke destinata ai vertici dei Cavalieri di Malta, nella quale si invita a risolvere una controversia emersa con il dialogo, oltre che a vigilare sul rispetto della morale cattolica e di vigilare anche sulle possibili infiltrazioni nell’Ordine di associazioni contrarie alla Chiesa. Secondo Andrea Tornielli, il cardinale aveva chiesto al Papa l’avallo per procedere con la cacciata di diversi membri dell’Ordine, a partire dal Gran Cancelliere. Francesco era dunque intervenuto richiamando alcuni princìpi ma chiedendo anche che la vicenda venisse discussa internamente senza epurazioni.
Il 06 dicembre 2016, come si legge in una nota dell’Ordine di Malta del 13/12/16, il Gran Maestro Fra’ Matthew Festing, in presenza del Gran Commendatore, Fra’ Ludwig Hoffmann von Rumerstein e del Cardinale Raymond Leo Burke, rappresentante del Santo Padre presso l’Ordine di Malta, ha chiesto le dimissioni di Albrecht von Boeselager quale Gran Cancelliere. Dopo il rifiuto di Boeselager, il Gran Maestro non ha avuto altra scelta che ordinargli, in base alla promessa di obbedienza, di dimettersi. Boeselager ha rifiutato nuovamente. A quel punto, il Gran Commendatore, con l’appoggio del Gran Maestro, del Sovrano Consiglio e della maggior parte dei membri dell’Ordine in tutto il mondo, ha avviato un procedimento disciplinare attraverso il quale un membro viene sospeso dall’appartenenza all’Ordine, e quindi da tutte le cariche all’interno dell’Ordine stesso. La ragione della sospensione da Gran Cancelliere è dovuta a gravi problemi accaduti durante il mandato di Boeselager come Grande Ospedaliere dell’Ordine di Malta, in particolare ad una vicenda di distribuzione dei preservativi in Africa, e il successivo occultamento di questi problemi al Gran Magistero.
Il 21 dicembre 2016, secondo una rivelazione de Il Tablet apparsa il 5/01/17, il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin ha scritto a Fra Matthew Festing facendo presente che il Papa desidera che la rimozione di Boeselager non avesse luogo. «Come avevo già espresso nella mia precedente lettera del 12 dicembre 2016: sull’uso e sulla diffusione di metodi e mezzi contrari alla legge morale, Sua Santità ha chiesto un dialogo sul modo in cui possano essere affrontati e risolti eventuali problemi. Ma non ha mai detto di cacciare qualcuno!». Esistono dunque due lettere di Parolin al Gran Maestro e già nella prima di queste – datata 12 dicembre – si faceva riferimento a ciò che il Papa aveva «chiesto».
Il 22 dicembre 2016 Papa Francesco ha creato una commissione di indagine per fare chiarezza sulla vicenda, nominando un gruppo di cinque autorevoli membri con l’incarico di raccogliere elementi atti ad informare compiutamente e in tempi brevi la Santa Sede in merito alla vicenda che ha recentemente interessato il Gran Cancelliere dell’Ordine, Sig. Albrecht Freiherr von Boeselager. Membri della commissione sono mons. Silvano M. Tomasi, nunzio apostolico e delegato del nascituro dicastero vaticano per la promozione umane integrale, il canonista gesuita Gianfranco Ghirlanda, l’avvocato Jacques de Liedekerke, e infine Marc Odendall e Marwan Sehnaoui.
Il 23 dicembre 2016 il settimanale britannico The Tablet ha formulato dei Dubia al card. Burke, chiedendogli di rispondere: su quali basi ha fatto rivendicare l’autorità della Santa Sede, respingendo Boeselager? Perché non ha consultato Papa Francesco o il cardinale Parolin, come era suo dovere fare?
Il 10 gennaio 2017 in un comunicato il Gran Maestro Fra Matthew Festing ha pubblicamente dichiarato che l’Ordine non intende collaborare in alcun modo con la commissione istituita dalla Santa Sede per far luce sulla cacciata del Gran Cancelliere Albrecht Freiherr von Boeselager.
Il 11 gennaio 2017 la commissione istituita dal Papa ha replicato alla dichiarazione del Gran Maestro ricordando che la scelta di istituire il gruppo non è della Segreteria di Stato, ma dello stesso Pontefice. Si ricorda inoltre che l’Ordine di Malta, in quanto «ordine religioso laicale» e «persona giuridica riconosciuta dalla Santa Sede», è chiamata all’«obbedienza» al Papa. La nota legale ricorda anche che la «Commissione chiamata e formata dal Santo Padre è del tutto legittima e autorizzata dal Supremo Pastore a rendergli conto circa la procedura, e la sola procedura che ha portato alla sospensione del Gran Cancelliere dal suo incarico. Non si tratta di intromissione negli affari interni dell’Ordine, perché lo scopo della commissione, così come appare evidente, è quello di rendere conto al Santo Padre sulla procedura e non altro».
Il 17 gennaio 2017 in una nota diramata dalla Sala stampa vaticana, la Santa Sede rifiuta «ogni tentativo di screditare» le figure e l’opera della commissione di indagine incaricata a fine dicembre dal Papa di fare chiarezza sulla «crisi dell’attuale Direzione centrale» dell’Ordine di Malta.
Il 25 gennaio 2017 il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta Matthew Festing ha rassegnato le dimissioni su richiesta di Francesco. Il governo dell’Ordine «sarà assunto ad interim dal Gran Commendatore finché verrà nominato il Delegato Pontificio», ha poi annunciato la Santa Sede. In pratica, si tratta di una sorta di commissariamento da parte di Francesco.
Il 26 gennaio 2017 su Vatican Insider si apprende che gli investigatori vaticani, grazie a molte testimonianze e documenti, scoprono che a Francesco non è stata raccontata la verità e che il rapporto sul caso dei condom non sarebbe stato riportato correttamente e integralmente. Boeselager, conlcude la commissione, non ha responsabilità: appena venuto a sapere della distribuzione aveva interrotto la collaborazione con l’ONG.
Il 28 gennaio 2017 il Sovrano Consiglio ha accolto le dimissioni presentate su richiesta del Papa dal Gran Maestro Matthew Festing e ha cancellato i decreti disciplinari con i quali lo scorso dicembre era stato defenestrato Albrecht Boeselager, che torna dunque a essere numero tre dei Cavalieri come Gran Cancelliere. Ne dà notizia un comunicato dell’Ordine. Il Sovrano Ordine di Malta, afferma ancora il comunicato «assicura la propria collaborazione al Delegato Speciale che verrà nominato dal Papa. Il Sovrano Ordine di Malta è estremamente grato a Papa Francesco e al cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin per la sollecitudine e il sostegno dato all’Ordine. L’Ordine di Malta esprime il suo ringraziamento al Santo Padre perché le sue decisioni sono state tutte prese nel pieno rispetto dell’Ordine con l’obiettivo di rafforzare la sua sovranità».
Il 02 febbraio 2017 Albrecht Boeselager, Gran Cancelliere tedesco dell’Ordine di Malta, ha espresso gratitudine a Festing per aver rassegnato le dimissioni, sottolineando l’impegno per «riportare la normalità e rassicurare i nostri membri». Ha ribadito la «lealtà» al Papa e la disponibilità a collaborare pienamente con il Delegato pontificio che verrà prossimamente nominato dalla Santa Sede e ha respinto l’accusa che il Papa abbia violato la «sovranità» dell’Ordine di Malta, affermando che egli è intervenuto sulla dimensione religiosa, e non statuale, dell’ordine, interconnesse ma distinte, e che l’intenzione di Francesco è stata per permettere all’ordine «il rafforzamento nel portare avanti la nostra missione, non l’indebolimento». Quanto al pomo della discordia ricostruito dalla stampa, ossia il fatto che Boeselager non avrebbe vigilato sulla distribuzione di condom in un progetto in Myanmar finanziato dall’Ordine, il Gran Cancelliere ha sottolineato il carattere decentrato di molte iniziative dei Cavalieri di Malta ed ha ribadito: «La mia coscienza è pulita: non ero a conoscenza di questa iniziativa e quando l’ho saputo ho preso le misure per fermarla». «Sono fedele all’insegnamento della Chiesa, i miei amici mi descriverebbero piuttosto conservatore», ha aggiunto.
Il 04 febbraio 2017 monsignor Giovani Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato, è stato scelto da papa Francesco come delegato pontificio presso i Cavalieri di Malta.
Il 04 febbraio 2017 in alcune zone di Roma sono apparsi dei manifesti anonimi con un grande volto imbronciato di Papa Bergoglio, accompagnato da queste parole: «A France’, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e i Francescani dell’Immacolata, ignorato Cardinali… ma n’do sta la tua misericordia?».
Il 07 febbraio 2017 Austen Ivereigh su Cruxnow ha fatto notare che il diritto canonico legittima l’intervento del Papa nelle questioni dell’Ordine di Malta in quanto il Catechismo definisce al Papa “potestà piena, suprema e universale su tutta la Chiesa, un potere che può sempre esercitare liberamente”. «La legge al di sopra di tutte le leggi – la suprema lex – è la salute spirituale delle anime, la salus animarum, e i papi che esercitano questo potere non sono dittatori, ma adempiono il loro ruolo di vicario di Cristo».
Il 14 febbraio 2017 il Gran commendatore dei Cavalieri di Malta, Ludwig Hoffmann-Rumerstein, ha risposto così alle accuse al Papa di aver violato la sovranità dell’Ordine: «l’accusa è senza senso. L’Ordine di Malta ha una duplice funzione. Siamo un ordine religioso laicale. Attraverso i cavalieri professi, siamo riconosciuti come un ordine legittimo, poiché ci sono molti altri ordini nella Chiesa. E, naturalmente, siamo pienamente soggetti al Vaticano per quanto riguarda le questioni morali e le questioni religiose. Non possiamo andare e venire con la nostra moralità. Né possiamo indurre le donne a essere sacerdoti ordinati. Nella direzione siamo subordinati alla Chiesa cattolica».
Il 15 febbraio 2017 il cardinale Raymond Leo Burke, patrono dell’Ordine di Malta, è stato inviato nell’isola di Guam, nell’arcipelago delle Marianne, per indagare su un complesso caso di abusi di cui è accusato l’arcivescovo Anthony Apuron.
Il 15 febbraio 2017 in un’intervista a un quotidiano austriaco, il capo ad interim dell’Ordine di Malta, Ludwig Hoffman Rumerstein, ha dichiarato di essere stato presente alla riunione in cui al Gran Cancelliere Boeselager è stato chiesto di dimettersi, rivelando che la richiesta è giunta dal cardinale Raymond Burke, non dal Gran Maestro Festing. Ha detto: «i membri del Sovrano Consiglio sono stati eletti dal Capitolo Generale, e non puoi andare lì e dire “Devi dimetterti”, perché forse tre o quattro anni fa hai fatto qualcosa di sbagliato. In un momento in cui non era nemmeno cancelliere. Siamo stati eletti e ci siamo assunti la responsabilità del Capitolo Generale. I membri del Capitolo Generale ci hanno eletti. Ci sono dubbi sul fatto che il santo cardinale [Burke, NDA] possa persino dire “Devi dimetterti”. Bisognerebbe tornare al Capitolo Generale».
Il 22 febbraio 2017 il Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta, Albrecht von Boeselager, ha detto che il cardinale Burke «è di fatto sospeso dall’incarico di patrono dell’Ordine di Malta». E ha puntato il dito sulla gestione del Gran Maestro Matthew Festing, costretto a dimettersi dopo un’udienza con il Papa: «Negli ultimi tre o quattro anni, il Gran Maestro era stato alienato dal governo dell’Ordine, con il risultato che i suoi candidati preferiti non sono mai stati eletti. Quando altre persone sono state collocate in posizioni di rilievo, il Gran Maestro ha tentato di interferire e nel mio caso forzandomi ad andarmene». Rispetto all’accusa alla Santa Sede di intromissione, ha risposto: «E’ un’accusa del tutto infondata. Il motivo addotto per farmi dimettere era che si trattava di una richiesta del Santo Padre. Il che non era vero. Si è trattato di un’accusa falsa. In secondo luogo, molti membri dell’Ordine si sono appellati proprio al Papa chiedendogli di agire e di mettere le cose a posto. E così il pontefice ha agito».
Il 25 febbraio 2017 Albrecht von Boeselager, durante un’intervista, ha chiarito la sua posizione sulle accuse di aver distribuito preservativi in Africa: «Nel 2013 il Malteser international a Colonia è stato messo in allerta dal Malteser negli Stati Uniti: avevano visto nel sito di una ONG in Kenya che Malteser international era partner di un progetto nel quale era prevista la distribuzione di condom. Malteser international ha subito indagato ed è risultato falso: la ONG aveva sì dei progetti con la distribuzione di condom, ma questa non era prevista nel progetto che aveva in comune con Malteser international. È stato comunque deciso che tutti i progetti dovessero essere essere esaminati attraverso un audit interno. E si è così scoperto che c’erano problemi per tre progetti in Myanmar, organizzati dal coordinatore locale del Malteser. Questi erano stati portati avanti dal coordinatore locale contro le regole stabilite dal Malteser international, che fin dal 2004 aveva deciso di non partecipare a progetti che prevedessero la distribuzione di preservativi. Due di questi progetti si sono potuti fermare immediatamente. Il terzo progetto riguardava il nord del Myanmar ed era finalizzato ad aiutare persone povere senza servizi sanitari, con due milioni di euro all’anno per introdurre servizi di base. L’un per cento di questa somma, 20 mila euro, era finalizzata a prevenire malattie per le prostitute ridotte in schiavitù in un’area vicina al confine con la Cina e considerata come una Las Vegas. La persona che aveva donato il denaro aveva insistito perché questa parte rimanesse nel progetto. Se avessimo chiuso immediatamente, avremmo lasciato l’intera regione senza servizi sanitari. Il board del Malteser international ha stabilito di predisporre un comitato etico, guidato dal vescovo Marc Stenger, di Troyes per decidere il da farsi. E questa era la situazione quando io sono stato eletto Gran Cancelliere. La prima notizia l’ho ricevuta nel novembre 2013. Non ho agito io, perché l’intervento in questo caso compete al board del Malteser international. Ma ho visto ciò che hanno fatto. Il Malteser è una fondazione nata in accordo con la legge tedesca, c’è un direttore, un vice e il board. E ci sono le diverse associazioni dei vari paesi. Il Grande Ospedaliere, incarico che io all’epoca ricoprivo, non è direttamente coinvolto nelle operazioni. Ha il compito di supervisore, ma non è nella linea di comando». All’interno dell’Ordine di Malta Boeselager è stato accusato la prima volta nel 2015: «Il coinvolgimento è avvenuto a due livelli. In primo luogo il Gran Maestro mi ha chiesto le dimissioni comunicandomi che la Santa Sede insisteva in questo senso. E questo non era vero. Le autorità vaticane hanno avvertito la necessità di chiarire la situazione. Sono state coinvolte e quando hanno saputo che la richiesta di dimettermi era stata avanzata in nome della Santa Sede, ovviamente hanno dovuto smentire. In secondo luogo, dopo l’azione del Gran Maestro, alcune associazioni e priorati dell’Ordine di Malta hanno scritto in Vaticano per chiedere aiuto, per chiedere un intervento». Per quanto riguarda il card. Burke, «in quel momento era il rappresentate della Santa Sede presso l’Ordine. So che lui ha insistito per queste mie dimissioni ed è stato considerato benvenuto. Il cardinale ha consegnato la lettera del Papa al Gran Maestro, e lui l’ha fatta leggere ai membri del Consiglio Sovrano. Nella lettera si chiedeva di agire con una consultazione interna, e risolvere il problema con il dialogo dentro l’Ordine. Ma la lettera presupponeva che il progetto fosse andato avanti, perché diceva tra l’altro: se ci sono ancora problemi, il cardinale Burke si consulterà con le persone per risolverli. Quando la lettera è arrivata in realtà il progetto era finito, non c’erano più problemi. Per questo riguarda il cardinale, lui ha sempre pensato che io fossi responsabile per la distribuzione dei preservativi. Ma non mi ha mai chiamato, non voleva ascoltare ciò che io avevo da dire in proposito. Non mi ha mai chiesto chiarimenti. Sono stato io a chiedere un incontro con lui, a chiedere di essere ascoltato da lui per spiegargli come i fatti si erano svolti. Ma penso che non mi abbia creduto. Il cardinale non ha mai incontrato nessuno del Malteser international per capire come fossero andate le cose, mai. Non so perché, forse aveva già preso la sua decisione. Per il Gran Maestro c’erano invece ragioni diverse. E cioè una crescente distanza, un crescente divario tra lui e la maggioranza del Sovrano Consiglio. C’erano problemi tra lui e il governo dell’Ordine. Questo gap è diventato sempre più grande. La questione dei preservativi è stata soltanto un pretesto. Io ero considerato il responsabile di questa distanza esistente tra lui e il governo dell’Ordine».
Il 26 febbraio 2017 il vicepresidente della sezione francese dell’Ordine di Malta, Alain de Tonquedec, ha dichiarato: «Siamo stati una vittima collaterale in un conflitto che non è nostro. Manteniamo la nostra fedeltà al Vaticano», lamentandosi di essere «presi in ostaggio dagli oppositori del Papa».
Il 31 gennaio 2019 è emersa una lettera privata di Papa Francesco indirizzata al card. Raymond Leo Burke, nella quale il pontefice si dimostra preoccupato per le infiltrazioni massoniche e dispiaciuto «se alcuni alti ufficiali pur sapendo di queste prassi, concernenti soprattutto la distribuzione di contraccettivi di qualsiasi tipo, non siano finora intervenuti per porvi fine. Non dubito però che, seguendo il principio paolino di “operare la verità nella carità”, si riuscirà a entrare in dialogo con loro ed ottenere le necessarie rettifiche». Il Papa chiese al card. Burke di operare con dialogo e fraternità, non con epurazioni ma i fatti si svolsero in modo opposto e, addirittura, il prelato americano si schierò nella fazione inglese a fianco del Gran Maestro Festing. Viene dunque giustificato il commissariamento dell’Ordine di Malta per cercare di risolvere le lotte intestine e le deviazioni spirituali. Si è dimostrata falsa e calunniosa la ricostruzione dei blogger antipapisti che dipinsero Francesco come un “oscuro devastatore” (Antonio Socci) e un “dittatore sudamericano” (Maurizio Blondet).
Il 31 maggio 2020 uno dei portali capofila nell’ostilità verso Papa Francesco, La Nuova Bussola Quotidiana, ha cambiato linea editoriale rispetto al caso dell’Ordine di Malta. Nel giugno 2019 dava spazio ai racconti catastrofisti e complottisti di Marco Tosatti sulla volontà di «distruzione» da parte del Papa, definendolo uno «stalinismo» in azione». Allora Tosatti profetizzava che «entro pochi mesi l’Ordine di Malta vecchio di novecento anni si unirà alla lista degli ordini religiosi che Papa Francesco è riuscito a distruggere nei suoi brevi sei anni di potere. Possiamo essere sicuri che il lavoro verrà eseguito con la stessa ipocrisia e i falsi pretesti degli altri casi. Resta da vedere se i Cavalieri di Malta si lasceranno condurre al massacro». Nel 2020, invece, la NBQ cambia idea e sostiene che «l’incarico di Delegato Speciale assegnato al Cardinale Becciu fino al compimento dell’agognata riforma è indice dell’interessamento vaticano a non recidere quel “particolare legame con il Successore di Pietro tra i fini dell’Ordine melitense” rimarcato dal papa nella lettera al Consiglio Compito di Stato del 28 aprile 2017». L’intervento di Francesco non viene più definito da La Nuova Bussola Quotidiana come “dittatoriale” o “stalinista” ma come un aiuto per «un cammino di rinnovamento attento ai segni dei tempi e ai bisogni del mondo, ma pur sempre in spirito di fedeltà alla tradizione». E ancora: se nel 2019 Tosatti e La Bussola sostenevano che il Luogotenente designiato, Fra Giacomo dalla Torre, altro non era che un «Gran Maestro di una nullità, la facciata per il regime di Boeselager», nel 2020 il luogotenente diventa un «cavaliere professo apprezzato unanimemente per la sua rettitudine e per la sua intensa religiosità, e la cui elezione nel 2018 era riuscita a calmare le acque agitate degli anni precedenti». Ed infine, se nel 2019 la vicenda rappresentava «la vittoria totale del partito tedesco», nel 2020 sempre sul La Nuova Bussola Quotidiana si legge che «le dimissioni di Festing su richiesta del Santo Padre, non hanno significato – come vuole un’interpretazione semplicistica della vicenda – la vittoria dell’asse franco-tedesco su quello anglo-mediterraneo».
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21. PROSELITISMO ED EVANGELIZZAZIONE
Alcuni hanno criticato Papa Francesco per aver affermato che il proselitismo è una “solenne sciocchezza”, inducendo subdolamente l’idea che proselitismo equivalga ad “evangelizzazione”.
Il giornalista Antonio Socci, ad esempio, ha scritto ad esempio: la chiesa di Bergoglio «definisce “una solenne sciocchezza” l’annuncio cristiano e il proselitismo». E’ una manipolazione del pensiero del Papa, Francesco non ha mai equiparato l’annuncio cristiano (l’evangelizzazione) al proselitismo. In tantissimi suoi discorsi ha infatti parlato dell’urgenza di evangelizzare i popoli, della “Chiesa in uscita”, ha invitato a non cadere nel tranello di chi dice che «portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà». Ma non una testimonianza cristiana isolata perché «non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale». Egli ha criticato soltanto il proselitismo, che è un’altra cosa: l’ideologia dell’ingrossare le file a tutti i costi perdendo la freschezza dell’annuncio cristiano. La differenza tra proselitismo e evangelizzazione l’ha spiegata molto bene durante l’omelia del 1 ottobre 2013. Il 13 aprile 2015 ha chiaramente detto: «il coraggio dell’annuncio è quello che ci distingue dal semplice proselitismo. Noi non facciamo pubblicità, dice Gesù Cristo, per avere più ‘soci’ nella nostra ‘società spirituale’, no? Questo non serve. Non serve, non è cristiano. Quello che il cristiano fa è annunziare con coraggio e l’annuncio di Gesù Cristo provoca, mediante lo Spirito Santo, quello stupore che ci fa andare avanti».
Oltretutto, è stato Benedetto XVI il primo ad affermare: «La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per “attrazione”». Il blog tradizionalista “Messainlatino” si è infatti scandalizzato per le parole di Francesco sul proselitismo come “solenne sciocchezza”, scrivendo che avrebbe riconfermato «le sconcertanti linee guida che aveva dato alla C.E. Brasiliana nel luglio scorso: “La Chiesa non faccia proselitismo”» (con tanto di link a quel discorso). Non si sono accorti che quelle parole sono di Benedetto XVI e risalgono al 2007, come infatti il loro stesso collegamento ipertestuale dimostra. Infatti, Papa Francesco si è sempre riferito a Benedetto XVI quando ha criticato il proselitismo, come ad esempio durante l’omelia a Santa Marta del maggio 2013, quando ha ricordato che San Paolo è «consapevole che deve evangelizzare, non fare proseliti». La Chiesa «non cresce nel proselitismo; Benedetto XVI ce lo ha detto; ma cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione. Quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico, diventa una Chiesa ferma. Ordinata, bella; tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove ci sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole».
Il teologo Gianni Gennari ha risposto alle critiche a Francesco per la frase “il proselitismo è una solenne sciocchezza”: «Qualche commentatore, abituato a vagliare il pensiero dei Papi con le proprie idee come metro di misura, ha espresso dubbi sul significato di quelle parole, e su siti che da tempo non fanno altro che brontolare, e spesso distorcere apposta le parole e i gesti di Francesco, le sottolineature e le proteste sono state e sono ancora tante. E allora vale la pena di ricordare che la differenza tra missione e proselitismo è grande, e decisiva. La “missione” in senso cristiano è l’annuncio di salvezza, l’Evangelo, la buona notizia dell’Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, Figlio di Dio e Dio Egli stesso, e questo annuncio è fatto con i mezzi indicati da Lui stesso: come agnelli in mezzo ai lupi, nella mitezza e nella misericordia, senza la pretesa di usare mezzi di forza e di potere… Nessuna forzatura quindi della libera volontà degli “evangelizzati”, nessuna pretesa di convincere per forza, nessuna fretta di annettersi con altri mezzi persone di altre religioni, o di nessuna religione. La fede è dono che va annunciato e presentato alla libertà dell’uomo, di ogni uomo, di qualsiasi condizione. La novità del linguaggio di Francesco, e la sua perentorietà che può sorprendere, con quell’epiteto, “una solenne sciocchezza”, non è altro che traduzione odierna di una condotta che risale alla mitezza ed all’esempio di Gesù e di coloro che, tra i suoi discepoli davvero fedeli, hanno conservato nei secoli, lo “stile” autentico della missione cristiana, per la quale non c’è stato mai bisogno, come per altri “stili”, di chiedere perdono a Dio e agli uomini nel corso dei secoli».
Anche il vaticanista de ”L’Espresso”, Sandro Magister, molte volte critico con Papa Francesco ha riconosciuto: «Già numerose volte papa Jorge Mario Bergoglio ha insistito sul fatto che la Chiesa “non è una ONG assistenziale”. Né che fa “proselitismo”: pratica da lui bollata nel celebre colloquio con Eugenio Scalfari come “una solenne sciocchezza”, che “non ha senso”. Ma ciò non significa per Francesco che la Chiesa debba chiudersi in se stessa e rinunciare a convertire. Tutt’altro. Fin da quando è stato eletto alla sede di Pietro, papa Bergoglio non ha fatto che incitare la Chiesa ad “aprirsi”, a raggiungere gli uomini fin nelle loro più remote “periferie esistenziali”. In effetti, l’inaridimento della spinta missionaria è uno dei punti di maggior criticità della Chiesa cattolica degli ultimi decenni. È una crisi iniziata negli anni del Concilio Vaticano II e aggravatasi negli anni successivi, contro la quale Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI hanno cercato di invertire la rotta. Con scarsi risultati. Ora ci prova Francesco».
Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice è intervenuto su questa tematica:
Il 19 maggio 2013 nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale, Francesco ha scritto: «Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare i confini della fede, sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane. Ciascuna comunità è quindi interpellata e invitata a fare proprio il mandato affidato da Gesù agli Apostoli di essere suoi “testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8), non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale: tutti siamo inviati sulle strade del mondo per camminare con i fratelli, professando e testimoniando la nostra fede in Cristo e facendoci annunciatori del suo Vangelo. Invito i Vescovi, i Presbiteri, i Consigli presbiterali e pastorali, ogni persona e gruppo responsabile nella Chiesa a dare rilievo alla dimensione missionaria nei programmi pastorali e formativi, sentendo che il proprio impegno apostolico non è completo se non contiene il proposito di “rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni”, di fronte a tutti i popoli. Spesso l’opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all’esterno, ma all’interno della stessa comunità ecclesiale. A volte sono deboli il fervore, la gioia, il coraggio, la speranza nell’annunciare a tutti il Messaggio di Cristo e nell’aiutare gli uomini del nostro tempo ad incontrarlo. A volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: “Sarebbe … un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà … è un omaggio a questa libertà”. Dobbiamo avere sempre il coraggio e la gioia di proporre, con rispetto, l’incontro con Cristo, di farci portatori del suo Vangelo. Gesù è venuto in mezzo a noi per indicare la via della salvezza, ed ha affidato anche a noi la missione di farla conoscere a tutti, fino ai confini della terra. E’ urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo dall’interno stesso della Chiesa. Perché, in questa prospettiva, è importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. Paolo VI scriveva che “quando il più sconosciuto predicatore, missionario, catechista o Pastore, annuncia il Vangelo, raduna la comunità, trasmette la fede, amministra un Sacramento, anche se è solo, compie un atto di Chiesa”. Egli non agisce “per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa”. E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo. […] La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore. La Chiesa – lo ripeto ancora una volta – non è un’organizzazione assistenziale, un’impresa, una ONG, ma è una comunità di persone, animate dall’azione dello Spirito Santo, che hanno vissuto e vivono lo stupore dell’incontro con Gesù Cristo e desiderano condividere questa esperienza di profonda gioia, condividere il Messaggio di salvezza che il Signore ci ha portato. E’ proprio lo Spirito Santo che guida la Chiesa in questo cammino».
Il 1 ottobre 2013 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha affermato: «“La Chiesa – ci diceva Benedetto XVI – non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, per testimonianza. E quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno che dice il profeta Zaccaria: ‘Vogliamo venire con voi!’. La gente sente quel bisogno davanti alla testimonianza della carità, di questa carità umile, senza prepotenza, non sufficiente, umile, che adora e serve”. “E’ semplice la carità: adorare Dio e servire gli altri! E questa testimonianza che fa crescere la Chiesa. Ecco perché una suora tanto umile, ma tanto fiduciosa in Dio, come Santa Teresa di Gesù Bambino, è stata nominata Patrona delle Missioni, perché il suo esempio fa sì che la gente dica ‘Vogliamo venire con voi!’».
Il 1 ottobre 2013 il quotidiano “Repubblica” ha pubblicato un’intervista di Eugenio Scalfari a Francesco, in essa Francesco ha (avrebbe) affermato: «Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogno». La Santa Sede ha comunque definito questa intervista “attendibile in senso generale ma non nelle singole formulazioni”. Molte critiche sono arrivate per questa frase, peccato che -come ha già esplicitato nell’introduzione e lo farà anche in seguito- Francesco stia citando Benedetto XVI nella sua omelia del 13 maggio 2007.
Il 16 ottobre 2013 durante l’Udienza generale, Francesco ha affermato: «la Chiesa è apostolica perché è inviata a portare il Vangelo a tutto il mondo. Continua nel cammino della storia la missione stessa che Gesù ha affidato agli Apostoli: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20). Questo è ciò che Gesù ci ha detto di fare! Insisto su questo aspetto della missionarietà, perché Cristo invita tutti ad “andare” incontro agli altri, ci invia, ci chiede di muoverci per portare la gioia del Vangelo! Ancora una volta chiediamoci: siamo missionari con la nostra parola, ma soprattutto con la nostra vita cristiana, con la nostra testimonianza? O siamo cristiani chiusi nel nostro cuore e nelle nostre chiese, cristiani di sacrestia? Cristiani solo a parole, ma che vivono come pagani? Dobbiamo farci queste domande, che non sono un rimprovero. Anch’io lo dico a me stesso: come sono cristiano, con la testimonianza davvero? La Chiesa ha le sue radici nell’insegnamento degli Apostoli, testimoni autentici di Cristo, ma guarda al futuro, ha la ferma coscienza di essere inviata – inviata da Gesù – , di essere missionaria, portando il nome di Gesù con la preghiera, l’annuncio e la testimonianza. Una Chiesa che si chiude in se stessa e nel passato, una Chiesa che guarda soltanto le piccole regole di abitudini, di atteggiamenti, è una Chiesa che tradisce la propria identità; una Chiesa chiusa tradisce la propria identità! Allora, riscopriamo oggi tutta la bellezza e la responsabilità di essere Chiesa apostolica! E ricordatevi: Chiesa apostolica perché preghiamo – primo compito – e perché annunciamo il Vangelo con la nostra vita e con le nostre parole».
Il 20 ottobre 2013 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: «Oggi ricorre la Giornata Mondiale Missionaria. Qual è la missione della Chiesa? Diffondere nel mondo la fiamma della fede, che Gesù ha acceso nel mondo: la fede in Dio che è Padre, Amore, Misericordia. Il metodo della missione cristiana non è il proselitismo, ma quello della fiamma condivisa che riscalda l’anima. Ringrazio tutti coloro che con la preghiera e l’aiuto concreto sostengono l’opera missionaria, in particolare la sollecitudine del Vescovo di Roma per la diffusione del Vangelo».
Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui che nei fatti è un inno alla necessità di evangelizzare e alla «gioia dell’evangelizzazione».: «quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale […]. Rimarchiamo che l’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione” […]. L’attività missionaria rappresenta, ancor oggi, la massima sfida per la Chiesa […]. è il paradigma di ogni opera della Chiesa […]. “Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7) […]. Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte è come il padre del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando ritornerà possa entrare senza difficoltà […]. Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. […]. È imperioso il bisogno di evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo. Nei Paesi di tradizione cattolica si tratterà di accompagnare, curare e rafforzare la ricchezza che già esiste, e nei Paesi di altre tradizioni religiose o profondamente secolarizzati si tratterà di favorire nuovi processi di evangelizzazione della cultura, benché presuppongano progetti a lunghissimo termine […] Il ritorno al sacro e la ricerca spirituale che caratterizzano la nostra epoca sono fenomeni ambigui. Ma più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro. Se non trovano nella Chiesa una spiritualità che li sani, li liberi, li ricolmi di vita e di pace e che nel medesimo tempo li chiami alla comunione solidale e alla fecondità missionaria, finiranno ingannati da proposte che non umanizzano né danno gloria a Dio».
Il 29 novembre 2013 nel colloquio con i Superiori Generali dei Gesuiti, Francesco ha ricordato: «Benedetto XVI ha detto che la Chiesa cresce per testimonianza, non per proselitismo. La testimonianza che può attirare veramente è quella legata ad atteggiamenti che non sono gli abituali: la generosità, il distacco, il sacrificio, il dimenticarsi di sé per occuparsi degli altri. E quella la testimonianza, il “martirio” della vita religiosa. E per la gente è un “segnale di allarme”. I religiosi, con la loro vita, dicono alla gente: “Che cosa sta succedendo?”, queste persone mi dicono qualcosa! Queste persone vanno al di là dell’orizzonte mondano! Ecco, la vita religiosa deve permettere la crescita della Chiesa per la via dell’attrazione».
Il 5 aprile 2014 durante un’intervista con alcuni giovani del Belgio, Francesco ha risposto ad una ragazza che ha espresso timori nel parlare pubblicamente della sua fede: «Testimoniare con semplicità. Perché se tu vai con la tua fede come una bandiera, come le crociate, e vai a fare proselitismo, quello non va. La strada migliore è la testimonianza, ma umile: “Io sono così”, con umiltà, senza trionfalismo. Quello è un altro peccato nostro, un altro atteggiamento cattivo, il trionfalismo. Gesù non è stato trionfalista, e anche la storia ci insegna a non essere trionfalisti, perché i grandi trionfalisti sono stati sconfitti. La testimonianza: questa è una chiave, questa interpella. Io la dò con umiltà, senza fare proselitismo. La offro. E’ così. E questo non fa paura. Non vai alle crociate. ».
Il 17 agosto 2014 nel suo discorso ai vescovi dell’Asia durante il viaggio in Corea del Sud, Francesco ha affermato: «In questo vasto Continente, nel quale abita una grande varietà di culture, la Chiesa è chiamata ad essere versatile e creativa nella sua testimonianza al Vangelo, mediante il dialogo e l’apertura verso tutti. […] Ma nell’intraprendere il cammino del dialogo con individui e culture, quale dev’essere il nostro punto di partenza e il nostro punto di riferimento fondamentale che ci guida alla nostra meta? Certamente esso è la nostra identità propria, la nostra identità di cristiani. Non possiamo impegnarci in un vero dialogo se non siamo consapevoli della nostra identità. Dal niente, dal nulla, dalla nebbia dell’autocoscienza non si può dialogare, non si può incominciare a dialogare. E, d’altra parte, non può esserci dialogo autentico se non siamo capaci di aprire la mente e il cuore, con empatia e sincera accoglienza verso coloro ai quali parliamo […]. Siamo arricchiti dalla sapienza dell’altro e diventiamo aperti a percorrere insieme il cammino di una più profonda conoscenza, amicizia e solidarietà. “Ma, fratello Papa, noi facciamo questo, ma forse non convertiamo nessuno o pochi…”. Intanto tu fai questo: con la tua identità, ascolta l’altro. Qual è stato il primo comandamento di Dio Padre al nostro padre Abramo? “Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile”. E così, con la mia identità e con la mia empatia, apertura, cammino con l’altro. Non cerco di portarlo dalla mia parte, non faccio proselitismo. Papa Benedetto ci ha detto chiaramente: “La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione».
Il 14 marzo 2015 durante il discorso alla comunità “Seguimi”, ha detto: «Siete chiamati a permeare di valori cristiani gli ambienti in cui operate con la testimonianza e la parola, incontrando le persone nelle loro situazioni concrete, affinché abbiano piena dignità e siano raggiunte dalla salvezza in Cristo».
Il 6 aprile 2015 Francesco ha spiegato che «l’annuncio che la Chiesa ripete fin dal primo giorno: “Cristo è risorto!”. E, in Lui, per il Battesimo, anche noi siamo risorti, siamo passati dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla libertà dell’amore. Ecco la buona notizia che siamo chiamati a portare agli altri e in ogni ambiente, animati dallo Spirito Santo. La fede nella risurrezione di Gesù e la speranza che Egli ci ha portato è il dono più bello che il cristiano può e deve offrire ai fratelli».
Il 13 aprile 2015 durante la messa in Santa Marta, Francesco ha detto: «è l Spirito Santo l’unico capace di darci questa grazia del coraggio di annunciare Gesù Cristo. E questo coraggio dell’annuncio è quello che ci distingue dal semplice proselitismo. Noi non facciamo pubblicità, dice Gesù Cristo, per avere più ‘soci’ nella nostra ‘società spirituale’, no? Questo non serve. Non serve, non è cristiano. Quello che il cristiano fa è annunziare con coraggio e l’annuncio di Gesù Cristo provoca, mediante lo Spirito Santo, quello stupore che ci fa andare avanti».
Il 7 maggio 2015 durante l’udienza ai vescovi del Mali, Francesco ha detto: «gli sforzi compiuti nelle vostre Diocesi per lo sviluppo di nuovi manuali catechesi sono da accogliere con favore: con una formazione solida i fedeli saranno più radicati nella fede e saranno resi più forti per resistere a tutto ciò che minaccia. A questo proposito, vorrei salutare cordialmente i catechisti per la parte importante che generosamente prendono nel lavoro di evangelizzazione».
Il 24 maggio 2015 in occasione della Giornata Missionaria mondiale 2015, Francesco ha scritto: «La missione non è proselitismo o mera strategia; la missione fa parte della “grammatica” della fede, è qualcosa di imprescindibile per chi si pone in ascolto della voce dello Spirito che sussurra “vieni” e “vai”. Nel comando di Gesù: “andate” sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa. In essa tutti sono chiamati ad annunciare il Vangelo con la testimonianza della vita; e in modo speciale ai consacrati è chiesto di ascoltare la voce dello Spirito che li chiama ad andare verso le grandi periferie della missione, tra le genti a cui non è ancora arrivato il Vangelo. Oggi, la missione è posta di fronte alla sfida di rispettare il bisogno di tutti i popoli di ripartire dalle proprie radici e di salvaguardare i valori delle rispettive culture. Si tratta di conoscere e rispettare altre tradizioni e sistemi filosofici e riconoscere ad ogni popolo e cultura il diritto di farsi aiutare dalla propria tradizione nell’intelligenza del mistero di Dio e nell’accoglienza del Vangelo di Gesù, che è luce per le culture e forza trasformante delle medesime. Il Vangelo è sorgente di gioia, di liberazione e di salvezza per ogni uomo. La Chiesa è consapevole di questo dono, pertanto non si stanca di annunciare incessantemente a tutti «quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi» (1 Gv 1,1). La missione dei servitori della Parola – vescovi, sacerdoti, religiosi e laici – è quella di mettere tutti, nessuno escluso, in rapporto personale con Cristo. Nell’immenso campo dell’azione missionaria della Chiesa, ogni battezzato è chiamato a vivere al meglio il suo impegno, secondo la sua personale situazione. Una risposta generosa a questa universale vocazione la possono offrire i consacrati e le consacrate, mediante un’intensa vita di preghiera e di unione con il Signore e col suo sacrificio redentore».
Il 29 maggio 2015 ai partecipanti del Pontificio consiglio per la Nuova Evangelizzazione, Francesco ha detto: «Proprio questi cambiamenti sono una felice provocazione a cogliere i segni dei tempi che il Signore offre alla Chiesa perché sia capace – come ha saputo fare nel corso di duemila anni – di portare Gesù Cristo agli uomini del nostro tempo. La missione è sempre identica, ma il linguaggio con cui annunciare il Vangelo chiede di essere rinnovato, con saggezza pastorale. Questo è essenziale sia per essere compresi dai nostri contemporanei, sia perché la Tradizione cattolica possa parlare alle culture del mondo di oggi e aiutarle ad aprirsi alla perenne fecondità del messaggio di Cristo. Quanti poveri – anche poveri nella fede – attendono il Vangelo che libera! Quanti uomini e donne, nelle periferie esistenziali generate dalla società consumista, atea, attendono la nostra vicinanza e la nostra solidarietà! Il Vangelo è l’annuncio dell’amore di Dio che, in Gesù Cristo, ci chiama a partecipare della sua vita. La catechesi, come componente del processo di evangelizzazione, ha bisogno di andare oltre la semplice sfera scolastica, per educare i credenti, fin da bambini, ad incontrare Cristo, vivo e operante nella sua Chiesa. È l’incontro con Lui che suscita il desiderio di conoscerlo meglio e quindi di seguirlo per diventare suoi discepoli. La sfida della nuova evangelizzazione e della catechesi, pertanto, si gioca proprio su questo punto fondamentale: come incontrare Cristo, qual è il luogo più coerente per trovarlo e per seguirlo».
Il 21 novembre 2015 al congresso sull’Educazione cattolica, Papa Francesco ha affermato: «Educare cristianamente non è soltanto fare una catechesi: questa è una parte. Non è soltanto fare proselitismo – non fate mai proselitismo nelle scuole! Mai! – Educare cristianamente è portare avanti i giovani, i bambini nei valori umani in tutta la realtà, e una di queste realtà è la trascendenza. Oggi c’è la tendenza ad un neopositivismo, cioè educare nelle cose immanenti, al valore delle cose immanenti, e questo sia nei Paesi di tradizione cristiana sia nei Paesi di tradizione pagana. E questo non è introdurre i ragazzi, i bambini nella realtà totale: manca la trascendenza. Per me, la crisi più grande dell’educazione, nella prospettiva cristiana, è questa chiusura alla trascendenza. Siamo chiusi alla trascendenza. Occorre preparare i cuori perché il Signore si manifesti, ma nella totalità; cioè, nella totalità dell’umanità che ha anche questa dimensione di trascendenza. Educare umanamente ma con orizzonti aperti. Ogni sorta di chiusura non serve per l’educazione […]. Don Bosco, ai tempi della più brutta massoneria del Nord Italia, ha cercato una “educazione di emergenza”. E oggi ci vuole una “educazione di emergenza”, bisogna puntare sull’“educazione informale”, perché l’educazione formale si è impoverita a causa dell’eredità del positivismo. Concepisce soltanto un tecnicismo intellettualista e il linguaggio della testa. E per questo, si è impoverita. Bisogna rompere questo schema».
Il 02 dicembre 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha detto: «La missionarietà, non è fare proselitismo: mi diceva questa suora che le donne mussulmane vanno da loro perché sanno che le suore sono infermiere brave che le curano bene, e non fanno la catechesi per convertirle! Rendono testimonianza; poi a chi vuole fanno la catechesi. Ma la testimonianza: questa è la grande missionarietà eroica della Chiesa. Annunciare Gesù Cristo con la propria vita! Io mi rivolgo ai giovani: pensa a cosa vuoi fare tu della tua vita. È il momento di pensare e chiedere al Signore che ti faccia sentire la sua volontà. Ma non escludere, per favore, questa possibilità di diventare missionario, per portare l’amore, l’umanità, la fede in altri Paesi. Non per fare proselitismo: no. Quello lo fanno quanti cercano un’altra cosa. La fede si predica prima con la testimonianza e poi con la parola. Lentamente».
Il 06 dicembre 2015 durante l’Angelus, Francesco ha detto: «Pertanto ognuno di noi è chiamato a far conoscere Gesù a quanti ancora non lo conoscono. Ma questo non è fare proselitismo. No, è aprire una porta. «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16), dichiarava san Paolo. Se a noi il Signore Gesù ha cambiato la vita, e ce la cambia ogni volta che andiamo da Lui, come non sentire la passione di farlo conoscere a quanti incontriamo al lavoro, a scuola, nel condominio, in ospedale, nei luoghi di ritrovo? Se ci guardiamo intorno, troviamo persone che sarebbero disponibili a cominciare o a ricominciare un cammino di fede, se incontrassero dei cristiani innamorati di Gesù».
Il 30 gennaio 2016 durante l’udienza, Francesco ha detto: «la gioia di questo incontro, della sua misericordia, comunicare la misericordia del Signore. Anzi, il segno concreto che abbiamo davvero incontrato Gesù è la gioia che proviamo nel comunicarlo anche agli altri. E questo non è “fare proselitismo”, questo è fare un dono: io ti do quello che mi dà gioia. Leggendo il Vangelo vediamo che questa è stata l’esperienza dei primi discepoli: dopo il primo incontro con Gesù, Andrea andò a dirlo subito a suo fratello Pietro».
Il 04 dicembre 2016 durante l’Angelus, il Papa ha detto: «Quando un missionario va, un cristiano va ad annunciare Gesù, non va a fare proselitismo, come se fosse un tifoso che cerca per la sua squadra più aderenti. No, va semplicemente ad annunciare: “Il regno di Dio è in mezzo a voi!”. E così il missionario prepara la strada a Gesù, che incontra il suo popolo».
Il 01 ottobre 2016 durante il viaggio in Georgia e Azerbaijan, Papa Francesco ha affermato: «Lasciamo che i teologi studino le cose astratte della teologia. Ma che cosa devo fare io con un amico, un vicino, una persona ortodossa? Essere aperto, essere amico. “Ma devo fare forza per convertirlo?”. C’è un grosso peccato contro l’ecumenismo: il proselitismo. Mai si deve fare proselitismo con gli ortodossi! Sono fratelli e sorelle nostri, discepoli di Gesù Cristo. Per situazioni storiche tanto complesse siamo diventati così. Sia loro sia noi crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, crediamo nella Santa Madre di Dio. “E cosa devo fare?”. Non condannare, no, non posso. Amicizia, camminare insieme, pregare gli uni per gli altri. Pregare e fare opere di carità insieme, quando si può. E’ questo l’ecumenismo. Ma mai condannare un fratello o una sorella, mai non salutarla perché è ortodossa».
Il 17 novembre 2016 Papa Francesco ha spiegato: «Non si può andare dietro a Cristo se non ti porta, se non ti spinge lo Spirito con la sua forza. Per questo è lo Spirito l’artefice dell’unità tra i cristiani. Ecco perché dico che l’unità si fa in cammino, perché l’unità è una grazia che si deve chiedere, e anche perché ripeto che ogni proselitismo tra cristiani è peccaminoso. La Chiesa non cresce mai per proselitismo ma «per attrazione», come ha scritto Benedetto XVI. Il proselitismo tra cristiani quindi è in se stesso un peccato grave perché contraddice la dinamica stessa di come si diventa e si rimane cristiani. La Chiesa non è una squadra di calcio che cerca tifosi».
L’08 gennaio 2017 durante l’Angelus, Papa Francesco ha affermato: «Ecco lo stile di Gesù, e anche lo stile missionario dei discepoli di Cristo: annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza gridare, senza sgridare qualcuno, ma con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione. La vera missione non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo. Ma come? Come si fa questa attrazione a Cristo? Con la propria testimonianza, a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli. Ad imitazione di Gesù, pastore buono e misericordioso, e animati dalla sua grazia, siamo chiamati a fare della nostra vita una testimonianza gioiosa che illumina il cammino, che porta speranza e amore».
Il 15 gennaio 2017 durante l’Angelus, Francesco ha detto: «Questa scena è decisiva per la nostra fede; ed è decisiva anche per la missione della Chiesa. La Chiesa, in ogni tempo, è chiamata a fare quello che fece Giovanni il Battista, indicare Gesù alla gente dicendo: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!». Lui è l’unico Salvatore! Lui è il Signore, umile, in mezzo ai peccatori, ma è Lui, Lui: non è un altro, potente, che viene; no, no, è Lui! Guai, guai quando la Chiesa annuncia se stessa; perde la bussola, non sa dove va! La Chiesa annuncia Cristo; non porta sé stessa, porta Cristo. Perché è Lui e solo Lui che salva il suo popolo dal peccato, lo libera e lo guida alla terra della vera libertà».
Il 15 gennaio 2017 durante la visita pastorale ad una parrocchia romana, Francesco ha detto: «Ci sono tanti cristiani che professano che Gesù è Dio; ci sono tanti preti che professano che Gesù è Dio, tanti vescovi… Ma tutti danno testimonianza di Gesù? O essere cristiano è come… un modo di vivere come un altro, come essere tifoso di una squadra? “Ma sì, sono cristiano…”. O come avere una filosofia: “Io osservo questi comandamenti, sono cristiano, devo fare questo…”. Essere cristiano, prima di tutto, è dare testimonianza di Gesù. La prima cosa. E questo è quello che hanno fatto gli Apostoli: gli Apostoli hanno dato testimonianza di Gesù, e per questo il cristianesimo si è diffuso in tutto il mondo. Testimonianza e martirio: la stessa cosa. Si dà testimonianza nel piccolo, e alcuni arrivano al grande, a dare la vita nel martirio, come gli Apostoli. Ma gli Apostoli non avevano fatto un corso per diventare testimoni di Gesù; non avevano studiato, non sono andati all’università. Avevano sentito lo Spirito dentro e hanno seguito l’ispirazione dello Spirito Santo; sono stati fedeli a questo».
L’08 febbraio 2017 il più importante e famoso missionario italiano, padre Piero Gheddo del Pime di Milano, è intervenuto scrivendo: «Francesco è animato dalla passione missionaria, vuole convertire il mondo a Cristo: inizia l’Anno giubilare della Misericordia di Dio, apre migliaia di porte delle chiese in ogni continente, invita tutti ad entrarvi, per gustare la dolcezza e la tenerezza del Padre nostro che sta nei Cieli e del Figlio suo Gesù Cristo, morto in Croce e risorto per salvare tutti gli uomini. All’inizio del terzo millennio, il Vescovo di Roma si preoccupa giustamente di riformare la Chiesa richiamando lo scopo primario che Cristo le ha affidato: evangelizzare e ri-evangelizzare tutti gli uomini, cioè trasmettere anzitutto la fede».
Il 17 febbraio 2017 nel discorso che Francesco ha lasciato ma non pronunciato nella visita all’Università degli Studi Roma Tre, si legge: «E parlando di trascendenza, voglio parlarvi da persona a persone, e dare testimonianza di chi sono. Mi professo cristiano e la trascendenza alla quale mi apro e guardo ha un nome: Gesù. Sono convinto che il suo Vangelo è una forza di vero rinnovamento personale e sociale. Parlando così non vi propongo illusioni o teorie filosofiche o ideologiche, neppure voglio fare proselitismo. Vi parlo di una Persona che mi è venuta incontro, quando avevo più o meno la vostra età, mi ha aperto orizzonti e mi ha cambiato la vita. Questa Persona può riempire il nostro cuore di gioia e la nostra vita di significato. E’ il mio compagno di strada; Lui non delude e non tradisce. E’ sempre con noi. Si pone con rispetto e discrezione lungo il sentiero della nostra vita, ci sostiene soprattutto nell’ora dello smarrimento e della sconfitta, nel momento della debolezza e del peccato, per rimetterci sempre in cammino. Questa è la testimonianza personale della mia vita».
Il 18 febbraio 2017, incontrando i Chierici Mariani dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, Francesco ha insistito tante volte sulla necessità di testimoniare il Cristo Risorto, «che avete incontrato nel vostro cammino e che con il vostro stile di vita siete chiamati a portare ovunque vi mandi la Chiesa». Tutto il discorso è un esempio dell’urgenza dell’evangelizzazione che preme nell’animo del Papa.
Il 25 aprile 2017 nella sua omelia mattutina, il Papa ha esortato una evangelizzazione efficace, cioè umile: «Sarà il Signore a confortarci, a darci la forza per andare avanti, perché Lui agisce con noi se noi siamo fedeli all’annuncio del Vangelo, se noi usciamo da noi stessi per predicare Cristo crocifisso, scandalo e pazzia, e se noi facciamo questo con uno stile di umiltà, di vera umiltà. Che il Signore ci dia questa grazia, come battezzati, tutti, di prendere la strada dell’evangelizzazione con umiltà, con fiducia in Lui stesso, annunciando il vero Vangelo: ‘Il Verbo è venuto in carne’. Il Verbo di Dio è venuto in carne. E questa è una pazzia, è uno scandalo; ma farlo nella consapevolezza che il Signore è accanto a noi, agisce con noi e conferma il nostro lavoro».
Il 25 maggio 2018 padre Samir Khalil Samir esperto di islamismo e già collaboratore di Benedetto XVI, ha affermato: «Quando si dice “musulmano”, si contrappone a “cristiano”. Io penso all’evangelizzazione, è vero, ma non per convertire, ma per annunciare il Vangelo, un progetto di liberazione! Se tu pensi che questo messaggio ti aiuti a essere migliore, prendi quel che vuoi. Ma non cerco di farti cristiano. Cerchiamo una strada più bella. Se ne vedi una, seguila, ma alla condizione che non vi sia mai qualcuno che ne soffre, che ne paga il prezzo».
Il 29 maggio 2018 nel videomessaggio in occasione del II incontro nazionale della gioventù, Papa Francesco ha invitato i giovani alla missione: «non lasciate che la storia si scriva fuori, mentre guardate dalla finestra, «non guardate la vita dal balcone», mettetevi le scarpe da ginnastica, uscite con la maglietta di Cristo e mettetevi in gioco per i suoi ideali. Andate con lui a curare le ferite di tanti nostri fratelli buttati ai margini del cammino, andate con lui a seminare speranza nei nostri popoli e nelle nostre città, andate con lui a rinnovare la storia».
Il 01 giugno 2018 nel discorso ai direttori nazionali delle Pontificie opere missionarie, Papa Francesco ha affermato: «Noi non abbiamo un prodotto da vendere – non c’entra qui il proselitismo, non abbiamo un prodotto da vendere –, ma una vita da comunicare: Dio, la sua vita divina, il suo amore misericordioso, la sua santità!».
Il 11 giugno 2018 durante l’omelia mattutina, Papa Francesco ha detto: «evangelizzazione non è una semplice predica, è un annuncio, è di più: l’annuncio, infatti, colpisce, entra, cambia i cuori. Senza lo Spirito Santo non c’è evangelizzazione. E lui è il protagonista dell’evangelizzazione, noi siamo i servitori. Ma è lui che porta avanti. Tante volte, abbiamo visto piani pastorali ben fatti, perfetti, come si devono fare le cose, passo a passo, ma che non erano strumento per l’evangelizzazione, erano il fine in se stessi. E questi piani pastorali hanno fallito. Perché sono stati incapaci di cambiare i cuori. Gesù non chiede un atteggiamento imprenditoriale» ma la docilità allo Spirito. Il vero coraggio dell’evangelizzazione non è una testardaggine umana, ma si trova nello Spirito Santo».
Il 21 giugno 2018 Papa Francesco ha spiegato: «una preoccupazione deriva dall’impressione che ecumenismo e missione non siano più così strettamente legati come in origine. Eppure il mandato missionario, che è più della diakonia e della promozione dello sviluppo umano, non può essere dimenticato né svuotato. Ne va della nostra identità. L’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini è connaturato al nostro essere cristiani. Certamente, il modo in cui esercitare la missione varia a seconda dei tempi e dei luoghi e, di fronte alla tentazione, purtroppo ricorrente, di imporsi seguendo logiche mondane, occorre ricordare che la Chiesa di Cristo cresce per attrazione. Ma in che cosa consiste questa forza di attrazione? Non certo nelle nostre idee, strategie o programmi: a Gesù Cristo non si crede mediante una raccolta di consensi e il Popolo di Dio non è riducibile al rango di una organizzazione non governativa. No, la forza di attrazione sta tutta in quel sublime dono che conquistò l’Apostolo Paolo: «Conoscere [Cristo], la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze» (Fil 3,10). Questo è l’unico nostro vanto: la «conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo» (2 Cor 4,6), donataci dallo Spirito vivificante. Questo è il tesoro che noi, fragili vasi di creta (cfr v. 7), dobbiamo offrire a questo nostro mondo amato e tormentato. Non saremmo fedeli alla missione affidataci se riducessimo questo tesoro al valore di un umanesimo puramente immanente, adattabile alle mode del momento. E saremmo cattivi custodi se volessimo solo preservarlo, sotterrandolo per paura di essere provocati dalle sfide del mondo (cfr Mt 25,25)».
Il 15 luglio 2018 Papa Francesco ha affermato: «tutti i battezzati, chiamati a testimoniare, nei vari ambienti di vita, il Vangelo di Cristo. E anche per noi questa missione è autentica solo a partire dal suo centro immutabile che è Gesù. Non è un’iniziativa dei singoli fedeli né dei gruppi e nemmeno delle grandi aggregazioni, ma è la missione della Chiesa inseparabilmente unita al suo Signore. Nessun cristiano annuncia il Vangelo “in proprio”, ma solo inviato dalla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Cristo stesso. È proprio il Battesimo che ci rende missionari. Un battezzato che non sente il bisogno di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù, non è un buon cristiano».
Il 28 giugno 2023, durante l’udienza settimanale, Francesco ha celebrato lo zelo evangelizzatore di Mary MacKillop, spiegando che «ella capì che per lei il modo migliore di farlo era attraverso l’educazione dei giovani, nella consapevolezza che l’educazione cattolica è una forma di evangelizzazione. È una grande forma di evangelizzazione. L’educazione in effetti non consiste nel riempire la testa di idee: no, non è solo questo. In cosa consiste l’educazione? Nell’accompagnare e incoraggiare gli studenti nel cammino di crescita umana e spirituale, mostrando loro quanto l’amicizia con Gesù Risorto dilati il cuore e renda la vita più umana».
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22. APERTURE, CAMBIAMENTO DELLA DOTTRINA, RIVOLUZIONI TEOLOGICHE
“Apertura” è il termine più abusato per riferirsi al pontificato di Papa Francesco, come abbiamo scritto fa parte del progetto dei media progressisti di presentare un Pontefice in discontinuità con i suoi predecessori che rivoluziona la dottrina della Chiesa, “aprendola” alle verità del mondo, annullando e annacquando il concetto di peccato. A questa finzione hanno finito per crederci anche i tradizionalisti, convinti anche loro di questa discontinuità e a queste pericolose aperture al mondo.
Occorre considerare che chi accusa Francesco di fare “gesti innovativi” dimentica che il più grande gesto innovativo nella Chiesa degli ultimi secoli lo ha compiuto Benedetto XVI rinunciando al ministero petrino, senza che nessun tradizionalista lo abbia accusati di aver desacralizzato il papato. Come ha spiegato Andrea Fagioli, direttore del settimanale ”Toscana Oggi” delle diocesi toscane: «Questo Papa è sicuramente capace di grandi gesti innovativi, ma nel rispetto della dottrina della Chiesa. E non ci dimentichiamo che prima di lui la vera “rivoluzione” (se può passare questo termine) l’ha fatta l’austero teologo Joseph Ratzinger, da molti considerato un “conservatore”».
Paradosso vuole che gli ambienti progressisti, invece, critichino Bergoglio per immobilismo e mancanza di aperture, come ha fatto il teologo Vito Mancuso. Ricordiamo infine che resistenze ai cambiamenti ci sono sempre state, la più esemplare fu quella di San Bernardo di Chiaravalle nei confronti della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione da parte di Pio IX nel 1854: «Sono molto preoccupato, visto che molti di voi hanno deciso di mutare le condizioni di importanti eventi, come ad esempio introdurre questa festa sconosciuta dalla Chiesa, non approvata certo dalla Ragione, e non giustificata neppure dall’antica Tradizione», scrisse, usando un linguaggio oggi ripreso dall’area antibergogliana. «Siamo noi davvero più eruditi e pii dei nostri antichi padri?». Ancor più eloquente furono le accuse ricevute da Gesù stesso, il quale pur ricordando di non voler trasgredire neanche “uno solo di questi precetti, anche minimi” (Mt 5,19), venne accusato di violare le norme mosaiche, come il riposo del sabato o il divieto di frequentazione dei pubblici peccatori.
Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice ha mostrato di non aver alcun interesse a modificare la dottrina della Chiesa, saranno citati e spiegati anche singoli episodi che hanno suscitato alcune polemiche:
Il 28 luglio 2013 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, Papa Francesco ha affermato: «I passi che ho fatto in questi quattro mesi e mezzo vengono da due versanti: il contenuto di quello che si doveva fare, tutto, viene dal versante delle Congregazioni Generali dei cardinali. Erano cose che noi cardinali abbiamo chiesto a colui che sarebbe diventato il nuovo Papa. Io mi ricordo che chiesi molte cose, pensando che sarebbe stato un altro. Chiedevamo di far questo, per esempio la Commissione di otto cardinali, sappiamo che è importante avere una Consulta outsider, non le Consulte che già vi sono, ma outsider […]. La parte economica pensavo di trattarla il prossimo anno, perché non è la cosa più importante che bisognava trattare. Ma l’agenda è cambiata a causa delle circostanze che voi conoscete e che sono di dominio pubblico; sono apparsi problemi che dovevano essere affrontati. Il primo: il problema dello IOR, ossia, come incamminarlo, come delinearlo, come riformularlo, come sanare quello che c’è da sanare, e qui c’è la prima Commissione di riferimento, questo è il nome. Con riferimento a quella domanda che mi faceva dello IOR, io non so come finirà lo IOR; alcuni dicono che, forse, è meglio che sia una banca, altri che sia un fondo di aiuto, altri dicono di chiuderlo. Mah! Si sentono queste voci. Io non so. Io mi fido del lavoro delle persone dello IOR, che stanno lavorando su questo, anche della Commissione.». Rispetto alla presenza dei movimenti ecclesiali nella Chiesa, altra tematica che molti opinionisti usano per contrapporre Francesco ai suoi predecessori, ha risposto: «in questo momento della Chiesa credo che i movimenti siano necessari. I movimenti sono una grazia dello Spirito […]. Per questo credo che il movimento del Rinnovamento carismatico non solo serva ad evitare che alcuni passino alle confessioni pentecostali. Ma no! Serve alla Chiesa stessa! Ci rinnova. E ognuno cerca il proprio movimento secondo il proprio carisma, dove lo porta lo Spirito».
Il 14 novembre 2013 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha affermato: «La curiosità ci spinge a voler sentire che il Signore è qua oppure è là; o ci fa dire: “Ma io conosco un veggente, una veggente, che riceve lettere della Madonna, messaggi dalla Madonna”. Ma, guardi, la Madonna è Madre! E ci ama a tutti noi. Ma non è un capoufficio della Posta, per inviare messaggi tutti i giorni. Queste novità allontanano dal Vangelo, allontanano dallo Spirito Santo, allontanano dalla pace e dalla sapienza, dalla gloria di Dio, dalla bellezza di Dio. Perché Gesù dice che il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione: viene nella saggezza. “Il Regno di Dio è in mezzo a voi!”, dice Gesù: è questa azione dello Spirito Santo, che ci dà la saggezza, che ci dà la pace». Molti hanno voluto pensare che Francesco con queste parole si stesse rivolgendo alla madonna di Medjugorje, in realtà non esiste questa correlazione, il Papa sta criticando la morbosa curiosità umana e la creduloneria di coloro che seguono qualunque veggente o santone che spunti, senza alcun discernimento, cosa che purtroppo è abbastanza frequente.
Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge una rassicurazione ai cambiamenti, spiegando che non sono a prescindere contraddittori con quel che esisteva prima: «Nel suo costante discernimento, la Chiesa può anche giungere a riconoscere consuetudini proprie non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia, che oggi ormai non sono più interpretate allo stesso modo e il cui messaggio non è di solito percepito adeguatamente. Possono essere belle, però ora non rendono lo stesso servizio in ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle. Allo stesso modo, ci sono norme o precetti ecclesiali che possono essere stati molto efficaci in altre epoche, ma che non hanno più la stessa forza educativa come canali di vita». La «difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. […]. Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana».
Il 20 dicembre 2013 Francesco ha parlato della Madonna e dei suoi probabili dubbi davanti al calvario di Cristo: «era silenziosa, ma dentro il suo cuore, quante cose diceva al Signore! ‘Tu, quel giorno – questo è quello che abbiamo letto – mi hai detto che sarà grande; tu mi ha detto che gli avresti dato il Trono di Davide, suo padre, che avrebbe regnato per sempre e adesso lo vedo lì!’. La Madonna era umana! E forse aveva la voglia di dire: ‘Bugie! Sono stata ingannata!’: Giovanni Paolo II diceva questo, parlando della Madonna in quel momento. Ma Lei, col silenzio, ha coperto il mistero che non capiva e con questo silenzio ha lasciato che questo mistero potesse crescere e fiorire nella speranza”. Da alcune parti Francesco è stato accusato di blasfemia, di insultare la Madonna, di averla fatta dubitare di Dio. Accuse assurde e pretestuose: gli stessi discepoli -si legge nel Vangelo- erano dubbiosi e ormai delusi da Gesù stesso, si sentivano ingannati. Lo stesso Gesù sulla croce urlò: “Mio Dio mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Anche lui era blasfemo?
Il 12 gennaio 2014 Papa Francesco ha battezzato 32 bambini, tra i quali Giulia i cui genitori non sono sposati in Chiesa, ma solo civilmente. Si sono levate molte polemiche per questo ma il battesimo per figli di conviventi o divorziati avviene abitualmente da decenni, non è certo un’innovazione del pontificato di Francesco. Nel 2007, ad esempio, il teologo Valerio Mauro ha risposto alla domanda sulla legittimità del battesimo per i figli delle coppie non sposate ricordando che è «un caso che comincia a non essere più raro nella vita delle nostre comunità parrocchiali», e spiegando che il parroco che battezza questi bambini «coglie l’opportunità per un cammino di fede da offrire ai genitori del bambino. Avrà avuto un colloquio con la coppia, durante il quale non si sarà limitato a chiedere una ragionevole garanzia per la futura educazione cristiana del bambino. Si sarà fatto prossimo di questa famiglia, forse anche per guardare insieme se i due potranno scoprire in se stessi quelle motivazioni che li porteranno a vivere anche la loro unione secondo la vocazione battesimale. La carità pastorale, allora, non si esaurisce negli incontri che preparano il rito battesimale, ma si prende cura del tempo successivo. In questa prospettiva e rimanendo nell’ambito della questione posta, ogni comunità parrocchiale, guidata dai suoi pastori, dovrebbe sentirsi chiamata ad offrire ai genitori dei bambini battezzati la possibilità di proseguire il proprio cammino di fede». In merito al clamore suscitato dal battesimo operato da Francesco, il direttore del settimanale delle Diocesi toscane, Andrea Fagioli, ha scritto: «Mi meraviglio anch’io che ci sia chi si meraviglia di quello che ha fatto il Papa. Francesco non ha compiuto nessuno strappo, ma si è affidato alla normale prassi pastorale e al Codice di diritto canonico dove dice che “per battezzare lecitamente un bambino si esige: 1) che i genitori o almeno uno di essi o chi tiene legittimamente il loro posto, vi consentano; 2) che vi sia la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica”. Per cui è sufficiente anche il solo impegno di un padrino o di una madrina. In questo senso non solo si può battezzare il figlio di una coppia sposata solo civilmente, ma anche il figlio di una coppia non sposata. Diversamente sarebbe come dire che le colpe dei padri ricadono sui figli. Un assurdo. L’unico limite è se la speranza di educazione nella religione cattolica “manca del tutto”. Solo in questo caso il battesimo, come dice ancora il Codice di diritto canonico, viene “differito, secondo le disposizioni del diritto particolare, dandone ragione ai genitori”».
Il 16 marzo 2014 alla fine dell’Angelus, Francesco ha salutato -come solitamente fa- le diverse associazioni presenti, tra cui il Rotary Club di Massafra-Mottola (il 04/02/15 ha salutato invece il Rotary Club di Roma). Alcuni hanno affermato che il Rotary Club sarebbe un’associazione massonica e che Francesco, salutando tale associazione, avrebbe avvallato la massoneria. Tuttavia non esiste alcun legame tra il Rotary Club e la massoneria (non ne parla né Wikipedia in lingua italiana, inglese e spagnola). Ricordiamo inoltre che il 23 ottobre 2010 il Rotary Club di Assisi ha consegnato al direttore del quotidiano della Cei, Marco Tarquinio, il premio “Ideale Rotariano 2010”, così come nel giugno 1979 Giovanni Paolo II incontrò il Rotary Interrnational, come fece prima di lui Paolo VI, riflettendo «sugli importanti scopi» e le «benemerite attività» dell’associazione. «Nei vostri sforzi e tentativi per il bene dell’uomo» affermò Karol Wojtyla , «potete essere sicuri della comprensione e della stima della Chiesa cattolica». E dopo aver espresso anche la propria stima personale, concluse l’intervento con l’augurio che: «Voglia Iddio sostenere il Rotary International nella nobile causa della missione di servizio all’umanità, all’umanità sofferente».. Nel novembre 2014 la diocesi di Milano, guidata dal card. Angelo Scola (con fama di conservatore ratzingeriano) ha collaborato con il Rotary club Meda e delle Brughiere per la raccolta di offerte a favore dei poveri.
L’11 aprile 2014 il vaticanista di “Repubblica” Paolo Rodari ha fatto notare che anche per quanto riguarda la proclamazione di nuovi santi, «Francesco nel suo primo anno di pontificato ha mantenuto i numeri da record che furono dei suoi due predecessori: nel 2013 ci sono state 18 cerimonie di beatificazione con 540 nuovi beati, dei quali 528 martiri e 12 confessori. Sempre lo scorso anno Francesco ha canonizzato 804 nuovi santi, ovvero 800 martiri di Otranto uccisi dai turchi nel 1480 e quattro confessori».
Il 25 aprile 2014 Francesco ha telefonato al leader radicale Marco Pannella in sciopero della sete contro le disumane condizioni delle carceri italiane. Molti hanno accusato Francesco di aver così sostenuto le politiche del leader radicale su aborto, divorzio ed eutanasia. Come ha spiegato Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”, «la telefonata dell’aprile 2014 a Marco Pannella» è da intendersi nel fatto che quest’ultimo «non era protagonista di un “innocuo digiuno” inscenato “per aborto, eutanasia, omosessualità per tutti, teoria del gender…”, ma era a rischio della vita a causa di uno sciopero della sete contro la scandalosa situazione di vita nelle carceri italiane, la stessa denunciata, con grande forza e altri mezzi, da cappellani e volontari dell’associazionismo cattolico». Ricordiamo inoltre che anche Benedetto XVI, nella sua lettera al matematico anticlericale Piergiorgio Odifreddi, ha scritto: «Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro», cosa che ovviamente non suscitò nessuno scandalo né perplessità.
Il 5 maggio 2014 durante l’omelia mattutina Francesco ha ricordato quando Pietro ricevette dure critiche dai cristiani di Gerusalemme, scandalizzati dal fatto che il loro capo avesse mangiato con dei pagani “non circoncisi” e li avesse persino battezzati. Ha voluto spiegare la necessità di non porre barriere al battesimo tramite una metafora: «E’ una cosa che non si poteva pensare quella. Se domani venisse una spedizione di marziani, per esempio, e alcuni di loro venissero da noi, ecco… marziani, no? Verdi, con quel naso lungo e le orecchie grandi, come vengono dipinti dai bambini … E uno dicesse: ‘Ma, io voglio il Battesimo!’. Cosa accadrebbe?». Francesco è stato accusato di voler “battezzare i marziani”, in realtà si capisce perfettamente che si tratta di una metafora che invita semplicemente a non chiudere le porte a nessuno: «Chi siamo noi per chiudere le porte” allo Spirito Santo?
Il 23 giugno 2014 il teologo Vito Mancuso si è lamentato con Papa Francesco per essere intervenuto duramente in alcune occasioni: «La chiesa di papa Francesco ha scomunicato di recente, il 18 settembre 2013, un sacerdote australiano, Greg Reynolds, per aver promosso l’ordinazione sacerdotale delle donne e il riconoscimento sacramentale delle coppie gay, e sempre sotto Francesco si è avuta un mese fa la scomunica di Martha Heizer, teologa cattolica austriaca, presidente del movimento internazionale “Noi Siamo Chiesa”, sostanzialmente per gli stessi motivi».
Il 29 giugno 2014 durante l’intervista a “Il Messaggero”, Francesco ha ribadito: «Sul programma, invece, seguo quello che i cardinali hanno chiesto durante le congregazioni generali prima del conclave. Vado in quella direzione. Il Consiglio degli otto cardinali, un organismo esterno, nasce da lì. Era stato chiesto perché aiutasse a riformare la curia. Cosa peraltro non facile perché si fa un passo, ma poi emerge che bisogna fare questo o quello, e se prima c’era un dicastero poi diventano quattro. Le mie decisioni sono il frutto delle riunioni pre conclave. Nessuna cosa l’ho fatta da solo. Sono state decisioni dei cardinali. Non so se un approccio democratico, direi più sinodale, anche se la parola per i cardinali non è appropriata».
Il 16 ottobre 2014 alcuni organi di stampa hanno parlato dell’affitto della Cappella Sistina che Papa Francesco avrebbe fatto ad un privato (la casa automobilistica Porsche) per una cena di gala e l’ascolto di un concerto di musica classica. Immediatamente la notizia è stata ripresa dai siti tradizionalisti con queste parole: «Mercanti del tempio. La vomitevole deriva della Chiesa Cattolica è sotto gli occhi di tutti […]. L’asservimento della Chiesa – per vil denaro – ai potenti di turno». Peccato che i critici si siano dimenticati di ricordare che l’evento aveva un solo unico scopo: beneficenza. Monsignor Paolo Nicolini, responsabile amministrativo dei Musei Vaticani, ha spiegato: «La Cappella Sistina non potrà mai essere affittata perché non è un luogo commerciale. Sarà un evento di beneficenza, per raccogliere fondi destinati a senza tetto, malati, mense parrocchiali per i poveri. L’evento è organizzato direttamente dai Musei Vaticani e si rivolge a grandi aziende che, mediante il pagamento di un biglietto, possono contribuire a finanziare attività benefiche. Del resto la Cappella Sistina è visitabile in varie modalità: sabato sera in programma per i partecipanti ci saranno la visita, il concerto e la cena in una sala dei musei». All’evento non ha partecipato Papa Francesco, nonostante fosse stato invitato.
Il 25 ottobre 2014 ricevendo il movimento apostolico Schoenstatt, Francesco ha spiegato che «rinnovare la Chiesa non è fare un cambiamento qui, un cambiamento lì… Bisogna farlo perché la vita sempre cambia e quindi è necessario adattarsi. Però questo non è il rinnovamento. Anche qui, che è pubblico, lo posso dire: “Bisogna rinnovare la Curia”; “Si sta rinnovando la Curia; la Banca Vaticana, è necessario rinnovarla”. Tutti questi sono rinnovamenti esterni: questo è quello che dicono quotidianamente… E’ curioso, nessuno parla del rinnovamento del cuore. Non capiscono nulla di quello che significa rinnovamento del cuore: che è la santità, rinnovando il cuore di ognuno».
Il 7 dicembre 2014 nell’intervista a “La Naction” (traduzione italiana), Papa Francesco ha parlato del caso in cui madrine e padrini siano divorziati. Essi «non sono scomunicati. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! Allora, aprire un po’ di più le porte. Perché non possono essere padrini? “No, guarda, che testimonianza vanno a dare al figlioccio?”. La testimonianza di un uomo e una donna che dicano: “Guarda, caro, io mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, vado avanti”. Ma che testimonianza cristiana è questa? O se arriva uno di questi truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è regolarmente sposato per la Chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza va a dare al figlioccio? Testimonianza di corruzione?».
Le persone che hanno sbagliato nella loro vita, dice il Papa, non vanno allontanate perché possono essere testimoni credibili di quanto è importante che gli altri non imitino i loro stessi errori.
Il 30 dicembre 2014 il vaticanista de “La Stampa”, Marco Tosatti, ha scritto che «mi giunge, in via confidenziale», di una lettera scritta da Papa Francesco al cardinale brasiliano Claudio Hummes nella quale il pontefice incaricherebbe il porporato di sondare preso la Conferenza Episcopale brasiliana la possibilità di avviare la riflessione sul celibato ecclesiastico (ovvero concedere l’ordinazione sacerdotale) ai Viri Probati (anziani sposati che hanno condotto una vita religiosa esemplare), per sopperire alla mancanza di sacerdoti. Si parla di «un’innovazione clamorosa». Padre Federico Lombardi è intervenuto smentendo la notizia: «Non esiste alcuna lettera del Papa al card. Hummes».
Il 3 gennaio 2015 lo storico Roberto De Mattei ha profetizzato lo scisma della Chiesa, un «misterioso processo di autodemolizione della chiesa che sta giungendo alle ultime conseguenze» a causa di Papa Francesco, ha quindi affermato che «secondo alcune indiscrezioni Papa Francesco avrebbe intenzione di ammettere al sacerdozio alcuni laici sposati (i cosiddetti viri probati) e di reintegrare nell’amministrazione dei sacramenti preti già sposati, ridotti allo stato laicale». Solite indiscrezioni prive di fonte, infatti non si sono verificate e non si verificheranno.
Il 6 gennaio 2015 il vaticanista de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Politi, ha affermato che Francesco starebbe portando «un nuovo approccio in materia sessuale», anche se non esiste alcun pronunciamento “innovativo”. Ha anche accusato l’associazionismo cattolico del “Family day” di non prendere posizione sulle presunte affermazioni riformatrici del Papa circa aborto, convivenze, famiglia, sessualità. In realtà è proprio Politi a non aver scritto nulla tutte le volte che Francesco ha pesantemente criticato l’aborto, l’eutanasia la convivenza e difeso la famiglia naturale, come questo dossier dimostra.
Il 19 gennaio 2015 durante la conferenza stampa nel viaggio nelle Filippine rispondendo ad una domanda sulla libertà d’espressione in seguito all’attentato terroristico al settimanale satirico “Charlie Hebdo”, Papa Francesco ha risposto: «Abbiamo l’obbligo di dire apertamente, avere questa libertà, ma senza offendere. Perché è vero che non si può reagire violentemente, ma se il dott. Gasbarri, grande amico, mi dice una parolaccia contro la mia mamma, gli arriva un pugno! E’ normale! Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede. E questa è un’eredità dell’illuminismo. Tanta gente che sparla delle religioni, le prende in giro, diciamo “giocattolizza” la religione degli altri, questi provocano, e può accadere quello che accade se il dott. Gasbarri dice qualcosa contro la mia mamma. C’è un limite. Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana. E io non posso prenderla in giro. Ho preso questo esempio del limite, per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti come quello della mia mamma». Da più parti il Papa è stato accusato di “istigazione alla violenza”, Antonio Socci lo ha attaccato per aver «legittimato la violenza fisica» opponendosi «alla civiltà giuridica e soprattutto cestina il Vangelo». Come abbiamo osservato, la metafora del pugno è la stessa usata anche dal grande educatore don Luigi Giussani (padre spirituale di Antonio Socci): «Quando uno mi viene a dire: “Ma io voglio bene a questa ragazza, è un pezzo che siamo insieme, però non sono più innamorato di lei!», gli darei un pugno, perché l’unico modo per rispondere è quello di fargli capire che c’è qualcosa di storto (il naso, per esempio!)» (L. Giussani, Uomini senza patria, 1982-1983, Bur 2008, p. 332). Basterebbe anche ricordare la violenza di Gesù quando rovescia i tavoli e scaccia violentemente i mercanti davanti al Tempio di Gerusalemme o quando afferma: «È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli» (Lc 17,1-6). Gesù non istiga alla violenza neppure quando disse: “Non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,34). padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha chiarito che il Papa «parlava di una reazione spontanea che si può sentire e che, di fatto, uno sente, quando è offeso profondamente. Ha voluto ricordare che ci sono due libertà che vanno tenute assieme: quella di espressione e quella religiosa, che implica il rispetto della religione altrui. Ha usato un esempio che tutti possiamo capire, quando veniamo toccati nei nostri sentimenti più profondi». Il vaticanista Marco Politi è intervenuto spiegando: «Si era pensato che l’immagine del pugno si trattasse di uno scivolone. Invece il nuovo linguaggio pare riflettere una strategia per scuotere la terminologia del politically correct, allontano da sé ogni sospetto di buonismo liquoroso e cominciando a porre interrogativi scomodi. Se la libertà di satira è un diritto assoluto, è giusto porsi anche la domanda delle reazioni che può provocare in situazioni infiammate? Anche sul piano educativo Bergoglio mette in questione – con parole da parroco – l’ideologia pedagogica del “vietato vietare”, con il suo corollario “schiaffoni mai”. Questione controversa, che spesso ha prodotto esiti contrastanti: i ribelli coccolati a oltranza in famiglia, dove tutto è permesso, il più delle volte posti a confronto delle rigide gerarchie sociali nel mondo reale strisciano davanti alle autorità o supposte tali». Egidio Bandini, massimo conoscitore delle opere di Guareschi, ha fatto notare che il “pugno” di Francesco non è differente dalle “pedate” di Don Camillo.
Il 19 gennaio 2015 durante la conferenza stampa con i giornalisti in ritorno dal suo viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha chiarito la mancata udienza con il Dalai Lama: «è abitudine per il Protocollo della Segreteria di Stato di non ricevere capi di Stato o gente di quel livello quando sono in una riunione internazionale qui a Roma. Per esempio, per la Fao non ho ricevuto nessuno … È per questo che non è stato ricevuto. Ho visto che qualche giornale ha detto che non lo ha ricevuto per paura della Cina: quello non è vero. In quel momento la ragione è questa. Lui ha chiesto un’udienza e gli è stato detto una data a un certo punto. Lo aveva chiesto prima, ma non per questo momento, e siamo in relazione. Ma il motivo non era il rifiuto alla persona o paura per la Cina».
Il 12 febbraio 2015 nel suo discorso ai cardinali riuniti in Concistorio, Francesco ha spiegato che la riforma della Chiesa, «auspicata vivamente dalla maggioranza dei Cardinali nell’ambito delle Congregazioni generali prima del Conclave, dovrà perfezionare ancora di più l’identità della stessa Curia Romana, ossia quella di coadiuvare il Successore di Pietro nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Esercizio col quale si rafforzano l’unità di fede e la comunione del popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo».
Il 17 febbraio 2015 il giornalista Gianfranco Morra ha accusato Papa Francesco: «è il primo papa che della dottrina sociale della Chiesa non ha mai espressamente parlato. Sembra per lui una terra incognita». Forse per Morra sono un incognita i discorsi di Papa Francesco, come il messaggio per il festival della Dottrina sociale della Chiesa nel 2013 quando ha detto: «Un pensiero va anche alla Dottrina Sociale della Chiesa: il Magistero sociale è un grande punto di riferimento, esso rappresenta un orientamento frutto di riflessione e di operativa virtuosa. E’ molto utile per non perdersi […]. La Dottrina Sociale contiene un patrimonio di riflessioni e di speranza che è in grado anche oggi di orientare le persone e di conservarle libere. Occorre coraggio, un pensiero e la forza della fede per stare dentro il mercato, per stare dentro il mercato, guidati da una coscienza che mette al centro la dignità della persona, non l’idolo denaro. Nella pratica, tutto ciò non è sempre immediatamente evidente, ma se ci aiutiamo a vicenda, perseguire il bene comune diventa la scelta che trova riscontro anche nei risultati. La Dottrina Sociale, quando viene vissuta, genera speranza. E’ così che ognuno può trovare dentro di sé la forza per promuovere con il lavoro una nuova giustizia sociale. Si potrebbe affermare che l’applicazione della Dottrina Sociale contiene in sé una mistica. Ripeto la parola: una mistica. Sembra toglierti immediatamente qualcosa; sembra che applicarla ti porti fuori dal mercato, dalle regole correnti. Guardando ai risultati complessivi, questa mistica porta invece un grande guadagno, perché è in grado di creare sviluppo proprio in quanto – nella sua visione complessiva – richiede di farsi carico dei disoccupati, delle fragilità, delle ingiustizie sociali e non sottostà alle distorsioni di una visione economicistica. La Dottrina Sociale non sopporta che gli utili siano di chi produce e la questione sociale sia lasciata allo Stato o alle azioni di assistenza e di volontariato. Ecco perché la solidarietà è una parola chiave della Dottrina Sociale. Ma noi, in questo tempo, abbiamo il rischio di toglierla dal dizionario, perché è una parola incomoda, ma anche – permettetemi – è quasi una “parolaccia”. Per l’economia e il mercato, solidarietà è quasi una parolaccia». Cose simili ha detto nel messaggio dell’anno successivo. Nel febbraio 2015 ai fedeli brasiliani ha proprio spiegato: «Il contributo della Chiesa, nel rispetto della laicità dello Stato (cfr ibid., 76), e senza dimenticare l’autonomia delle realtà terrene (cfr ibid., 36), trova forma concreta nella sua dottrina sociale, con la quale vuole “portare il Vangelo e dal punto di vista dei compiti prioritari Unito che contribuiscono alla dignità dell’essere umano e di lavorare insieme con gli altri cittadini e le istituzioni per il bene dell’essere umano “(documento di Aparecida, 384)». Ovviamente il giornalista Antonio Socci ha subito ripreso la critica di Gianfranco Morra, aggiungendo: «a mio avviso travisa pure la Carità perché invece di indicare come esempi i santi, come Madre Teresa di Calcutta, indica certi agit-prop ideologici». Peccato che poche ore prima, durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha proprio citato Madre Teresa di Calcutta come esempio del fatto che «l’uomo è capace di fare tanto bene».
Il 03 marzo 2015 ha invitato i teologi a non distaccarsi dalla tradizione della Chiesa: «La teologia che elaborate sia dunque radicata e fondata sulla Rivelazione, sulla Tradizione, ma anche accompagni i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili».
Il 6 marzo 2015 nell’intervista a Valentina Alazraki, vaticanista di Televisa, Francesco ha spiegato perché vive a Santa Marta: «Semplicemente perché c’è gente. Lì, da solo, non l’avrei sopportato. Non perché fosse lussuoso, come alcuni hanno detto. L’appartamento non è lussuoso. È grande. Ma quella solitudine non l’avrei sopportata. Venire qui, mangiare nel refettorio, dove c’è tanta gente, celebrare una messa alla quale quattro giorni a settimana partecipa gente da fuori, dalle parrocchie, mi dà un po’ di benessere spirituale. Mi piace molto». Nell’intervista ha parlato anche del caso in cui madrine e padrini di battesimo siano divorziati: «Ci sono sette cose che, secondo il diritto attuale, le persone in seconde unioni non possono fare. Non me le ricordo tutte, però una è essere padrino di battesimo. Perché? E che testimonianza potrà dare al figlioccio? Quella di dire: “Guarda caro, nella mia vita mi sono sbagliato. Ora sono in questa situazione. Sono cattolico. I principi sono questi. Io faccio questo e ti accompagno”. Una vera testimonianza. Ma se viene un mafioso, un delinquente, uno che ha ammazzato delle persone, ma è sposato per la Chiesa può fare il padrino. Sono contraddizioni. C’è bisogno di integrare. Se credono, anche se vivono in una situazione definita irregolare e la riconoscono e l’accettano e sanno quello che la Chiesa pensa di questa condizione, non è un impedimento. Quando parliamo di integrare intendiamo tutto questo».
Il 6 maggio 2015 il card. Velasio De Paolis, con fama di ratzingeriano e tradizionalista, ha risposto alle perplessità di alcuni dell’annuncio che durante il Giubileo si può ottenere la remissione della scomunica per chi ha commesso un aborto: «L’aborto resta un peccato, non è che il Papa ha deciso di abrogarlo. Questo va chiarito subito per evitare fraintendimenti e fughe in avanti che, in una materia delicata come la difesa della vita, non hanno alcun senso. È un fatto normale che, in occasione di un evento altamente spirituale come un Giubileo, per giunta sulla misericordia, la Chiesa venga incontro ai peccatori e tolga tutti gli ostacoli per permettere l’assoluzione di un peccato gravissimo come l’aborto».
L’06 novembre 2015 in un’intervista al quotidiano olandese Straatnieuws, Francesco ha affermato: «Due giorni dopo essere eletto papa, sono andato (nella versione olandese: “come si dice ufficialmente”) a prendere possesso dell’appartamento papale nel Palazzo Apostolico. Non è un appartamento lussuoso. Ma è largo, è grande… Dopo aver visto questo appartamento mi è sembrato un imbuto al rovescio, cioè grande ma con una porta piccola. Questo significa essere isolato. Io ho pensato: non posso vivere qua semplicemente per motivi mentali. Mi farebbe male. All’inizio sembrava una cosa strana, ma ho chiesto di restare qui, a Santa Marta. E questo mi fa bene perché mi sento libero. Mangio nella sala pranzo dove mangiano tutti. E quando sono in anticipo mangio con i dipendenti. Trovo gente, la saluto e questo fa che la gabbia d’oro non sia tanto una gabbia. Ma mi manca la strada».
L’10 novembre 2015 durante nell’omelia durante la visita pastorale a Prato e a Firenze, Francesco ha affermato: «Solo se riconosciamo Gesù nella Sua verità, saremo in grado di guardare la verità della nostra condizione umana, e potremo portare il nostro contributo alla piena umanizzazione della società. Custodire e annunciare la retta fede in Gesù Cristo è il cuore della nostra identità cristiana, perché nel riconoscere il mistero del Figlio di Dio fatto uomo noi potremo penetrare nel mistero di Dio e nel mistero dell’uomo. Alla domanda di Gesù risponde Simone: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16). Questa risposta racchiude tutta la missione di Pietro e riassume ciò che diventerà per la Chiesa il ministero petrino, cioè custodire e proclamare la verità della fede; difendere e promuovere la comunione tra tutte le Chiese; conservare la disciplina della Chiesa. Papa Leone è stato e rimane, in questa missione, un modello esemplare, sia nei suoi luminosi insegnamenti, sia nei suoi gesti pieni della mitezza, della compassione e della forza di Dio».
Il 16 novembre 2015 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha parlato di “mondanità, apostasia, persecuzione”, la mondanità è fare ciò che fa il mondo, è dire: «Mettiamo all’asta la nostra carta d’identità; siamo uguali a tutti. La mondanità ti porta al pensiero unico e all’apostasia. Non sono permesse, non ci sono permesse le differenze: tutti uguali. E nella storia della Chiesa, nella storia abbiamo visto, penso ad un caso, che alle feste religiose è stato cambiato il nome – il Natale del Signore ha un altro nome – per cancellare l’identità. Mi ha sempre colpito che il Signore, nell’Ultima Cena, in quella lunga preghiera, pregasse per l’unità dei suoi e chiedesse al Padre che li liberasse da ogni spirito del mondo, da ogni mondanità, perché la mondanità distrugge l’identità; la mondanità porta al pensiero unico. Incomincia da una radice, ma è piccola, e finisce nell’abominazione della desolazione, nella persecuzione. Questo è l’inganno della mondanità, e per questo Gesù chiedeva al Padre, in quella cena: ‘Padre, non ti chiedo che di toglierli dal mondo, ma custodiscili dal mondo’, da questa mentalità, da questo umanismo, che viene a prendere il posto dell’uomo vero, Gesù Cristo, che viene a toglierci l’identità cristiana e ci porta al pensiero unico: ‘Tutti fanno così, perché noi no?’. Questo, di questi tempi, ci deve far pensare: com’è la mia identità? E’ cristiana o mondana? O mi dico cristiano perché da bambino sono stato battezzato o sono nato in un Paese cristiano, dove tutti sono cristiani? La mondanità che entra lentamente, cresce, si giustifica e contagia: cresce come quella radice, si giustifica – ‘ma, facciamo come tutta la gente, non siamo tanto differenti’ -, cerca sempre una giustificazione, e alla fine contagia, e tanti mali vengono da lì. Chiediamo al Signore per la Chiesa, perché il Signore la custodisca da ogni forma di mondanità. Che la Chiesa sempre abbia l’identità disposta da Gesù Cristo; che tutti noi abbiamo l’identità che abbiamo ricevuto nel battesimo, e che questa identità per voler essere come tutti, per motivi di ‘normalità’, non venga buttata fuori. Che il Signore ci dia la grazia di mantenere e custodire la nostra identità cristiana contro lo spirito di mondanità che sempre cresce, si giustifica e contagia».
Il 20 novembre 2015 Papa Francesco, incontrando i vescovi tedeschi, ha ricordato loro l’importanza della comunione con la Chiesa. Da più parte infatti, è stata fatto notare una certa autonomia del clero in Germania rispetto alla Chiesa di Roma, sopratutto in senso progressista rispetto a tematiche bioetiche: «In tale contesto della nuova evangelizzazione è indispensabile che il Vescovo svolge diligentemente il suo incarico quale maestro della fede – della fede trasmessa e vissuta nella comunione viva della Chiesa universale – nei molteplici campi del suo ministero pastorale. La fedeltà alla Chiesa e al magistero non contraddice la libertà accademica, ma esige un umile atteggiamento di servizio ai doni di Dio. Il sentire cum Ecclesia deve contraddistinguere in modo particolare coloro che educano e formano le nuove generazioni».
Il 28 aprile 2016 sui quotidiani è apparsa la notizia di una lettera di Papa Francesco al teologo progressista Hans Kung, nella quale il pontefice ha risposto alla richiesta del teologo di annullare l’infallibilità papale. Kung, si legge, «ha rifiutato di mostrare la lettera al National Catholic Reporter», ha soltanto detto che Francesco «non ha posto limiti alla discussione sul dogma».
Il 28 maggio 2016 il giornalista Antonio Socci ha accusato Francesco di non volersi «mischiare con le pecore» poiché ha atteso la processione del Corpus Domini all’arrivo, inoltre lo ha criticato per essersi rifiutato di inginocchiarsi davanti al Santissimo Sacramento, definendolo satanico. Tuttavia, padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha spiegato, fin dal 2014, che Francesco rinuncia alla processione a piedi per motivi di stanchezza fisica e perché «l’attenzione dei fedeli rimanga concentrata sul Santissimo Sacramento esposto e portato in Processione», piuttosto che sul Papa. Altra menzogna è il mancato inginocchiarsi davanti al Santissimo, cosa che invece Papa Francesco fa abitualmente (almeno quando le ginocchia glielo consentono), come dimostrano queste fotografie (e questo video dal minuto 2:13:11).
Il 01 novembre 2016 durante una conferenza stampa nel ritorno dal viaggio in Svezia, Papa Francesco, ha spiegato: «Il Rinnovamento Carismatico nasce – e uno dei primi oppositori che c’è stato in Argentina è colui che vi sta parlando – perché io ero Provinciale dei Gesuiti a quell’epoca, quando è iniziato in Argentina, e io ho proibito ai Gesuiti di avere a che fare con loro. E ho detto pubblicamente che quando si faceva una celebrazione liturgica bisognava fare una cosa liturgica e non una “scuola di samba”. Quello ho detto. Ed oggi penso il contrario, quando le cose sono ben fatte».
Il 17 novembre 2016 Papa Francesco ha spiegato di essere in continuità con i suoi predecessori rispetto al suo magistero: «Prima di me c’è stato san Giovanni XXIII che con la Gaudet mater Ecclesia nella “medicina della misericordia” ha indicato il sentiero da seguire all’apertura del Concilio, poi il beato Paolo VI, che nella storia del Samaritano ha visto il suo paradigma. Poi c’è stato l’insegnamento di san Giovanni Paolo II, con la sua seconda enciclica Dives in misericordia, e l’istituzione della festa della Divina Misericordia. Benedetto XVI ha detto che “il nome di Dio è misericordia”. Sono tutti pilastri. Così lo Spirito porta avanti i processi nella Chiesa, fino al compimento».
Il 26 novembre 2016 il vaticanista de Il Foglio, Matteo Matzuzzi, ha pubblicato alcuni scritti del giovane Ratzinger, risalenti agli anni ’60, in cui il teologo profetizzava la crisi della Chiesa. Matzuzzi ha commentato: «Leggendo Ratzinger anno 1969 si capisce che il cuore del problema non è l’Amoris Laetitia, i suoi punti oscuri o poco chiari. Così come l’origine della crisi non è nelle scelte pastorali di Francesco. E non lo è neppure del Vaticano II».
Il 13 dicembre 2016 sono emersi su un quotidiano alcuni scritti del giovane Joseph Ratzinger, allora docente della facoltà teologica cattolica dell’Università di Bonn. «È forse normale», si chiede nel gennaio 1963, «che 2500 vescovi, per non parlare dei tanti altri credenti, siano condannati a essere muti testimoni di una liturgia nella quale, oltre al celebrante, ha la parola solo la Cappella Sistina? Il fatto che non fosse richiesta la partecipazione attiva dei presenti non era forse sintomo di una situazione che andava superata?». E ancora: «L’attitudine dello spirito antimodernista, la linea della chiusura, della condanna, della difesa che giunge fin quasi al timoroso rifiuto, deve essere mantenuta, oppure la Chiesa, dopo aver operato la necessaria demarcazione, vuole aprire una pagina nuova, entrando in dialogo positivo con le sue origini, con i suoi fratelli, con il mondo di oggi? Questo Concilio si è trasformato in un nuovo inizio per il fatto che una maggioranza molto netta si decise per la seconda alternativa. È così che esso ha oltrepassato il rango di continuazione del Vaticano I: infatti Trento e Vaticano I servirono al movimento di chiusura, di salvaguardia e di demarcazione, l’attuale Concilio, sulla base di quello che era stato operato, si è rivolto a un nuovo compito». Occorre esprimersi «contro la prosecuzione unilaterale dello spirito antimodernistico» e «imboccare una nuova strada, positiva, a livello del pensiero e del linguaggio». Ed infine: «Credo che nella Curia romana ci siano molti ruoli che potrebbero essere ricoperti da laici. Propongo dunque che si stabilisca che nella Curia sia diminuito non solo il numero dei vescovi che vi lavorano, ma anche il numero dei sacerdoti, e che vi debbano essere ammessi anche i laici».
L’11 gennaio 2017 l’opinionista Carlo Troilo, membro della Associazione Luca Coscioni, ha affermato che il Papa non sarebbe in grado di portare avanti i suoi annunci di pulizia e riforma della Chiesa (Curia, Ior). Sostiene che per i vaticanisti «ci vorranno ancora due o tre anni» prima che Francesco rivoluzioni la dottrina su «matrimoni e famiglie miste».
Il 22 gennaio 2017 nell’intervista a El Pais, Francesco ha affermato: «Io ci provo, non so se ci riesco, di fare quello che comanda il Vangelo. Sono un peccatore e non sempre ci riesco, però è quello che cerco. È curioso: la storia della Chiesa non l’hanno portata avanti i teologi, o i preti, o le suore, o i vescovi… sì, in parte sì, ma i veri protagonisti della storia della Chiesa sono i santi. Cioè quegli uomini e donne che hanno consumato la loro vita perché il Vangelo fosse concreto. E questi ci hanno salvato: i santi… I santi sono i concreti del Vangelo nella vita quotidiana! E la teologia che uno trae dalla vita di un santo è molto grande. Evidentemente i teologi e i pastori sono necessari. Sono parte della Chiesa. Ma bisogna andare a questo: al Vangelo. E chi sono i migliori portatori del Vangelo? I santi. Lei ha utilizzato la parola “rivoluzione”. Questa è rivoluzione! Io non sono santo. Non sto facendo alcuna rivoluzione. Sto cercando che il Vangelo vada avanti, ma in modo imperfetto, perché a volte faccio scivoloni».
Il 25 febbraio 2017 Papa Francesco si è rivolto ai sacerdoti dicendo: «Nella maggior parte dei casi voi siete i primi interlocutori dei giovani che desiderano formare una nuova famiglia e sposarsi nel Sacramento del matrimonio […]. Nessuno meglio di voi conosce ed è a contatto con la realtà del tessuto sociale nel territorio, sperimentandone la complessità variegata: unioni celebrate in Cristo, unioni di fatto, unioni civili, unioni fallite, famiglie e giovani felici e infelici. Di ogni persona e di ogni situazione voi siete chiamati ad essere compagni di viaggio per testimoniare e sostenere». Molti polemisti hanno accusato Bergoglio di sostenere le unioni civili. Eppure subito dopo il Papa aveva specificato: «Anzitutto sia vostra premura testimoniare la grazia del Sacramento del matrimonio e il bene primordiale della famiglia, cellula vitale della Chiesa e della società, mediante la proclamazione che il matrimonio tra un uomo e una donna è segno dell’unione sponsale tra Cristo e la Chiesa». Nel chiarire il compito del sostenere, ha chiarito: «Mentre offrite questa testimonianza, sia vostra cura anche sostenere quanti si sono resi conto del fatto che la loro unione non è un vero matrimonio sacramentale e vogliono uscire da questa situazione. Al tempo stesso, fatevi prossimi, con lo stile proprio del Vangelo, nell’incontro e nell’accoglienza di quei giovani che preferiscono convivere senza sposarsi. Essi, sul piano spirituale e morale, sono tra i poveri e i piccoli, verso i quali la Chiesa, sulle orme del suo Maestro e Signore, vuole essere madre che non abbandona ma che si avvicina e si prende cura. Questa cura degli ultimi, proprio perché emana dal Vangelo, è parte essenziale della vostra opera di promozione e difesa del Sacramento del matrimonio». Francesco sta chiedendo vicinanza a chi vive unioni non in linea con l’insegnamento della Chiesa ma per orientarli al matrimonio. L’editorialista de Il Giornale, Stefano Zurlo ha infatti commentato: «Adesso diranno che smantella pure il matrimonio. Naturalmente non è così. Francesco parla ai parroci e li invita a confrontarsi con tutte le drammatiche realtà del nostro tempo. Qualcuno si scandalizzerà, immerso nel rimpianto di una Chiesa pura e con le mani pulite, ma il Papa va avanti per la sua strada. Il vescovo di Roma non si chiude nel rifiuto di una condizione peccaminosa ma considera la convivenza una base di partenza, una sorta di palestra dove sperimentare l’amore di Cristo. Il punto è proprio questo: oggi molti uomini sono lontani dalla Chiesa perché non fanno esperienza più di nulla e pensano che il cristianesimo sia un elenco, pure noioso, di precetti e regole. Invece Bergoglio parla di tenerezza e compassione, insomma della misericordia che Cristo ha portato sulla terra. Nostro Signore, basta leggere i Vangeli, non temeva il contatto con la Maddalena, la Samaritana, Zaccheo e tanti altri personaggi poco raccomandabili dell’epoca; figurarsi se la Chiesa, che Bergoglio descrive come un ospedale da campo dopo la battaglia, può provare impaccio nell’entrare dentro le famiglie: spezzettate, disfatte, allargate, nelle infinite varianti della crisi antropologica di oggi. Nessuno ha la bacchetta magica, ma il Papa porta la sfida evangelica dentro le nostre case, fra le pieghe dei nostri conflitti irrisolti, fra le rughe del nostro scetticismo. La convivenza può essere la tomba di un amore senza prospettiva ma può diventare, se accompagnata da gocce di misericordia, la stessa compassione provata da Cristo prima di compiere alcuni dei suoi miracoli più portentosi, l’occasione per scoprire un amore più grande. L’amore immerso nel mistero che supera ciascuno di noi, e dunque anche le nostre miserie».
Il 01 marzo 2017 il sociologo cattolico Luca Diotallevi, dell’Università degli Studi Roma Tre ha spiegato: «rispetto al passato in materia di dottrina non è intervenuta nessuna rilevante differenza. Né esistono singole parti della Chiesa che possono disporre a piacimento della dottrina medesima. Vi è piuttosto una chiara differenza di stili, di accenti e di scelta dei tempi».
Il 09 marzo 2017 il gesuita progressista Thomas Reese, sul National Catholic Reporter, ha commentato: «In quattro anni, il papa ha avuto un profondo impatto sulla chiesa. È vero, non ha cambiato la posizione della chiesa sul controllo delle nascite, il celibato, le donne prete e il matrimonio gay, ma ha cambiato radicalmente il modo in cui vediamo la chiesa in cinque modi. Ha chiesto un nuovo modo di evangelizzare. Ci dice che le prime parole di evangelizzazione devono riguardare la compassione e la misericordia di Dio, piuttosto che una lista di dogmi e regole che devono essere accettate, comunica in un modo che attira l’attenzione della gente con le sue parole e azioni. Il suo messaggio è il messaggio del Vangelo, non è ossessionato da regole e regolamenti. È più interessato all’ortodossia (come viviamo la fede) dell’ortodossia (come spieghiamo la fede). Secondo, Papa Francesco sta permettendo una discussione aperta e un dibattito nella chiesa. Ironia della sorte, i conservatori che hanno attaccato i progressisti come dissidenti sotto i papati precedenti sono diventati dissidenti nell’insegnamento di papa Francesco. Sta spostando la chiesa da un’etica basata su regole a una basata sul discernimento. I fatti, le circostanze e le motivazioni contano in tale etica. Sotto questo approccio alla teologia morale, è possibile vedere la santità e la grazia nelle vite di persone imperfette, anche in matrimoni irregolari. Piuttosto che vedere il mondo diviso tra il bene e il male, siamo tutti visti come peccatori feriti per i quali la chiesa funge da ospedale da campo dove l’Eucaristia è cibo per i feriti piuttosto che una ricompensa per il perfetto».
Il 01 aprile 2017 mons. Slawomir Oder, postulatore della causa di canonizzazione di Papa Wojtyla, ha dichiarato: «Il messaggio centrale della Chiesa, che Papa Francesco continua a interpretare, secondo il suo proprio carisma e arricchendolo con la propria esperienza, sapienza e santità. Il grido che abbiamo sentito all’inizio del pontificato del Papa polacco – ‘Non abbiate paura. Aprite le vostre porte a Cristo’ -, oggi nella Chiesa guidata da Papa Francesco lo sentiamo costantemente come un invito all’autenticità della vita e dello spirito cristiano e a riconoscere la presenza di Cristo nella Chiesa e nei nostri fratelli che vivono nelle difficoltà».
Nel marzo 2018 è uscito il libro del sociologo cattoprogressista Marco Marzano intitolato La Chiesa immobile. Francesco e la rivoluzione mancata. In esso Marzano critica il Papa definendolo: «Un anziano prete affezionatissimo all’identità cattolica tradizionale, il servitore fedele di una identità clericale che ha coltivato per un’intera vita, il primo boicottatore di ogni vera riforma strutturale dell’istituzione» (p. 155, 156). Rispetto a quattro ambiti, la curia romana, la morale sessuale, la questione femminile e il celibato ecclesiastico, l’esame condotto da Marzano individua un disegno “dei riformatori” e una “resistenza conservatrice”, rispetto a cui Francesco manterrebbe una posizione sostanzialmente tradizionale. Anche dove più chiara appare la discontinuità, la si ammette solo a costo di ridimensionarla.
Il 29 giugno 2020 l’eminente biblista Marcelo Barros ha osservato che «papa Francesco ha usato un’altra modalità nell’esercizio del suo ministero come vescovo di Roma e patriarca delle Chiese di comunione cattolica. Ha ripreso l’insegnamento del Concilio Vaticano II sulla centralità della Chiesa locale. Per questo ha accettato e apprezzato ogni diocesi del mondo con il proprio volto e come Chiesa per proprio diritto. Propone il dialogo e la sinodalità come la modalità normale di essere e di agire della Chiesa. Insiste soprattutto sul fatto che la missione sia come una “Chiesa in uscita”, come un servizio all’umanità nella costruzione della giustizia, della pace e dell’ecologia integrale. A livello internazionale e nei circoli dell’opinione pubblica papa Francesco è certamente il leader mondiale più accreditato e la cui parola ha il maggiore impatto sulla coscienza dell’umanità».
Il 10 luglio 2020 il card. Camillo Ruini -non certo tacciabile di “nuovo corso bergogliano”- ha spiegato che «non ritengo si debba operare una scelta tra questione antropologica e questione sociale. L’una e l’altra sono fondamentali e su entrambe la Chiesa è chiamata a un impegno senza riserve». I critici di Papa Francesco, moltissimi pro-lifers integralisti, lo criticano sostenendo che i principi “non negoziabili” in campo etico sarebbero più importanti di quelli sociali, verso i quali il Papa mostra una maggiore sensibilità rispetto ai predecessori.
Il 01 giugno 2021 l’apologetico cattolico Dave Armstrong ha analizzato le critiche ricevute dal Papa in merito al non aver parlato a sufficienza degli insegnamenti dogmatici cattolici sul divorzio e sull’indissolubità del matrimonio. Dopo aver elencato i principali interventi di Francesco, ha commentato: «Cosa c’è di difficile da capire? Cosa c’è di poco chiaro o ambiguo in tutto questo? Perché è così difficile per i critici di Francesco trovare questi discorsi? E se sono riusciti a trovarli, perché non hanno considerato questi interventi nei loro attacchi al Papa?».
Il 07 luglio 2021 il sociologo progressista Marco Marzano ha scritto: «Gli atei devoti di sinistra lo hanno sostenuto come un mantra in tutti questi anni: dall’avvento di papa Francesco le questioni morali sono divenute ormai irrilevanti per la Chiesa cattolica e il proscenio è interamente occupato dalla “questione sociale”, dall’emergenza poveri, dalla lotta alle diseguaglianze, eccetera. Niente di più falso! È vero esattamente il contrario: è solo quando sono in gioco decisioni politiche rilevanti sul piano morale e dei valori che la Chiesa mette in campo la parte più minacciosa del suo arsenale, come ha fatto pochi giorni orsono con la nota sul Concordato contro il ddl Zan».
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23. CELIBATO SACERDOTALE
Seguendo il mito del “cambiamento” e delle “rivoluzioni” si sostiene che Francesco vorrebbe abolire anche il celibato sacerdotale. In realtà, come si evince dai suoi pronunciamenti, il Pontefice riconosce che non si tratta di un dogma e potrebbero essere possibili cambiamenti ma sottolinea anche la sua stima per esso, evidenziando la superiorità degli aspetti positivi rispetto a quelli negativi.
Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice si è espresso su questo:
Il 28 marzo 2013 è uscito nelle librerie il volume “Il cielo e la terra” (Mondadori 2013) contenente una serie di profonde riflessioni del card. Bergoglio condivise con il rabbino argentino Abraham Skorka. Tra esse anche un accenno al celibato dei sacerdoti: «Mentre ero seminarista rimasi abbagliato da una ragazza che conobbi al matrimonio di uno zio. Mi colpì la sua bellezza, il suo acume… e bé, rimasi in confusione per un bel po’ di tempo, mi faceva girare la testa». Poi la decisione: «Tornai a scegliere il cammino religioso». Questo per rimarcare: «Io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori».
Il 26 maggio 2014 durante la conferenza stampa nel viaggio di ritorno dalla Terra Santa, Francesco ha risposto: «ci sono, nel rito orientale, preti sposati. Perché il celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita che io apprezzo tanto e credo che sia un dono per la Chiesa. Non essendo un dogma di fede, sempre c’è la porta aperta».
Il 13 luglio 2014 padre Federico Lombardi è dovuto intervenire nuovamente su una nuova intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco pubblicata su “Repubblica”: nell’intervista sembra che «il Papa abbia affermato con sicurezza, a proposito del celibato, “le soluzioni le troverò”. Nell’articolo pubblicato su “Repubblica” queste due affermazioni vengono chiaramente attribuite al Papa, ma – curiosamente – le virgolette vengono aperte prima, ma poi non vengono chiuse. Semplicemente mancano le virgolette di chiusura… Dimenticanza o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?».
Il 30 dicembre 2014 il vaticanista de “La Stampa”, Marco Tosatti, ha scritto che «mi giunge, in via confidenziale», di una lettera scritta da Papa Francesco al cardinale brasiliano Claudio Hummes nella quale il pontefice incaricherebbe il porporato di sondare preso la Conferenza Episcopale brasiliana la possibilità di avviare la riflessione sul celibato ecclesiastico (ovvero concedere l’ordinazione sacerdotale) ai Viri Probati (anziani sposati che hanno condotto una vita religiosa esemplare), per sopperire alla mancanza di sacerdoti. Si parla di «un’innovazione clamorosa». Padre Federico Lombardi è intervenuto smentendo la notizia: «Non esiste alcuna lettera del Papa al card. Hummes».
Il 09 marzo 2017 durante il colloquio con il giornale Die Zeit, Papa Francesco ha ribadito di non aver intenzione di cambiare la disciplina ecclesiastica del celibato sacerdotale. «La vocazione dei preti rappresenta un problema enorme» e «la Chiesa dovrà risolverlo», ma «il celibato libero non è una soluzione», né lo è aprire le porte dei seminari a persone che non hanno un’autentica vocazione. Non è permettendo ai futuri preti o a chi è già prete di sposarsi che si risolve il problema della crisi di vocazioni.
Il 29 gennaio 2019 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno da Panama, Francesco ha detto: «Nella Chiesa cattolica di rito orientale c’è l’opzione celibataria o di sposo prima del diaconato. Per quanto riguarda il rito latino, mi viene alla mente una frase di san Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. Questo mi è venuto in mente e voglio dirlo perché è una frase coraggiosa, lo disse nel 1968-1970, in un momento più difficile di quello attuale. Personalmente penso che il celibato sia un dono per la Chiesa e non sono d’accordo a permettere il celibato opzionale. No. Soltanto rimarrebbe qualche possibilità nei posti lontanissimi, penso alle isole del Pacifico, ma è qualcosa da pensare quando c’è necessità pastorale. Il pastore deve pensare ai fedeli. La mia decisione è: no al celibato opzionale prima del diaconato. Sono uno chiuso? Forse, ma non sento di mettermi davanti a Dio con questa decisione».
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24. RUOLO DELLA DONNA, DIACONATO E SACERDOZIO FEMMINILE
Papa Francesco è certamente il pontefice che più di tutti ha invitato a concretizzare l’attenzione per il “genio femminile”, per valorizzare la presenza delle donne nella Chiesa, sottolineando più volte che “la” Chiesa ha un articolo femminile e spiegando che Maria era più imporatnte degli apostoli. Allo stesso tempo ha ribadito la chiusura definitiva alla possibilità del sacerdozio femminile: «con riferimento all’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e dice: “No”. L’ha detto Giovanni Paolo II, ma con una formulazione definitiva. Quella porta è chiusa».
Ma ha anche spiegato che la funzione sacerdotale non è né un potere né un merito, ma una vocazione: «Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale “ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità”. Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni “non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri”. Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tenere ben presente che “è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristo”. Sua chiave e suo fulcro non è il potere inteso come dominio, ma la potestà di amministrare il sacramento dell’Eucaristia; da qui deriva la sua autorità, che è sempre un servizio al popolo. Qui si presenta una grande sfida per i pastori e per i teologi, che potrebbero aiutare a meglio riconoscere ciò che questo implica rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa».
Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice si è espresso sulla donna, sul suo ruolo nella società e sull’ordinazione femminile:
Il 28 marzo 2013 è uscito nelle librerie il volume “Il cielo e la terra” (Mondadori 2013) contenente una serie di profonde riflessioni del card. Bergoglio condivise con il rabbino argentino Abraham Skorka. Tra esse anche un accenno sul sacerdozio femminile: «la donna ha un’altra funzione, che si riflette nella figura di Maria».
Il 28 luglio 2013 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno da Rio de Janeiro, Papa Francesco ha affermato: «Una Chiesa senza le donne è come il Collegio Apostolico senza Maria. Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, della Madonna; quella che aiuta a crescere la Chiesa! Ma pensate che la Madonna è più importante degli Apostoli! E’ più importante! La Chiesa è femminile: è Chiesa, è sposa, è madre. Ma il ruolo della donna nella Chiesa non solo deve finire come mamma, come lavoratrice, limitata … No! E’ un’altra cosa! Paolo VI ha scritto una cosa bellissima sulle donne, ma credo che si debba andare più avanti nell’esplicitazione di questo ruolo e carisma della donna. Non si può capire una Chiesa senza donne, ma donne attive nella Chiesa, con il loro profilo, che portano avanti. Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa. Non si può limitare al fatto che faccia la chierichetta o la presidentessa della Caritas, la catechista… No! Deve essere di più, ma profondamente di più, anche misticamente di più, con questo che io ho detto della teologia della donna. E, con riferimento all’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e dice: “No”. L’ha detto Giovanni Paolo II, ma con una formulazione definitiva. Quella è chiusa, quella porta, ma su questo voglio dirti una cosa. L’ho detto, ma lo ripeto. La Madonna, Maria, era più importante degli Apostoli, dei vescovi e dei diaconi e dei preti. La donna, nella Chiesa, è più importante dei vescovi e dei preti; come, è quello che dobbiamo cercare di esplicitare meglio, perché credo che manchi una esplicitazione teologica di questo».
Il 19 settembre 2013 nell’intervista a “La Civiltà Cattolica” Papa Francesco ha detto: ««È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Temo la soluzione del “machismo in gonnella”, perché in realtà la donna ha una struttura differente dall’uomo. E invece i discorsi che sento sul ruolo della donna sono spesso ispirati proprio da una ideologia machista. Le donne stanno ponendo domande profonde che vanno affrontate. La Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile. Maria, una donna, è più importante dei Vescovi. Dico questo perché non bisogna confondere la funzione con la dignità. Bisogna dunque approfondire meglio la figura della donna nella Chiesa. Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna. Solo compiendo questo passaggio si potrà riflettere meglio sulla funzione della donna all’interno della Chiesa. Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa».
Il 12 ottobre 2013 nel discorso al Pontificio consiglio per i laici, Francesco ha affermato: «Tante cose possono cambiare e sono cambiate nell’evoluzione culturale e sociale, ma rimane il fatto che è la donna che concepisce, porta in grembo e partorisce i figli degli uomini. E questo non è semplicemente un dato biologico, ma comporta una ricchezza di implicazioni sia per la donna stessa, per il suo modo di essere, sia per le sue relazioni, per il modo di porsi rispetto alla vita umana e alla vita in genere. Chiamando la donna alla maternità, Dio le ha affidato in una maniera del tutto speciale l’essere umano. Qui però ci sono due pericoli sempre presenti, due estremi opposti che mortificano la donna e la sua vocazione. Il primo è di ridurre la maternità ad un ruolo sociale, ad un compito, anche se nobile, ma che di fatto mette in disparte la donna con le sue potenzialità, non la valorizza pienamente nella costruzione della comunità. Questo sia in ambito civile, sia in ambito ecclesiale. E, come reazione a questo, c’è l’altro pericolo, in senso opposto, quello di promuovere una specie di emancipazione che, per occupare gli spazi sottratti dal maschile, abbandona il femminile con i tratti preziosi che lo caratterizzano. E qui vorrei sottolineare come la donna abbia una sensibilità particolare per le “cose di Dio”, soprattutto nell’aiutarci a comprendere la misericordia, la tenerezza e l’amore che Dio ha per noi. A me piace anche pensare che la Chiesa non è “il” Chiesa, è “la” Chiesa. La Chiesa è donna, è madre, e questo è bello. Dovete pensare e approfondire su questo».
Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge: «La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. […]. Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale “ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità”. Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni “non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri”. Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tenere ben presente che “è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristo”. Sua chiave e suo fulcro non è il potere inteso come dominio, ma la potestà di amministrare il sacramento dell’Eucaristia; da qui deriva la sua autorità, che è sempre un servizio al popolo. Qui si presenta una grande sfida per i pastori e per i teologi, che potrebbero aiutare a meglio riconoscere ciò che questo implica rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa».
Il 16 dicembre 2013 nell’intervista per “La Stampa” Francesco ha affermato: «Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non “clericalizzate”. Chi pensa alle donne cardinale soffre un po’ di clericalismo».
Il 5 marzo 2014 Papa Francesco ha detto al “Corriere della Sera”: «È vero che la donna può e deve essere più presente nei luoghi di decisione della Chiesa. Ma questa io la chiamerei una promozione di tipo funzionale. Solo così non si fa tanta strada. Bisogna piuttosto pensare che la Chiesa ha l’articolo femminile “la”: è femminile dalle origini. Il grande teologo Urs von Balthasar lavorò molto su questo tema: il principio mariano guida la Chiesa accanto a quello petrino. La Vergine Maria è più importante di qualsiasi vescovo e di qualsiasi apostolo. L’approfondimento teologale è in corso. Il cardinale Rylko, con il Consiglio dei Laici, sta lavorando in questa direzione con molte donne esperte di varie materie».
Il 29 giugno 2014 nell’intervista concessa a “Il Messaggero”, Papa Francesco ha ricevuto delle critiche dalla vaticanista-femminista Franca Giansoldati di parlare poco delle donne e solo in relazione all’essere madri e spose, così il Pontefice l’ha presa in giro: «Il fatto è che la donna è stata presa da una costola.. (ride di gusto)». Alla terza domanda se ci si possa aspettare da lui decisioni storiche, come far diventare le donne “capo del clero”, Francesco ha ironizzato ancora: «(ride) «Beh, tante volte i preti finiscono sotto l’autorità delle perpetue…». Seriamente ha quindi risposto: «Le donne sono la cosa più bella che Dio ha fatto. La Chiesa è donna. Chiesa è una parola femminile. Non si può fare teologia senza questa femminilità. Di questo, lei ha ragione, non si parla abbastanza. Sono d’accordo che si debba lavorare di più sulla teologia della donna. L’ho detto e si sta lavorando in questo senso».
Il 7 gennaio 2015 durante l’udienza generale Francesco ha richiamato il valore dell’essere madre: «Le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico […]. Essere madre non significa solo mettere al mondo un figlio, ma è anche una scelta di vita. Cosa sceglie una madre, qual è la scelta di vita di una madre? La scelta di vita di una madre è la scelta di dare la vita. E questo è grande, questo è bello. Una società senza madri sarebbe una società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale».
Il 19 gennaio 2015 durante la conferenza stampa in ritorno dal suo viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha affermato: «Quando io dico che è importante che le donne siano più tenute in conto nella Chiesa, non è soltanto per darle una funzione di segretaria di un dicastero: questo può andare. No: perché loro ci dicano come sentono e guardano la realtà, perché le donne guardano da una ricchezza differente, più grande».
Il 7 febbraio 2015 durante il discorso al Pontificio consiglio per la cultura, Francesco ha parlato del tema tra uguaglianza e differenze tra donne e uomini spiegando che «questo aspetto non va affrontato ideologicamente, perché la “lente” dell’ideologia impedisce di vedere bene la realtà. L’uguaglianza e la differenza delle donne – come del resto degli uomini – si percepiscono meglio nella prospettiva del con, della relazione, che in quella del contro. Da tempo ci siamo lasciati alle spalle, almeno nelle società occidentali, il modello della subordinazione sociale della donna all’uomo, un modello secolare che, però, non ha mai esaurito del tutto i suoi effetti negativi. Abbiamo superato anche un secondo modello, quello della pura e semplice parità, applicata meccanicamente, e dell’uguaglianza assoluta. Si è configurato così un nuovo paradigma, quello della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza. La relazione uomo-donna, dunque, dovrebbe riconoscere che entrambi sono necessari in quanto posseggono, sì, un’identica natura, ma con modalità proprie. L’una è necessaria all’altro, e viceversa, perché si compia veramente la pienezza della persona».
Il 16 maggio 2015 incontrando i religiosi di Roma, Francesco ha affermato: «quando mi dicono: “No! Nella Chiesa le donne devono essere capi dicastero, per esempio!”. Sì, possono, in alcuni dicasteri possono; ma questo che tu chiedi è un semplice funzionalismo. Quello non è riscoprire il ruolo della donna nella Chiesa. E’ più profondo e va su questa strada. Sì, che faccia queste cose, che vengano promosse – adesso a Roma ne abbiamo una che è rettore di una università, e ben venga! –; ma questo non è il trionfo. No, no. Questa è una grande cosa, è una cosa funzionale; ma l’essenziale del ruolo della donna va – lo dirò in termini non teologici – nel fare in modo che lei esprima il genio femminile. Quando noi trattiamo un problema fra uomini arriviamo ad una conclusione, ma se trattiamo lo stesso problema con le donne, la conclusione sarà diversa. Andrà sulla stessa strada, ma più ricca, più forte, più intuitiva. Per questo la donna nella Chiesa deve avere questo ruolo; si deve esplicitare, aiutare ad esplicitare in tante maniere il genio femminile».
Il 27 settembre 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto: «le donne sacerdote: questo non può farlo. Il Papa san Giovanni Paolo II, in tempi di discussione, dopo lunga, lunga riflessione, lo ha detto chiaramente. Non perché le donne non hanno la capacità, ma guarda: nella Chiesa sono più importanti le donne che gli uomini, perché la chiesa è donna; è la Chiesa, non il Chiesa; la Chiesa è la sposa di Cristo, e la Madonna è più importante dei Papi, dei vescovi e dei preti. E’ una cosa che devo riconoscere: noi siamo un po’ in ritardo nella elaborazione di una teologia della donna. Dobbiamo andare più avanti in quella teologia».
Il 01 novembre 2016 durante una conferenza stampa nel ritorno dal viaggio in Svezia, Papa Francesco ha risposto: «Sull’ordinazione di donne nella Chiesa Cattolica, l’ultima parola chiara è stata data da San Giovanni Paolo II, e questa rimane. Questo rimane».
Il 01 giugno 2021 con la Costituzione apostolica “Pascite gregem Dei”, Papa Francesco ha riformato il Libro VI del Codice di Diritto Canonico. Tra le nuove disposizioni, è stata incorporata nei reati anche la tentata ordinazione di donne.
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25. COMMISSARIAMENTO FRATI FRANCESCANI DELL’IMMACOLATA
Nel luglio 2013 la Congregazione per i religiosi e le società di vita apostolica (con approvazione ex auditu di papa Francesco ) ha commissionato i Frati Francescani dell’Immacolata, comunità di religiosi fondata dagli ex frati Minori Conventuali Stefano Maria Manelli e Gabriele Maria Pellettieri nel 1970, riconosciuta dalla Chiesa cattolica nel 1990. Il commissariamento è arrivato in seguito ad una Visita Apostolica, condotta da monsignor Vito Angelo Todisco, dovuta dopo che un gruppo di cinque frati all’inizio del 2012 sono ricorsi alla Congregazione vaticana dei religiosi denunciando una presunta svolta tradizionalista della congregazione e chiedendo che si tornasse al carisma originario. Lo scopo del commissariamento è stato quello di «tutelare e promuovere l’unità interna degli Istituti religiosi e la comunione fraterna, l’adeguata formazione alla vita religiosa e consacrata, l’organizzazione delle attività apostoliche, la corretta gestione dei beni temporali». Si aggiunge inoltre che «il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della Congregazione dei Frati Francescani dell’Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l’uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata dalle competenti autorità per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta». Il commissario scelto è padre Fidenzio Volpi.
Tale disposizione ha suscitato pesanti critiche all’interno della galassia tradizionalista e si è accusato di voler contraddire le disposizioni di Benedetto XVI contenute nel “Summorum Pontificum” con il quale viene data piena libertà a tutti i sacerdoti di rito romano di celebrare la messa tridentina. In realtà Francesco ha più volte spiegato di voler lasciare libertà, sia per chi vuole celebrare con l’antico, sia per chi vuole celebrare col nuovo rito, senza però che il rito diventi una bandiera ideologica.
Di seguito in ordine cronologico i fatti salienti di questa vicenda, dove si smentiscono anche le accuse al Papa:
Il 29 luglio 2013 Il vaticanista Sandro Magister ha infatti accusato il Papa di aver contraddetto Benedetto XVI sulla celebrazione della messa in rito antico (la Santa Sede risponderà, come si vedrà in seguito).
Il 30 luglio 2013 il portavoce dei Francescani dell’Immacolata, padre Alfonso Maria Bruno, il quale ha spiegato che dopo il Motu Proprio del 2007 di papa Ratzinger, i Francescani dell’Immacolata avevano deciso di adottare la “forma straordinaria” del rito romano, ovvero la messa tridentina, come loro rito predominante; per le loro suore, questo uso era stato addirittura esclusivo. Così facendo, però, si sono esposti alle “strumentalizzazioni” di alcuni gruppi tradizionalisti, alle quali era seguito un tentativo di agire da mediatori nelle trattative, poi fallite, tra il Vaticano e i lefebvriani della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Secondo padre Bruno, in un sondaggio condotto durante la visita apostolica la stragrande maggioranza dei membri dell’ordine si erano detti non d’accordo con la celebrazione esclusivamente della messa antica, “soprattutto nella pastorale delle parrocchie in Italia e nelle missioni”. In alcuni casi, infatti, il vecchio rito “non era stato ben accolto”. Malgrado il valore della messa tridentina, nota il portavoce dei Francescani dell’Immacolata, “se la gente non capisce, il messaggio non passa”. In una nota delle Suore Francescane dell’Immacolata si è in seguito precisato: «Parlare di scelta esclusiva del rito antico, come è stato fatto nell’articolo di Alessandro Speciale del 30 luglio 2013, è in contrasto sia con le dichiarazioni ufficiali dell’Istituto delle Suore Francescane dell’Immacolata sia con la verità dei fatti».
Il 2 agosto 2013 padre Federico Lombardi, portavoce della Sala stampa della Santa Sede, ha spiegato che la nomina di un Commissario Apostolico per la Congregazione dei Frati Francescani dell’Immacolata riguarda la vita e il governo della Congregazione nel suo insieme e non solo questioni liturgiche. Il fatto che Papa Francesco abbia disposto che i religiosi sacerdoti della stessa Congregazione siano tenuti a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario — a meno di esplicita autorizzazione delle competenti autorità per l’uso della forma straordinaria — non intende contraddire le disposizioni generali espresse da Benedetto XVI con il Motu Proprio “Summorum Pontificum”, ma rispondere a problemi specifici e tensioni createsi in questa Congregazione a proposito del rito della celebrazione della Messa. Lo scopo che Benedetto XVI si era proposto – ha concluso padre Lombardi – era infatti di superare tensioni e non crearne.
Il 3 agosto 2013 i Francescani dell’Immacolata hanno precisato che il fondatore e superiore generale, padre Stefano Manelli, «non solo non ha mai imposto a tutte le Comunità F.I. l’uso – tanto meno l’uso esclusivo – del Vetus Ordo, ma non vuole nemmeno che ne diventi l’uso esclusivo, e lui stesso ne ha dato l’esempio celebrando ovunque secondo l’uno o l’altro Ordo. È bene sapere che prima, durante e dopo la Visita Apostolica (luglio 2012-luglio 2013), come pure attualmente, l’uso esclusivo o prioritario della maggior parte delle Comunità F.F.I. è il Novus Ordo (S. Messa e Breviario)».
Il 19 settembre 2013 sono stati pubblicati i risultati statistici del sondaggio-questionario sottoposto da mons. Vito Angelo Todisco, Visitatore Apostolico, a tutti i frati di voti perpetui dell’Istituto religioso. Esso si esprime attraverso la risposta a quattro domande a scelta multipla: in tutte e quattro le domande, le risposte maggiormente scelte dai frati dell’Immacolata sono l’evidenza di problemi e la necessità di risolverli attraverso il commissariamento dell’ordine (con percentuali fino all’85%). In particolare, alla domanda sullo “stile di governo del superiore generale”, il fondatore dell’Istituto, padre Stefano Manelli, il 61% ha risposto che “esistono problemi”, mentre il 74% che per risolverli è necessario o un Capitolo generale straordinario o il commissariamento. Nella seconda domanda, per quanto riguarda la decisione di padre Manelli di estendere a tutto l’Istituto l’uso della messa antica e del breviario antico, il 64% dei frati ha che esistono problemi e il 77% ha chiesto che vengano affrontato o da un Capitolo straordinario o attraverso il commissariamento. Per quanto riguarda le decisioni del fondatore padre Manelli circa la formazione dei giovani religiosi e dei candidati al sacerdozio, i frati hanno risposto per il 52% che esistono problemi e per il 73% serve o un Capitolo straordinario o il commissariamento. Infine, per quanto riguarda i rapporti del superiore generale con la congregazione delle suore Francescane dell’Immacolata, il 53% ha affermato che esistono problemi e per l’85% tali problemi sono risolvibili con un Capitolo straordinario o con il commissariamento. Il vaticanista Andrea Tornielli ha commentato: «Sono numeri significativi, che smentiscono clamorosamente tanti articoli e tante invettive apparse negli ultimi due mesi su blog e siti vicini al mondo tradizionalista: quei siti e quei blog che hanno cercato di ridurre la vicenda interna ai Francescani dell’Immacolata come l’iniziativa di un pugno di frati allergici alla messa antica e per questo trasformatisi in “traditori”». Il quale ha aggiunto: «Non si deve infine dimenticare che la messa antica nelle chiese officiate dai Francescani dell’Immacolata continua a essere autorizzata là dove vi siano gruppi stabili di fedeli che la seguono, come previsto dal motu proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI». Ha anche fatto notare che è stata filtrata una lettera del 29/05/13, la quale si è espressa contro il modo con cui sono state condotte la visita apostolica e il questionario ai frati dell’Immacolata. Tuttavia tale lettera è stata spedita solo tre mesi dopo che è avvenuto lo spoglio del questionario e quando la Santa Sede aveva già preso le sue decisioni.
Il 19 settembre 2013 il nuovo segretario generale padre Alfonso Bruno, chiamato dal commissario Volpi, ha spiegato: «Cinque confratelli che in passato avevano occupato ruoli di altissima responsabilità nell’Istituto, all’inizio del 2012 hanno cercato un dialogo con il Fondatore e il suo Consiglio per manifestare quelle che a loro avviso erano delle irregolarità, a partire dalle scelte liturgiche che non esaurivano tuttavia la loro lista di perplessità. Non ricevendo soddisfazione si sono rivolti ai dicasteri per la Vita Consacrata e per la Dottrina della Fede. Chi espone i fatti di sua conoscenza a un’autorità, che nel caso è la Chiesa con a capo il Papa, dimostra con ciò stesso di riconoscerla come tale, il che esclude ogni atteggiamento di “ribellione” al potere costituito. La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata ha ravvisato gli estremi per una visita apostolica che si è attivata nella seconda metà dello stesso anno. A ogni frate di voti perpetui, così come concordato col Consiglio Generale allora in carica, è stato fornito un questionario tutelato dal segreto di coscienza. Le domande sono state lette dal Visitatore apostolico all’allora Procuratore generale, padre Alessandro Apollonio. Oltre alla sua tacita approvazione, è stato lo stesso confratello padre Apollonio che suggerì al Visitatore l’inserimento di quattro domande a scelta multipla sulle eventuali risoluzioni che i frati prospettavano; l’ultima di essere era proprio il commissariamento. Il questionario è stato promulgato e distribuito senza nessuna contestazione o riserva. Il provvedimento di commissariamento è dovuto scattare in seguito ai risultati del questionario stesso. Solo a partire da quel momento la sua formulazione è stata oggetto di contestazione e critiche». Rispetto alla volontà di Francesco di restringere la messa antica, ha risposto: «Immagino solo che la preoccupazione del Pastore supremo sia stata quella di creare un clima di comunione con un ritorno al momento del “pre-divisione” e cioè a quella unità e armonia fraterna che regnava nella nostra famiglia religiosa fino al 2008 e che trovava nella preghiera liturgica momento d’incontro e non di scontro».
Il 6 dicembre 2013 padre Fidenzio Volpi, commissario dell’ordine di Frati Francescani dell’Immacolata ha replicato ad una lettera pubblicata in precedenza e scritta da un anonimo laico vicino ai Francescani dell’Immacolata, nella quale si criticava padre Volpi per aver «trasferito e allontanato, in fretta e furia, i frati fedeli al carisma dei Padri Fondatori e dopo aver promosso tutti quei frati che appoggiano la “nuova” linea nei vari conventi dei F.I. sparsi per il mondo […]. Dopo aver esiliato Padre Stefano, sempre obbediente, e averlo privato della possibilità di ricever visite finanche dagli stessi parenti di sangue, sotto pena di peccato grave e dopo avergli proibito di ricevere telefonate ed impedito ogni contatto diretto con il mondo » . Nella lettera dell’anonimo compaiono espressioni come «guerra senza limiti» e «purghe stalianiane». Padre Volpi ha replicato spiegando che «pur essendomi sforzato di agire con spirito fraterno, ricercando la più ampia collaborazione dei religiosi e senza mai ricorrere ad alcun provvedimento disciplinare, il decreto approvato ed emanato dalla più alta Autorità della Chiesa viene ancora dipinto come un’usurpazione, con la conseguente instaurazione di un regime arbitrario. Accanto ad aspetti positivi ed incoraggianti sono emerse nell’Istituto non poche difficoltà inerenti la coesione interna, le attività apostoliche, la formazione iniziale e permanente dei frati, lo stile di governo e l’amministrazione dei beni temporali. Il fondatore ed ex Ministro Generale, Padre Stefano Maria Manelli, che già nel gennaio del 2012 si era sottratto al dialogo costruttivo con i religiosi che lamentavano una deriva cripto-lefebvriana e sicuramente tradizionalista, al mio recente invito di chiarimento del 16 novembre scorso, in cerca di una ricomposizione, come anche al fine di chiedere conto, di tutte le opere e di tutti i beni mobili ed immobili dell’Istituto affidati a suoi familiari e figli spirituali durante il commissariamento, rispondeva con un certificato medico emanato da una clinica privata in cui è tuttora ricoverato su sua richiesta». Inoltre, per quanto riguarda «i frati trasferiti, ricordo che l’itineranza è una caratteristica della tradizione francescana che non conosce la stabilitas loci monastica. Ogni cambio di governo, in tutte le istituzioni civili ed ecclesiastiche, comporta parallelamente una revisione delle funzioni con i relativi trasferimenti. Per quanto mi riguarda, si è sempre trattato di provvedimenti amministrativi e non disciplinari. Dispiace se alcuni religiosi o laici ad essi legati non siano rimasti contenti, superando in resistenze quanto accade per i militari e gli impiegati dello Stato […]. Se ho disposto di una mera sospensione delle attività dei laici legati all’Istituto, è per evitare che ogni riunione, come di fatto già accaduto, si trasformi in occasione di dileggio pubblico contro il Papa, contro di me e contro altri frati. […]. L’agitazione sui blog e nei Cenacoli MIM palesa e conferma nuovi e più profondi problemi, che confermano la bontà del provvedimento di Commissariamento in corso. Se è vero che i Frati Francescani dell’Immacolata hanno realizzato e continuano a realizzare tante cose buone e belle per la gloria di Dio, è altrettanto vero che alcuni di essi, un tempo al governo o assegnati in posti di responsabilità, “hanno fatto qualcosa” di meno buono e di meno bello…».
L’8 dicembre 2013 il commissario padre Fidenzio Volpi ha scritto ai Francescani dell’Immacolata spiegando che il senso del commissariamento è per «aiutare le famiglie religiose, quando in queste si evidenziano difficoltà interne tali da non poter essere superate senza un aiuto diretto della suprema autorità della Chiesa; e ciò per salvaguardare l’unità della stessa famiglia religiosa e l’autenticità del suo carisma che, riconosciuto dalla Chiesa, da questa viene anche precisato nel caso di interpretazioni diverse. Ogni carisma, infatti, è dato per il bene di tutto il Corpo Mistico di Cristo (cfr. LG 7 ) e non solo per l’utilità di coloro che lo professano». Dopo essersi scusato se «pur senza volerlo, avessi con i miei modi urtato la sensibilità di qualcuno», ha quindi riconosciuto: «Con amaro sbigottimento ho preso atto di disobbedienze e intralci alla mia azione, di atteggiamenti di sospetto e di critica verso la Chiesa che è nostra madre, fino alla calunnia di attribuirle la “distruzione del carisma” (sic), attraverso la mia persona. Altra constatazione è la mancanza in tanti di una libertà e responsabilità di pensiero e di azione. Si vive di paure e di “terrore reverenziale” verso le Autorità deposte». Parla anche «di uno stile di governo, di formazione incipiente e permanente, di economia ed amministrazione non conformi in tutto alle direttive e alla dottrina della Chiesa». Viene criticato il coinvolgimento di siti web , così come l’attacco «con accenti anche offensivi i primi cinque religiosi che all’inizio hanno fatto ricorso alla Santa Sede». Appare un chiaro allontanamento della regola, sopratutto coloro che si sentono «irremovibili nei loro incarichi». «Mi sono chiesto del perché di questo spasmodico interessamento alla vicenda e ho concluso che l’Istituto era diventato il campo di battaglia per una lotta tra correnti curiali e soprattutto opposizioni al nuovo pontificato di Papa Francesco». Padre Volpi rivela inoltre il «trasferimento delle disponibilità dei beni mobili e immobili dell’Istituto. Tali operazioni gravemente illecite sotto il profilo morale e canonico, con risvolti anche in ambito civile e penale, sono state fatte dopo la nomina del Commissario Apostolico, manifestando così la volontà di sottrarre tali fondi al controllo della Santa Sede e di privare l’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata dei necessari mezzi per il mantenimento dei religiosi e, soprattutto, per le opere di apostolato, e in particolare delle missioni». Si parla anche di una raccolta firme falsata, «estorta con l’inganno». Se molti religiosi hanno mostrato una fede pura, «molti altri frati identificano l’Istituto con la persona stessa del Fondatore, che è circondato da una specie di aureola di infallibilità, e vedono nell’intervento della Chiesa una specie di abuso di ciò che, a loro parere,sarebbe intoccabile e quasi proprietà privata dello stesso Fondatore. Tutto questo rivela gravi errori in campo ecclesiologico circa principi fondamentali della vita religiosa, e rivela una grande povertà spirituale e una dipendenza psicologica incompatibile con quella “libertà dei figli di Dio” che si presuppone in chi si impegna in una donazione totale al Signore per mezzo della consacrazione religiosa» Vengono chiamate in causa anche le Suore francescane: «Alla formazione di questa mentalità “distorta” hanno contribuito non poco alcune esponenti di spicco delle Suore Francescane dell’Immacolata, le quali hanno influenzato fortemente anche lo stile di vita del ramo maschile». In seguito a questi fatti vengono presi dei provvedimenti seri: gli studenti trasferiti in altre sedi, i candidati in formazione dovranno accettare formalmente il “Novus ordo” «quale espressione autentica della tradizione liturgica della Chiesa e dunque della tradizione francescana (fermo restando quanto permesso dal Motu Proprio Summorum pontificum, una volta revocata l’attuale disposizione disciplinare di veto, ad hoc e ad tempus, per l’Istituto) e dei documenti del Concilio Vaticano II, secondo l’autorità riconosciuta loro dal Magistero» ecc.
Il 20 novembre 2013 il cardinale Castrillón Hoyos, presidente emerito della Pontificia commissione “Ecclesia Dei”, ha spiegato che il provvedimento è nato da questioni interne all’ordine e non da contrarietà al rito antico , aggiungendo che dette disposizioni dovrebbero essere transitorie. Ha anche aggiunto che all’udienza avuta con papa Francesco subito dopo la celebrazione della messa tridentina in S. Pietro all’altare della Cattedra il 26 ottobre per il Pellegrinaggio Summorum Pontificum, il Santo Padre gli ha significato non esservi alcun problema con il rito romano antico né da parte sua alcuna contrarietà.
Il 10 giugno 2014 Francesco ha incontrato a Santa Marta un gruppo di Frati Francescani dell’Immacolata che gli hanno posto domande sui temi più spinosi riguardanti la vita interna dell’istituto. Papa Bergoglio si è mostrato informatissimo su tutto, sta seguendo la vicenda da vicino, e ha più volte dimostrato il suo apprezzamento per padre Volpi, smentendo così che le azioni di governo del commissario e dei suoi collaboratori vengano prese a sua insaputa. Sul “motu proprio” Francesco ha detto di non volersi distaccare dalla linea di Benedetto XVI, e ha ribadito che anche ai Frati Francescani dell’Immacolata rimane la libertà di celebrare la messa antica, anche se per il momento, viste le polemiche sull’uso esclusivo di quel messale – elemento che non faceva parte del carisma di fondazione dell’Istituto – è necessario «un discernimento» con il superiore e con il vescovo se si tratta di celebrazioni in chiese parrocchiali, santuari e case di formazione. Il Papa ha spiegato che ci deve essere libertà, sia per chi vuole celebrare con l’antico, sia per chi vuole celebrare col nuovo rito, senza che il rito diventi una bandiera ideologica. Francesco ha quindi risposto all’obiezione secondo la quale il Vaticano II sarebbe soltanto un Concilio pastorale che ha provocato danni alla Chiesa. Il Papa ha detto che pur essendo stato pastorale, contiene elementi dottrinali ed è un concilio cattolico, ribadendo la linea dell’ermeneutica della riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa presentata da Benedetto XVI nel discorso alla Curia romana del dicembre 2005. Francesco ha anche detto di aver voluto lui la chiusura dell’istituto teologico interno ai Francescani dell’Immacolata (STIM), facendo sì che i seminaristi studino nelle pontificie facoltà teologiche romane. Ha poi precisato che l’ortodossia viene garantita dalla Chiesa attraverso il successore di Pietro.
Nel dicembre 2014 uno dei protagonisti della decisione del commissariamento dei Francescani, mons. Rodriguez Carballo, è stato coinvolto nella vicenda della bancarotta dell’altra storica famiglia religiosa del francescanesimo, i Frati Minori, messi sotto inchiesta dalla Procura svizzera. Molti, come il sito web ”Corrispondenza Romana”, hanno fatto notare la presunta ipocrisia di mons. Carballo il quale è stato co-firmatario del Decreto di commissariamento dei Francescani anche a causa di non chiarite cattive vicende di auto-governo, comprese di gestione finanziaria. In realtà, il fatto che mons. Carballo sia sotto indagine per un’inadeguata gestione finanziaria non inficia il fatto che anche i Francescani possano aver mal gestito le finanze ed, inoltre, non si può certo ridurre la decisione di Commissariamento alla non adeguata gestione economica dell’ordine. Porre l’attenzione sui responsabili del commissariamento significa intraprendere una disputa ideologica, dimenticando che la decisione del commissariamento è arrivata direttamente da Papa Francesco.
Il 20 dicembre 2014 le Suore Francescane dell’Immacolata hanno precisato che non sono mai state commissariate dalla Santa Sede, anche perché non si è ancora conclusa la Visita Apostolica, iniziata il 19 maggio 2014. Hanno risposto alle accuse mediatiche di usare esclusivamente l’uso antico della liturgia e di non riconoscere il Pontefice, spiegando che la loro vita «è interamente spesa e offerta per sostenere la Madre Chiesa e il suo Supremo Pastore».
Il 26 marzo 2015 è scattato un maxi-sequestro preventivo da 30 milioni nella titolarità delle Associazioni “Missione dell’Immacolata” e “Missione del Cuore Immacolato”, riconducibili all’Istituto Religioso dei Frati francescani dell’Immacolata con sede a Frigento. Contestati, dunque i reati di truffa aggravata e falso ideologico.
Il 06 maggio 2015 è uscito un comunicato stampa da parte dei Francescani dell’Immacolata contro blog e siti web tradizionalisti -in particolare hanno linkato il blog Chiesa e post concilio– che hanno annunciato la morte di Padre Fidenzio Volpi. E’ una notizia falsa: «La nostra famiglia religiosa prega per la conversione di quanti da tempo, speculando e strumentalizzando il commissariamento, si stanno distinguendo per una campagna di sempre più spregiudicate calunnie e diffamazioni che colpiscono in definitiva la stessa Chiesa Cattolica. Padre Volpi che ancora oggi saluta e tranquillizza tutti con affetto era stato semplicemente colto da un malore il 29 aprile scorso con la necessità di un ricovero ospedaliero». Ad annunciare la morte di padre Volpi anche il sito web Papale papale attraverso Antonio Margheriti Mastino: l’articolo espone toni quasi soddisfatti e ironici di fronte alla (falsa) notizia, nei commenti sono rilevabili insulti al commissario vaticano.
Il 07 giugno 2015 è deceduto padre Fidenzio Volpi, commissario dei Francescani dell’Immacolata nominato dalla Santa Sede, a causa di una emorragia cerebrale. Al suo posto sono subentrati il salesiano don Sabino Ardito, il gesuita padre Gianfranco Ghirlanda e il cappuccino padre Carlo Calloni.
Il 16 giugno 2015 su ”Il Mattino” vengono pubblicati i contenuti di un nuovo e corposo dossier inviato alla Procura della Repubblica di Avellino: suore costrette a sottoscrivere col sangue voti di obbedienza ai fondatori; consorelle costrette a subire molestie e a consumare solo cibi scaduti, nonostante i lauti proventi dei benefattori; vocazioni forzate e confessioni sacramentali utilizzate come mezzo di ricatto. Si parla inoltre di presunti abusi, atti di libidine e prevaricazioni attuate dal fondatore Padre Stefano Maria Manelli, fanatismo, culto idolatrico verso il fondatore della Comunità e dei suoi presunti atteggiamenti autoritari, possessivi e narcisisti, volti al controllo assoluto e incondizionato di frati e suore. Si tratta di numerose testimonianze, depositate presso la Santa Sede già a partire dal 1998. La notizia è seguita da un comunicato della Superiora delle FI alle sue Suore nel quale vengono respinte tutte le accuse, si ipotizza una manovra di strumentalizzazione diffamatoria e si annuncia un ricorso legale verso i responsabili.
Il 01 luglio 2015 il Tribunale del Riesame di Avellino ha dissequestrato i beni di proprietà delle associazioni di laici vicine al fondatore dell’ Ordine dei Francescani dell’ Immacolata, Padre Stefano Manelli per un valore di circa 30 milioni.
Il 10 luglio 2015 un articolo su La Croce spiega che il Commissariamento è arrivato dopo la denuncia di cinque frati, i quali hanno rilevato 1) una “svolta tradizionalista” della congregazione, tanto nel seminario quanto nell’apostolato, e la vicinanza a esponenti del dissenso tradizionalista contestatori del Concilio Vaticano II; 2) l’implementazione autoritaria del Summorum Pontificum; 3) lo stile arbitrario nel governo dell’Istituto e la mancanza di meccanismi per affrontare il problema; 4) le ricadute di questi problemi sulla formazione interna dei religiosi; 5) l’influenza esercitata dall’ex-madre generale delle Suore Francescane dell’Immacolata sul Fondatore, nonché la sempre più marcata radicalizzazione delle suore. Va anche detto che molti attribuiscono la fecondità delle vocazioni dei FFI a un proselitismo piuttosto superficiale in materia di discernimento vocazionale (almeno rispetto alla prassi di altri ordini religiosi). E non si può tralasciare, tra le cause della crisi dell’Istituto, la vera e propria guerra intestina scatenatasi al suo interno già all’indomani del commissariamento. Ha dato impulso alla radicalizzazione del conflitto la mediatizzazione in chiave polemica della vicenda, alla quale hanno dato un massiccio contributo i circoli tradizionalisti vicini all’Istituto dei FFI (schierati dalla parte delle autorità decadute col commissariamento). Questa ingerenza mediatica ha esasperato gli animi alimentando un clima di veleni e asprezze. Da questa temperie si è così originata una autentica «guerra civile» tra fazioni «pro» e «contro» il commissariamento; una faida che sembra avere eletto il web (siti e blog) e i social network come terreno di scontro. L’ipotesi che una delle ragioni del commissariamento sia stata il favore con cui padre Manelli avrebbe guardato alla “messa antica” sembra essere stata fugata proprio dal Papa. Nel suo incontro coi giovani seminaristi e i formatori dei Frati Francescani dell’Immacolata (10 giugno 2014) papa Francesco ha motivato la sua decisione di demandare al commissario apostolico la facoltà di concedere il permesso di celebrare secondo il rito antico. Il provvedimento si è reso necessario, ha detto il Pontefice, affinché nessuno credesse che fosse «obbligatorio fare (il Vetus Ordo)», in modo da «ripristinare la libertà».
Il 28 ottobre 2015 sono state commissionate anche le Suore Francescane dell’Immacolata, la cui casa madre è a Frigento. Il motivo è per diverse perplessità relative alla conduzione della vita interna delle Suore. Alla Superiora generale, braccio destro del fondatore Padre Maria Stefano Manelli, subentreranno Suor Noris Calzavara delle Suore del Rosario coadiuvata, per quanto riguarda gli aspetti specifici della formazione e delle finanze, da Suor Paola Teresita Filippi delle Figlie della Misericordia e Suor Viviana Ballarin delle Suore Domenicane.
Il 04 novembre 2015 dalle indagini dei pm della procura di Avellino è emersa la testimonianza di una ex suora (per 12 anni) della Francescane dell’Immacolata che, insieme ad altre consorelle, sostiene di aver dovuto sottoscrivere un rito di devozione e fedeltà a padre Stefano Manelli tramite una dichiarazione scritta con il sangue. In un’intervista per il Corriere della Sera ha affermato: «Ho già testimoniato in Vaticano e sono disposta a far esaminare la lettera scritta col sangue e poi controfirmata da padre Stefano Manelli, dai periti della procura. Lo faccio perché ho il dovere di far emergere cosa accadeva in quei conventi lager, dove ci sono ancora nostre sorelle che soffrono». Un’altra ex suora mostra invece una foto di un marchio a fuoco sulla sua pelle. Raccontano di obbligo a mangiare cibi scaduti e le ceneri una volta a settimana, di praticare forme di auto-violenza e auto-lesionismo, compreso un giro di prostituzione. Dichiarazioni su indaga la procura di Avellino. Sono calunnie secondo padre Manelli, assistito dall’avvocato Enrico Tuccillo, che ha sporto denuncia contro queste suore. Le accuse contro Manelli sono contenute in un dossier che raccoglie tantissime testimonianze di religiosi dell’Istituto e parenti di suore e frati, un dossier raccolto dal commissario apostolico del Vaticano, padre Fidenzio Volpi, nominato nel 2013 dopo la sospensione di Manelli, e deceduto lo scorso giugno, consegnato, insieme ad un esposto, all’autorità giudiziaria. Queste testimonianze erano già note da mesi, nel luglio scorso una mamma di una suora francescana dell’Immacolata ha smentito queste accuse, sostenendo che la figlia non ha mai ricevuto alcun danno dal rapporto con padre Manelli, ma soltanto giovamento. Attualmente alla procura di Avellino pendono comunque due procedimenti: uno riguarda i presunti abusi subiti dai religiosi e descritti dai testimoni nel dossier (affidato dal procuratore Rosario Cantelmo alla pm Adriana Del Bene) e un altro relativo alla gestione dell’Istituto religioso che ha portato al sequestro di beni per 30 milioni di euro. Un sequestro annullato dal tribunale del Riesame su cui però pende un ricorso in Cassazione.
Il 05 novembre 2015 è emersa la testimonianza di una mamma di due suore, visibilmente disperata, che conferma le confessioni delle due ex religiose appartenenti all’ordine fondato da p. Stefano Manelli. Allo stesso tempo è venuto alla luce un decreto voluto da Papa Francesco con il quale dispensa i frati e le suore francescane dell’Immacolata da qualsiasi voto o promessa fatti a padre Stefano Maria Manelli o ad altre cariche dell’ordine religioso. Si legge: «In seguito a segnalazioni attendibili relative ad un voto privato o promessa emesso da alcuni religiosi e religiose di speciale obbedienza alla parola del fondatore, oltre il comune voto canonico di obbedienza ai superiori, questo Dicastero si è premurato di portare il problema a conoscenza del Santo Padre dal quale ha ricevuto il mandato ed ogni necessaria facoltà speciale di provvedere al riguardo. Pertanto, la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, compiendo tale mandato per il bene delle anime, dispensa tutti i membri religiosi dei frati francescani dell’Immacolata e delle suore francescane dell’Immacolata ed eventuali associati di questi istituti, dal voto privato (o promessa) di speciale obbedienza alla persona del fondatore. In conseguenza stabilisce che tale voto o promessa non possa più essere emesso in futuro né sotto la forma finora praticata, né sotto qualsiasi altra forma. Inoltre perde ogni valore, qualora esistesse, ogni documento nel quale in qualsiasi modo si faccia riferimento al voto o promessa qui in oggetto».
Il 19 novembre 2015 una mamma abruzzese di uno dei Frati dell’Immacolata ha raccontato a “Il Mattino” quanto accaduto a cavallo tra il 2002 e il 2003 a suo figlio: «Uscì dal convento di Frigento tutto pelle e ossa, con gli occhi cerchiati, deperito, lontano da me nel cuore e nell’anima. Sono riuscito a tirarlo fuori da lì con una tenacia infinita, solo dopo aver minacciato padre Stefano Manelli di chiamare i carabinieri e di denunciarlo per sequestro di persona, visto che per mesi mi hanno negato di sentirlo. Solo dopo mesi dalla sua uscita dal convento, mio figlio, che ora non vuole più parlare di questa storia, si è aperto con me, raccontandomi di sevizie e flagellazioni obbligatorie. Mangiava solo cibo avariato, pane ammuffito, acqua e qualche brodaglia. Da allora ha sempre avuto problemi ai reni. Persino il panettone gli davano ammuffito e se provavano a sputarlo lo dovevano ringoiare». La testimonianza si aggiunge a quelle decine di voci di ex religiose e genitori di suore raccolte nel dossier depositato dall’avvocato Giuseppe Sarno presso la Procura di Avellino e prima ancora consegnato al commissario apostolico dei Francescani dell’Immacolata, padre Fidenzio Volpi.
Il 16 gennaio 2016 una donna ha rivelato che suo figlio, Frà Piero, sarebbe stato costretto a entrare nell’ordine da padre Manelli, una volta entrato sarebbe stato costretto a ore di preghiera, mangiare cibi scaduti, telefonate controllate. Anche alcune suore hanno rivelato penitenze corporali e costrizione a mangiare cibi scaduti.
Il 14 luglio 2016 padre Stefano Manelli è stato iscritto nel registro degli indagati accusato di truffa e falso, oltre ad essere anche già indagato per i reati di violenza sessuale e maltrattamenti.
Il 30 settembre 2016 sono stati richiesti tre rinvii a giudizio per truffa e falso per padre Manelli.
Il 23 novembre 2016 è stata chiesta l’archiviazione per il procedimento penale a carico di padre Manelli rispetto alle presunte violenze che avrebbe inflitto a delle suore. Le dichiarazioni delle religiose (oggi ex) sono avvenute “troppo tardi”, i fatti denunciati sarebbero quindi caduti in prescrizione. Le accuse riguardano fatti avvenuti prima del 2009 e prevedono pene non superiori ai 6 anni di detenzione) Resta ancora sotto giudizio il presunto danno patrimoniale che il frate avrebbe causato all’istituto.
Il 20 gennaio 2017 padre Angelo Gaeta è stato aggredito mentre era nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. È uno dei principali accusatori di Padre Manelli, fondatore dell’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata. Secondo l’unico testimone dell’aggressione, Renzo Cerro avrebbe detto che agiva per conto di una setta e non ha fornito spiegazioni agli inquirenti che lo hanno tenuto sotto torchio per molte ore. Secondo alcuni ci sono elementi molto sospetti nella vicenda.
Il 01 febbraio 2017 il quotidiano Il Mattino ha rivelato un decreto che i commissari dell’Istituto dei Francescani dell’Immacolata della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata hanno consegnato a padre Manelli, firmato dal prefetto João Braz de Aviz, della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata. In esso l’intimazione di restituire tutti i beni alla Santa Sede, sotto accusa la sottrazione di beni ecclesiastici all’Istituto dei frati e delle suore dal saio grigio-celeste. Beni mobili e immobili, per 30 milioni.
Il 06 febbraio 2017 Loredana Volpi, nipote di padre Fidenzio Volpi, e Mario Castellano, consulente giuridico del francescano, hanno presentato un libro in cui chiedono verità sulla sua morte misteriosa. Essi rivelano che padre Volpi scoprì una realtà inquietante: l’istituto veniva usato come cassaforte e prestanome dalla camorra. Secondo una perizia sul corpo defunto di padre Volpi, commissionata dai familiari, inoltre, è stata trovata una presenza anomala di arsenico nel corpo e i dati emersi dalle cartelle cliniche sono compatibili con l’ipotesi di avvelenamento. Risultano ancora in corso i procedimenti penali riguardanti le morti sospette di religiosi, suore e benefattrici dell’ordine, sepolti nella cripta della chiesa annessa al convento di Frigento, e riguardanti i reati di truffa aggravata e falso ideologico imputati ad alcuni anteriori dirigenti dei Francescani dell’Immacolata per le modifiche introdotte negli statuti delle associazioni cui erano intestati i loro beni.
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26. VESCOVI E CARDINALI “CONSERVATORI” CONTRO FRANCESCO?
Secondo il progetto mediatico l’ordine, come già detto, è dipingere un Papa progressista che viene ostacolato dalla Chiesa conservatrice e anacronistica, incapace di apertura e modernizzazione. Oltre alle presunte “aperture” di Francesco i vaticanisti fanno a gare per ricordare la fatica di Francesco a far passare il suo messaggio ai pigri vescovi e cardinali.
Ad esempio il teologo Hans Küng ha sostenuto che Francesco non cambia la dottrina cattolica perché evidentemente «subisce le pressioni della congregazione della dottrina della fede e del suo prefetto, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller». Così ritorna l’equazione: «il Papa vorrebbe andare avanti – il “prefetto della fede” frena».
Al di là del fatto che non è possibile che tutti siano d’accordo con tutte le parole del Papa, questo è accaduto con tutti i pontificati. Benedetto XVI non era molto amato dai vescovi e cardinali tedeschi, molto progressisti e anche Giovanni Paolo II aveva i suoi problemi a far accettare la linea di governo. Non ci sarebbe nulla di strano, anzi più volte Francesco ha ringraziato per la franchezza con cui gli vengono esposte obiezioni, tuttavia vorremmo far notare che non c’è nessun “freno” attivo al pontificato di Francesco da parte di nessuno. Così come non esiste una Curia piena di vipere e incompetenti, pigri e spendaccioni monsignori.
Di seguito in ordine cronologico vari esempi dell’inesistenza della frangia di dissidenti conservatori inventata dal mondo mediatico:
Il 28 luglio 2013 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno da Rio de Janeiro, Papa Francesco ha affermato riguardo alla Curia: «Rispetto ai santi, questo è vero, ce ne sono, santi: cardinali, preti, vescovi, suore, laici; gente che prega, gente che lavora tanto, e anche che va dai poveri, di nascosto. Io so di alcuni che si preoccupano di dare da mangiare ai poveri o poi, nel tempo libero, vanno a fare ministero in una chiesa o in un’altra… Sono preti. Ci sono santi in Curia. E anche c’è qualcuno che non è tanto santo, e questi sono quelli che fanno più rumore. Voi sapete che fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. E questo a me fa dolore quando ci sono queste cose. Ma ci sono alcuni che danno scandalo, alcuni. Una cosa – questo non l’ho mai detto, ma me ne sono accorto – credo che la Curia sia un poco calata dal livello che aveva un tempo, di quei vecchi curiali… il profilo del vecchio curiale, fedele, che faceva il suo lavoro. Se trovo resistenza? Mah! Se c’è resistenza, ancora io non l’ho vista. E’ vero che non ho fatto tante cose, ma si può parlare che sì, io ho trovato aiuto, e anche ho trovato gente leale. Per esempio, a me piace quando una persona mi dice: “Io non sono d’accordo”, e questo l’ho trovato. “Ma questo non lo vedo, non sono d’accordo: io lo dico, Lei faccia”. Questo è un vero collaboratore. E questo l’ho trovato, in Curia. E questo è buono. Ma quando ci sono quelli che dicono: “Ah, che bello, che bello, che bello”, e poi dicono il contrario dall’altra parte… Ancora non me ne sono accorto. Forse sì, ci sono alcuni, ma non me ne sono accorto. La resistenza: in quattro mesi non si può trovare tanto […]. Le persone, le persone, le persone buone che ho trovato. Ho trovato tante persone buone in Vaticano. Tante persone buone, tante persone buone, ma buone buone buone!».
Il 22 dicembre 2013 il card. Gerhard Ludwig Müller, fedelissimo di Ratzinger e suo successore alla Congregazione per la Dottrina della fede ha affermato: «la rinuncia di Benedetto XVI è stata sorprendente, un caso assolutamente nuovo: ha detto che gli mancavano le forze per adempiere a questo grande compito, tanto più gravoso nel tempo della globalizzazione delle informazioni. Ha deciso perché si potesse eleggere il nuovo Papa, e adesso Francesco è “il” Papa. Ratzinger è come un Padre della Chiesa e il suo pensiero resterà, Francesco lo richiama spesso anche per sottolineare la continuità teologica. Ma il Papa può essere solo una persona, non un collettivo. Non ce ne sono due. È il fondamento e principio permanente dell’unità della Chiesa. Eletto dai cardinali ma istituito dallo Spirito Santo».
Il 5 marzo 2014 Papa Francesco ha affermato al “Corriere della Sera” che durante il Concistorio «il cardinale Kasper ha fatto una bellissima e profonda presentazione, che sarà presto pubblicata in tedesco, e ha affrontato cinque punti, il quinto era quello dei secondi matrimoni. Mi sarei preoccupato se nel Concistoro non vi fosse stata una discussione intensa, non sarebbe servito a nulla. I cardinali sapevano che potevano dire quello che volevano, e hanno presentato molti punti di vista distinti, che arricchiscono. I confronti fraterni e aperti fanno crescere il pensiero teologico e pastorale. Di questo non ho timore, anzi lo cerco».
Il 05 dicembre 2014 il card. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, ha risposto a chi lo definisce un avversario di papa Francesco: «Scusatemi la battuta: avrei avuto più piacere che si dicesse che l’Arcivescovo di Bologna ha un’amante piuttosto che si dicesse che ha un pensiero contrario a quello del Papa. Perché se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi. Perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita eterna dei fedeli. Io sono nato papista, sono vissuto da papista e voglio morire da papista!».
Il 18 ottobre 2014 nel discorso per la conclusione dell’Assemblea generale straordinaria del Sinodo sulla Famiglia, Francesco ha affermato a proposito dei diversi punti di vista che si sono verificati: «Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni; questo movimento degli spiriti, come lo chiamava Sant’Ignazio (EE, 6) se tutti fossero stati d’accordo o taciturni in una falsa e quietista pace […]. Tanti commentatori, o gente che parla, hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio dove una parte è contro l’altra, dubitando perfino dello Spirito Santo, il vero promotore e garante dell’unità e dell’armonia nella Chiesa. Lo Spirito Santo che lungo la storia ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi Ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori».
Il 13 novembre 2014 il vaticanista Sandro Magister ha parlato di presunti cardinali in difficoltà nei confronti di Francesco. Tra di essi ci sarebbe quello di Bologna, Angelo Cafarra. Peccato che proprio un mese prima il ratzingeriano card. Cafarra, rispondendo a chi lo accusava di essere contro a Francesco, abbia risposto: «Scusatemi la battuta: avrei avuto più piacere che si dicesse che l’Arcivescovo di Bologna ha un’amante piuttosto che si dicesse che ha un pensiero contrario a quello del Papa. Perché se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi. Perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita eterna dei fedeli». Essere considerato contro il Pontefice argentino «è una cosa che mi ha profondamente amareggiato, perché è calunniosa. Io sono nato papista sono vissuto da papista e voglio morire da papista!».
Il 22 dicembre 2014 il vaticanista del “Corriere della Sera”, Gian Guido Vecchi, ha scritto un articolo entusiasta per le «quindici “malattie” della Curia» che Papa Francesco ha elencato durante il discorso per gli auguri di Natale alla Curia romana. Sorprendentemente il giornalista non ha citato il finale, dove Francesco ricorda che «tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a livello individuale sia comunitario […]. Una volta ho letto che i sacerdoti sono come gli aerei: fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro». Il quotidiano “Avvenire”, al contrario, non ha disinformato e non ha censurato la parte finale, oltretutto citando le parole in cui il Papa premette: «Desidero insieme a voi elevare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno che ci sta lasciando», per «tutto il bene che Egli ha voluto generosamente compiere attraverso il servizio della Santa Sede».
Il 7 dicembre 2014, nell’intervista per “La Nacion”, il Pontefice ha spiegato di ritenere «le resistenze come punti di vista diversi, non come una cosa sporca. Hanno a che vedere con le decisioni che prendo, questo sì. È chiaro che ci sono decisioni che toccano alcuni aspetti economici, altre più pastorali… Non sono preoccupato, mi sembra tutto normale, sarebbe anormale che non ci fossero punti di vista divergenti. Sarebbe anormale che non emergesse nulla».
Il 22 dicembre 2014 il vaticanista di “Europa”, Aldo Maria Valli ha citato le solite fonti anonime interne al Vaticano che confiderebbero i segreti ai giornalisti: «Le resistenze però non mancano. Pochi giorni fa un cardinale ci confidava che all’interno di dicasteri e consigli molti responsabili non vogliono perdere il potere di cui godono né vedere le proprie competenze aggregate a quelle di altri. La difesa del proprio “orto” è a volte strenua e per il papa la battaglia è dura, così come lo è quella per la trasparenza economica e finanziaria di tutti gli uffici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano». Alle fonti anonime, si sa, si può far dire qualunque cosa, anche che il vaticanista Valli non ha alcuna fonte.
Il 6 gennaio 2015 il vaticanista de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Politi, ha insistito sulla tesi di Papa Francesco sarebbe ostacolato dalla gerarchia cattolica tradizionalista. Lo ha fatto citando, anche lui, le sue solite fonti anonime che farebbero dire a Bergoglio frasi come “a me non mi cambiano!”. Compare la solita mitologia del Papa che si serve da solo alla mensa (mentre Francesco aveva chiesto di interrompere questa forma di baciapilismo clericale, perché risultava offensiva).
Il 15 gennaio 2015 durante la conferenza stampa nel viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha spiegato il suo modo di lavorare e di scrivere le encicliche: «la prima bozza l’ha fatta il cardinale Turkson con la sua équipe. Poi io con l’aiuto di alcuni ho preso questa e ci ho lavorato. Poi con alcuni teologi ho fatto una terza bozza e ho inviato una copia alla Congregazione per la Dottrina della Fede, alla Seconda Sezione della Segreteria di Stato e al Teologo della Casa Pontificia, perché studiassero bene che io non dicessi “stupidaggini”. Tre settimane fa ho ricevuto le risposte, alcune grosse così, ma tutte costruttive. E adesso mi prenderò una settimana di marzo, intera, per finirla».
Il 4 febbraio 2015 il ratzingeriano cardinale e arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ha affermato: «Il coraggio che il Papa dimostra è, invece, quello di dire che l’economia ci riguarda, mi riguarda, tanto che l’intervista rappresenta la silhouette intera del Pontefice e di un papato che tocca tutti gli argomenti con un umanesimo realista, partendo dalla radici dell’uomo, dalle relazioni di base, denunciando la dimenticanza del principio della destinazione universale dei beni che spesso anche i cattolici hanno smarrito […]. Non a caso la provvidenza sceglie l’uomo che guida la Chiesa».
Il 7 febbraio 2015 il ratzingeriano card. Gerhard Müller, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, in un articolo sull’“Osservatore Romano” ha sottolineato la continuità tra i due Papi: «Benedetto XVI ha parlato della necessità di una Ent-Weltlichung della Chiesa, cioè di una sua liberazione da forme di mondanità. Papa Francesco ha decisamente continuato questo pensiero parlando della Chiesa povera e per i poveri», ricordando che «solo nella fede riusciamo a capire che il Papa e i vescovi godono di una potestà sacramentale e mediatrice della salvezza che ci collega con Dio». E ancora: «La Chiesa è il corpo di Cristo, è guidata e rappresentata dal collegio dei vescovi cum et sub Petro. Il Papa, rendendo visibile l’unità e l’indivisibilità dell’episcopato e della Chiesa intera, presiede nel contempo alla Chiesa locale di Roma». Ha quindi concluso: «Papa Francesco sta perseguendo una spirituale purificazione del tempio, nello stesso tempo dolorosa e liberatrice, allo scopo di far risplendere nella Chiesa la gloria di Dio, luce di tutti gli uomini. Ricordando allora, come i discepoli del Signore, la parola della Scrittura “lo zelo per la tua casa mi divora” (Giovanni, 2, 17), comprenderemo l’obiettivo della riforma della Curia e della Chiesa». Ricordiamo che Antonio Socci ha definito il card. Müller il «difensore della retta dottrina cattolica e del popolo di Dio».
Il 22 febbraio 2015 il responsabile di “Comunione e Liberazione”, don Julian Carron, ha affermato: «Noi con Papa Francesco sentiamo una sintonia totale per la sua insistenza sull’essenziale, sul guardare Cristo, insieme al desiderio della missione di andar fuori, perche’ noi dall’inizio delle nostra storia siamo stati sempre negli ambienti, nelle periferie, nelle universita’ piuttosto che nel mondo del lavoro, nelle borgate della citta’, rispondendo ai bisogni. Sentiamo da tutti i punti di vista una grandissima sintonia con Papa Francesco».
Il 4 marzo 2015 il cardinale guineano Robert Sarah, nominato recentemente proprio da Papa Francesco nuovo prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, ha criticato coloro che si oppongono a Francesco: «Cosa pensare di un figlio o di una figlia che critica pubblicamente il padre o la madre? Come potrebbe la gente rispettare quella persona? Il Papa è nostro padre. Gli dobbiamo rispetto, affetto e fiducia (anche se le critiche non sembrano dargli fastidio). Per via di certi scritti o di certe dichiarazioni, alcuni potrebbero avere l’impressione che egli potrebbe non rispettare la dottrina. Personalmente, ho piena fiducia in lui ed esorto ogni cristiano a fare lo stesso». E ancora: «Bisogna stare tranquilli perché nella barca che il Papa guida, c’è anche Gesù, Colui che ha detto a Pietro: “Ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32). Un conclave è un’azione di Dio, è Dio che dà un papa alla Chiesa. Dio ci ha dato Francesco per guidare la Chiesa oggi». Ricordiamo che quando è stato nominato il card. Sarah il vaticanista Matteo Matzuzzi ha commentato: «il mondo tradizionalista può tirare un sospiro di sollievo, ricordando come Sarah sia uno dei porporati che più sostengono l’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum»».
Il 04 ottobre 2015 il card. Camillo Ruini, considerato dai media il leader degli ecclesiastici conservatori e ratzingeriani in Curia, ha risposto in un’intervista chiarendo il famoso “chi sono io per giudicare un omosessuale?”: «Questa è forse la parola più equivocata di papa Francesco. Si tratta di un precetto evangelico — non giudicare se non vuoi essere giudicato — che dobbiamo applicare a tutti, omosessuali evidentemente compresi, e che ci chiede di avere rispetto e amore per tutti. Ma papa Francesco si è espresso più volte chiaramente e negativamente sul matrimonio tra persone dello stesso sesso». Ha aggiunto: «Non ho difficoltà a riconoscere che tra papa Francesco e i suoi predecessori più vicini ci sono differenze, anche notevoli. Io ho collaborato per vent’anni con Giovanni Paolo II, poi più brevemente con papa Benedetto: è naturale che condivida la loro sensibilità. Ma vorrei aggiungere alcune cose. Gli elementi di continuità sono molto più grandi e importanti delle differenze. E fin da quando ero uno studente liceale ho imparato a vedere nel Papa prima la missione di successore di Pietro, e solo dopo la singola persona; e ad aderire con il cuore, oltre che con le parole e le azioni, al Papa così inteso. Quando Giovanni XXIII è succeduto a Pio XII, i cambiamenti non sono stati meno grandi; ma già allora il mio atteggiamento fu questo. Bisogna essere ciechi per non vedere l’enorme bene che papa Francesco sta facendo alla Chiesa e alla diffusione del Vangelo».
Il 21 novembre 2015 il card. Robert Sarah, pupillo del mondo tradizionalista, ha parlato della visita di Papa Francesco in Uganda, affermando: «Visiterà l’Uganda dove ci sono stati i primi martiri cristiani. Io spero che il suo messaggio rafforzi la fede, incoraggi anche a morire per la fede: ci sono tanti – in Egitto, in Nigeria – che muoiono per la fede. Io penso che la sua visita sarà un incoraggiamento per tutta l’Africa a restare fedele a Cristo».
Il 28 novembre 2015 il card. Robert Sarah, pupillo del mondo tradizionalista, ha commentato così la visita di Papa Francesco in Africa: ««Il pastore sta sempre con le pecore, soprattutto quando sono in pericolo. È un segno di amore pastorale, un segno di premura e di paternità. È un grande privilegio che offre agli africani: l’opportunità di entrare nella grazia della misericordia di Dio. È un appello a imboccare la strada della conversione al Vangelo che conduce alla vita piena con Dio. Varcare la soglia della porta santa non è un puro rito religioso magico, ma è entrare nella vita intima di Dio. Gesù stesso ha detto: “Io sono la porta delle pecore”. Attraverso la porta che è Cristo ogni uomo entra in rapporto intimo con il Padre. Il gesto del Papa è un invito ad accogliere Cristo nella vita».
Il 10 dicembre 2015 il card. Camillo Ruini ha affermato: «Sinceramente non vedo dicotomie tra i due pontificati (di Francesco e Benedetto XVI, nda), ma delle differenze che sono fisiologiche: ogni Papa ha una sua sensibilità e una sua storia, e proprio così porta il suo personale contributo».
Il 14 dicembre 2015 il card. Camillo Ruini ha detto in un’intervista a proposito di presunte contrapposizioni tra vescovi conservatori e il Papa: «Le contrapposizioni non fanno bene, specialmente all’interno della Chiesa. Quella tra Papa e vescovi è però una leggenda metropolitana». Ha quindi respinto l’opinione secondo cui se si rifacesse il Conclave Francesco non verrebbe rieletto: «E’ un’opinione che lascio volentieri» a chi la promuove. «Il valore di Papa Benedetto XVI e del suo pontificato emergerà sempre di più, nel tempo. I rapporti tra lui e papa Francesco dimostrano quanto sia sbagliato contrapporli». Continua Borghesi: «il papa diviene, in una polemica insistita, quotidiana, patologica, il “capro espiatorio” di tutti i mali del cattolicesimo odierno, la vittima che deve essere immolata perché la Chiesa torni ad essere unita e forte. Come bene ha scritto Enzo Bianchi: “nessuna illusione: più il papa percorre questa strada e più scatenerà le forze demoniache operanti nella storia e il risultato per i veri credenti sarà l’apparire della croce di Cristo. Non è vero che nella chiesa si starà meglio, è vero il contrario: la chiesa infatti può solo seguire Gesù anche nel rigetto sofferto e nella persecuzione e non potrà ottenere successi mondani se incarna il messaggio del suo Signore” (“Da mille anni nessuno parlava così”, La Stampa, 23 dicembre 2014)».
Il 01 gennaio 2016 il filosofo Massimo Borghesi ha ricordato come i tradizionalisti anti-Bergoglio (come Roberto De Mattei e Sandro Magister) erano gli stessi che colpivano Benedetto XVI: «La posizione dei tradizionalisti, degli stessi che, regnante Benedetto, dubitavano della sua perfetta ortodossia. Soprattutto dopo l’incontro di Assisi del 27 ottobre 2011 con cristiani di altre confessioni e credenti di altre religioni. Come scriveva allora Sandro Magister nel suo articolo dell’8 ottobre 2011 “I grandi delusi di papa Benedetto”: “In questi ultimi tempi, nel campo cattolico tradizionalista, le critiche contro papa Ratzinger non sono diminuite ma cresciute d’intensità. E riflettono una crescente delusione rispetto alle attese inizialmente riposte nell’azione restauratrice dell’attuale pontificato. Le critiche di alcuni tradizionalisti si concentrano in particolare su come Benedetto XVI interpreta il Concilio Vaticano II e il postconcilio. Il papa sbaglia — a loro giudizio — quando limita la sua critica alle degenerazioni del postconcilio. Il Vaticano II, infatti — sempre a loro giudizio —, non è stato solo male interpretato e applicato: fu esso stesso portatore di errori, il primo dei quali fu la rinuncia delle autorità della Chiesa ad esercitare, quando necessario, un magistero di definizione e di condanna; la rinuncia, cioè, all’anatema, a vantaggio del dialogo”. Tra questi critici Magister citava Roberto de Mattei, Brunero Gherardini, Enrico Maria Radaelli e numerosi cardinali e vescovi. E’ lo stesso mondo che ora, immemore delle critiche del passato, strumentalizza Benedetto contro Bergoglio. E’ lo stesso mondo che pone in opposizione Giovanni Paolo II a Francesco».
Il 29 febbraio 2016 il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha affermato che il «magistero di Papa Bergoglio, che non è affatto «rivoluzionario, ma si muove sulla linea dei suoi predecessori. L’originalità è il suo carisma, grazie al quale riesce a rompere i blocchi delle persone e le posizioni indurite». Lo ha definito: «semplicemente geniale».
Il 04 maggio 2016 l’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri, stimatissimo dal mondo tradizionalista, ha spiegato: «Il Papa non ha bisogno di essere adulato e non ha bisogno di essere contestato. Io ho detto al mio clero in questi anni: il Papa non lo si adula e non lo si contesta, lo si segue. E seguire implica mettere i nostri passi nei suoi, tentando di immedesimarci nel suo cammino e di confrontarlo con la nostra vita».
Il 06 maggio 2016 il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha affermato: «All’inizio del suo pontificato, abbiamo parlato con Papa Francesco, osservando che durante i pontificati precedenti la stampa ha accusato la Chiesa di parlare solo di sessualità, di aborto e di questi problemi. Per questo abbiamo deciso, con Francesco, di parlare sempre, sempre, sempre in positivo. Se si guardano i testi completi di Papa Francesco, compare l’ideologia di genere, l’aborto…sì, appaiono ancora questi problemi, ma ci concentriamo sul positivo. Penso che possiamo tutti vedere, dalla reazione della stampa, che oggi ci sia meno aggressione contro la Chiesa. Non sono diventati tutti cattolici, chiaramente, ma almeno parlano di altre cose».
Il 03 luglio 2016 il card. Angelo Scola ha dichiarato: «Conoscevo Bergoglio da prima, abbiamo lavorato insieme in diverse congregazioni. È un solido figlio di sant’Ignazio. Certo ogni Papa ha il suo stile. Lo stile di Francesco risulta a noi europei — non possiamo nascondercelo — stimolante fino al provocatorio: uno stile molto impostato sui gesti. Il Papa non percorre strade clericali, dice quello che pensa e colpisce perché è uno che si gioca in prima persona, cioè si coinvolge con il Vangelo che annuncia e per questo risulta assai convincente. E’ vero che alcuni provano disagio. Mi pare che il Papa voglia superare una riduzione “dottrinalistica” della proposta cristiana. È un’esigenza che molta buona teologia ha già formulato da anni. Penso, per citare personalità con cui ho avuto il dono di collaborare, a De Lubac, Balthasar, Ratzinger: la Rivelazione è Gesù Cristo, Verità vivente e personale. Il Papa parte dall’esperienza. La sua è una sensibilità teologico-culturale ancorata alla dottrina, tipica di un cristianesimo di popolo che si è trovato di fronte problematiche antropologiche, sociali ed ecologiche enormi. Si può capire la fatica di persone che amano la Chiesa, ma che sanno bene che, per il cattolico, il Papa è il Papa e sottolineano l’importanza di ribadire formulazioni dottrinali esplicite. Altro è il discorso di chi parla senza avere una coscienza adeguata del ministero del successore di Pietro!».
Il 22 settembre 2016 il card. Camillo Ruini ha affermato: «Papa Francesco è un uomo di profonda fede, che spende tutto se stesso. Il bene che fa alla Chiesa, e all’umanità, è sotto gli occhi di tutti: non vederlo significa essere prigionieri delle proprie idee e anche dei propri pregiudizi. Personalmente prego il Signore perché l’indispensabile ricerca delle pecore smarrite non metta in difficoltà le coscienze delle pecore fedeli».
Il 09 gennaio 2017 il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (e ritenuto da Antonio Socci «il difensore della retta dottrina cattolica e del popolo di Dio») è intervenuto durante il programma “Stanze Vaticane” di Tgcom24 in difesa dell’Amoris Laetitia, prendendo le distanze dai dubia e dalla paventata “correzione formale” che il card. Raymond Leo Burke intenderebbe promuovere verso di essa: «una possibile correzione fraterna del Papa mi sembra molto lontana, non è possibile in questo momento perché non si tratta di un pericolo per la fede, come San Tommaso ha detto. “Amoris Laetitia” è molto chiara nella sua dottrina e possiamo interpretare tutta la dottrina di Gesù sul matrimonio, tutta la dottrina della Chiesa in 2000 anni di storia. I cardinali hanno il diritto di scrivere una lettera al Papa. Mi sono stupito perché questa però è diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no. Questo non mi piace. E’ un danno per la Chiesa discutere di queste cose pubblicamente».
Il 06 febbraio 2017 il card. Camillo Ruini e il card. Marc Ouellet, due stretti amici e collaboratori di Papa Benedetto XVI, sono intervenuti contro i manifesti anonimi comparsi per le vie di Roma contro Papa Francesco. «Manifesti che non rispecchiano per nulla il sentire dei romani, della gente», secondo il card. Ruini. «Metodi che non si devono usare nella Chiesa, sono piuttosto opera del diavolo che vuole dividerci» per Ouellet.
Il 07 febbraio 2017 padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione Ratzinger ed ex portavoce di Benedetto XVI e di Papa Francesco, ha affermato: «In Francesco c’è anche una grossa componente sostanziale di comprensione della sua vicinanza alla gente e alla vita, una vicinanza piena di attenzione e misericordia. Questo messaggio l’ha innestato nel giubileo, ma l’ha detto fin dai primi giorni di pontificato: cioè che Dio ti ama, ama tutti, è misericordioso, è padre. La gente comune è contenta di lui che abbraccia un malato spaventoso e dice: questo è l’amore cristiano… Francesco lo fa con una fisicità e una spontaneità straordinarie… E poi elimina papamobili e blindati, e questo la gente lo capisce. Come qualità individuale non penso sia molto diverso dagli altri papi, ma come efficacia di manifestazione per un popolo Francesco è straordinario. Il pericolo principale, per me, è una concentrazione eccessiva sulla figura del papa. Concentrazione che lui non vuole: lui dice “viva Gesù”, non “viva il papa”. Ma il papa è dappertutto e il resto delle dimensioni della chiesa rischiano di essere un po’ ombreggiate. Illuminate da lui ma ombreggiate. Francesco vuole portare la chiesa a uno stile nuovo; ma la logica dei media non facilita davvero questo cambiamento, portando l’attenzione sempre sul picco di visibilità».
L’08 febbraio 2017 il più importante e famoso missionario italiano, padre Piero Gheddo del Pime di Milano, è intervenuto scrivendo: «Lo Spirito Santo ha preso Jorge Mario Bergoglio “dalla fine del mondo” e l’ha portato ad essere il vescovo di Roma, quasi come una sfida al nostro modo di concepire la parrocchia, la pastorale e la vita cristiana. La svolta radicale che il Papa argentino sta dando alla Chiesa è la missione universale, la passione missionaria di annunziare Cristo alle sterminate schiere di quelli che ancora lo attendono (ad gentes!) e di altri che non credono più. La vita ecclesiale, come la vive Papa Francesco, è tutta impostata per la missione. Si deve uscire da se stessi, andare verso la periferia non solo territoriale ma esistenziale, verso gli ultimi, i non credenti e non praticanti, ecc. Non entro nel merito di questi “incidenti”, che suscitano” dubbi”, resistenze, contrarietà. Tutto va inquadrato in una visione storica, per capire quanto la Chiesa di Cristo è cambiata, incarnandosi nei vari tempi e culture, per portare a tutti la salvezza in Cristo Gesù. Tutti noi, credenti in Cristo, siamo impegnati, per fede, ad amare e seguire Papa Francesco e ad accompagnarlo con la preghiera, la carità e la “tensione missionaria” verso gli ultimi, i lontani, le pecorelle smarrite. Se non si legge la “Evangelii Gaudium”, non si capisce Papa Francesco. Francesco è animato dalla passione missionaria, vuole convertire il mondo a Cristo».
L’10 febbraio 2017 padre Federico Lombardi, ex direttore della Sala stampa vaticana sotto a Benedetto XVI e attuale presidente della Fondazione Ratzinger, ha testimoniato il rapporto di fratellanza tra Benedetto XVI e Francesco, aggiungendo che quest’ultimo ha rivoluzionato lo stile comunicativo: «Francesco lo fa con una fisicità e una spontaneità straordinarie. E poi elimina papamobili e blindati, e questo la gente lo capisce. Come qualità individuale non penso sia molto diverso dagli altri papi, ma come efficacia di manifestazione per un popolo Francesco è straordinario».
Il 26 febbraio 2017 il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller, è intervenuto nuovamente affermando: «Tutti i cardinali hanno studiato teologia, conoscono la dottrina del papato e dell’episcopato. Siamo sacerdoti competenti che conoscono bene la missione del Papa, la sua importanza per tutti. Viviamo una collegialità affettiva ed effettiva con Francesco. Purtroppo alcuni media notano di più le legittime diversità di opinione e non la grande armonia. Il Papa è il 266esimo successore di Pietro, e ognuno, lui compreso, ha una sua storia. Questa individualità è la forma nella quale ognuno compie la sua missione. Francesco ha la particolarità di venire da un continente non europeo. Questa sua differenza è preziosa per noi». Il cardinale ha voluto anche dissociarsi dai giornalisti critici di Francesco: «Sono piccole fazioni di destra e di sinistra che litigano fra di loro usando me e il Papa. Sono posizioni ideologiche che non condivido in nulla. Fra l’altro, fra non molto, uscirà proprio un mio libro sul Papa e sul papato… Tutti serviamo l’opera del Papa. Lavoriamo insieme per servire la sua missione».
Il 05 marzo 2017 il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller, ha dichiarato: «Penso che si dovrebbe mettere fine a questo cliché, l’idea che ci sia da un lato un Papa che vuole la riforma e dell’altro un gruppo di resistenti che vorrebbero bloccarla. Fa parte della nostra fede cattolica e dell’ethos del lavoro della Curia romana di sostenere la missione universale del Papa, a lui è affidata da Gesù Cristo».
Il 09 marzo 2017 il gesuita progressista Thomas Reese, sul National Catholic Reporter, ha commentato: «Papa Francesco sta permettendo una discussione aperta e un dibattito nella chiesa. Ironia della sorte, i conservatori che hanno attaccato i progressisti come dissidenti sotto i papati precedenti sono diventati dissidenti nell’insegnamento di papa Francesco».
Il 13 marzo 2017 il decano dei vaticanisti, Gian Franco Svidercoschi, biografo ufficiale di Giovanni Paolo II e suo collaboratore dal 1996, ha riletto in modo apertamente positivo i primi quattro anni di pontificato di Francesco.
Il 25 marzo 2017 il ratzingeriano card. Angelo Scola ha detto in seguito alla visita pastorale di Francesco alla città di Milano: «Il milione di persone radunato per la Messa a Monza, le oltre 500mila nelle celebrazioni milanesi e lungo i 100 chilometri percorsi da papa Francesco nella sua giornata dicono dell’amore della gente per questo Pontefice. Il popolo lo vuole vedere perché riconosce in Francesco un uomo costruttivo, riuscito. La questione è domandarsi da dove venga questa riuscita – continua Scola -. Proviene certamente dalla sua fede in Gesù, una fede concepita in termini incarnati, dentro la vita. Da qui nasce questo linguaggio della mente, del cuore e delle mani. Francesco comunica in termini estremamente familiari anche le realtà più importanti, come abbiamo ascoltato in queste sue 11 ore nelle terre ambrosiane».
Il 26 marzo 2017 l’opinionista cattolico Gianni Valente ha fatto notare come anche Paolo Vi venisse bersagliato da gruppi della destra cattolica allo stesso modo di Francesco: “marxismo riscaldato”, “venduto ai comunisti”. Il quotidiano romano Il Tempo, che oggi combatte il Papa attraverso la firma dell’ortodosso Alessandro Meluzzi, accusò così Paolo VI: «pastorale della predicazione sostituita dalla spada o scimitarra dell’azione insurrezionale o guerrigliera». Sostenendo che «la tesi della divisione del mondo in Paesi settentrionali industrializzati, imperialisti, egoisti, sfruttatori e in Paesi meridionali arretrati, sfruttati e contadini, è propria di Mao e della Cina Popolare». In ogni caso – aggiungeva il quotidiano romano – non c’era da preoccuparsi, perché nonostante le parole del Papa «larghissimi settori, autorevoli e potenti, della Chiesa cattolica militano dalla parte del profitto, possibilmente assoluti e esclusivi, dalla parte del mondo industrializzato e progredito».
Il 01 aprile 2017 mons. Slawomir Oder, postulatore della causa di canonizzazione di Papa Wojtyla, ha dichiarato: «Il messaggio centrale della Chiesa, che Papa Francesco continua a interpretare, secondo il suo proprio carisma e arricchendolo con la propria esperienza, sapienza e santità. Il grido che abbiamo sentito all’inizio del pontificato del Papa polacco – ‘Non abbiate paura. Aprite le vostre porte a Cristo’ -, oggi nella Chiesa guidata da Papa Francesco lo sentiamo costantemente come un invito all’autenticità della vita e dello spirito cristiano e a riconoscere la presenza di Cristo nella Chiesa e nei nostri fratelli che vivono nelle difficoltà».
Il 29 aprile 2017 il decano dei vaticanisti, Gian Franco Svidercoschi, biografo ufficiale di Giovanni Paolo II e suo collaboratore dal 1996, ha affermato: «Senza salire come spesso accade, sul carro degli adulatori, dico che Bergoglio va esaminato senza pregiudizi di natursa positiva o negativa. Lo ritengo, sia pur con sfumature diverse e un linguaggio differente, in linea con i predecessori. Esiste chi esalta Bergoglio a prescindere, qualunque cosa dica o faccia e questo mi pare imbarazzante forse anche per il Papa. Ma ci sta anche chi lo critica a priori e neppure questo mi sembra utile».
Il 01 novembre 2017 il teologo Thomas G. Weinandy ha scritto una lettera aperta a Papa Francesco accusandolo di essere la causa del disordine in cui vivrebbe la Chiesa. La conferenza episcopale statunitense, lo stesso giorno, ha pubblicato un comunicato in cui annuncia che padre Thomas Weinandy, si è dimesso immediatamente dalla sua posizione di consulente. I vaticanisti tradizionalisti hanno parlato di “purga” di Weinandy da parte dei vescovi statunitensi, dimenticandosi che fino al giorno prima inneggiavano agli stessi vescovi come “illuminati conservatori”. La guida della conferenza episcopale statunitense è il card. Daniel DiNardo, creato tale da Benedetto XVI e noto critico di Barack Obama.
L’11 novembre 2017 una delle veggenti di Medjugorje (fenomeno mariano molto apprezzato anche in ambito conservatore), Mirjana, ha affermato: «Io voglio dire una cosa, che ho nel cuore: io sento tanti pellegrini che dicono che Papa Giovanni Paolo II era bravo, che Papa Benedetto lo era meno, che Papa Francesco non piace. A me fa male questo, perché il Papa è il Papa, il nostro Papa, ed è nostro dovere pregare per lui, per tutto quello che ha sulle spalle e noi non sappiamo. Noi sappiamo solo giudicare, non pregare e aiutarlo con la preghiera. Io credo, con tuo il cuore, che lo Spirito Santo ci dia sempre il Papa di cui abbiamo bisogno. Quando c’era bisogno di un Papa come Giovanni Paolo II, lui era il Papa; quando c’era bisogno di un Papa come Benedetto XVI, il Papa era lui. Adesso c’è bisogno di Papa Francesco! Noi dobbiamo pregare, non commentare, come siamo abituati a fare, perché pensiamo di sapere tutto. Ma noi non sappiamo niente!».
Il 02 gennaio 2018 l’agguerrito critico di Francesco, mons. Antonio Livi, si è scagliato anche contro la teologia di Benedetto XVI. Livi afferma: «l’egemonia (prima di fatto e poi di diritto) della teologia progressista nelle strutture di magistero e di governo della Chiesa cattolica si deve anche e forse soprattutto agli insegnamenti di Joseph Ratzinger professore, che mai sono stati negati e nemmeno superati da Joseph Ratzinger vescovo, cardinale e papa […]. La teologia di oggi, secondo Ratzinger, non riesce a parlare della fede se non in termini ambigui e contraddittori».
L’08 gennaio 2018 mons. Luigi Negri ha respinto le accuse ricevute da Francesco di essere un portabandiera del pensiero unico: «Papa Francesco viene strumentalizzato dal pensiero dominante e la sua denuncia iniziale sta perdendo forza […]. Se la cristianità è debole, non è in grado di capire le parole del Papa». Ha anche condiviso il pensiero del Papa sul tema immigratorio: «Il Papa ha la funzione importante e straordinariamente efficace di farci superare la paura del diverso e farci considerare l’apertura come dimensione necessaria della vita cristiana».
Il 15 febbraio 2018 Papa Francesco ha risposto ad una domanda sul come giudica la persecuzione mediatica di esponenti del tradizionalismo cattolico: «Per salute mentale io non leggo i siti internet di questa cosiddetta “resistenza”. So chi sono, conosco i gruppi, ma non li leggo, semplicemente per mia salute mentale… Alcune resistenze vengono da persone che credono di possedere la vera dottrina e ti accusano di essere eretico. Quando in queste persone, per quel che dicono o scrivono, non trovo bontà spirituale, io semplicemente prego per loro».
Il 01 marzo 2018 il sociologo cattolico progressista Marco Marzano ha criticato Bergoglio, accusandolo di non aver svolto alcuna riforma sulla tradizionale morale cattolica.
Il 12 marzo 2018 il politico di centrodestra Alfredo Mantovano ha scritto una riflessione in occasione del quinto anniversario del pontificato di Francesco. Ha confessato che lo smarrimento di molti cattolici deriva più che altro dalla «manipolazione mediatica delle parole del Papa […] sarebbero bastati l’ascolto per intero» dei suoi discorsi per «superare presunti equivoci». Mantovano obietta anche a chi consiglia al Papa di essere più cauto: «Anche qui non ci siamo. I precedenti non mancano e risalgono a Colui il quale Francesco è il Vicario. Rileggo il Vangelo: quante volte Lui sente la necessità di prenderli da parte e di spiegargliela, non sempre con successo. La tentazione a cui sono esposto, come ogni fedele, è di aspettarmi un Papa che corrisponda alle mie aspettative e perfino ai miei desideri […]. E’ la storia della Chiesa a indurci in umiltà: chi ha già una “certa” ricorda le amarezze vissute durante il pontificato di Paolo VI, quando appariva incomprensibile che il Papa, in nome dell’Ostpolitik, ricevesse il torturatore dell’eroico cardinale Mindszenty […]. Sarebbe imperdonabile oggi, mutatis mutandis, ripetere l’errore; e non distinguere fra livelli differenti: quello delle decisioni concrete -discutibili, come tutte le azioni di governo, su questo piano chi può ergersi a maestro? quale governante può dire di averle azzeccate tutte?- quello del magistero, da approfondire e in parte ancora da scoprire, quello dello sguardo sul mondo».
Il 12 marzo 2018 il vaticanista del conservatore Il Giornale, Fabio Marchese Ragona, ha scritto: «In una società sempre più orientata verso lo scarto umano, verso lo spreco, verso la disillusione, serviva uno come Bergoglio per dare un evangelico scossone a quella Chiesa rimasta per anni lontana dalla gente, che non sapeva ascoltare quel grido di aiuto lanciato da Papa Benedetto prima delle dimissioni e dai fedeli che consideravano la Chiesa soltanto un sinonimo di mondanità, di lusso, di sfarzo e anche di massoneria».
Il 24 agosto 2018 il card. Angelo Scola ha parlato dell’elezione e del pontificato di Francesco: «Era evidente a me, come ad altri cardinali, nelle giornate precedenti il conclave, che la stanchezza profonda dell’Europa, che non ci deve scoraggiare, la perdita del senso della presenza contemporanea di Gesù alla vita della persona, delle comunità cristiane, delle Chiese, propria delle realtà europee, non sarebbe stata più in grado di esprimere la figura di un papa. Non c’erano le condizioni, in effetti. Realmente Francesco rappresenta una novità che abbiamo il dovere di imparare, come Giovanni Paolo II che diceva che bisogna imparare Roma, e noi dobbiamo imparare questo papa. Evidentemente, accogliendo e accettando il suo stile fino in fondo, e penetrando in quegli aspetti che costituiscono un elemento di novità nell’esercizio del papato rispetto ai papi precedenti. I gesti, un linguaggio che esemplifica, un senso di profonda familiarità con il popolo, il popolo fedele e gli insegnamenti che risentono della grande realtà del continente latino-americano è come se stessero accompagnando le Chiese di prima evangelizzazione come le nostre, invitandole pazientemente ad una ripresa. Questo non ha nulla a che fare con questi scontri fra i cosiddetti conservatori e i progressisti. I conservatori si lamentano perché non dice più quello che pensano loro, i progressisti sono contenti perché dicono: “Ecco, noi dicevamo queste cose 50 anni fa e finalmente adesso è arrivato uno che le dice”. Non vi pare che sbaglino tutti e due? Secondo me sbagliano tutti e due e sbagliano gravemente».
Il 06 settembre 2018 il card. Angelo Scola, ex arcivescovo di Milano e da sempre molto vicino a Benedetto XVI, ha scritto: «Nella Chiesa cattolica chi è cardinale ha il compito di sostenere e accompagnare il Santo Padre. Fino al martirio se necessario, questo è il senso della porpora».
Il 04 dicembre 2018 il cardinale africano Wilfrid Fox Napier -“pupillo” di Giovanni Paolo II-, ha denunciato pubblicamente la stampa cattolica impegnata nella campagna antipapista, definendosi “a disagio” per il fatto che gli interventi pubblici di questi blogger si sono ormai ridotti esclusivamente «a riferire negativamente o attaccare papa Francesco!».
Nel febbraio 2019 il card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti e indicato come “tradizionalista”, in occasione del 20° anniversario della rivista spagnola El taller del orfebre, che mira a diffondere la dottrina della Chiesa e la fedeltà al Santo Padre, ha scritto: «Nel corso di questi venti anni, come si può vedere lungo i numeri pubblicati, questa rivista ha servito la missione di portare ai fedeli l’insegnamento della Chiesa, che Dio ci ha dato attraverso i pontefici romani. Dio ci parla attraverso il Papa, come ho sentito durante tutta la mia vita. San Giovanni Paolo II mi ha chiamato a collaborare con lui come Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, dove ho potuto vedere che la bellezza della Chiesa non risiede nel numero dei fedeli, ma nella misura in cui sono santi. Benedetto XVI, chiamandomi a presiedere il Pontificio Consiglio Cor Unum, mi ha permesso di sperimentare la compassione e la vicinanza della Chiesa ai poveri. Francesco, mettendomi a capo della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha posto nelle mie mani la responsabilità di realizzare il desiderio della Sacrosanctum Concilium: la partecipazione piena, consapevole e attiva dell’intero popolo di Dio nelle celebrazioni liturgiche. Usate quindi questo anniversario per fare grata memoria di coloro che hanno reso possibile il raggiungimento di questo ventesimo anniversario con sforzo e dedizione, e, in secondo luogo, per riaccendere l’amore per la Chiesa e per il Successore di Pietro».
Nel giugno 2020 il card. Robert Sarah viene confermato da Papa Francesco come prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, nonostante abbia compiuto 75 anni, l’età canonica per la pensione.
Nel 19 luglio 2020 il card. Angelo Scola, uno dei religiosi notoriamente più stimati da Benedetto XVI e uno dei riferimenti morali anche dei moltissimi “anti-bergogliani” ha risposto così ad una domanda sulla frequenza delle critiche e degli attacchi duri ed insistenti da parte dei cattolici a Papa Francesco: «È un segno, secondo me, di contraddizione molto forte e denota appunto un certo infragilimento del popolo di Dio, soprattutto della classe degli intellettuali. È un atteggiamento profondamente sbagliato perché dimentica che “il Papa è il Papa”. Non è per affinità di temperamento, di cultura e di sensibilità, per amicizia o perché si condividono o non si condividono certe sue affermazioni che si riconosce il senso del Papa nella Chiesa. Egli è la garanzia ultima radicale e formale – certamente, attraverso un esercizio sinodale del ministero petrino – dell’unità della Chiesa. Considero questa modalità di pronunciamenti, di lettere, scritti, pretese di giudizi sulla sua azione, soprattutto quando si instaurano paragoni fastidiosi con i papati precedenti, un fenomeno decisamente negativo e da estirpare il prima possibile. Nella scelta degli uomini chiamati al presbiterato, episcopato e al papato, c’è sempre un misto di continuità e di discontinuità. Non c’è da scandalizzarsi della differenza culturale e temperamentale di papa Francesco rispetto a papa Benedetto o rispetto a san Giovanni Paolo II e ai predecessori. Anzi questo è un elemento che porta ricchezza perché assicura la possibilità del cambiamento dentro la Chiesa. Imparare il Papa vuol dire avere l’umiltà e la pazienza di immedesimarsi nella sua storia personale, nel modo con cui esprime la sua fede, si rivolge a noi, operando le scelte di guida e di governo. Certi gesti di papa Francesco, ad esempio, mi colpiscono molto e sono certamente molto significativi per tutti, anche per chi non crede. Io, per il mio temperamento, non ne sarei capace, ma ognuno ha la sua personalità».
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28. IL CASO DEL CARD. BURKE
Il “caso del card. Burke” è iniziato nel novembre 2014 quando il vaticanista di “Repubblica”, Marco Ansaldo, ha definito la sostituzione del cardinale conservatore statunitense Raymond Leo Burke, che ha lasciato la Segnatura apostolica per diventare patrono dell’Ordine di Malta, una «prima resa dei conti in Vaticano», parlando di Francesco come di un despota che elimina tutti coloro che non la pensano come lui: «E la scure di Francesco si abbatte sulle teste dei principali oppositori», come il card. Burke, «reo di avere criticato Francesco anche in alcune dichiarazioni pubbliche».
Pochi giorni dopo Papa Francesco, in nell’intervista per “La Nacion”, ha smentito questa ricostruzione: «Il cardinale Burke un giorno mi ha chiesto che cosa avrebbe fatto, dato che non era stato ancora confermato nel suo incarico. Gli ho detto: “Mi dia un po’ di tempo, perché si sta pensando a una ristrutturazione degli organismi giuridici nel C9″ e gli spiegai che ancora non c’era niente di fatto e che si stava pensando. Poi è arrivata la questione dell’Ordine di Malta e lì mancava un americano vivace, che si potesse muovere in quell’ambito, e mi è venuto in mente lui per quel compito. L’ho proposto a lui molto prima del Sinodo. E gli ho detto: “Questo avverrà dopo il Sinodo, perché voglio che lei partecipi come capo dicastero…”. Mi ha ringraziato molto, e lo ha accettato… è un uomo che si muove molto, che viaggia e lì avrà lavoro. Dunque non è vero che l’ho sostituito per come si è comportato al Sinodo». Non è arrivata alcuna smentita da parte del card. Burke.
Il mondo tradizionalista ha comunque esposto il suo sconcerto per questa presunta epurazione, tuttavia c’è stato molto imbarazzo quando nel gennaio 2015 sono apparse alcune controverse dichiarazioni proprio del card. Burke, che confermano l’opinione di chi ritiene che il porporato statunitense era poco adeguato al ruolo che copriva. All’interno di una giusta condanna dell’ideologia del gender, il card. Burke ha aggiunto: «I ragazzi non vogliono fare le cose con le ragazze. È naturale. Penso che questo abbia contribuito alla diminuzione delle vocazioni al sacerdozio . Servire come chierichetto accanto a un sacerdote richiede una certa disciplina, e la maggior parte dei sacerdoti ha le prime esperienze liturgiche profonde come chierichetto. Se non formiamo i ragazzi come chierichetti, dando loro un’esperienza nel servire Dio nella liturgia, non dobbiamo sorprenderci del fatto che le vocazioni siano crollate in modo drammatico […]. Al di là del sacerdote, il santuario è diventato pieno di donne. Le attività parrocchiali e perfino la liturgia sono state influenzate dalle donne e in molti luoghi sono diventate così femminili che gli uomini non vogliono essere coinvolti».
Nel febbraio 2015 in un’altra intervista, il card. Burke ha affermato: «Bisogna essere attenti e guardare al potere del papa. La frase classica è che il papa ha la pienezza del potere, questo è vero, ma non è un potere assoluto. È al servizio della dottrina della fede. Non ha il potere di cambiare l’insegnamento, la dottrina… Lasciamo da parte la questione del papa. Nella nostra fede è la verità della dottrina che ci guida». “Se il papa persiste in questa direzione lei cosa farà?”, ha chiesto l’intervistatore: «Resisterò, non posso fare altro. Non c’è dubbio che è un tempo difficile, questo, è chiaro. È chiaro». A seguito di questa affermazione, subito diffusa dai media per soddisfare la loro tesi della “Chiesa che resiste a Francesco”, il card. Burke ha ricevuto una critica dal ratzingeriano arcivescovo di Washington, Donald Wuerl: «Una delle cose che ho imparato in tutti questi anni è che, esaminando più attentamente, si riscontra un filo comune che attraversa tutti questi dissidenti. Essi sono in disaccordo con il Papa, perché lui non è d’accordo con loro e non segue le loro posizioni».
Nel marzo 2015 in un’intervista il card. Burke è tornato sulle sue parole contro il Papa rettificando: «Stavo rispondendo ad una domanda ipotetica. Alcune persone hanno cercato di interpretarlo come un attacco contro Papa Francesco; il che non era assolutamente vero. Mi è stata posta una domanda ipotetica, e ho semplicemente detto: “Nessuna autorità ci può comandare di agire contro la verità, e, allo stesso tempo, quando la verità è sotto ogni tipo di minaccia, dobbiamo lottare per essa”. Questo è quello che intendevo dire. E quando mi è stata posta l’altra domanda ipotetica: “E se questo progetto andasse fino in fondo?” Io ho risposto: “Beh, io semplicemente devo resistere. Questo è il mio dovere”».
Il 1 aprile 2015 il card. Burke è stato intervistato su La nuova bussola quotidiana, affermando: «Sono tutte sciocchezze. Non ho mai detto una sola parola contro il Papa, mi sforzo solo di servire la verità, compito che abbiamo tutti. Ho sempre visto i miei interventi, le mie attività come un appoggio al ministero petrino. Le persone che mi conoscono possono testimoniare che non sono affatto un antipapista. Al contrario sono sempre stato molto leale e ho sempre voluto servire il santo Padre, cosa che faccio anche ora. Io credo che siccome ho sempre parlato molto chiaramente sulla questione del matrimonio e della famiglia, c’è chi vuole neutralizzarmi dipingendomi come nemico del Papa, o addirittura pronto allo scisma». Rispetto alla frase “resisterò” rispetto all’eventualità che il Sinodo conceda la comunione ai divorziati, ha spiegato: «E’ stata una frase travisata, non c’era alcun riferimento a papa Francesco. La giornalista mi ha chiesto cosa farei se ipoteticamente – non riferendosi a papa Francesco – un pontefice prendesse decisioni contro la dottrina e contro la prassi della Chiesa. Io ho detto che dovrei resistere, perché tutti siamo a servizio della verità, a cominciare dal Papa. Per questo ho risposto che resisterò e non sarebbe la prima volta che questo accade nella Chiesa. Ci sono stati nella storia diversi momenti in cui qualcuno ha dovuto resistere al Papa, a cominciare da San Paolo nei confronti di San Pietro, nella vicenda dei giudeizzanti, che volevano imporre la circoncisione ai convertiti ellenici. Ma nel mio caso io non sto affatto facendo resistenza a papa Francesco, perché lui non ha fatto nulla contro la dottrina. E io non mi vedo affatto in lotta contro il Papa, come vogliono dipingermi. Io non sto portando avanti gli interessi di un gruppo o di un partito, cerco solo come cardinale di essere maestro della fede».
Il 09 gennaio 2017 il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (e ritenuto da Antonio Socci «il difensore della retta dottrina cattolica e del popolo di Dio») è intervenuto durante il programma “Stanze Vaticane” di Tgcom24 in difesa dell’Amoris Laetitia, prendendo le distanze dai dubia e dalla paventata “correzione formale” che il card. Raymond Leo Burke intenderebbe promuovere verso di essa: «una possibile correzione fraterna del Papa mi sembra molto lontana, non è possibile in questo momento perché non si tratta di un pericolo per la fede, come San Tommaso ha detto. “Amoris Laetitia” è molto chiara nella sua dottrina e possiamo interpretare tutta la dottrina di Gesù sul matrimonio, tutta la dottrina della Chiesa in 2000 anni di storia. I cardinali hanno il diritto di scrivere una lettera al Papa. Mi sono stupito perché questa però è diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no. Questo non mi piace. E’ un danno per la Chiesa discutere di queste cose pubblicamente».
Il 18 febbraio 2017 il card. Burke ha commentato la decisione della Congregazione per la Dottrina della Fede di inviarlo sull’Isola di Guam per indagare su un caso di pedofilia risalente agli anni 70. Per qualcuno è stata una punizione inflittagli da Francesco, lui ha smentito: «La missione è nata per una richiesta della Congregazione per la Dottrina della Fede che io servo quale preside del suo Tribunale Apostolico. Il Papa ha affidato la causa alla Congregazione, e la Congregazione ha proceduto secondo la giusta procedura a formare i membri del Tribunale. In ogni caso, penso di esser stato scelto in base ai miei studi di diritto canonico e la mia lunga esperienza con i processi ecclesiastici. Il Papa non ha mai parlato con me di questo compito. Ho comunicato esclusivamente con i superiori della Congregazione per la Dottrina della Fede che è la procedura usuale in questi casi. No, non vedo questa missione come una punizione del Papa e certamente non la sto vivendo come una punizione! È normale per un Cardinale, secondo la sua preparazione e disponibilità, di ricevere speciali incarichi per il bene della Chiesa. Non sono stato sorpreso dalla richiesta della Congregazione per la Dottrina della Fede e ho accettato, conscio della grave responsabilità che comportava, ma senza nessun pensiero di altre motivazioni da parte di Papa Francesco o dalla Congregazione».
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28. COMUNISMO, MARXISMO E TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE
Il mondo mediatico è molto banale, divide tutto in buoni e cattivi, destra e sinistra senza alcuna riflessione un pochino più complessa. Così, se Francesco parla spesso di povertà allora va incasellato nel filo-comunismo e filo-marxismo. In realtà più volte, vedremo qui sotto, il Papa ha spiegato che l’ideologia marxista e comunista è sbagliata, è falsa e oltretutto ha rubato il tema della povertà al cristianeismo, al Vangelo.
Una critica un po’ più approfondita è l’accusa di avere in simpatia la Teologia della liberazione che nel sudamerica ha unito la fede marxista al Vangelo, imbracciando spesso anche le armi. Riteniamo che Francesco abbia teso semplicemente un braccio a queste persone, come Leonardo Boff, così come ha provato ad allungare la mano verso Eugenio Scalfari e verso il transessuale incontrato in udienza privata. Sono simboli di “Chiesa in uscita” offerti in prima persona da Francesco, che intende dare il buon esempio. Confondere questi gesti con legittimazione o strizzatina d’occhio è un’operazione scorretta e immatura.
Di seguito in ordine cronologico vari interventi di Francesco su questa tematica:
L’08 luglio 2013 il vaticanista Sandro Magister ha fatto notare che nel 2005 il card. Bargoglio, a proposito della teologia della liberazione, disse: «Dopo il crollo del ‘socialismo reale’ queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre».
Il 16 dicembre 2013 nell’intervista per “La Stampa” Francesco ha affermato: «L’ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone».
Il 5 marzo 2014 nell’intervista al “Corriere della Sera” ha spiegato che non si sente dispiaciuto delle accuse di marxismo: «Per nulla. Non ho mai condiviso l’ideologia marxista, perché non è vera, ma ho conosciuto tante brave persone che professavano il marxismo».
Il 5 aprile 2014 durante un’intervista con alcuni giovani del Belgio, Francesco ha affermato: «Ho sentito, due mesi fa, che una persona ha detto, per questo parlare dei poveri, per questa preferenza: “Questo Papa è comunista”. No! Questa è una bandiera del Vangelo, non del comunismo: del Vangelo! Ma la povertà senza ideologia, la povertà… E per questo io credo che i poveri sono al centro dell’annuncio di Gesù. Basta leggerlo. Il problema è che poi questo atteggiamento verso i poveri alcune volte, nella storia, è stato ideologizzato. No, non è così: l’ideologia è un’altra cosa. E’ così nel Vangelo, è semplice, molto semplice».
Il 29 giugno 2014 in occasione dell’intervista concessa a “Il Messaggero”, Papa Francesco ha affermato: «Io dico solo che i comunisti ci hanno derubato la bandiera. La bandiera dei poveri è cristiana. La povertà è al centro del Vangelo. I poveri sono al centro del Vangelo. Prendiamo Matteo 25, il protocollo sul quale noi saremo giudicati: ho avuto fame, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero malato, ignudo. Oppure guardiamo le Beatitudini, altra bandiera. I comunisti dicono che tutto questo è comunista. Sì, come no, venti secoli dopo. Allora quando parlano si potrebbe dire loro: ma voi siete cristiani».
Nell’ottobre 2014 Francesco ha rilasciato un’intervista in occasione della stesura del libro “Papa Francesco. Questa economia uccide” (Piemme 2015), in essa ha affermato: «Se ripetessi alcuni brani delle omelie dei primi Padri della Chiesa, del II o del III secolo, su come si debbano trattare i poveri, ci sarebbe qualcuno ad accusarmi che la mia è un’omelia marxista. Questa attenzione per i poveri è nel Vangelo, ed è nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla, come alcune volte è accaduto nel corso della storia. La Chiesa quando invita a vincere quella che ho chiamato la “globalizzazione dell’indifferenza” è lontana da qualunque interesse politico e da qualunque ideologia».
Il 28 ottobre 2014 Papa Francesco ha incontrato i movimenti popolari per parlare con loro di povertà, di terra, di casa, di lavoro. «Questo nostro incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa […]. Siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto silenzio», ha detto loro Francesco. «Al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il dominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori […]. Oggi si scartano i bambini perché il tasso di natalità in molti paesi della terra è diminuito o si scartano i bambini per mancanza di cibo o perché vengono uccisi prima di nascere; scarto di bambini. Si scartano gli anziani perché non servono, non producono; né bambini né anziani producono, allora con sistemi più o meno sofisticati li si abbandona lentamente ». E ancora: «Perché in questo sistema l’uomo, la persona umana è stata tolta dal centro ed è stata sostituita da un’altra cosa. Perché il mondo si è dimenticato di Dio, che è Padre; è diventato orfano perché ha accantonato Dio. Diciamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro. Cari fratelli e sorelle: continuate con la vostra lotta, fate bene a tutti noi». Lo scrittore Antonio Socci ha accusato Francesco di aver «ospitato in Vaticano vari movimenti noglobal, compreso il Leoncavallo […] dove non ha fatto mai l’annuncio della salvezza di Cristo». Oltre al fatto che ha ribadito che al centro del sistema sociale dev’esserci l’uomo come creatura di Dio e che un mondo senza Dio è un mondo orfano, Francesco ha mostrato a realtà in gran parte lontane dalla Chiesa che le loro esigenze e interessi sociali sono gli stessi della Chiesa, è stato un importante momento di ecumenismo, di dialogo. Ai movimenti no global Francesco ha parlato di aborto e di eutanasia spiegando loro che anche questi sono argomenti che dovrebbero rientrare nella critica al sistema economico quando mette i benefici al di sopra dell’uomo, quando non mettono l’uomo al centro del loro interesse.
Il 13 luglio 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto sull’incontro con i Movimenti popolari: «E’ una cosa che organizza [il Pontificio Consiglio] Giustizia e Pace. Io sono vicino a questa realtà, perché è un fenomeno presente in tutto il mondo, in tutto il mondo. Anche in Oriente, nelle Filippine, in India, in Tailandia. Sono movimenti che si organizzano fra loro, non solo per fare una protesta, ma per andare avanti e poter vivere. E sono movimenti che hanno forza, e questa gente, che sono tanti e tanti, non si sente rappresentata dai sindacati, perché dicono che i sindacati adesso sono una corporazione, non lottano – sto semplificando un po’ – per i diritti dei più poveri. E la Chiesa non può essere indifferente. La Chiesa ha una Dottrina sociale e dialoga con questo movimento, e dialoga bene. Voi avete visto, avete visto l’entusiasmo di sentire che la Chiesa – dicono – non è lontana da noi, la Chiesa ha una dottrina che ci aiuta a lottare per questo. E’ un dialogo. Non è che la Chiesa faccia una scelta per la strada anarchica. No, non sono anarchici: questi lavorano, cercano di fare tanti lavori anche con gli scarti, le cose che avanzano; sono lavoratori davvero… Questo è il primo, l’importanza di questo [movimento]. Il mondo dei movimenti popolari è una realtà; è una realtà molto grande, in tutto il mondo. Io che ho fatto? Ciò che ho fatto è dare a loro la dottrina sociale della Chiesa, lo stesso che faccio con il mondo dell’impresa. Sono io che seguo la Chiesa qui, perché semplicemente predico la dottrina sociale della Chiesa a questo movimento. ».
Il 13 luglio 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto sul regalo ricevuto dal presidente Morales di un Cristo con falce e martello: « io lo qualifico come arte di protesta che in alcuni casi può essere offensiva, in alcuni casi. Padre Espinal è stato ucciso nell’anno 80. Era un tempo in cui la teologia della liberazione aveva tanti filoni diversi, uno di questi era con l’analisi marxista della realtà, e Padre Espinal apparteneva a questo. Questo sì, lo sapevo, perché in quel tempo io ero rettore della Facoltà Teologica e si parlava tanto di questo, dei diversi filoni e di quali ne erano i rappresentanti. Nello stesso anno, il Padre Generale della Compagnia di Gesù, Padre Arrupe, fece una lettera a tutta la Compagnia sull’analisi marxista della realtà nella teologia, un po’ fermando questo, dicendo: no, non va, sono cose diverse, non va, non è giusto. E quattro anni dopo, nell’84, la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblica il primo volumetto piccolino, la prima dichiarazione sulla teologia della liberazione, che critica questo. Poi viene il secondo, che apre le prospettive più cristiane. Sto semplificando. Facciamo l’ermeneutica di quell’epoca. Espinal è un entusiasta di questa analisi della realtà marxista, ma anche della teologia, usando il marxismo. Da questo è venuta quell’opera. Facendo un’ermeneutica del genere io capisco quest’opera. Per me non è stata un’offesa. Ma ho dovuto fare questa ermeneutica e la dico a voi perché non ci siano opinioni sbagliate».
Il 22 settembre 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto: « I motivi per pensare se uno è comunista, non è comunista… Io sono certo che non ho detto una cosa in più che non sia nella Dottrina sociale della Chiesa. Credo di non avere detto una cosa che non sia nella Dottrina sociale della Chiesa. Le cose si possono spiegare. Forse una spiegazione ha dato un’impressione di essere un pochettino più “sinistrina”, ma sarebbe un errore di spiegazione. No. La mia dottrina, su tutto questo, sulla Laudato si’, sull’imperialismo economico e tutto questo, è quella della Dottrina sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il “Credo”, sono disposto a farlo!».
L’06 novembre 2015 in un’intervista al quotidiano olandese Straatnieuws, Francesco ha affermato: «Gesù è venuto al mondo senzatetto e si è fatto povero. Poi la Chiesa vuole abbracciare tutti e dire che è un diritto di avere un tetto sopra di te. Nei movimenti popolari si lavora con tre ‘t’ spagnole, trabajo (lavoro), techo (casa) e tierra (terra). La chiesa predica che ogni persona ha il diritto a queste tre ‘t’».
Il 22 gennaio 2017 nell’intervista a El Pais, Francesco ha affermato: «La Teologia della Liberazione è stata positiva in America Latina. È stata condannata dal Vaticano la parte che ha optato per l’analisi marxista della realtà. Il cardinale Ratzinger ha fatto due istruzioni quando era Prefetto della Dottrina della fede. Una molto chiara sull’analisi marxista dela realtà. E la seconda riprendendo aspetti positivi. La Teologia della Liberazione ha avuto aspetti positivi come pure deviazioni, soprattutto nella parte di analisi marxista della realtà».
Il 26 marzo 2017 l’opinionista cattolico Gianni Valente ha fatto notare come anche Paolo Vi venisse bersagliato da gruppi della destra cattolica allo stesso modo di Francesco: “marxismo riscaldato”, “venduto ai comunisti”. Il quotidiano romano Il Tempo, che oggi combatte il Papa attraverso la firma dell’ortodosso Alessandro Meluzzi, accusò così Paolo VI: «pastorale della predicazione sostituita dalla spada o scimitarra dell’azione insurrezionale o guerrigliera». Sostenendo che «la tesi della divisione del mondo in Paesi settentrionali industrializzati, imperialisti, egoisti, sfruttatori e in Paesi meridionali arretrati, sfruttati e contadini, è propria di Mao e della Cina Popolare». In ogni caso – aggiungeva il quotidiano romano – non c’era da preoccuparsi, perché nonostante le parole del Papa «larghissimi settori, autorevoli e potenti, della Chiesa cattolica militano dalla parte del profitto, possibilmente assoluti e esclusivi, dalla parte del mondo industrializzato e progredito».
Il 06 maggio 2018 Papa Francesco ha firmato la prefazione al libro che raccoglie gli scritti di Benedetto XVI su fede e politica: Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio (Editrice Cantagalli). Ha scritto: «San Giovanni Paolo II egli elabora e propone una visione cristiana dei diritti umani capace di mettere in discussione a livello teorico e pratico la pretesa totalitaria dello Stato marxista e dell’ideologia atea sulla quale si fondava. L’autentico contrasto tra marxismo e cristianesimo […] è dato – prima ancora che dalla pretesa marxista di collocare il cielo sulla terra, la redenzione dell’uomo nell’aldiquà– dalla differenza abissale che sussiste riguardo al come la redenzione debba avvenire».
Il 06 giugno 2021 il card. Gianfranco Ravasi ha ricostruito il pensiero dei Padri della Chiesa e di Sant’Ambrogio sulla proprietà privata e sulla povertà mostrando un’allineamento perfetto con il pensiero di Papa Francesco, smentendo qualunque ammiccamento al comunismo.
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29. APPROVAZIONI LAICISTE, FALSI AMICI E IDEALIZZAZIONE DI PAPA FRANCESCO
Il pontificato di Francesco è caratterizzato da un fenomeno unico degli ultimi secoli: una gara a chi si definisce più papista e in sintonia con il Pontefice, anche se nei fatti è quanto più lontano possa stare dalla Chiesa cattolica. Atei militanti, anticlericali, laicisti, associazioni per l’eutanasia, femministe, combattenti per le nozze e adozioni gay…tutti hanno rilasciato commenti positivi ed entusiasti per Francesco.
Giuliano Ferrara ha giustamente rilevato: «Chi è fuori dalla Chiesa fino a ieri considerava quasi un dovere l’inimicizia verso i Papi, salvo rarissime eccezioni di tipo sentimentale (per esempio Giovanni XXIII). Questo era un anticomunista polacco, quest’altro un teologo bavarese che voleva insegnare agli altri a vivere, Paolo VI era pieno di pregiudizi, s’impicciava nelle cose del sesso e della procreazione con argomenti retrogradi spiacenti anche al suo clero, figuriamoci gli intellettuali di sinistra europei […]. Oggi tutto finito. I volterriani sono diventati bigotti, di Francesco papa niente se non buone cose». Tuttavia l’ex direttore de ”Il Foglio” ha proseguito accusando di questo proprio Francesco, così come fanno i settori tradizionalisti del cattolicesimo. Non hanno capito che si tratta di una indebita idealizzazione di un Papa che nella realtà non esiste, ma si sono convinti che Francesco sia davvero quello amato dal laicismo. Dunque se è apprezzato da “loro” allora c’è davvero qualcosa che non torna in lui. Invece, ha proseguito Ferrara, «una Chiesa percepita come elemento di contraddizione dal mondo che la circonda, e che spesso minaccia di imporle i suoi modelli di vita, è puro sale evangelico. E’ scritto che i cristiani sono il sale del mondo, e come tali devono comportarsi, e Cristo aggiunge che se il sale perde la salinità, allora davvero sono guai, e magari il Signore tornerà sulla terra e troverà un banale ossequio per la Chiesa ma non la fede degli uomini».
Ferrara e i tradizionalisti dimenticano però che anche Gesù Cristo è uno dei personaggi più amati da atei anticlericali e solitamente la sua “bontà”, il suo permissivismo e la “rinuncia a giudicare” vengono contrapposti alla “cattiveria” della Chiesa. Anche Gesù allora non è più segno di contraddizione? E la colpa sarebbe dell’ambiguità di Gesù? No, semplicemente sia per Francesco che per Gesù si tratta di una idealizzazione e di una manipolazione di figure talmente oggettivamente positive che non si può non cercare di portarle dalla propria parte.
Francesco infatti se n’è accorto e ha commentato: «Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazionec’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo».
Di seguito in ordine cronologico le più assurde dichiarazioni dei “falsi amici” di Francesco:
Il 1 ottobre 2013 il quotidiano “Repubblica” ha pubblicato un’intervista di Eugenio Scalfari a Francesco in cui si parla di diverse tematiche. Abbiamo già fatto notare l’inattendibilità dell’intervista dato che lo stesso Scalfari ha ammesso che nelle interviste «cerco di capire la persona intervistata e poi scrivo le risposte con parole mie. Sono dispostissimo a pensare che alcune delle cose scritte da me e a lui attribuite, il Papa non le condivida, ma credo anche che ritenga che, dette da un non-credente, siano importanti per lui e per l’azione che svolge». Facciamo notare come il fondatore di ”Repubblica” si sia approfittato meschinamente della disponibilità del Papa, senza alcuna correttezza etica.
Il 15 novembre 2013 Umberto Veronesi è giunto alla conclusione che quello che dice Papa Francesco è tanto condivisibile perché «lui non ci parla in nome di Dio, ma in nome dell’uomo».
Il 29 novembre 2013 Claudia Mori, madre dell’attrice omosessuale Rosalinda Celentano, ha citato la frase di Francesco “chi sono io per giudicare?” per giustificare una posizione di neutralità educativa nei confronti della figlia sul tema dell’omosessualità: «a un genitore che scopre l’omosessualità di suo figlio direi solo di non farli mai sentire soli. E se ci troviamo impreparati, come genitori ma anche come figli, cerchiamo di scoprire insieme il modo di comprendere gli uni e gli altri. “Chi sono io per giudicare?”: papa Francesco lo ha detto e la strada è questa». Come abbiamo fatto notare, la frase è stata decontestualizzata dato che in quell’occasione Francesco parlava semplicemente invitando a scindere le persone con tendenze omosessuali dal fare una lobby gay. In generale, richiamava la differenziazione del Catechismo tra peccato e peccatore, non invitava certo ad una neutralità su questa tematica. Anche perché ha spiegato che su questo tema la Chiesa si è già espressa chiaramente e lui è «figlio della Chiesa».
Il 17 dicembre 2013 “Repubblica” ha citato le motivazioni per cui il Papa è stato premiato come “uomo dell’anno” dalla rivista “Time”: «Papa Francesco è persona dell’anno 2013 perché parla dei poveri, dei disperati, degli immigrati; perché vuole la Chiesa come un ospedale da campo per curare le ferite di chi soffre, delle vittime di tutte le guerre, degli ultimi; persona dell’anno perchè vuole lui stesso una Chiesa povera, vicina ai poveri; perché denuncia continuamente lo scandalo della fame, difende i valori della vita e della famiglia ed ha avviato concretamente un’opera di ricostruzione della credibilità della Chiesa».
Il 5 marzo 2014 Papa Francesco nell’intervista al “Corriere della Sera” ha affermato: «Mi piace stare tra la gente, insieme a chi soffre, andare nelle parrocchie. Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Quando si dice per esempio che esce di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano. Non mi è mai venuto in mente. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale».
Il 2 aprile 2014 il vaticanista Sandro Magister ha riflettuto sulla popolarità di Papa Francesco, di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, rilevando alcuna differenza, tutti e tre godevano degli stessi indici di popolarità. «La novità è un’altra. Con Francesco, per la prima volta da tempo immemorabile, un papa è osannato non solo dai suoi, ma quasi più ancora da quelli di fuori, dall’opinione laica, dai media secolari, dai governi e dalle organizzazioni internazionali. Persino quel rapporto di una commissione dell’Onu che ai primi di febbraio ha attaccato ferocemente la Chiesa lo ha risparmiato, inchinandosi a quel “chi sono io per giudicare?” ormai assunto universalmente come il motto emblematico delle “aperture” di questo pontificato. I suoi due ultimi predecessori no. All’apogeo della popolarità avevano a loro favore il popolo cristiano. Ma gli altri li avevano tutti contro. Anzi. Tanto più il “secolo” avversava il papa, tanto più egli giganteggiava […]. Una novità di cui Papa Francesco sotto sotto diffida. Ha detto nella sua recente intervista al “Corriere della Sera”: “Non mi piace una certa mitologia di papa Francesco. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione”».
Il 10 aprile 2014 la blogger de “Il Fatto Quotidiano”, Elisabetta Ambrosi ha strumentalizzato Papa Francesco, facendogli approvare la fecondazione eterologa e l’intervento della Corte Costituzionale contro la legge 40: «Non sappiamo come papa Francesco, che ieri alla consueta udienza del mercoledì ha gridato nuovamente contro la guerra in Siria, abbia accolto la storica sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa stabilito dalla legge 40 del 2004. Ma ascoltando, sempre ieri, la dolcezza e insieme incantevole ironia con cui parlava delle “povere mamme che vanno da una parte all’altra con i problemi dei bambini”, possiamo essere certi di molte cose. Ad esempio che Bergoglio – che dall’inizio del suo papato ha parlato con abbondanza di amore, bambini, allegria, accoglienza, speranza, vita, senza mai usare la bioetica come spada ideologica contro la vita stessa – mai avrebbe concepito che a una coppia sterile scoraggiata e disperata fosse riservato un trattamento così disumano come quello previsto da una norma votata da un Parlamento privo, oltre che delle nozioni elementari del diritto, anche di qualsiasi traccia di pietà». La Ambrosi ha quindi sostenuto che chi, anche in politica, si batte a favore della vita è contro la Chiesa di Francesco: «Ma cosa hanno a vedere tutti costoro – che sulla difesa astratta dell’embrione hanno persino costruito carriere – con la Chiesa, anzi la chiesa dei poveri con la p minuscola, come scriverebbe Francesco?».
Il 25 aprile 2014 Francesco ha telefonato al leader radicale Marco Pannella in sciopero della sete contro le disumane condizioni delle carceri italiane. Molti hanno accusato Francesco di aver così sostenuto le politiche del leader radicale su aborto, divorzio ed eutanasia. Come ha spiegato Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”, «la telefonata dell’aprile 2014 a Marco Pannella» è da intendersi nel fatto che quest’ultimo «non era protagonista di un “innocuo digiuno” inscenato “per aborto, eutanasia, omosessualità per tutti, teoria del gender…”, ma era a rischio della vita a causa di uno sciopero della sete contro la scandalosa situazione di vita nelle carceri italiane, la stessa denunciata, con grande forza e altri mezzi, da cappellani e volontari dell’associazionismo cattolico». Ricordiamo inoltre che anche Benedetto XVI, nella sua lettera al matematico anticlericale Piergiorgio Odifreddi, ha scritto: «Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro», cosa che ovviamente non suscitò nessuno scandalo né perplessità.
Nel maggio 2014 in seguito ai vari pronunciamenti di Francesco a favore della famiglia e matrimonio come unione unica tra uomo e donna e al diritto dei bambini di avere un padre e una madre, finalmente il sito “Gayoggi” ha tolto la maschera del finto papismo: «Grave, gravissima ingerenza quella di Papa Francesco. Coloro che avessero voluto vedere un’apertura verso i gay, dando una lettura superficiale delle sue parole, dovranno definitivamente ricredersi. Non solo Bergoglio ha tenuto a precisare con chiarezza che le coppie gay non sono una famiglia, ma ha anche bocciato nettamente le iniziative contro l’omofobia nelle scuole. Nel fare ciò, ha usato proprio quelli che sono gli slogan tanto cari agli omofobi cattolici di professione, con tanto di accusa di nazi-fascismo e dittatura del pensiero unico. Tirando in ballo la “dittatura del pensiero unico”, Bergoglio boccia indirettamente. Tirando in ballo la “dittatura del pensiero unico”, Bergoglio boccia indirettamente anche il DDL contro l’omofobia in discussione in Parlamento».
Il 13 luglio 2014 padre Federico Lombardi è dovuto intervenire sull’intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco, sottolineando la non attendibilità «in particolare per due affermazioni che hanno attirato molta attenzione e che invece non sono attribuibili al Papa. Cioè che fra i pedofili vi siano dei “cardinali”, e che il Papa abbia affermato con sicurezza, a proposito del celibato, “le soluzioni le troverò”. Nell’articolo pubblicato su “Repubblica” queste due affermazioni vengono chiaramente attribuite al Papa, ma – curiosamente – le virgolette vengono aperte prima, ma poi non vengono chiuse. Semplicemente mancano le virgolette di chiusura… Dimenticanza o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?».
Il 15 luglio 2014 lo scrittore Vittorio Messori ha ironizzato suoi “nuovi amici” del Papa, come Scalfari. «Un altro è Corrado Augias. Li osservo con curiosità, sorrido, ma non ne sono sorpreso. Arrivati alle soglie del Mistero o fanno come l’Augias, l’allievo dei Maristi sino alla maturità, che cercano teologi “adulti” che li tranquillizzino, dicendogli che o non c’è niente o tutti si salvano; oppure alla Scalfari: meno male, ecco un papa che ha abolito la nozione stessa di peccato. Pensi la contraddizione: si entusiasmano per la “misericordia”, dimenticando che questa presuppone, appunto, il peccato. Se non c’è questo, che bisogno c’è di misericordia? Un’ansia di rassicurazione che a me non fa certo rabbia ma compassione. Non voglio sembrare edificante ma va pur detto: c’è da pregare per loro».
Il 9 ottobre 2014 l’omosessuale Alessandro Cecchi Paone ha sostenuto che Papa Francesco sarebbe a favore della «rivoluzione dell’amore», ovviamente omosessuale. Quello di Francesco, ha affermato, «è un messaggio fondamentale per tutti. Per i credenti riporta all’insegnamento cristiano del non giudicare e non scagliare la prima pietra. Mi auguro sia utile ai cattolici di centrosinistra. Ricordo che ai tempi del papato di Ratzinger, in prima fila negli enti locali contro le iniziative pro unioni civili c’erano gli esponenti della Margherita, poi confluita nel Pd». L’intervento del ministro dell’Interno Angelino Alfano contro i sindaci che hanno trascritto le unioni omosessuali contratte all’estero, ha detto: «in questo senso Alfano e Ncd appaiono schierati con coloro che fanno la guerra a Bergoglio, non riconoscono il primato del Papa e si oppongono alla rivoluzione dell’amore».
Il 18 ottobre 2014 il filosofo Umberto Galimberti ha usato papa Francesco (e il Vangelo) per chiedere una legge sull’eutanasia. Ha scritto: «Sulle questioni cosiddette etiche i nostri governi si sono espressi sempre con estrema prudenza (eufemismo per dire “ipocrisia”), perché temevano di confliggere con i principi ritenuti “non negoziabili” dalla Chiesa, e quindi di perdere il suo appoggio in occasione delle elezioni, in un Paese, il nostro, dove la gente va sempre meno in chiesa, ma non rinuncia a definirsi cattolica e ossequiente ai principi religiosi. Ma oggi questa prudenza ipocrita non ha più ragion d’essere, perché Papa Francesco ha anteposto alla difesa dei principi la difesa della persona: la sua vera rivoluzione».
Il 29 ottobre 2014 il cantante Elton John, omosessuale dichiarato con un figlio strappato dalla madre tramite utero in affitto, ha elogiato papa Francesco, è «il mio eroe» ha detto durante un evento a New York per la lotta all’Aids. «E’ un uomo compassionevole che persegue l’inclusione di tutti nell’amore di Dio. E’ formidabile ciò che sta tentando di fare contro molte, molte persone nella Chiesa. E’ coraggioso e intrepido e questo è ciò di cui abbiamo bisogno oggi nel mondo. Bisogna farne un santo oggi, ok?».
Il 15 novembre 2014 l’anticlericale Furio Colombo de “Il Fatto Quotidiano” si è scagliato contro il card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, per le sue parole contro le unioni civili per le coppie dello stesso sesso. Nel farlo ha prevedibilmente contrapposto il card. Bagnasco a Papa Francesco: «Il fatto stupefacente, però, è che Bagnasco si rivolga agli italiani, su cui ha compito pastorale, come se il capo (il Papa) del contenitore più grande (la chiesa) non fosse Francesco. O come se Francesco non contasse. Ma è lo strappo brusco e anche volgare nel modo di agire, contrapposto non alla dolcezza (Francesco non è zuccheroso) ma al rispetto che dimostra e predica Francesco per le altre persone, prima di tutto coloro che ti sembrano estranei e lontani». Peccato che Francesco si sia mostrato completamente d’accordo con il card. Bagnasco, come è dimostrato in questo dossier.
Il 24 dicembre 2014 lo scrittore Vittorio Messori ha criticato Papa Francesco per la telefonata «a Giacinto Marco Pannella, impegnato nell’ennesimo, innocuo digiuno e che gli augura «buon lavoro», quando, da decenni, il «lavoro» del leader radicale è consistito e consiste nel predicare che la vera carità sta nel battersi per divorzio, aborto, eutanasia, omosessualità per tutti, teoria di gender». Come ha spiegato Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”, «la telefonata dell’aprile 2014 a Marco Pannella» è da intendersi nel fatto che quest’ultimo «non era protagonista di un “innocuo digiuno” inscenato “per aborto, eutanasia, omosessualità per tutti, teoria del gender…”, ma era a rischio della vita a causa di uno sciopero della sete contro la scandalosa situazione di vita nelle carceri italiane, la stessa denunciata, con grande forza e altri mezzi, da cappellani e volontari dell’associazionismo cattolico». Ricordiamo inoltre che anche Benedetto XVI, nella sua lettera al matematico anticlericale Piergiorgio Odifreddi, ha scritto: «Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro», cosa che ovviamente non suscitò nessuno scandalo né perplessità.
Il 6 gennaio 2015 il vaticanista de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Politi ha accusato l’associazionismo cattolico del “Family day” di non prendere posizione sulle presunte affermazioni riformatrici del Papa circa aborto, convivenze, famiglia, sessualità. In realtà è proprio Politi a non aver scritto nulla tutte le volte che Francesco ha pesantemente criticato l’aborto, l’eutanasia la convivenza e difeso la famiglia naturale.
Il 27 gennaio 2015 su ”Ilsussidiario.net” è stata mostrata una chiara strumentalizzazione di Francesco da parte del sito web del ”Corriere della Sera”: il titolo di apertura in grande, è: Bagnasco: «No ai manuali gender a scuola, si colonizza la mente dei bambini». E subito sotto: ”Papa riceve trans in Vaticano”. Il messaggio che arriva al lettore è molto chiaro: il cardinale Bagnasco esprime la solita chiusura mentale della Chiesa contro gli omosessuali e un’educazione moderna alla sessualità, con parole aggressive come il verbo “colonizzare”. Di contro, c’è un Papa aperto e progressista, che vorrebbe rivoluzionare la Chiesa e addirittura riceve un trans in Vaticano. Aprendo l’articolo si leggono i toni forti usati da Bagnasco: «No all’insegnamento della cultura gender a scuola, no alle famiglie non tradizionali», si legge nella prima frase, che prosegue così: «mentre papa Francesco incontra un transgender, il cardinale Angelo Bagnasco nella prolusione al Consiglio Cei si scaglia nettamente contro le coppie diverse da quelle composte da uomo e donna, e lancia l’allarme contro la “colonizzazione ideologica” in atto». Poco più avanti, dopo aver citato la polemica del cardinale contro i libri sull’educazione alla diversità che girano nelle scuole, l’articolista insiste: «Conservatore su tutti i fronti della famiglia, Bagnasco si scaglia anche contro l’aborto». Insomma, Bagnasco «si scaglia»; il Papa, invece, «incontra». Messaggio: il Papa è una cosa, la Chiesa un’altra. Il ”Corriere della Sera” mente, sostenendo l’insostenibile. Lo fa con la volontà di prendere in giro la gente e di modificarne i pensieri. Infatti il cardinal Bagnasco non fa altro che seguire fedelmente il Papa, fino a ripetere testualmente le parole che Francesco ha pronunciato una settimana prima: «La colonizzazione ideologica: dirò soltanto un esempio, che ho visto io». E quale esempio di «colonizzazione ideologica» – le stesse parole di Bagnasco! – fa il Papa? «Un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender». Il cardinal Bagnasco, cioè, dice le stesse identiche cose del Papa. Anzi, il Papa è stato un po’ più duro: «Perché dico “colonizzazione ideologica”? Perché prendono proprio il bisogno di un popolo o l’opportunità di entrare e rafforzarsi, per mezzo dei bambini. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai “Balilla”, pensate alla Gioventù Hitleriana… Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo».
Il 17 aprile 2015 su “Avvenire” è stato fatto notare che i principali quotidiani italiani hanno censurato le parole di Francesco contro la teoria del gender dette nell’udienza generale, quando invece erano ben presenti nelle edizioni online.
Il 28 agosto 2015, Francesca Pardi, proprietaria della casa editrice “Lo Stampatello”, che diffonde i libri gender nelle scuole, ha ricevuto una risposta da Papa Francesco, tramite mons. Peter Brian Wells, a una sua lettera precedente in cui lo invitava a leggere i libri che diffonde. Nella lettera di risposta dal Vaticano, mons Wells risponde che il Santo Padre ringrazia per il gesto delicato e per i sentimenti che lo hanno suggerito, augura che l’attività sia sempre più proficua al servizio dei giovani, sperando che questo avvenga nel rispetto dei valori umani e cristiani. La Pardi ha usato questa risposta come un avvallo del Papa alla sua attività. Tuttavia il portavoce di Francesco, padre Lombardi, ha voluto precisare che “in nessun modo la lettera della Segreteria di Stato intende avallare comportamenti e insegnamenti non consoni al Vangelo. È del tutto fuori luogo una strumentalizzazione del contenuto della lettera”. La sala stampa del Vaticano ha anche precisato che la benedizione del papa “è stata alla persona e non a eventuali insegnamenti non in linea della Chiesa sulla teoria gender”.
Il 27 settembre 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto ad una domanda sul fatto che è considerato una star: «Tu sai quale era il titolo che usavano i Papi e che si deve usare? “Servo dei servi di Dio”. E’ un po’ differente dalla star! Le stelle sono belle da guardare, a me piace guardarle quando il cielo è sereno d’estate… Ma il Papa deve essere – deve essere! – il servo dei servi di Dio. Sì, nei media si usa questo, ma c’è un’altra verità: quante star abbiamo visto noi che poi si spengono e cadono… E’ una cosa passeggera. Invece essere servo dei servi di Dio, questo è bello! Non passa. Non so… Così la penso».
L’06 novembre 2015 in un’intervista al quotidiano olandese Straatnieuws, Francesco ha affermato: «Non penso tanto al fatto che sono famoso. Dico a me stesso: adesso ho un posto importante, ma in dieci anni nessuno ti consocerà più (ride). Sai, ci sono due tipi di fama: la fama dei ‘grandi’ che hanno fatto grandi cose, come Madame Curie, e la fama dei vanitosi. Ma quest’ultima fama è come una bolla di sapone».
L’21 dicembre 2015 il direttore di “Studi cattolici” e delle Edizioni Ares, Cesare Cavalleri, ha commentato il rapporto tra Scalfari e Papa Francesco: «Quello del Papa è un atteggiamento apostolico, per lui Scalfari è un’anima da salvare e le anime vanno salvate una a una. Da qualcuno bisogna pur cominciare…».
L’16 marzo 2016 Dario Fo, ha sostenuto: «Questo Papa mi piace molto quando dice che il denaro è lo sterco del diavolo, che l’amore per i poveri è nel Vangelo prima del marxsismo». Una strumentalizzazione della posizione del Papa, il quale non ha mai detto che il denaro è lo sterco del diavolo ma lo diventa se non viene usato in modo corretto: «Il denaro è uno strumento buono, come quasi tutte le cose di cui l’uomo dispone: è un mezzo che allarga le nostre possibilità. Tuttavia, questo mezzo ma può ritorcersi contro l’uomo», ha detto ad esempio. Tutte le parole del Papa su questo argomento si possono trovare qui.
Il 20 novembre 2016 nell’intervista a Tv200, Papa Francesco ha risposto: «Io ho allergia degli adulatori. Ho allergia. Mi viene naturale, eh?, non è virtù. Perché adulare un altro è usare una persona per uno scopo, nascosto o che si veda, ma per ottenere qualcosa per se stesso. Anche, è indegno. Noi, a Buenos Aires, nell’argot porteño nostro, gli adulatori li chiamiamo “lecca calze” [leccapiedi], e la figura è proprio di quello che lecca le calze dell’altro. E’ brutto masticare le calze dell’altro, perché … è un nome ben fatto… E anche a me, quando mi lodano, anche qualcuno che mi loda per qualcosa che è uscita bene: ma subito, tu ti accorgi chi ti loda lodando Dio, “ma, sta bene, bravo, avanti, questo si deve fare!”, e chi lo fa con un po’ di olio per farsi viscido».
Il 19 dicembre 2016 il giornalista anticlericale Fabrizio D’Esposito sul Fatto Quotidiano ha volontariamente strumentalizzato un’omelia di Francesco contro il clericalismo in modo tale da poterla usare contro il card. Ruini, accusato di non aver concesso i funerali cattolici a Welby.
Il 07 febbraio 2017 padre Federico Lomabrdi, presidente della Fondazione Ratzinger ed ex portavoce di Benedetto XVI e di Papa Francesco, ha affermato: «Il pericolo principale, per me, è una concentrazione eccessiva sulla figura del papa. Concentrazione che lui non vuole: lui dice “viva Gesù”, non “viva il papa”. Ma il papa è dappertutto e il resto delle dimensioni della chiesa rischiano di essere un po’ ombreggiate. Illuminate da lui ma ombreggiate. Francesco vuole portare la chiesa a uno stile nuovo; ma la logica dei media non facilita davvero questo cambiamento, portando l’attenzione sempre sul picco di visibilità».
Il 12 marzo 2017 il vaticanista Sandro Magister, tra i leader della cupola di giornalisti antipapisti, ha apprezzato il fatto che Francesco sia amato e capito al di fuori della Chiesa: «Il fatto che l’immagine della Chiesa sia abbastanza positiva oggi nell’opinione pubblica è qualcosa che non viene messo in discussione, ma ricevuto con una certa approvazione, perché una situazione di questo tipo ci consente di parlare e concentrarci su problemi reali. Mentre negli anni passati l’immagine negativa bloccava il dialogo all’interno della Chiesa stessa, impegnata com’era in operazioni di difesa che nemmeno funzionavano. Ora, tuttavia, questa difficoltà non esiste più. E questo permette al dibattito interno di avere a che fare con questioni essenziali».
L’08 febbraio 2018, rispondendo al fatto che i sostenitori dell’eutanasia citerebbero le parole del Papa contro l’accanimento terapeutico, il card. Camillo Ruini ha replicato: «Il Papa ha ripetutamente escluso l’eutanasia».
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30. POCO AMATO DAI CATTOLICI E POCHI FEDELI
Per meglio poter approfondire il tema dell’apprezzamento di Papa Francesco da parte del mondo cattolico, la questione è stata trattata in questo apposito articolo.
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32. RAPPORTO CON BENEDETTO XVI
Per meglio poter approfondire il tema del rapporto tra il Papa emerito e Papa Bergoglio, la questione è stata trattata in questo apposito articolo.
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33. DESACRALIZZAZIONE DEL PAPATO
Il fatto di preferire farsi chiamare come Vescovo di Roma e abitare fuori dall’appartamento pontificio, così come adottare uno stile di vita sobrio, ha indotto molti a ritenere che Francesco abbia desacralizzato il papato.
Bisogna considerare che il papato non è sacralizzato da gesti esteriori ma in quanto successione di Pietro e basata sulla Tradizione, è dunque di fatto impossibile desacralizzarlo. Occorre ricordare inoltre che chi accusa Francesco dimentica che il più grande gesto “desacralizzante” degli ultimi secoli lo ha compiuto Benedetto XVI rinunciando al ministero petrino. Oltretutto, definirsi “Vescovo di Roma” non è certo una novità, diverse volte prima di lui altri Pontefici si sono spesso dichiarati così. Ricordiamo ad esempio che nell’enciclica Ut Unum Sint Giovanni Paolo II si autodefinì “vescovo di Roma” ben 22 volte.
Nel giugno 2013 il vaticanista de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Politi, ha teorizzato che la scelta di non abitare nel Palazzo apostolico mette in discussione l’autorità della Chiesa, «frantuma l’icona ideologica della “sede apostolica” come centro di un potere di impronta divina. Francesco si presenta solo come “vescovo di Roma” e archivia l’aura onnipotente di Pontefice Massimo». Il 2 dicembre 2014 Politi si contraddirà sostenendo che Francesco non sta sminuendo «il prestigio del romano pontefice», come invece , secondo lui, direbbero i gruppi conservatori.
Di seguito in ordine cronologico vari esempi che dimostrano la non pertinenza dell’accusa:
Il 28 luglio 2013 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno da Rio de Janeiro, Papa Francesco ha affermato: «Io non potrei vivere da solo nel Palazzo, e non è lussuoso. L’appartamento pontificio non è tanto lussuoso! E’ largo, è grande, ma non è lussuoso. Ma io non posso vivere da solo o con un piccolo gruppetto! Ho bisogno di gente, di trovare gente, di parlare con la gente… E per questo quando i ragazzi delle scuole gesuite mi hanno fatto la domanda: “Perché Lei? Per austerità, per povertà?”. No, no: per motivi psichiatrici, semplicemente, perché psicologicamente non posso. Ognuno deve portare avanti la sua vita, con il suo modo di vivere, di essere». Rispetto al fatto di insistere molto sul farsi chiamare “vescovo di Roma”, ha risposto: «in questo non si deve andare più avanti di quello che si dice. Il Papa è vescovo, Vescovo di Roma, e perché è Vescovo di Roma è successore di Pietro, Vicario di Cristo. Sono altri titoli, ma il primo titolo è “Vescovo di Roma”, e da lì viene tutto. Parlare, pensare che questo voglia dire essere primus inter pares, no, questo non è conseguenza di questo. Semplicemente, è il titolo primo del Papa: Vescovo di Roma. Ma ci sono anche gli altri … Credo che lei abbia detto qualcosa di ecumenismo: credo che questo favorisca un po’ l’ecumenismo. Ma, soltanto questo».
Il 19 settembre 2013 nell’intervista a “La Civiltà Cattolica” a proposito della scelta di non andare a vivere nell’appartamento pontificio: «Ho bisogno di comunità. E lo si capisce dal fatto che sono qui a Santa Marta: quando sono stato eletto, abitavo per sorteggio nella stanza 207. Questa dove siamo adesso era una camera per gli ospiti. Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché quando ho preso possesso dell’appartamento pontificio, dentro di me ho sentito distintamente un “no”. L’appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l’ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri».
Il 5 marzo 2014 Papa Francesco ha spiegato al “Corriere della Sera”: «Il Papa non è solo nel suo lavoro perché è accompagnato e consigliato da tanti. E sarebbe un uomo solo se decidesse senza sentire o facendo finta di sentire. Però c’è un momento, quando si tratta di decidere, di mettere una firma, nel quale è solo con il suo senso di responsabilità».
Il 12 marzo 2014 il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del dicastero dei Testi legislativi, ha spiegato che Francesco in un anno ha rivoluzionato il rapporto tra il Papa e i fedeli grazie a una concezione della «sacralità» del papato che si esprime nella reale vicinanza alle persone. «Un atteggiamento che solleva le critiche di chi concepisce, legittimamente, il sacro in un altro modo», cioè come distanza, precisa il porporato, ma che ha avvicinato a Bergoglio la gente «in maniera inspiegabile e straordinaria».
Il 7 giugno 2014 Francesco ha spiegato di non stare meditando un pontificato a tempo, come alcuni vaticanisti hanno sostenuto: «Vi benedico e prego per voi, e vi chiedo di pregare per me, perché anche io devo fare il mio gioco che è il vostro gioco, è il gioco di tutta la Chiesa! Pregate per me perché possa fare questo gioco fino al giorno in cui il Signore mi chiamerà a sé. Grazie».
Il 29 giugno 2014 nell’intervista a “Il Messaggero”, Papa Francesco ha spiegato perché preferisce farsi chiamare vescovo di Roma: «Il primo servizio di Francesco è questo: fare il Vescovo di Roma. Tutti i titoli del Papa, Pastore universale, Vicario di Cristo eccetera, li ha proprio perché è Vescovo di Roma. E’ la scelta primaria. La conseguenza del primato di Pietro. Se domani il Papa volesse fare il vescovo di Tivoli è chiaro che mi cacceranno via».
Il 18 agosto 2014 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Corea del Sud, Francesco ha risposto al motivo per cui si recherà in Albania: è perché c’è «un governo di unità nazionale tra islamici, ortodossi e cattolici, con un consiglio interreligioso che aiuta tanto ed è equilibrato. E questo va bene, è armonizzato. La presenza del Papa è per dire a tutti i popoli: “Si può lavorare insieme!”. Io l’ho sentito come se fosse un vero aiuto a quel nobile popolo».
Il 18 ottobre 2014 nel discorso per la conclusione dell’Assemblea generale straordinaria del Sinodo sulla Famiglia, Francesco ha affermato a proposito del Sinodo: «era necessario vivere tutto questo con tranquillità, con pace interiore anche perché il Sinodo si svolge cum Petro et sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti. Parliamo un po’ del Papa, adesso, in rapporto con i vescovi… Dunque, il compito del Papa è quello di garantire l’unità della Chiesa; è quello di ricordare ai pastori che il loro primo dovere è nutrire il gregge – nutrire il gregge – che il Signore ha loro affidato e di cercare di accogliere – con paternità e misericordia e senza false paure – le pecorelle smarrite. Ho sbagliato, qui. Ho detto accogliere: andare a trovarle. Il suo compito è di ricordare a tutti che l’autorità nella Chiesa è servizio (cf. Mc 9, 33-35) come ha spiegato con chiarezza Papa Benedetto XVI […]. Quindi, la Chiesa è di Cristo – è la Sua Sposa – e tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come padroni ma come servitori. Il Papa, in questo contesto, non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore – il “servus servorum Dei”; il garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo – per volontà di Cristo stesso – il “Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli” (Can. 749) e pur godendo “della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa” (cf. Cann. 331-334)».
Il 10 dicembre 2014 durante l’Udienza generale, Francesco ha ricordato che durante il Sinodo sulla famiglia «tutto è avvenuto “cum Petro et sub Petro”, cioè con la presenza del Papa, che è garanzia per tutti di libertà e di fiducia, e garanzia dell’ortodossia. E alla fine con un mio intervento ho dato una lettura sintetica dell’esperienza sinodale».
Il 12 febbraio 2015 nel suo discorso ai cardinali riuniti in Concistorio, Francesco ha spiegato che la riforma della Chiesa, «auspicata vivamente dalla maggioranza dei Cardinali nell’ambito delle Congregazioni generali prima del Conclave, dovrà perfezionare ancora di più l’identità della stessa Curia Romana, ossia quella di coadiuvare il Successore di Pietro nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Esercizio col quale si rafforzano l’unità di fede e la comunione del popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo».
Il 16 febbraio 2015 nel suo discorso all’associazione “Pro Petri Sede”, Francesco ha detto: «Con il prezioso dono che fate oggi al Successore di Pietro, voi venite in aiuto di popolazioni duramente provate in diverse parti del mondo. Con questa solidarietà voi offrite loro anche il conforto spirituale di non sentirsi dimenticate nelle loro prove, e di conservare la speranza».
Il 6 marzo 2015 nell’intervista a Valentina Alazraki, vaticanista di Televisa, Francesco ha spiegato il senso del suo gesto appena eletto Pontefice: «Ho sentito nel profondo che un ministro ha bisogno della benedizione di Dio, ma anche di quella del suo popolo. Non ho osato chiedere al popolo di benedirmi. Semplicemente ho detto: «Vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica». Mi è uscito tutto in modo spontaneo»
Il 27 aprile 2015 durante l’udienza ai vescovi del Benin, Francesco ha affermato: «Il nostro incontro manifesta la comunione fraterna che esiste tra tutti i vescovi, e con colui che presiede questa comunione: il successore di Pietro. Formulo il voto che, una volta ritornati nelle vostre diocesi, teniate presente questa realtà profonda e soprannaturale: non siete mai soli. Siamo tutti uniti al servizio di un unico Signore».
Il 04 maggio 2015 durante l’udienza alle Guardie svizzere, Francesco ha affermato: «So che il vostro servizio è impegnativo. Quando ci sono compiti supplementari, possiamo sempre contare sulla Guardia Svizzera. Lo so. Vi ringrazio con affetto ed esprimo il mio grande apprezzamento per tutto quello che fate per la Chiesa e per me come Successore di Pietro».
Il 17 ottobre 2015 in occasione de 50° anniversario del Sinodo dei Vescovi, Francesco ha ricordato che «il fatto che il Sinodo agisca sempre cum Petro et sub Petro – dunque non solo cum Petro, ma anche sub Petro – non è una limitazione della libertà, ma una garanzia dell’unità. Infatti il Papa è, per volontà del Signore, “il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità tanto dei Vescovi quanto della moltitudine dei Fedeli”. A ciò si collega il concetto di «ierarchica communio», adoperato dal Concilio Vaticano II: i Vescovi sono congiunti con il Vescovo di Roma dal vincolo della comunione episcopale (cum Petro) e sono al tempo stesso gerarchicamente sottoposti a lui quale Capo del Collegio (sub Petro). […]. Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come Successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese».
Il 03 novembre 2015 il sociologo anti-cattolico Marco Marzano ha osservato giustamente che nelle innumerevoli divisioni di cardinali e vescovi tra cordate progressiste e conservatrici, « è chiaro che è soprattutto il ruolo di Franesco come suprema autorità cattolica ad emergere e a rafforzarsi. Quello che il papa ha mostrato a tutti al termine di questo lungo e complicato processo sinodale è che l’unico, ma proprio l’unico, leader della chiesa cattolica universale, il solo capace di tenere insieme un’organizzazione tanto divisa e frammentata, è lui, il vescovo di Roma, il sommo pontefice. Altro che indebolimento del magistero petrino!».
L’08 gennaio 2017 durante un’intervista per La Stampa, Francesco ha detto a proposito del successo riscosso tra la gente: «Il primo sentimento è quello di chi sa che ci sono gli “Osanna!” ma come leggiamo nel Vangelo, possono arrivare anche i “Crucifige!”. Un secondo sentimento lo traggo da un episodio che ho letto da qualche parte. Si tratta di una frase detta dall’allora cardinale Albino Luciani a proposito degli applausi che un gruppo di chierichetti accogliendolo gli aveva tributato. Disse più o meno così: “Ma voi potete immaginare che l’asinello su cui sedeva Gesù nel momento dell’ingresso trionfale a Gerusalemme potesse pensare che quegli applausi fossero per lui?”. Ecco il Papa deve aver coscienza del fatto che lui “porta” Gesù, testimonia Gesù e la sua vicinanza, prossimità e tenerezza a tutte le creature, in modo speciale quelle che soffrono. Per questo qualche volta a chi grida “viva il Papa” ho chiesto invece di gridare “Viva Gesù!”».
Il 13 febbraio 2018, Papa Francesco durante la Santa Messa concelebrata con il Patriarca della Chiesa di Antiochia dei Greco-Melkiti, ha detto: «Questa Messa con il nostro fratello, patriarca Youssef, farà la apostolica communio: lui è padre di una Chiesa, di una Chiesa antichissima e viene ad abbracciare Pietro, a dire “io sono in comunione con Pietro”. Questo è quello che significa la cerimonia di oggi: l’abbraccio del padre di una Chiesa con Pietro».
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34. SILENZIO SULL’ISLAM, ASIA BIBI E I CRISTIANI PERSEGUITATI
A causa dell’abbondanza di interventi del Papa riguardo alla persecuzione dei cristiani, alla tematica è stato dedicato questo apposito articolo, in cui abbiamo raccolto tutti i suoi discorsi in merito.
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35. TESI DEL CONCLAVE INVALIDO E COMPLOTTO SULLE DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI
Non riuscendo a screditare il Pontefice con accuse varie e fantasiose, lo scrittore Antonio Socci ha tentato di “tagliare la testa al toro”, avanzando dubbi sul fatto che il Conclave che ha eletto Francesco non sarebbe valido e ha scritto che dietro alla rinuncia del Papa emerito vi sia un «attacco occulto» contro Benedetto XVI.
DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI.
Legata infatti alla tesi del Conclave invalido c’è anche la convinzione che il Papa emerito sia stato costretto a dimettersi da qualcosa o qualcuno, chi lo sostiene evidentemente lo ritiene un bugiardo dato che lo stesso Benedetto XVI ha spiegato chiaramente la sua decisione: «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino […]. Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato». Secondo Antonio Socci, Ratzinger avrebbe rinunciato soltanto all’esercizio attivo e non al papato.
Il Papa emerito è comunque intervenuto direttamente smentendo le accuse ricevute da Antonio Socci, in particolare nel libro Ultime conversazioni (Garzanti 2016). Qui sotto abbiamo raccolto le notizie più significative in merito:
Nel febbraio 2014 Benedetto XVI ha inviato una lettera rispondendo ad alcune domande. Si legge: «Non c’è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino. Unica condizione della validità è la piena libertà della decisione. Speculazioni circa la invalidità della rinuncia sono semplicemente assurde». Per quanto riguarda il mantenimento dell’abito bianco, «nel momento della mia rinuncia non c’erano a disposizione altri vestiti. Del resto porto l’abito bianco in modo chiaramente distinto da quello del Papa. Anche qui si tratta di speculazioni senza il minimo fondamento».
L’8 dicembre 2014 monsignor Georg Gänswein, segretario personale di Benedetto XVI, ha risposto a chi sostiene che Ratzinger non avrebbe rinunciato al papato ma solo all’esercizio attivo: «Ritengo che sia una sciocchezza teologica e anche logica. Il testo della rinuncia di Benedetto XVI, pronunciato l’11 febbraio 2013 nella Sala del Concistoro, è inequivocabilmente chiaro. Non c’è niente da “interpretare”. Alla rinuncia seguiva la Sede vacante, poi il Conclave e alla fine l’elezione del nuovo Papa. Il Papa legittimo si chiama Francesco».
Il 04 gennaio 2015 il sociologo Giuliano Guzzo ha espresso una delle tante motivazioni per respingere la tesi del complotto: «Chiamerebbe in causa davvero tante, troppe responsabilità: da quella di tutti i cardinali presenti nel Conclave, nessuno dei quali ha tutt’ora eccepito alcunché di fronte ad un’irregolarità che in fin dei conti sarebbe della massima gravità, a quella dello stesso Benedetto XVI, il quale non era presente nel Sacro Collegio ma che, allo stato, pare non aver mai sollecitato alcun chiarimento sull’elezione di Francesco».
Nel febbraio 2015 la prof.ssa Geraldina Boni, ordinario di Diritto Canonico dell’Università di Bologna, ha contestato la tesi che Benedetto XVI abbia rinunciato solamente all’esercizio attivo del papato: «Tale tesi è, secondo me, assolutamente non condivisibile: le distinzioni avanzate sono del tutto prive di fondamento. Benedetto XVI ha agito validamente e lecitamente rinunciando al munus-officium di papa. Quello che non ha deposto – né era nelle sue facoltà: il potere pontificio non è illimitato ma fluisce entro gli argini segnati dallo ius divinum – è, semmai, il munus ricevuto sacramentalmente con la consacrazione episcopale, come qualunque altro vescovo. Non ci sono due titolari del munus petrinum, tesi insostenibile, oltre che francamente aberrante e pericolosa».
Il 15 febbraio 2015 mons. Georg Gänswein, segretario personale di Ratzinger, è intervenuto nuovamente in un’intervista spiegando che il dubitare della validità dell’elezione di Papa Francesco nasce dalla «mancanza di senso della Chiesa». E ha aggiunto: «Benedetto stesso ha detto di aver preso la sua decisione in modo libero, senza alcuna pressione. E ha assicurato “reverenza e obbedienza” al nuovo Papa. Benedetto XVI è convinto che la decisione presa e comunicata sia quella giusta. Non ne dubita. È serenissimo e certo di questo: la sua decisione era necessaria, presa “dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”. La consapevolezza che le forze del corpo e dell’animo venivano meno, di dover guardare non alla propria persona ma al bene della Chiesa. Le ragioni sono nella sua declaratio. La Chiesa ha bisogno di un timoniere forte. Tutte le altre considerazioni e ipotesi sono sbagliate».
Il 04 aprile 2015 mons. Georg Gänswein, segretario personale di Ratzinger, ha ribadito ancora una volta che l’unico motivo per cui Benedetto XVI si dimise fu l’incapacità fisica di sostenere il papato: «disse che il ministero petrino necessita di vigore sia del corpo, sia dell’animo, “vigor quidam corporis et animae necessarius est”. Parlò, insomma, di forze fisiche e anche di spirito. È ovvio che tutto ciò che è successo nei due anni precedenti l’11 febbraio consumò le sue forze, ma non fu motivo per la rinuncia. Non fu una fuga. Era convinto che il pastore non deve mai fuggire da nulla, neanche dai lupi se li incontrasse.Questa è la chiave per la giusta comprensione della sua decisione. Non è fuggito, ha semplicemente e umilmente ammesso di non avere più la forza per reggere la Chiesa di Cristo».
L’08 giugno 2016 George Weigel, il biografo ufficiale di Giovanni Paolo II, ha scritto: «Dall’abdicamento di papa Benedetto XVI, ci sono state voci che insistevano sul fatto che papa Benedetto non intendeva davvero abdicare, o che non lo facesse canonicamente, o semplicemente ha gettato il peso del governo mentre in qualche modo rimaneva “papa”, o qualche altro sciocchezza – e questo nonostante l’insistenza di Benedetto che, sì, intendeva fare esattamente quello che ha fatto. Ad oggi, queste voci sono state limitate ai margini dei commenti cattolici, dove le teorie del complotto abbondano; agli accademici con troppo tempo a disposizione; e ai giornalisti (principalmente italiani) con spazio bianco da riempire. Poche settimane fa, tuttavia, questo brutale castamente inutile fu esacerbato dal segretario di lunga data di Benedetto, l’arcivescovo Georg Gaenswein, ora prefetto della Casa pontificia. L’ex vescovo di una diocesi è il suo “vescovo emerito” mentre vive, poiché conserva il carattere indelebile dell’ordinazione episcopale; ma non c’è un tale carattere nell’ufficio petrino».
Il 24 agosto 2016 è stata pubblicata un’intervista di Elio Guerriero a Benedetto XVI, il quale ha dichiarato: «Nel 2013, tuttavia, vi erano numerosi impegni che non ritenevo più di poter portare a termine. In particolare era già stata fissata la data della Giornata Mondiale della Gioventù che doveva svolgersi nell’estate del 2013 a Rio de Janeiro in Brasile. Ora, a questo riguardo, io avevo due convinzioni ben precise. Dopo l’esperienza del viaggio in Messico e a Cuba, non mi sentivo più in grado di compiere un viaggio così impegnativo. Inoltre, con l’impostazione data da Giovanni Paolo II a queste giornate, la presenza fisica del Papa era indispensabile. Non si poteva pensare a un collegamento televisivo o ad altre forme garantite dalla tecnologia. Anche questa era una circostanza per la quale la rinuncia era per me un dovere. Avevo, perciò, la ferma convinzione che il mio successore, così come è poi avvenuto, avrebbe ugualmente portato al buon fine voluto dal Signore, l’iniziativa da me avviata». Dopo il viaggio a Cuba, «ho sperimentato con grande forza i limiti della mia resistenza fisica. Soprattutto mi sono reso conto di non essere più in grado di affrontare in futuro voli transoceanici per il problema del fuso orario. Naturalmente ho parlato di questi problemi anche con il mio medico, il Prof. Dr. Patrizio Polisca. Diveniva in questo modo chiaro che non sarei più stato in grado di prender parte alla giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro nell’estate del 2013, vi si opponeva chiaramente il problema del fuso orario. Da allora in poi dovetti decidere in un tempo relativamente breve sulla data del mio ritiro».
Nel settembre 2016 è stato pubblicato il libro Ultime conversazioni (Garzanti 2016) in cui Benedetto XVI ha chiaramente inteso smentire ogni possibile tesi alternativa sulle motivazioni della sua rinuncia: «Sono tutte assurdità. Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non l’avrei nemmeno permesso. Se avessero provato a farlo non me ne sarei andato perché non bisogna lasciare quando si è sotto pressione. E non è nemmeno vero che ero deluso o cose simili. Anzi, grazie a Dio, ero nello stato d’animo pacifico di chi ha superato la difficoltà. Lo stato d’animo in cui si può passare tranquillamente il timone a chi viene dopo» (p. 34, 35). «Una decisione simile non risulta facile e la si deve ponderare a lungo. Per me, tuttavia, è apparsa talmente evidente che non c’è stato un doloroso conflitto interiore […]. Era chiaro che dovevo farlo e che quello era il momento giusto» (p. 27). Nessun pentimento, «Vedo ogni giorno che era la cosa giusta da fare. Era una cosa su cui avevo riflettuto a lungo, e di cui avevo anche a lungo parlato con il Signore» (p. 36). «Sono convinto che non si sia trattato di una fuga, e sicuramente non di una rinuncia dovuta a pressioni esterne, che non esistevano» (p. 45). Vatileaks e i tradimento del suo aiutante di camera, Paolo Gabriel, c’entrano qualcosa? «No, non è assolutamente vero. Al contrario, le cose erano state del tutto chiarite. Uno non può dimettersi quando le cose non sono a posto, ma può farlo solo quando tutto è tranquillo. Io ho potuto dimettermi proprio perché riguardo a quella vicenda era ritornata la serenità. Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte» (p. 34). Lo ribadisce nuovamente: «Alle richieste non ci si deve piegare, naturalmente. È per questo che nel mio discorso ho sottolineato che io agivo liberamente. Non si può andar via se si tratta di una fuga. Non bisogna cedere alle pressioni. Si può andar via solo se nessuno lo pretende, e nessuno nel mio caso lo ha preteso. Nessuno. Fu una assoluta sorpresa per tutti» (p. 37).
Il 09 settembre 2016 padre Federico Lombardi, ex portavoce di Benedetto XVI e oggi presidente della Fondazione Ratzinger, ha scritto in merito al libro “Ultime conversazioni” (Garzanti 2016): «Benedetto XVI ha dato una risposta chiara e serena a tutte le elucubrazioni immotivate sulle ragioni della sua rinuncia al pontificato, come se fosse stata causata dalle difficoltà incontrate a seguito di scandali o complotti. Di tutto ciò ora, sollecitato dalle domande di Seewald, Benedetto in prima persona fa piazza pulita con decisione, in modo ci auguriamo definitivo, parlando del cammino di discernimento con cui è giunto davanti a Dio alla decisione e della serenità con cui, una volta presa, la ha comunicata e attuata senza alcuna incertezza e non se ne è mai pentito».
L’11 settembre 2016 il vaticanista Aldo Maria Valli, celebrato da diversi tradizionalisti in quanto autore di alcune perplessità su dichiarazioni pubbliche di Francesco, ha scritto: «la sola idea che Ratzinger, il teologo Ratzinger, l’uomo che ha speso tutta la vita al servizio della Chiesa, abbia deciso, con una scelta di portata storica, di rinunciare al soglio per una questione di banche e di bancomat, mi sembra francamente inverosimile. Un papa come Ratzinger, non prende l’epocale decisione di ritirarsi solo perché il sistema bancario mondiale taglia fuori momentaneamente il Vaticano. Ratzinger, come ha sempre detto, ha rinunciato perché ha avvertito di non avere più le forze per governare adeguatamente».
L’17 settembre 2016 il biografo tedesco di Benedetto XVI, Peter Seewald, ha spiegato di aver pubblicato subito il libro Ultime conversazioni perché «mi sono trovato davanti a commenti e annotazioni sulla sua vita che trovai rilevanti. Un documento storico. Era un Ratzinger diretto, senza le distorsioni dei media, soprattutto nel caso della sua rinuncia. Quella rinuncia è stata un atto impareggiabile sul quale avevamo sostanzialmente solo la sua declaratio, 20 righe in latino. A questo fatto si sono aggiunte leggende e teorie su una presunta cospirazione secondo le quali questa rinuncia non era stata volontaria, che era stata obbligata dagli scandali e addirittura da estorsione. Era necessaria quindi la versione diretta del personaggio storico per mettere fine a storielle senza senso. Perciò, dopo la trascrizione dei nastri, ho provato a convincere il Papa emerito affinché consentisse di pubblicare questo materiale. E’ possibile convincere Joseph Ratzinger solo con argomenti … Ma lui, alla fine, ha posto un solo requisito preventivo: il consenso di Papa Francesco. Non ci sono stati ostacoli».
L’12 gennaio 2017 l’intervistatore di Benedetto XVI, il giornalista tedesco Peter Seewald, ha commentato il libro-intervista Ultime conversazioni (Garzanti 2016), affermando: «Questo libro chiarisce, in particolare, le circostanze e le ragioni delle storiche dimissioni e mette fine alle speculazioni e alle teorie cospiratorie che le circondano».
L’07 marzo 2017 anche l’arcivescovo Luigi Negri ha accreditato il complotto sulle dimissioni di Ratzinger: «Si è trattato di un gesto inaudito. Negli ultimi incontri l’ho visto infragilito fisicamente, ma lucidissimo nel pensiero. Ho poca conoscenza – per fortuna – dei fatti della Curia romana, ma sono certo che un giorno emergeranno gravi responsabilità dentro e fuori il Vaticano. Benedetto XVI ha subito pressioni enormi. Non è un caso che in America, anche sulla base di ciò che è stato pubblicato da Wikileaks, alcuni gruppi di cattolici abbiano chiesto al presidente Trump di aprire una commissione d’inchiesta per indagare se l’amministrazione di Barack Obama abbia esercitato pressioni su Benedetto. Resta per ora un mistero gravissimo, ma sono certo che le responsabilità verranno fuori. Si avvicina la mia personale “fine del mondo” e la prima domanda che rivolgerò a San Pietro sarà proprio su questa vicenda». A tali dichiarazioni ha risposto il vaticanista Andrea Tornielli: «Negri è dunque «certo» che Benedetto abbia lasciato perché sottoposto a fortissime pressioni e che vi siano persone responsabili di quella sua scelta, evidentemente considerata dall’arcivescovo non libera. Esattamente come ripetono i complottisti, i quali vedono proprio in queste pressioni un condizionamento che renderebbe invalida la rinuncia stessa. È ciò che permette a una galassia di gruppi e gruppuscoli pseudo-tradizionalisti di considerare ancora Ratzinger come il «vero Papa», anche se a queste conseguenze l’arcivescovo di Ferrara, nell’intervista citata, non arriva. Questa lettura dei fatti finisce dunque col presentare il Papa emerito come succubo di pressioni e incapace di resistere a queste stesse pressioni». Nel nostro articolo, a commento delle dichiarazioni di mons. Negri, abbiamo suggerito che l’arcivescovo non sia così ben informato dato che definisce “gruppi cattolici” coloro che hanno chiesto a Trump di indagare sulle presunte pressioni da parte di Obama. Si tratta in realtà del direttore e dell’editorialista della rivista The Renmant, due noti sedevacantisti vicini alla Fraternità San Pio X di Marcel Lefebvre, i loro nomi sono Michael Matt e Christopher A. Ferrara. Non riconoscono il Concilio Vaticano II, da anni sono definiti “eretici” dal mondo cattolico statunitense e sono stati socialmente scomunicati nel 2000 dal vescovo di Lincoln, Fabian W. Bruskewitz, che ha condiviso la presa di distanza da loro da parte della comunità cattolica americana, in particolare dal magazine The Wanderer che ha criticato la loro avversione verso Giovanni Paolo II, parlando di «traiettoria scismatica». La rivista The Remnant e il direttore sono stati anche inclusi dal Southern Poverty Law Center nella lista di “gruppi di odio” degli Stati Uniti, avendo promosso l’antisemitismo. Ferrara ha perfino negato l’Olocausto, ricevendo dure critiche da parte dei principali siti web cattolici statunitensi.
Il 15 marzo 2017 mons. Luigi Negri ha parzialmente rettificato le sue parole a proposito del complotto sulle dimissioni di Benedetto XVI: «Io non ho mai detto questo [cioè che dietro vi fossero pressioni di Obama, NDA] e basta leggere il testo completo delle mie dichiarazioni. Ho solo preso lo spunto da recenti notizie di cronaca che arrivano dagli Usa, in particolare quanto pubblicato da Wikileaks e ho ricordato che su quell’episodio sarebbe opportuno verificare, cosa peraltro invocata da cattolici degli Stati Uniti».
Il 01 luglio 2020 lo storico tradizionalista Roberto De Mattei, leader della feroce opposizione a Papa Francesco, ha attaccato Benedetto XVI e la sua scelta di dimettersi: «A oltre sette anni dallo sciagurato 11 febbraio 2013, la vita di Benedetto XVI e il pontificato di papa Francesco volgono inesorabilmente al termine. Non sappiamo quale dei due eventi precederà l’altro, ma in entrambi i casi, il “fumo di Satana” rischia di avvolgere il Corpo Mistico di Cristo come forse mai è accaduto nella storia. Era logico prevedere che con la convivenza di “due Papi” in Vaticano, una parte del mondo conservatore, disgustato da Francesco avrebbe rivolto lo sguardo a Benedetto, considerandolo il “vero Papa”, contrapposto al “falso profeta”. Pur convinti degli errori di papa Francesco, questi conservatori non hanno voluto seguire la strada aperta dalla Correctio filialis consegnata a papa Francesco l’11 agosto 2016. La vera ragione della loro riluttanza sta probabilmente nel fatto che la Correctio mette in rilievo come la radice delle deviazioni bergogliane risale ai pontificati di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II e, prima ancora, al Concilio Vaticano II. Lo stesso Benedetto, attribuendosi il titolo di Papa emerito, continuando a vestire di bianco e impartendo la benedizione apostolica, ha compiuto gesti che sembrano incoraggiare questa impervia opera di sostituzione del Papa nuovo con l’antico». De Mattei ha tuttavia respinto la tesi dell’invalidità delle sue dimissioni: «L’argomento princeps è però la distinzione tra munus e ministerium, con la quale Benedetto è sembrato voler conservare per sé una sorta di pontificato mistico, lasciando a Francesco l’esercizio del governo. L’origine della tesi risale a un discorso di mons. Georg Gänswein del 20 maggio 2016 alla Pontificia Università Gregoriana, in cui egli affermava che papa Benedetto non aveva abbandonato il suo ufficio, ma gli aveva dato una nuova dimensione collegiale, rendendolo un ministero quasi-condiviso. Di fronte all’obiezione che il Papato è uno e indivisibile e non può tollerare scissioni al suo interno, la replica di questi conservatori è che proprio questo fatto prova l’invalidità delle dimissioni di Benedetto XVI. L’intenzione di Benedetto – essi dicono – era quella di conservare il pontificato, supponendo che l’ufficio potesse biforcarsi in due; ma ciò è un errore sostanziale, perché la natura monarchica e unitaria del Papato è di diritto divino. La rinuncia di Benedetto XVI, perciò, sarebbe invalida. E’ facile controbattere che se fosse provato che Benedetto XVI aveva l’intenzione di scindere il pontificato, modificando la costituzione della Chiesa, sarebbe caduto in eresia; e poiché questa concezione eretica del Papato sarebbe certamente anteriore alla sua elezione, l’elezione di Benedetto dovrebbe essere ritenuta invalida per lo stesso motivo per cui si ritiene invalida l’abdicazione. Egli non sarebbe in nessun caso Papa».
Il 28 febbraio 2021 Benedetto XVI ha rilasciato una breve intervista al Corriere della Sera nella quale è tornato sull’argomento dimissioni: «È stata una decisione difficile. Ma l’ho presa in piena coscienza, e credo di avere fatto bene. Alcuni miei amici un po’ “fanatici” sono ancora arrabbiati, non hanno voluto accettare la mia scelta. Penso alle teorie cospirative che l’hanno seguita: chi ha detto che è stato per colpa dello scandalo di Vatileaks, chi di un complotto della lobby gay, chi del caso del teologo conservatore lefebvriano Richard Williamson. Non vogliono credere a una scelta compiuta consapevolmente. Ma la mia coscienza è a posto». Accanto al Papa emerito c’è mons. aenswein, suo segretario personale, che -si legge- «in alcuni rari passaggi ripete e “traduce”, mentre Benedetto annuisce in segno di approvazione».
CONCLAVE INVALIDO. Per quanto riguarda la tesi del Conclave invalido, essa è emersa nel settembre 2014 con il libro “Non è Francesco” di Antonio Socci, in cui ha posto dubbi sull’elezione di Bergoglio: la giornalista Elisabetta Piqué, nel libro “Francesco. Vita e rivoluzione” (Lindau 2013) ha rivelato che durante il Conclave sarebbe stata depositata nell’urna una scheda in più rispetto ai votanti, i cardinali avrebbero decisero di bruciare tutto e di effettuare subito un nuovo scrutinio (p. 39-40). In base a questa notizia, riferita alla Piqué dallo stesso Francesco, lo scrittore ha sostenuto che le norme non lo consentirebbero. L’autore ha proseguito sottolineando come Benedetto XVI sarebbe il vero pontefice in carica, dato che continua a vestirsi di bianco, continua (continuerebbe) a firmarsi come Benedictus XVI, con tanto di P. P. a indicare la potestà papale, è rimasto perfino dentro il recinto di Pietro, egli non parla, ma «parlano però i suoi gesti, i suoi segni e le sue decisioni». Il manifesto antibergogliano dello scrittore cattolico viene giustificato da quest’ultimo in obbedienza «al grido della mia coscienza».
La tesi di Socci è stata confutata nell’ottobre 2014 su “La Nuova Bussola Quotidiana” dal prof. Giancarlo Cerrelli, avvocato specializzato in Diritto canonico e Massimo Introvigne, sociologo ma con anche una laurea in legge. Nel gennaio 2015 è stata la prof.ssa Geraldina Boni, docente ordinaria di diritto canonico e di storia del diritto canonico nella università “Alma Mater Studiorum” di Bologna, nonché membro del consiglio direttivo della “Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo” a replicare alla tesi di Antonio Socci, definendola “del tutto infondata giuridicamente”.
Nel febbraio 2015 mons. Georg Gänswein, segretario personale di Ratzinger, è intervenuto in un’intervista spiegando che il dubitare della validità dell’elezione di Papa Francesco nasce dalla «mancanza di senso della Chiesa».
Il 01 luglio 2020 lo storico tradizionalista Roberto De Mattei, leader della feroce opposizione a Papa Francesco, ha difeso la validità dell’elezione di Papa Francesco: «Se il legittimo Papa è Benedetto XVI, che cosa accadrebbe se egli da un giorno all’altro morisse, o se invece, prima della sua morte, venisse a mancare papa Francesco? Dal momento che molti degli attuali porporati sono stati creati da papa Francesco e nessuno dei cardinali elettori lo considera un antipapa, la successione apostolica sarebbe interrotta, pregiudicando la visibilità della Chiesa. Il paradosso è che per provare l’invalidità della rinuncia di Benedetto si utilizzano sofismi giuridici, ma poi per risolvere il problema della successione di Benedetto o di Francesco, si dovrebbe ricorrere a soluzioni extra-canoniche».
COLLABORAZIONE PER L’ELEZIONE DI BERGOGLIO.
Nel dicembre 2014 è emersa un’altra polemica, portata in Italia dal vaticanista de “La Stampa” Marco Tosatti che ha ripreso la notizia di un “caso” relativo alla biografia di papa Francesco scritta da Austen Ivereigh, uomo stampa del card. Murphy O’Connor, centrato sulle settimane prima del Conclave 2013: nel libro si afferma che un certo numero di cardinali – che l’autore definisce il “team Bergoglio” – subito dopo le dimissioni di Benedetto XVI hanno intessuto una tela per portare al soglio di Pietro l’arcivescovo di Buenos Aires. Il caso è stato lanciato dal “Daily Telegraph” e ripreso in seguito da altri siti web. Scrive Ivereigh: i cardinali che avevano tentato di eleggere, senza riuscirci, Bergoglio nel 2005 (Murphy O’Connor, Kasper e altri), «avevano imparato la lezione del 2005 e stavolta erano ben organizzati. Prima di tutto si assicurarono il consenso di Bergoglio. Quando gli domandarono se fosse disponibile rispose che riteneva che in un simile momento di crisi per la Chiesa nessun cardinale, ove glielo si fosse chiesto, potesse rifiutare (Murphy O’Connor lo avvertì a bella posta di “stare attento” che stavolta era il suo turno, e l’altro rispose in italiano: “Capisco”)». Quello che ha scritto andrebbe contro le regole del Conclave, stabilite dalla “Universi Dominici Gregis”, al N. 81: «I Cardinali elettori si astengano, inoltre, da ogni forma di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere, che li possano costringere a dare o a negare il voto ad uno o ad alcuni. Se ciò in realtà fosse fatto, sia pure sotto giuramento, decreto che tale impegno sia nullo e invalido e che nessuno sia tenuto ad osservarlo; e fin d’ora commino la scomunica latae sententiae ai trasgressori di tale divieto. Non intendo, tuttavia, proibire che durante la Sede Vacante ci possano essere scambi di idee circa l’elezione». Poche ore dopo l’articolo Maggie Doherty, responsabile stampa di Murphy O’Connor ha scritto al Daily Telegraph, affermando che il cardinale «vuole rendere chiaro che nessun approccio all’allora cardinale Bergoglio fu fatto da lui, o per quanto ne sa, da nessun altro cardinale per cercare il suo assenso a diventare un candidato al papato». Austen Ivereigh ha risposto a questo con un tweet: «”Si assicurarono il suo assenso” (p.355) avrebbe dovuto essere letto “Credevano che non si sarebbe opposto alla sua elezione”. Sarà corretto nelle future edizioni». Tosatti, e chi parla di questo nuovo “caso”, si dimentica di ricordare che avvenne qualcosa di simile anche per l’elezione di Benedetto XVI, come scrisse Andrea Tornielli sulla rivista “Limes” nel 2005, pubblicando gli appunti riservati di un cardinale, seppur anonimo: «Dagli appunti del cardinale, venuti in possesso della rivista, si apprende innanzitutto che la candidatura di Ratzinger era fortissima fin dall’inizio: il settantottenne porporato bavarese era l’unico che potesse contare sull’appoggio di un gruppo ben organizzato deciso a sostenerlo. Vengono poi smentite le ricostruzioni secondo le quali un ruolo determinante nell’elezione di Benedetto XVI avrebbe avuto il cardinale Carlo Maria Martini, coetaneo del nuovo Papa, ex arcivescovo di Milano. E viene invece confermata la notizia pubblicata dal quotidiano milanese “Il Giornale” il giorno dopo il conclave: l’unico vero antagonista di Ratzinger che ha potuto contare su un numero consistente di consensi arrivando fino a 40 è stato l’arcivescovo di Buenos Aires, il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio […]. Dopo cena si tengono piccole riunioni per decidere il da farsi e soprattutto convincere gli indecisi. “Piccoli gruppi, due-tre persone, non ci sono maxi riunioni” […]. Già nella Sistina, prima del trasferimento a Santa Marta per il pranzo ci sono i primi commenti e i primi contatti. Grande preoccupazione fra i porporati che auspicano l’elezione del cardinale Ratzinger; s’infittiscono i contatti, il più attivo è il cardinale Lopez Trujillo…». Perché nessuno tirò fuori anche la presunta invalidità dell’elezione di Benedetto XVI?
Il 2 dicembre 2014 il vaticanista de “La Stampa” Marco Tosatti ha proseguito con la notizia contenuta nella biografia di papa Francesco di Austen Ivereigh, “The Great Reformer”, secondo cui un gruppo di cardinali, il “Team Bergoglio” avrebbe pianificato sin dalle dimissioni di Benedetto XVI l’elezione di Francesco, ottenendo il suo assenso previo. Si riporta un altro brano del libro: «Il giorno dopo, Francesco incontrò l’intero collegio cardinalizio, compresi i non elettori, nella sala delle benedizioni. Quando comparve il cardinal Murphy O’Connor, lo abbracciò e, agitando l’indice in segno di rimprovero, disse con una risata: “E’ colpa sua! Che cosa mi ha fatto?”. Murphy O’Connor, oltre gli ottanta anni di età, non era entrato in Conclave; quindi la sua “responsabilità” poteva essere solo precedente all’”Extra Omnes». Viene citato anche un altro tweet di Austen Ivereigh: «Il capitolo sul Conclave, letto nella sua interezza, rende assolutamente chiaro che JMB (Jorge Mario Bergoglio, n.d.r.) non fece assolutamente nulla per cooperare nella sua elezione». Il sito web “Il Sismografo” ha anche riportato: «In merito a quanto circola sull’ultimo Conclave abbiamo interpellato padre Federico Lombardi, Direttore della Sala stampa della Santa Sede. Ecco la risposta di padre Lombardi: “In un libro di recente pubblicazione a proposito del Papa Francesco, scritto da Austen Ivereigh e uscito in inglese con il titolo: “The Great Reformer. Francis and the Making of a Radical Pope” (Henry Holt and Company), e in italiano: “Tempo di misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio” (Mondadori), si afferma che nei giorni precedenti il Conclave quattro cardinali – Murphy O’Connor, Kasper, Daneels e Lehmann – si “assicurarono il consenso” del card. Bergoglio alla sua eventuale elezione, e poi “si misero al lavoro” con una campagna per la promozione della sua elezione. Posso dichiarare che tutti e quattro i cardinali sopra nominati negano esplicitamente questa descrizione dei fatti, sia per quanto riguarda la richiesta di un consenso previo da parte del card. Bergoglio, sia per quanto riguarda la conduzione di una campagna per la sua elezione, e desiderano che si sappia che sono stupiti e contrariati per quanto pubblicato». Secondo Tosatti: «Con tutto il rispetto dovuto ai quattro cardinali, la serietà dell’autore e la ricchezza di dettagli del libro (che certamente dà un’immagine molto positiva del Papa, in ogni fase della sua vita) fanno sì che la smentita non appaia tale da risolvere il “caso” sollevato da Ivereigh». Rimane l’obiezione già fatta: perché nessuno tirò fuori anche la presunta invalidità dell’elezione di Benedetto XVI, dato che questi patteggiamenti avvennero anche nel 2005, come è stato descritto?
Secondo il giornalista e scrittore Antonio Socci, è intervenuto sul caso del “team bergoglio”, «i fatti riferiti dal libro dell’inglese non mettono in discussione di per sé la legittimità dell’elezione. Casomai fanno emergere qualcosa della lotta che si è svolta dietro le quinte nel 2013 (dalla rinuncia di Benedetto all’elezione di Francesco) e dei suoi protagonisti».
La prof.ssa Geraldina Boni ha confutato l’accusa di patteggiamenti tra cardinali per eleggere Bergoglio: «Non è inoltre ozioso segnalare che la costituzione giovanneo-paolina non sanziona con l’invalidità neppure dell’elezione […] frutto di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere fra cardinali».
COMPLOTTISMO SUL CONCLAVE.
Lo scritore Antonio Socci ha sostenuto: «Dalla fumata bianca alla sua comparsa è passato infatti un lasso di tempo doppio rispetto a Benedetto XVI. Perché? Cosa è accaduto? […] Sarebbe interessante capire perché la fumata bianca fu data alle 19.06, circa un’ora prima dell’Habemus papam che avvenne alle 20.12». Non è affatto vero che il tempo trascorso tra la fumata bianca e l’apparizione di Bergoglio sia stata il doppio di quella di Ratzinger: come conferma la Sala Stampa della Santa Sede, la fumata bianca di Benedetto XVI è apparsa alle 17,50 e alle 18,48 è apparso sulla loggia di San Pietro: esattamente sette minuti prima di quella di Francesco, non certo la metà del tempo.
Oltre a questo, Socci ha avvalorato le parole di Scalfari sui momenti dell’elezione in cui Francesco si sarebbe ritirato «per qualche minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza». Non si capisce cosa ci sia di sospetto e di misterioso sul fatto che Bergoglio -anche se fosse vero- si sia preso del tempo per riflettere sull’accettazione, senza contare l’aver avvalorato un’intervista che lo stesso Socci non aveva considerato attendibile soltanto pochi mesi prima, quando scriveva: «Il fondamentalista non riflette su come quella frase sia stata veramente detta dal Papa e magari su com’è stata capita e riportata da Scalfari». Nemmeno la Santa Sede ha avvalorato tale episodio, sopratutto considerando che lo stesso Scalfari ha ammesso di aver attribuito al Papa espressioni che non aveva mai pronunciato. Il sito “VaticanInsider” ha rilevato inoltre «un errore riguardante quanto accaduto nella Sistina. In una delle risposte, si diceva che il Pontefice dopo aver raggiunto il quorum necessario per l’elezione, prima di accettare si sarebbe ritirato in preghiera. Circostanza non vera, e smentita da diversi cardinali, tra i quali l’arcivescovo di New York Timothy Dolan». Lo stesso Francesco ha smentito questa ricostruzione nell’intervista a “La Stampa” del 16/12/13: « Non ho perso la pace mentre crescevano i voti. Sono rimasto tranquillo. E quella pace c’è ancora adesso, la considero un dono del Signore. Finito l’ultimo scrutinio, mi hanno portato al centro della Sistina e mi è stato chiesto se accettavo. Ho risposto di sì, ho detto che mi sarei chiamato Francesco. Soltanto allora mi sono allontanato. Mi hanno portato nella stanza adiacente per cambiarmi l’abito. Poi, poco prima di affacciarmi, mi sono inginocchiato a pregare per qualche minuto insieme ai cardinali Vallini e Hummes nella cappella Paolina».
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36. ACCUSE DI CONNIVENZA CON LA DITTATURA ARGENTINA E FRASE MISOGINA
Come dicevamo, anche con Francesco, almeno per il primo periodo, si è pensato di usare l’attacco diretto e la calunnia, esattamente come per Benedetto XVI (tanto che Beppe Grillo, leader del Movimento 5 stelle disse: «scavando nel suo passato per trovare ogni piccola ombra. Questo me lo rende simpatico. Quali papi sono stati crocifissi dalla stampa mezz’ora dopo essere stati eletti?»). Vediamo come si è svolta la primissima fase.
La macchina del fango è ripartita di gran cassa subito dopo l’elezione di Bergoglio, ricominciando laddove aveva interrotto con Benedetto XVI. Pochi minuti dopo l’annuncio del nuovo pontefice, la sua pagina Wikipedia è stata vandalizzata con la frase «God is gay, god is gay». .
Il 14 marzo 2013 sono piovute addosso a Bergoglio le accuse di presunta complicità con la dittatura argentina tra il 1976 e il 1983. Ad occuparsene quattro quotidiani in particolare: il “New York Times”, “Página 12” di Buenos Aires, il “Fatto Quotidiano” e il “Manifesto”.
Le vicende sono state raccontate dall’accusatore principale di Bergoglio, il giornalista ed ex guerrigliere marxista Horacio Verbitsky, ovviamente collaboratore del “Fatto Quotidiano” (giornale che, come vedremo, continuerà più degli altri a calunniare Papa Francesco anche quando la verità emerse palese, Massimo Introvigne parla di «versione rozza del “Fatto” di Marco Travaglio che spara a zero sul Papa»).
Il direttore di “Repubblica”, Ezio Mauro, ha invece spiegato al Pontefice argentino che cosa gli succederà se darà fastidio: gli sarà chiesta «piena trasparenza sui suoi rapporti con la dittatura militare argentina, sugli scandali di compromissione che lo hanno chiamato in causa come gesuita in vicende mai chiarite». Daniela Padoan sul “Fatto Quotidiano” non ha nemmeno lasciato margine al dubbio: «Dunque abbiamo un Francesco in Vaticano. Non è venuto dal nulla, camminando scalzo. Era a Buenos Aires, sprezzante di tutte le figure che sono state vittime della dittatura argentina. Sembra di cattivo gusto evocare le porte chiuse in faccia alle madri e alle nonne di Plaza de Mayo, e le circostanziate testimonianze di una vicinanza a un regime che torturava gli oppositori. Ma non è concesso accantonare con un’alzata di spalle ciò che un uomo ha fatto durante una dittatura. Chi ha vissuto durante una dittatura ha subito la più difficile delle prove, e non è ininfluente se si è schierato dalla parte dei persecutori o da quella delle vittime. Non si tratta solo di rispettare e dar credito alle parole di un giornalista che, come Horacio Verbitsky, ha passato la vita a ricostruire brandello per brandello le testimonianze di quegli anni, ma di guardare l’operato, nella sua sede vescovile di Buenos Aires, di un uomo che non ha fatto mistero della propria collocazione ideale: Dio, patria, famiglia. Gli ideali della dittatura argentina. Di tutte le dittature».
Il nome di Bergoglio è emerso principalmente riguardo ad un fatto specifico: nel febbraio del 1976, un mese prima del golpe, egli, a capo dei Gesuiti argentini -ed intenzionato a mantenere la non politicizzazione della Compagnia di Gesù-, chiese a due gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalics, di lasciare la loro missione nelle favelas a causa dell’adesione esplicita alla ambigua “Teologia della Liberazione”. Poco prima del colpo di stato del 24 marzo 1976, ha voluto nuovamente avvertirli del pericolo offrendo loro rifugio nella casa dei gesuiti, ottenendo come risposta un rifiuto. Dopo questi fatti, i due sacerdoti vennero espulsi dall’ordine e, sempre stando alla ricostruzione dell’ex terrorista argentino, Bergoglio fece pressioni all’allora arcivescovo di Buenos Aires per toglier loro l’autorizzazione a officiare messa. Poco dopo il colpo di Stato, i due religiosi furono sequestrati, detenuti e torturati nella Scuola meccanica della Marina (Esma), simbolo delle violenze e delle torture contro i desaparecidos. Una volta liberati, dietro esplicite pressioni del Vaticano, uno di loro, Yorio, raccontò che quella espulsione dai gesuiti rappresentò una sorta di via libera per i golpisti (è poi morto per cause naturali).
L’altro sacerdote, Jalics, ha invece tutt’ora buoni rapporti con Bergoglio. Ha affidato una dichiarazione al sito dei gesuiti tedeschi jesuiten.org spiegando: «Per la mancanza di informazioni di allora e per false informazioni fornite appositamente la nostra posizione era stata fraintesa anche nella chiesa». Con Bergoglio i due gesuiti imprigionati si videro anni dopo, «celebrammo pubblicamente una messa insieme, ci abbracciammo solennemente. A Papa Francesco auguro la ricca benedizione di Dio per il suo ufficio». Il fratello di Jalics ha mostrato alla televisione tedesca una lettera inviata da Bergoglio alla famiglia di Jalics dopo l’arresto, datata 15 settembre 1976: «Ho preso molte iniziative per arrivare alla liberazione di vostro fratello, finora non abbiamo avuto successo», si legge. «Ma non ho perduto la speranza che suo fratello verrà presto rilasciato. Ho deciso che la questione è il mio compito. Le difficoltà che suo fratello e io abbiamo avuto tra di noi sulla vita religiosa non hanno nulla a che fare con la situazione attuale. Ferenke è per me un fratello. Ho amore cristiano per suo fratello e farò tutto quanto potrò perché egli torni libero». In un secondo comunicato, Jalics ha precisato: «Dopo la mia spiegazione del 15 marzo di questo anno ho ricevuto molte richieste, per questo vorrei completare con quanto segue. Mi sento quasi obbligato, poiché alcuni commenti significano il contrario di quello che ho inteso. I fatti sono questi: Orlando Yorio ed io non fummo denunciati da padre Bergoglio. Come avevo chiarito nella mia precedente spiegazione, fummo incarcerati a causa di una catechista che dapprima lavorava con noi e poi entrò nella guerriglia. Per tre quarti di un anno non l’abbiamo vista. Due o tre giorni dopo il suo arresto fummo arrestati anche noi. L’ufficiale che mi interrogò controllò i miei documenti. Quando vide che ero nato a Budapest, mi ritenne una spia. Nella provincia dei gesuiti argentina e nei circoli ecclesiali già negli anni precedenti erano state diffuse false informazioni sul fatto che ci saremmo trasferiti nella favela perché anche noi appartenevamo alla guerriglia. Ma era falso. La mia supposizione è che furono queste voci il motivo per il quale non fummo liberati subito. In passato anch’io tendevo a pensare che eravamo stati vittima di una denuncia. Ma alla fine degli anni Novanta dopo numerosi colloqui mi è stato chiaro che questa supposizione era infondata. E’ dunque falso supporre che il nostro arresto è avvenuto a causa di padre Bergoglio».
E’ inoltre emersa una nota del 19 agosto 1977 inviata da Bergoglio al provinciale tedesco Juan Hegyi, si legge: «Osservo che padre Jalics (e forse anche padre Yorio) ha l’impressione di essere stato accusato in qualche modo su alcuni punti […] Le voci sui contatti che alcuni padri della comunità avrebbero intrattenuto con gruppi estremisti mi paiono inesatte ed ingiuste […] È una grandissima leggerezza l’accusa di falsa dottrina formulata contro Jalics, giacché i suoi scritti e i suoi corsi possono contare sull’imprimatur e il nihil obstat ecclesiastico e fanno del bene a tanta gente». Bergoglio sottolineava l’afflizione per le sofferenze del «buon padre Jalics nei suoi 6 mesi di detenzione da innocente» e di comprensione per i suoi sentimenti per «essere stato sospettato di contatti con i guerriglieri o di cattiva dottrina».
Occorre ricordare che l’accusatore principale di Bergoglio, Verbitsky, è stato membro dell’organizzazione terroristica Montoneros e responsabile di un attacco armato all’edificio Libertador (marzo 1976), nel quale persero la vita diversi civili innocenti. Egli è stato associato anche all’assalto alla caserma di La Tablada nel 1989, che ha causato la morte di 39 persone e decine di feriti. Il terrorista è stato definito dal perorista Julio Bárbaro un «poveretto che, pur di scrollarsi le colpe di dosso, è capace di raccontare irrazionalità» e che «si va prosciugando con il passare del tempo […] ripete le stesse assurdità più volte». Fa parte, ha continuato Bárbaro, di quell’«un’ala stupida che pensa che chi la pensa diversamente da loro è un nemico». Secondo il “Wall Street Journal” il card. Bergoglio è stato «un sostenitore instancabile della critica alla corruzione contro il malaffare del governo del presidente Cristina Kirchner» e «il pitbull del governo Kirchner, Horacio Verbitsky, un ex membro del gruppo guerrigliero noto come Montoneros ed ora redattore presso il quotidiano filogovernativo Pagina 12, ha immediatamente iniziato una campagna per diffamare la reputazione del nuovo pontefice. La calunnia non è nuova. Gli ex membri di gruppi terroristici come il signor Verbitsky hanno usato la stessa tattica per anni per cercare di distruggere i loro nemici». Il quotidiano Il Foglio ha spiegato che Bergoglio «contestò l’apertura dei gesuiti alla Teologia della Liberazione, negli anni ’70 e questa posizione forse gli è valsa l’accusa ingiusta di connivenza con il regime dei generali, anche se peraltro non ci sono mai state prove né indizi della sua vicinanza alla dittatura».
Le accuse a Francesco sono state prontamente smentite inizialmente da padre Federico Lombardi, il portavoce della Santa Sede, il quale ha replicato: «È noto il ruolo di Bergoglio nel promuovere il perdono della Chiesa in Argentina per non aver fatto abbastanza nel tempo della dittatura. Le accuse appartengono all’uso di analisi storico-sociologico durante la dittatura fatto da anni dalla sinistra anticlericale contro la Chiesa. E devono essere respinte con decisione. La campagna contro Bergoglio è ben nota e risale a diversi anni fa. L’accusa si riferisce a quando Bergoglio era Superiore dei gesuiti argentini e due sacerdoti, che lui non avrebbe protetto, furono rapiti. Non vi è mai stata un’accusa concreta credibile nei suoi confronti. La giustizia argentina che lo ha interrogato una volta come persona informata dei fatti non gli ha mai imputato nulla ed egli ha negato le accuse in modo documentato. Moltissime dichiarazioni, invece, sono state fatte per dimostrare quanto egli fece per proteggere le persone durante la dittatura».
Nel libro-intervista col giornalista Sergio Rubin “Il Gesuita” (2010), lo stesso Bergoglio ha risposto alle accuse affermando di essersi da subito speso per l’immediato rilascio dei due preti, arrivando addirittura a contattare il comandante Videla, e che comunque non aveva agito in alcun modo tale da permettere, anche solo indirettamente, il grave gesto dell’esercito.
Anche il “Fatto Quotidiano” ha riconosciuto che non vi sono testimonianze o indizi che provino il coinvolgimento di Bergoglio. Infatti, nessuna denuncia formale è stata mai depositata in un tribunale argentino. Anzi, i rappresentanti della Giustizia argentina che hanno indagato sul possibile coinvolgimento di Jorge Bergoglio nel sequestro e nella tortura di due sacerdoti assicurano che le imputazioni contro papa Francesco sono totalmente false, avallate dalla sentenza emessa dal giudice Germán Castelli insieme ai magistrati Daniel Obligado e Ricardo Farías il 28 dicembre 2011. «È del tutto falso dire che Jorge Bergoglio abbia consegnato quei sacerdoti. Abbiamo analizzato la questione, ascoltato quella versione, visto le prove e abbiamo capito che il suo agire non ha avuto implicazioni giuridiche in questi casi. In caso contrario, lo avremmo denunciato», ha dichiarato il giudice Castelli . Lo ha confermato Julio Strassera, storico procuratore nel processo contro la giunta militare responsabile degli anni bui dei desaparecidos: quel che è emerso contro Bergoglio «è assolutamente falso». Il presidente della Corte Suprema di Giustizia argentina, Ricardo Lorenzetti, ha spiegato a sua volta che Papa Francesco «è una persona assolutamente innocente. Al di là del fatto che ci sia gente che non è d’accordo, o che dice che potrebbe aver fatto una cosa o l’altra, resta il fatto certo che non esiste nessuna accusa concreta».
L’assenza di prove è stata riconosciuta anche dallo stesso accusatore, Horacio Verbitsky, intervistato da “Repubblica”, il quale ha spiegato che nonostante abbia cercato per anni qualcosa, «non ci sono prove schiaccianti». Soltanto delle testimonianze, che però arrivano tutte da parte marxista. Anche Amnesty International ha spiegato che «non abbiamo documenti per confermare o smentire la partecipazione del nuovo Papa in questi fatti. Nessuna accusa formale è stata rivolta contro Jorge Mario Bergoglio, e non abbiamo alcun documento nei nostri archivi riguardanti un qualsiasi coinvolgimento dell’ex arcivescovo di Buenos Aires in altri casi. Non dobbiamo dimenticare che all’interno della chiesa in Argentina e nella regione sono stati molti coloro che si opponevano a questi regimi e hanno subito intimidazioni, torture, sparizioni o l’esecuzione. Molti di loro hanno lavorato e continuano a lavorare per la promozione e la protezione dei diritti umani per tutti, senza discriminazioni. Non è possibile generalizzare il ruolo della chiesa cattolica in Argentina, così come in ogni altro paese della regione». Secondo l’avvocato Horacio Morel, del foro di Buenos Aires, «i vertici della Chiesa argentina, di cui Bergoglio non faceva ancora parte, mantennero inizialmente un atteggiamento pubblico ambiguo verso il cosiddetto Processo Militare, ma senza dubbio tale posizione cambiò quando i crimini e il piano sistematico di eliminazione di qualsiasi elemento sospetto od oppositore furono evidenti. Molti prelati optarono per il lavoro silenzioso dedicandosi a salvare vite umane, come nel caso dello stesso Bergoglio. Una scelta che è lontanissima dalla complicità con il potere militare di allora che l’apparato kirchnernista cerca di attribuire a papa Francesco per screditarlo».
Adolfo Pérez Esquivel, pacifista argentino, vincitore del premio Nobel per la Pace nel 1980 per le denunce contro gli abusi della dittatura militare argentina negli anni Settanta, ha spiegato alla BBC: «Ci sono stati vescovi che erano complici della dittatura in Argentina, ma non Bergoglio», negando ogni validità alle accuse. «Jorge Mario Bergoglio fu una delle tante vittime della dittatura, non un complice», ha aggiunto. «È anche vero che egli non ebbe il coraggio, come lo ebbero altri sacerdoti, religiosi, religiose, e anche vescovi, di porsi alla guida di coloro che lottavano per i diritti umani; questo non lo fece. Mi consta però che egli cercò di protestare per la violazione di questi diritti. Dobbiamo comunque collocare questi fatti nel clima tremendo di quell’epoca di dittatura militare. Mi ricordo di avere allora parlato con il rappresentante della Santa Sede di quel tempo, monsignor Pio Laghi, sul problema della difesa dei diritti umani in Argentina, e anche delle suore e dei religiosi incarcerati e torturati. Egli mi disse: “Che vuole che faccia? Io sono il nunzio apostolico; noi protestiamo, protestiamo con i militari, ma essi, pur dando ad intendere di ascoltarci, non fanno poi quello che chiediamo loro”. Bergoglio, come tanti altri, fece lo stesso; si limitò a protestare. A me sembra, però, che non sia giusto accusarlo di complicità». A Esquivel ha risposto Nello Scavo, autore di un’indagine accurata sulla vicenda: «Colui che diventerà Papa Francesco si comportò come Pio XII. Per poter salvare molte vite, non doveva esporsi. A chi sarebbe servito un paladino dei diritti umani incarcerato oppure morto? Fra l’altro Bergoglio all’epoca era un illustre sconosciuto, una sua denuncia pubblica non avrebbe fatto né caldo né freddo ai golpisti. E non dimentichiamo che il regime assassinò una trentina fra vescovi, preti e suore e fece sparire centinaia di catechisti reputati comunisti».
E’ intervenuta anche l’ex membro della Commissione Nazionale sui desaparecidos (CONADEP), creata dopo il ritorno alla democrazia, l’attivista argentina per i diritti umani Graciela Fernández Meijide, che ha riferito: «so che non c’è assolutamente nessuna prova che mostra la complicità di Bergoglio con la dittatura. Ho lavorato per anni sotto la dittatura nella “Asamblea Permanente por los Derechos Humanos”, ho ricevuto centinaia di testimonianze e in nessun momento è stato nominato Bergoglio. Ora sono nella CONADEP, ma nessuno lo ha mai menzionato, né come mandante, né come niente». Rispetto alle accuse sui due sacerdoti rapiti, anche lei ha confermato: «Bergoglio ha ripetutamente detto loro di andarsene perché temeva per loro, perché non sarebbe stato in grado di coprirli. Finché un giorno sono stati rapiti e torturati». Dalla sua parte anche le madri di Plaza de Mayo, durissime (non del tutto a torto) nei confronti della gerarchia cattolica argentina. Anche l’Associazione 24 marzo, che ha spesso assunto la veste di accusatore, in tribunale, dei militari argentini, ha difeso Bergoglio. Il suo presidente, Jorge Ithurburu ha dichiarato: «Una cosa è la responsabilità della Chiesa cattolica come organizzazione, altra quella dei singoli. Bergoglio all’epoca non era neanche vescovo e di sue responsabilità individuali non c’è traccia, è evidente che l’episodio può essere letto in due modi: i capi dei due gesuiti sono responsabili di averli lasciati soli, o gli stessi capi sono intervenuti per ottenerne la liberazione. Propenderei per la seconda ipotesi: l’Esma non liberava nessuno per caso. Ma nessuno nella Chiesa ammetterà mai che è stata condotta una trattativa segreta, la Chiesa non parla di queste cose. La liberazione dei due sacerdoti resta però un fatto».
Da presidente dei vescovi argentini, Bergoglio ha spinto la Chiesa argentina a pubblicare una sorta di mea culpa in occasione del 30esimo anniversario del colpo di Stato, nel 2006: “Ricordare il passato per costruire saggiamente il presente” era il titolo della missiva apostolica. Nel 2010, interrogato come «persona informata dei fatti», dunque senza alcun capo d’imputazione, il futuro Papa ribadì alle autorità ciò che aveva confidato solo agli amici più stretti. L’allora cardinale Bergoglio rivelò di aver salvato numerosi dissidenti, ma mai se ne fece pubblico vanto. «Nel collegio Máximo dei gesuiti, a San Miguel, nella regione del Gran Buenos Aires, dove ho vissuto, ne nascosi alcuni. Non ricordo esattamente quanti. Dopo la morte di monsignor Enrique Angelelli, ho accolto nel collegio tre seminaristi della sua diocesi che studiavano teologia. Questi non sono stati nascosti, ma curati, protetti sì». Addirittura, l’attuale ministro kirchnerista Nilda Garré, ex Montonera, deve la sua vita all’attuale Papa. Una delle persone salvate dal futuro Papa è l’attivista per i diritti umani (dichiarata “difensore del popolo della città di Buenos Aires”, nel 1998), Alicia Oliveira, diventata poi sua grande amica, che ha affermato chiaramente: «quando ho denunciato la dittatura, lui era con me. Conosco l’impegno di Jorge: quando qualcuno ha dovuto lasciare il paese perché non riusciva a resistere, lo ha salutato con un pasto. E lui c’era sempre. Jorge era molto angosciato. stava cercando di convincere la gente fuori dal paese. Aveva un atteggiamento collaborativo con le persone bisognose». E rispetto ai due sacerdoti rapiti: «Bergoglio ha parlato con tutti per farli liberare, anche con Massera e Videla».
Il teologo Leonardo Boff, uno dei fondatori della Teologia della liberazione, ha commentato: «Bergoglio? Salvò e nascose molti perseguitati dalla dittatura militare». E’ intervenuta anche Maria Elena Bergoglio, sorella dell’attuale Pontefice: «Mio padre scappò dall’Italia per il fascismo: vi pare possibile che mio fratello fosse complice di una dittatura militare? Sarebbe stato come tradire la sua memoria. Protesse e aiutò molti perseguitati dalla dittatura. Erano tempi cupi e serviva prudenza, ma il suo impegno per le vittime è provato».
Secondo la ricostruzione dei giornalisti americani Brian Murphy e Michael Varren, dell’Associated Press, «Entrambi i sacerdoti furono liberati dopo che il cardinale Bergoglio si mosse in modo straordinario dietro le quinte per salvarli. Arrivò a convincere il prete di famiglia del dittatore Jorge Videla a fingersi malato, in modo che lui stesso Bergoglio, potesse dire la messa nella casa del capo della giunta militare, dove a tu per tu con Videla invocò la grazia. Verosimilmente il suo intervento salvò le vite dei due sacerdoti, ma Bergoglio non rese mai pubblici i dettagli fino all’intervista di Rubin. Bergoglio disse a Rubin che era solito nascondere persone in immobili di proprietà della Chiesa durante il periodo della dittatura e una volta diede i proprio documenti di identità ad un uomo che gli assomigliava, mettendolo in condizione di fuggire attraverso la frontiera». «Ho visto due volte il generale Jorge Videla e l’ammiraglio Emilio Massera», ha dichiarato lo stesso Bergoglio. «Ricordo che era un sabato pomeriggio e tenni Messa nella residenza del comandante in capo dell’esercito, davanti a tutta la famiglia di Videla. Poi ho chiesto di parlare con lui, con Videla, proprio per capire dove tenessero i sacerdoti arrestati», ovvero Orlando Yorio e Francisco Jalics.
Interessante la testimonianza di padre Juan Isasmendi, uno dei sacerdoti impegnati nella “Villa 21-24”, le baraccopoli di Buenos Aires, il quale ha raccontato che Bergoglio, arcivescovo della città, si spese personalmente per contrastare le minacce di morte ricevute da un sacerdote che nel 2009 aveva denunciato la diffusione di una nuova droga tra i poveri delle baraccopoli. «Si presentò una mattina senza essere annunciato e camminò lentamente per tutta la villa, come per dire, se toccate loro, toccate me», ha spiegato. E «si offrì di dormire nella parrocchia» per contrastare, con la propria autorità, le minacce subite dai sacerdoti. In un editoriale del 2005 Aldo Cazzullo ha parlato di «un’infamia alimentata dai nemici di Bergoglio indicò in lui l’ispiratore del sequestro; era vero il contrario: il Provinciale andò di persona da Videla per chiedere la liberazione dei due religiosi, e agli atti della giunta militare risulta la richiesta di un passaporto per loro». Non si piegò mai, spiega ancora Cazzullo, ai caudillos, ai militari e ai politici, che si sono alternati alla guida dell’Argentina, anzi «si mosse per salvare preti e laici dai torturatori, ma non ebbe parole di condanna pubblica che del resto non sarebbero state possibili se non a prezzo della vita, e tenne a freno i confratelli che reclamavano il passaggio all’opposizione attiva», Andrea Velardi, ricercatore presso l’Università di Messina, ha affermato che i due gesuiti rapiti sono stati liberati «per l’opera silenziosa di Bergoglio che si mosse segretamente per riportare quei preti a casa, sani e salvi».
«Bergoglio è stato molto critico nei confronti delle violazioni dei diritti umani durante la dittatura, ma ha sempre criticato anche i guerriglieri di sinistra. Egli non dimentica quella parte» ha scritto il suo biografo Sergio Rubin. Il premio Nobel Pérez Esquivel in un’intervista per Repubblica, ha aggiunto: «So bene che il nuovo Papa è accusato di non aver fatto abbastanza durante gli anni della dittatura e di essere implicato nella scomparsa di due sacerdoti: ma io so che si è battuto di fronte ai militari per difendere delle persone, so che molte altre ne ha aiutate a fuggire. Non tutte le sue parole sono state ascoltate, i militari alla fine facevano quello che volevano. Ma non lo si può accusare di essere stato complice. Molti vescovi cercarono di fare cose durante la dittatura e non furono ascoltati: posso raccontare di quello che intervenne in mio favore, per mesi, cercando di farmi liberare. Non ci riuscì. Bergoglio ha cercato di aiutare le vittime della dittatura: nessuno di noi sa con precisione come e quanto, ma lo ha fatto, e non è poco».
Nel settembre 2013 è uscito il libro “La lista di Bergoglio. I salvati da papa Francesco. Le storie mai raccontate“ (EMi 2013) di Nello Scavo con la prefazione di Adolfo Pérez Esquivel, nel quale si raccontano le vicende di quanti – dissidenti, sindacalisti, preti, studenti, intellettuali, credenti e no – l’allora padre Jorge Mario Bergoglio riuscì a mettere in salvo perché perseguitati dalla giunta militare. Si parla di un centinaio di nomi, ma appare largamente incompleta. Il provinciale dei gesuiti aveva costruito una rete clandestina per salvaguardare i perseguitati (a cui offriva un campionario di consigli su come depistare la polizia e la censura) e organizzare le fughe verso l’estero. Uno di questi è Juan Manuel Scannone, massimo esponente di quella che dagli anni Ottanta in poi è stata definita “teologia del popolo”, che racconta: «Padre Jorge si prese cura di noi com’era, del resto, suo dovere. Oggi le cose possono essere osservate e giudicate con altri occhi, ma allora Bergoglio fece ciò che nella sua posizione andava fatto. Si rapportava frequentemente con il padre generale, che era al corrente di quanto avveniva, e offriva a noi consigli su come evitare guai, aggirare il pressante controllo del regime, senza però mai dover rinunciare alle nostre idee. Padre Jorge non solo mantenne il segreto allora, ma non ha mai voluto farsi vanto di quella sua particolarissima missione. Egli si adoperò non solo per proteggere, tutelare e salvare padri gesuiti e seminaristi, ma anche per nascondere giovani studenti finiti nel mirino della dittatura, i quali venivano portati nel nostro collegio, con tutte le cautele del caso, allo scopo di tenerli al riparo dai rapimenti della polizia». Oltre ai racconti in prima persona dei perseguitati protetti dal futuro Papa, il saggio contiene racconti e documenti inediti, tra cui la trascrizione dell’interrogatorio dell’allora cardinal Bergoglio, reso nel 2010 in qualità di persona informata dei fatti, davanti ai magistrati che indagavano sulla violazione dei diritti umani durante la dittatura. Con forza emerge l’integrità morale, la coerenza, il coraggio, spesso a rischio della propria vita, del gesuita che diventerà papa Francesco.
E’ intervenuto anche Alfredo Somoza, ex allievo di Bergoglio, sequestrato e incarcerato nel 1981 a Buenos Aires, fuggito prima in Brasile e poi in Italia, dove è arrivato nel 1982 come rifugiato politico, da sempre socialista e non credente. Ha affermato: «Verbitsky si è chiesto se Bergoglio potesse essere ritenuto responsabile dell’arresto dei due gesuiti, io penso invece che è grazie al suo operato e a quello di tutti i gesuiti che i due religiosi ne sono usciti vivi, rilasciati dopo cinque mesi, quando in quel periodo era frequente “scomparire”. Jorge Mario Bergoglio e i gesuiti sono riusciti a salvare tante persone negli anni bui della giunta militare in Argentina. Ne sono stato testimone oculare. Questa della sua compromissione con la dittatura militare è una storia che vorrebbe ridurre il valore della sua elezione a Papa». Anche dal gesuita Josè Luis Caravais, esponente di spicco della Teologia della liberazione, perseguitato in Paraguay dalla dittatura di Alfredo Strousser (1954-1989), ha spiegato: «Padre Bergoglio mi salvò la vita. Se non mi avesse protetto a Buenos Aires dai repressori della dittatura, non sarei qui». Padre Jorge Mario sapeva di essere finito nella lista nera delle personalità da spiare notte e giorno e con lui tanti altri, compreso un giovane che finirà a lavorare in Vaticano. Bergoglio, che a quel tempo non era ancora vescovo, s’era accorto che il ragazzo gli somigliava parecchio e sfruttò la somiglianza per farlo scappare. Lo ha confermato lui stesso quando venne interrogato dalla commissione d’inchiesta sugli anni del regime: «Ho fatto scappare dal Paese, passando da Foz do Iguacu un giovane che mi somigliava molto, dandogli la mia carta d’identità e vestendolo da prete: solo così potevo salvargli la vita».
Il 14 ottobre 2014 è uscito nelle librerie il secondo volume dell’indagine di Nello Scavo, intitolata: “I sommersi e i salvati di Bergoglio” (Piemme 2014). E’ la continuazione della rivelazione sull’impegno dell’allora gesuita e poi cardinale Bergoglio per salvare tanti dissidenti dalla dittatura argentina. Anche in questa occasione vengono riportate svariate testimonianze di prima mano.
Il 18 maggio 2015 il blog argentino www.plazademayo, in un articolo intitolato Verbitsky: Con Dios y Con el Diablo (Verbitsky: Con Dio e Con il Diavolo), scritto da due reporter investigativi, Gabriel Levinas e Sergio Serrichio, che hanno trascorso più di un anno a indagare sulla questione e si sono avvalsi della testimonianza di personaggi chiave, ha rivelato che Horacio Verbitsky, l’uomo che ha accusato pubblicamente e ripetutamente Jorge Mario Bergoglio di complicità con gli esponenti della dittatura militare argentina quando era provinciale dei Gesuiti nella seconda metà degli anni Settanta, ha lavorato per i dittatori militari del Paese dal 1978 al 1981 ed era sul loro libro paga. In particolare era uno dei ghostwriter del capo della Giunta Militare del Paese, il brigadiere Omar Domingo Rubens Graffigna e scrisse i discorsi dei massimi comandanti delle Forze Armate durante la dittatura.
BUFALE SU MISOGINIA.
Il 15 marzo 2013 sono emerse accuse su alcune presunte frasi misogine dette da Bergoglio. Quand’era arcivescovo di Buenos Aires, avrebbe detto: «Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L’ordine naturale ed i fatti ci insegnano che l’uomo è un uomo politico per eccellenza, le Scritture ci mostrano che le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell’uomo, ma niente più di questo».
La frase è stata diffusa in modo capillare tanto che addirittura una deputata del Costa Rica ha attaccato la Chiesa parlando di “misoginia”. Ancora una volta “Il Fatto Quotidiano”, questa volta tramite la giornalista Silvia Truzzi, è stato il principale calunniatore del Pontefice. La Truzzi ha sostenuto il sospetto di connivenza di Bergoglio con la dittatura argentina ironizzando sul portavoce del Pontefice, padre Lombardi, quando ha preso le sue difese. «Sarebbe bello che papa Francesco spiegasse perché quelle accuse sono infondate», ha scritto inoltre, «con la stessa semplicità con cui ha salutato i fedeli in San Pietro». Aggiungendo: «E sarebbe bello che spiegasse anche la infelice e presunta frase del cardinal Bergoglio» contro le donne. Quando la verità è emersa, sia per quanto riguarda le accuse di connivenza che per la frase misogina, la Truzzi non ha mai voluto pubblicare un articolo per chiarire l’equivoco da lei creato nei suoi lettori. Ha invece preferito difendere Barack Obama dalle accuse di sessismo, senza chiedere all’accusato di chiarire il suo pensiero. Sempre sul “Fatto” è toccato alla femminista Lidia Ravera attaccare Bergoglio, anche lei senza verificare le fonti, scrivendo un pistolotto al neo-pontefice su come vadano trattate le donne e concludendo ironica: «Risponda, la prego, visto che è un tipo alla mano». Daniela Padoan sempre sul “Fatto Quotidiano” non ha nemmeno lasciato margine al dubbio: «Dunque abbiamo un Francesco in Vaticano. Non è venuto dal nulla, camminando scalzo. Era a Buenos Aires, sprezzante di tutte le figure che sono state vittime della dittatura argentina […]. Un uomo che non ha fatto mistero della propria collocazione ideale: Dio, patria, famiglia. Gli ideali della dittatura argentina. Di tutte le dittature. Dove le donne sono funzione dell’uomo: perché stupirsi di presunte frasi coerenti sulla loro subordinazione?».
Tuttavia, si è scoperto, la frase attribuita a Bergoglio è una bufala. Essa viene riportata quasi sempre senza fonte, tranne in pochi casi in cui vi è scritto “Buenos Aires, 4 de junio 2007 (Télam)”. Télam è la più grande agenzia di stampa argentina, peccato che se si fa una ricerca nel suo archivio relativo agli articoli del 4 giugno 2007, non si trova nulla su Bergoglio. Neppure se si immette nel motore di ricerca interno la presunta frase (ovviamente in spagnolo, chiunque può provare). Come è stato poi verificato, la bufala è nata nel 2007 quando Cristina Kirchner è stata candidata alla presidenza dell’Argentina, inventata dal nulla e comparsa per la prima volta su “Yahoo Answers” da un utente argentino con il nickname “Bumper Crop”, che ovviamente non ha citato alcun link. Lo scopo, è spiegato sui siti argentini, era inventare un attacco del cardinale Bergoglio verso la Kirchner.
Una ricerca approfondita su Google, si rileva sui siti web anti-bufale, dimostra che prima del 13 marzo 2013 non vi è traccia di tali dichiarazioni in rete da parte di Bergoglio, tranne che, appunto, su Yahoo Answers. Se davvero i media argentini (o internazionali) avessero ricevuto dall’agenzia Télem (o da qualsiasi altra fonte attendibile) le dichiarazioni misogine dell’arcivescovo di Buenos Aires e presidente della Conferenza episcopale argentina, certamente le avrebbero pubblicate, montando, giustamente, uno scandalo. Fortunatamente molti quotidiani internazionali, come Eleconomista, hanno cominciato a riportare la rettifica, spiegando che la frase è inventata. La quale oltretutto contraddice la nota amicizia e l’ammirazione del pontefice per molte donne argentine che hanno ricoperto cariche politiche e che si sono con lui congratulate dopo la sua elezione a Pontefice. Una sua grande sostenitrice, ad esempio, è l’attivista per i diritti umani, Alicia Oliveira, salvata da lui dalla dittatura argentina, che ha raccontato di aver ricevuto da lui un mazzo di rose quando è stata licenziata dal ruolo di giudice della Corte suprema da parte del governo dittatoriale, mostrando in questo modo il suo totale sostegno.
BUFALA DEL DITTATORE VIDELA.
Il terzo tentativo di calunnia somiglia molto alle accuse di militanza negli squadroni nazisti da parte del giovane Joseph Ratzinger, sostenute dal fotomontaggio del futuro pontefice mentre sembra fare il saluto nazista con il braccio teso (bufala smentita, anche quella successiva). Dopo le accuse di connivenza con la dittatura, dopo la diffusione della frase misogina, sono state fatte circolare due foto di un presunto Bergoglio assieme al dittatore Videla.
La prima foto è stata diffusa dal regista statunitense Michael Moore (il quale si è in seguito scusato) di un anziano prete, di spalle, nell’atto di offrire la comunione al primo presidente della dittatura, Jorge Videla. E’ stato dimostrato, anche grazie al video dell’evento rappresentato nella foto, che il sacerdote è Carlos Berón de Astrada e non Papa Francesco. Il luogo è la cappella della Pequeña Obra de la Divina Providencia Don Orione il 30 dicembre 1990 (Bergoglio aveva 54 anni), quindi alla fine della dittatura quando Videla stava scontando una condanna all’ergastolo. «L’ex presidente argentino Jorge Rafael Videla – si legge nella didascalia originale dell’immagine custodita dall’agenzia Corbis – riceve la comunione in una chiesa di rito cattolico romano a Buenos Aires, in questa foto del 20 dicembre 1990». Eppure, opportunamente “tagliata” in modo da rendere quasi impossibile l’identificazione del prete, quello scatto è stato fatto passare per la prova regina della «contiguità» di Bergoglio anche dopo la caduta del regime, nel 1983. E’ stata quindi diffusa una contro-fotografia, segnalando che si tratta di un’attribuzione falsa.
La seconda fotografia mostra un sacerdote che passeggia sorridendo fianco a fianco sempre con Jorge Videla, anche in questo caso l’accusa implicita è quella di identificare in quel sacerdote Jorge Mario Bergoglio. Come è stato spiegato, papa Francesco è nato nel 1936 e quindi nell’epoca in cui fu scattata questa foto (cioè quando Videla era al governo) aveva tra i 35 e i 45 anni, decisamente più giovane del prelato presente nella fotografia. Inoltre, Bergoglio non è calvo nemmeno ora che ha 76 anni, al contrario del sacerdote della fotografia. Infine, Bergoglio negli anni della dittatura della Giunta militare argentina era un semplice sacerdote membro dell’ordine gesuita, mentre il prelato nella fotografia porta chiaramente una veste da monsignore o da vescovo.
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37. MOTU PROPRIO E “DIVORZIO CATTOLICO”
Il 15 agosto 2015 Papa Francesco ha varato il Motu proprio “Mitis et misericordis Jesus con lo scopo di favorire la celerità delle cause di dichiarazione di nullità nel Codice di Diritto Canonico. Lui stesso ha spiegato”: «i voti della maggioranza dei miei Fratelli nell’Episcopato, riuniti nel recente Sinodo straordinario, che ha sollecitato processi più rapidi ed accessibili. In totale sintonia con tali desideri, ho deciso di dare con questo Motu proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio. Ho fatto ciò, comunque, seguendo le orme dei miei Predecessori, i quali hanno voluto che le cause di nullità del matrimonio vengano trattate per via giudiziale, e non amministrativa, non perché lo imponga la natura della cosa, ma piuttosto lo esiga la necessità di tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo: e ciò è esattamente assicurato dalle garanzie dell’ordine giudiziario».
Inevitabilmente i costanti critici del Papa hanno colto l’occasione per accusarlo di stravolgere la dottrina cattolica, in particolare lo hanno accusato di aver introdotto il “divorzio cattolico”. Lo ha scritto Sandro Magister e, a ruota, lo ha detto (con toni più volgari) anche Antonio Socci (anche qui).
Di seguito in ordine cronologico tutti gli interventi che chiariscono le cose e replicano alle accuse:
Il 27 settembre 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto a chi lo accusa di aver aperto al “divorzio cattolico” con il Motu Proprio sulla facilitazione della nullità dei matrimoni: «Nella riforma dei processi, della modalità, ho chiuso la porta alla via amministrativa che era la via attraverso la quale poteva entrare il divorzio. E si può dire che quelli che pensano al “divorzio cattolico” sbagliano perché questo ultimo documento ha chiuso la porta al divorzio che poteva entrare – sarebbe stato più facile – per la via amministrativa. Questo è stato chiesto dalla maggioranza dei Padri sinodali al Sinodo dell’anno scorso: snellire i processi, perché c’erano processi che duravano 10-15 anni. Questo Motu proprio facilita i processi nei tempi, ma non è un divorzio, perché il matrimonio è indissolubile quando è sacramento, e questo la Chiesa no, non lo può cambiare. E’ dottrina. E’ un sacramento indissolubile. Il procedimento legale è per provare che quello che sembrava sacramento non era stato un sacramento. Il “divorzio cattolico” non esiste. O non è stato matrimonio – e questa è nullità, non è esistito –, o se è esistito è indissolubile».
Il 04 ottobre 2015 il card. Camillo Ruini, ratzingeriano e leader dei conservatori, secondo l’etichette mediatiche, ha difeso il Motu Proprio di Francesco. Alla domanda se le nuove disposizioni al riguardo non rischiano di ammorbidire il vincolo matrimoniale, introducendo una sorta di divorzio cattolico, il card. Ruini ha spiegato: «Il rischio può esistere solo se le nuove disposizioni non vengono applicate con serietà. Bisogna migliorare anzitutto la preparazione dei giudici. Introdurre surrettiziamente una specie di divorzio cattolico sarebbe una pessima ipocrisia, molto dannosa per la Chiesa e per la sua credibilità. Ma la decisione di papa Francesco, che molti di noi —me compreso —auspicavano, non ha niente a che fare con un’ipocrisia del genere».
Il 17 ottobre 2015 il professore di Diritto processuale canonico della Santa Croce, monsignor Joaquín Llobell, ha parlato del Motu proprio di Francesco smontando le varie accuse e spiegando le esigenze per cui è stato introdotto. Lo ha fatto in due parti: parte uno e parte due. La conclusione è stata: «sono convinto che la nuova legge è un buono strumento per rendere agili le cause matrimoniali, però richiede al tempo stesso una maggiore preparazione e coscienza da parte di tutti coloro che intervengono nel processo per poter raggiungerne il fine, ossia il rispetto della verità sulla validità o la nullità del matrimonio».
Il 04 novembre 2015 monsignor Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, ha affrontato la questione della funzione personale del Vescovo diocesano nel processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio: «il concetto di una potestas iudiciaria demandata a un tribunale interdiocesano o regionale, nella legislazione canonica era pressoché ignorato almeno fino al 1938, anno in cui Pio XI costituì in Italia i tribunali regionali, per le cause contenziose di nullità di matrimonio. La dottrina non ha mai negato la potestas iudicialis episcopalis e, nel solco di questa antica traditio Ecclesiae, l’intero magistero dei successori di Pietro lo ha più volte ribadito, soprattutto in occasione delle allocuzioni alla Rota Romana. Il ritorno alla funzione personale del vescovo diocesano nel processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio», stabilita da Papa Francesco, «è la risposta emersa dal Sinodo straordinario sulla famiglia».
Il 04 maggio 2016 l’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri, stimatissimo dal mondo tradizionalista, ha commentato il motu proprio sulla nullità matrimoniale, che alcuni giornalisti definiscono come apertura al “divorzio cattolico”, ma che «non lo hanno certamente letto se non le due righe citate da “Repubblica” o dal “Corriere della Sera”».
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38. ACCOGLIENZA DEI PROFUGHI E DEI MIGRANTI E POSIZIONE SULL’IMMIGRAZIONE
A causa dell’abbondanza di interventi del Papa riguardo all’immigrazione, l’approfondimento del suo pensiero è stato trattato in questo apposito articolo, in cui abbiamo raccolto tutti i suoi discorsi in merito.
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39. ACCORDO TRA VATICANO E CINA, RAPPORTO CON LA CINA
Una nuova stagione di dialogo tra il Vaticano e la Cina comunista, le cui relazioni diplomatiche si interruppero nel 1951, è culminata nello storico accordo pastorale (e non politico) tra Santa Sede e governo cinese del 22 settembre 2018. E’ definito provvisorio in quanto contemplerà due anni di verifica. Esso sancisce la procedura di nomina dei vescovi con l’ultima parola alla Santa Sede, parte dell’intesa anche la legittimazione canonica di 7 presuli cinesi consacrati in passato senza il consenso papale. I vescovi verranno scelti per elezione da parte dei rappresentanti cattolici della diocesi patriottica e approvati dalle autorità politiche cinesi, prima di essere sottoposti alla valutazione della Santa Sede per l’approvazione decisiva.
Una parte del mondo cattolico ha criticato tale accordo, tra cui il manipolo di giornalisti conservatori-tradizionalisti antibergogliani a prescindere. La voce più autorevole critica all’accordo è quella del card. Joseph Zen Ze-Kiun, vescovo emerito di Hong Kong, secondo il quale «il Vaticano sta svendendo la Chiesa cattolica in Cina». Ma la cose stanno davvero così? Ecco come altri autorevoli esponenti la pensano in maniera diametralmente opposta.
Di seguito in ordine cronologico una raccolta di notizie ed interventi che chiariscono la situazione reale:
Il 03 novembre 2017 il presidente della Fondazione Ratzinger, padre Federico Lombardi, tra i più stretti collaboratori di Benedetto XVI, è intervenuto sostenendo la coerenza e la continuità tra il magistero di papa Benedetto XVI e Papa Francesco, anche sul dialogo con la Cina: «A questa situazione, impropriamente descritta come coesistenza di una ‘Chiesa clandestina’ e di una ‘Chiesa patriottica’ in tensione fra loro, intende porre con chiarezza e decisione la Lettera di Benedetto XVI, che afferma senz’ombra di dubbio che la Chiesa cattolica in Cina è una sola, e in essa il ruolo dei vescovi è fondamentale; revoca le ‘facoltà e direttive speciali’, così da far rientrare la Chiesa in Cina nell’ambito delle leggi canoniche generali; dà indicazioni e orientamenti pastorali per i rapporti fra i vescovi e le loro concelebrazioni eucaristiche o per la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni eucaristiche (…), e propone come evidente e indiscutibile – coerentemente con l’ecclesiologia cattolica – l’obiettivo di arrivare a costituire una Conferenza episcopale unita, a cui appartengano tutti i vescovi legittimi, riconosciuti dalla Santa Sede (nn. 7-8). Inoltre, la Lettera di Benedetto auspica esplicitamente la ripresa di un dialogo della Santa Sede con le autorità cinesi, riconoscendo che nella vita della Chiesa non dev’essere considerato normale il fatto di trovarsi in situazione di ‘clandestinità’ (n. 8). Il dialogo deve mirare anzitutto a risolvere le questioni aperte circa la nomina dei vescovi (è necessario che si riconosca che il mandato dell’ordinazione deve venire dal Papa); può inoltre mirare a facilitare il pieno esercizio della fede dei cattolici nel rispetto di un’autentica libertà religiosa e, infine, la normalizzazione dei rapporti fra la Santa Sede e il governo di Pechino. Il dialogo auspicato, dopo alcuni anni di freddezza, è stato ripreso sistematicamente nel corso del pontificato di Francesco, grazie al nuovo clima che si è creato. Non possiamo che rallegrarcene e sperare che esso possa produrre frutti positivi, passi avanti di comprensione reciproca per il bene di tutti. Del resto, per chi guarda indietro, alla situazione che si era creata oltre 60 anni fa con la rottura dei rapporti, la realtà di oggi appare del tutto diversa, e si può dire con certezza che i progressi sono stati veramente grandi: ciò che oggi si può fare nella vita ecclesiale e pastorale in Cina era impensabile alcuni decenni fa». Altre parti del suo intervento si possono leggere qui.
Il 31 gennaio 2018 il segretario di stato Vaticano, Pietro Parolin, è intervenuto affermando: «La Santa Sede ha sempre mantenuto un approccio pastorale, cercando di superare le contrapposizioni e rendendosi disponibile ad un dialogo rispettoso e costruttivo con le Autorità civili. Papa Benedetto XVI ha ben rappresentato lo spirito di questo dialogo nella Lettera ai cattolici cinesi del 2007: “La soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili”. Nel pontificato di Papa Francesco, le trattative in corso si muovono esattamente su questa linea: apertura costruttiva al dialogo e fedeltà alla genuina tradizione della Chiesa. La finalità principale della Santa Sede nel dialogo in corso è proprio quella di salvaguardare la comunione nella Chiesa, nel solco della genuina tradizione e della costante disciplina ecclesiastica. Vede, in Cina non esistono due Chiese, ma due comunità di fedeli chiamati a compiere un cammino graduale di riconciliazione verso l’unità. Non si tratta, perciò, di mantenere una perenne conflittualità tra principi e strutture contrapposti, ma di trovare soluzioni pastorali realistiche che consentano ai cattolici di vivere la loro fede e di proseguire insieme l’opera di evangelizzazione nello specifico contesto cinese. Con onestà e realismo, la Chiesa non chiede altro che professare la propria fede con più serenità, chiudendo definitivamente un lungo periodo di contrapposizioni, per aprire spazi di maggiore fiducia ed offrire il positivo contributo dei cattolici al bene dell’intera società cinese. Certo, sono tante le ferite oggi ancora aperte. Per curarle, occorre usare il balsamo della misericordia. E se a qualcuno viene chiesto un sacrificio, piccolo o grande, deve essere chiaro a tutti che questo non è il prezzo di uno scambio politico, ma rientra nella prospettiva evangelica di un bene maggiore, il bene della Chiesa di Cristo. La speranza è che si arrivi, quando il Signore vorrà, a non dover più parlare di vescovi “legittimi” e “illegittimi”, “clandestini” e “ufficiali” nella Chiesa in Cina, ma ad incontrarsi tra fratelli, imparando nuovamente il linguaggio della collaborazione e della comunione. Vorrei dire con molta semplicità e chiarezza che la Chiesa non dimenticherà mai le prove e le sofferenze passate e presenti dei cattolici cinesi. Tutto questo è un grande tesoro per la Chiesa universale. Pertanto, ai cattolici cinesi con grande fraternità dico: vi siamo vicini, non solo con la preghiera, ma anche con il quotidiano impegno ad accompagnarvi e sostenervi nel cammino della piena comunione. Vi chiediamo, perciò, che nessuno si aggrappi allo spirito di contrapposizione per condannare il fratello o che utilizzi il passato come un pretesto per fomentare nuovi risentimenti e chiusure. Al contrario, auguriamo che ciascuno guardi con fiducia al futuro della Chiesa, al di là di ogni limite umano».
Il 23 febbraio 2018 il vescovo “clandestino” cinese di Nangyang, Pietro Jin Lugang, ha espresso soddisfazione per la ripresa del dialogo del Vaticano con Pechino: «Ora siamo due vescovi, ambedue ordinati con l’approvazione del Papa, ma ufficialmente il governo riconosce come vescovo solo Giuseppe Zhu, che adesso ha 97 anni. Negli ultimi anni, da quando è ripreso il dialogo, le cose sono migliorate anche col governo, che non ci chiede niente di contrario alla fede cattolica. Se adesso il governo parla con il Papa, riconosce il Papa. È una bella notizia che ci rende felici. Le fatiche e le difficoltà del passato non si cancellano, fanno parte della nostra vita con Cristo. Ma adesso non mi viene da pensare al passato, a quei tempi di difficoltà. Se il governo parla con il Papa, riconosce il Papa, e noi potremo esprimere la nostra piena comunione con il Papa. Tutte le difficoltà le abbiamo sopportate per non nascondere la nostra comunione con il Papa. E adesso, se c’è un’intesa tra il Papa e il governo, come possiamo non esserne felici? Come possiamo non seguirlo? Vuol dire che potremo andare avanti in piena unione con il Papa. E non ci viene proprio in mente di fare altrimenti. Se il Papa fa un accordo col governo, noi lo seguiamo, continuando con lui lungo la stessa strada su cui abbiamo dovuto attraversare sofferenze e fatiche. Per seguire Gesù abbiamo accettato di soffrire, e per lo stesso motivo ora siamo contenti, perché certi problemi si possono risolvere e si può guardare avanti. I sacerdoti sono uniti, io ci tengo che le cose vengano decise in una consultazione con tutti loro. Lavoriamo tutti per l’unità della Chiesa, e io sento che Papa Francesco ci sta portando a vivere questa unità. Il dialogo iniziato in questi anni ha prodotto già benefici da noi. Il governo ci chiede solo di registrarci. I sacerdoti si sono fatti tutti registrare dal governo. E se la Santa Sede mi dirà che posso farlo, per aiutare il lavoro pastorale, mi registrerò anche io».
Il 01 marzo 2018 Umberto Vattani, presidente della Venice International University, ha mostrato come l’accordo sulle nomine dei vescovi tra Pechino e Vaticano fa parte di un percorso iniziato da Giovanni Paolo II e proseguito con Benedetto XVI. E non si tratta affatto di cedimento.
Il 05 marzo 2018 Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews ha chiarito il suo punto di vista scettico sull’accordo tra Cina e Vaticano: «Ma nel nostro caso si tratta proprio di seguire papa Francesco, offrendo a lui più spunti e fatti per decidere di quanto una posizione ideologica cieca e un po’ menzognera possa offrire. In più, finora il nostro papa ha sempre detto che la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi (del 2007) “è ancora valida”. E in quella Lettera si dice che il principio di “indipendenza” della Chiesa cinese “non è compatibile con la dottrina cattolica”. Questo significa che i vescovi, anche quelli riconosciuti dal regime, se vogliono essere vescovi della Chiesa cattolica, non possono proclamarla come una cosa ovvia, da applaudire. E sempre nella Lettera, si dice che non si può vivere in un “permanente conflitto con le legittime Autorità civili”, ma dice anche che “non è accettabile un’arrendevolezza alle medesime quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa”. Mi chiedo chi sia “contro papa Francesco”».
Il 23 settembre 2018 Francesco Sisci, il primo straniero ammesso alla Scuola superiore dell’Accademia cinese delle scienze sociali di Pechino, già direttore dell’Istituto italiano di cultura di Pechino ed consulente straniero del più prestigioso bimestrale cinese di politica e cultura, ha dichiarato: «E’ un momento che la Chiesa cinese aspettava da molto tempo», ha dichiarato. «La grandissima parte dei fedeli, dei sacerdoti, dei vescovi sognava da molti anni di tornare pienamente a sentirsi cinesi e cattolici, insieme. Non sarà la fine dei problemi. Vecchie ruggini e rancori sono stati lasciati correre per troppo tempo. Ma finalmente nella Chiesa le divisioni sono finite». Inoltre, per la prima volta in Cina, c’è «l’ammissione di un principio di divisione tra politica e religione. Il partito comunista cinese ha ammesso di non avere autorità religiosa, e la Santa Sede ha detto di non avere autorità politica. L’accordo comincia a coprire le zone grigie in maniera rispettosa delle competenze di ciascuno».
Il 23 settembre 2018 Gianni Valente ha riportato le parole di Pietro Lin Jiashan, vescovo cattolico clandestino, incarcerato poiché ordinato senza il permesso degli apparati politici: «Ringrazia Dio per l’accordo tra Cina e Vaticano, e prega che possa diventare “una nuova pietra miliare per l’unità di tutta la Chiesa cattolica cinese”». Riprese anche le parole del vescovo Joseph Xu Honggen: l’accordo tra Cina e Vaticano potrà «produrre un risultato “win-win”, con un guadagno da tutte e due le parti».
Il 24 settembre 2018 padre Antonio Sergianni, missionario del Pime a Taiwan e Cina per 24 anni e molto stimato da Benedetto XVI, ha dichiarato: «Sì, l’accordo è stato accolto dalla gioia dei fedeli. E’ un accordo importante che aumenterà il clima di fiducia, la conoscenza reciproca, gli scambi di informazione, la circolazione dei vescovi e certamente farà crescere la Chiesa cattolica. Non è un tocco di bacchetta magica che risolve tutti i problemi immediatamente, ma alla lunga farà crescere la Chiesa. Questa firma è un anello, un passo: è l’anello di una catena, di un processo, che poi deve svilupparsi piano piano».
Il 25 settembre 2018 Giuseppe Wei Fu, vescovo “clandestino” della diocesi di Baoding, che ha vissuto diversi periodi di detenzione e di restrizione delle libertà personali, ha affermato: «Se uno critica il Papa di essersi arreso al governo cinese sulla nomina dei vescovi cinesi, può fare questo solo perché non ha la fede e quindi non può sapere cosa è davvero la Chiesa. E io, a uno così, lascerei dire quello che vuole, può dire quello che gli pare, tanto non sa di cosa parla. La mia fiducia cresce con il tempo, è riposta nello Spirito Santo, che guida la Chiesa. Con la firma dell’accordo, non ci saranno più tante preoccupazioni e problemi su come far nascere nuovi vescovi nella Chiesa in Cina. La disunione della Chiesa può essere superata e diventare un fatto del passato. Le operazioni per mettere in difficoltà e in cattiva luce la Chiesa saranno meno insidiose. Naturalmente ci vuole tempo perché possano guarire le ferite della disunione. Ma non esiste più un fattore che provocava e alimentava la disunione. I fedeli e sacerdoti che io conosco speravano tutti del miglioramento del rapporto tra Cina e Vaticano. Non solo, pregavano con perseveranza per questo. La firma dell’accordo rappresenta un miglioramento consistente. Per questo tutti lo accolgono e gli danno il benvenuto con grande gioia».
Il 26 settembre 2018 Papa Francesco ha inviato una lettera ai cattolici cinesi, scrivendo: «L’Accordo Provvisorio è frutto del lungo e complesso dialogo istituzionale della Santa Sede con le Autorità governative cinesi, inaugurato già da San Giovanni Paolo II e proseguito da Papa Benedetto XVI. Attraverso tale percorso, la Santa Sede altro non aveva – e non ha – in animo se non di realizzare le finalità spirituali e pastorali proprie della Chiesa, e cioè sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo, e raggiungere e conservare la piena e visibile unità della Comunità cattolica in Cina». E ancora: «L’Accordo Provvisorio siglato con le Autorità cinesi, pur limitandosi ad alcuni aspetti della vita della Chiesa ed essendo necessariamente perfettibile, può contribuire – per la sua parte – a scrivere questa pagina nuova della Chiesa cattolica in Cina. Esso, per la prima volta, introduce elementi stabili di collaborazione tra le Autorità dello Stato e la Sede Apostolica, con la speranza di assicurare alla Comunità cattolica buoni Pastori».
Il 01 novembre 2018 padre Federico Lombardi, a lungo stretto collaboratore di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ha affermato: «Più di una volta questo negoziato era stato interrotto nonostante si fosse arrivati molto vicini alla conclusione. E’ un passo significativo, una premessa necessaria per la riconciliazione nella Chiesa in Cina».
Il 12 novembre 2018 padre Kevin O’Neill, ex Superiore generale della Società di San Colombano per le missioni estere, che ora ha sede ad Hong Kong, ha dichiarato che le persone con cui è in contatto, membri della comunità cattolica sotterranea, «non riportano alcun “annientamento” della Chiesa; al contrario, anche se ovviamente è molto presto, sono generalmente ottimiste riguardo all’accordo». The Tablet, settimanale cattolico britannico che ha intervistato padre O’Neill, ha osservato che «in contrasto con la cupa prospettiva tenuta dal cardinale Zen», la visione del missionario è ottimista e fiduciosa. Ed infine: «Qualunque sia il futuro per i cattolici della Cina, con la firma dell’accordo le scomuniche dei vescovi che non ebbero l’approvazione da Roma prima di essere consacrate sono state revocate. Papa Francesco ha esaudito il desiderio di Benedetto XVI espresso nel 2007».
Il 03 dicembre 2018 il missionario del PIME, don Gianni Criveller, da decenni opera in Cina e ha chiaramente spiegato che l’accordo stipulato dal Vaticano e la Cina «porta a compimento un lungo cammino, iniziato da Giovanni Paolo II e continuato dallo stesso Benedetto». E ancora: «L’accordo non significa affatto che la situazione dei cattolici in Cina debba migliorare», piuttosto la Chiesa «è riuscita a ottenere in un negoziato difficilissimo con un interlocutore caparbio e implacabile», un primo passo per ottenere, d’ora in poi, la comunione con Roma di tutti i futuri vescovi. «È bene che ci sia stato questo accordo».
Il 18 febbraio 2019 il presule più critico verso l’accordo tra Cina e Vaticano, il card. Joseph Zen, ha detto di non comunicare e non avere notizie dalla comunità cattolica sotterranea. Alla domanda: «Lei conosce i vescovi sotterranei in Cina, immagino…», il card. Zen ha risposto: «Si, più o meno». «E lei comunica con loro?», seconda domanda. «No, non con molti. E’ pericoloso per loro comunicare con me». La rivelazione del card. Zen svela come sia possibile la co-esistenza di un giudizio così negativo da parte dell’arcivescovo emerito di Hong Kong e quello positivo, speranzoso e aperturista da parte di numerosi vescovi della comunità cattolica sotterranea.
Il 02 dicembre 2019 il card. Fernando Filoni, nominato da Ratzinger prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha commentato: «Solo un animo superficiale o in mala fede potrebbe immaginare che Papa Francesco e la Santa Sede abbandonino il gregge di Cristo, ovunque e in qualunque condizione esso si trovi nel mondo. Si possono dire molte cose circa l’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi firmato nel settembre scorso, meno che non sia un fatto di portata storica per la Chiesa in Cina. Alla luce dell’Accordo che riconosce il peculiare ruolo del Papa, si dovrebbe ora reinterpretare anche il cosiddetto “principio di indipendenza” nella prospettiva del rapporto tra la legittima autonomia pastorale della Chiesa in Cina e l’imprescindibile comunione con il Successore di Pietro».
Il 06 luglio 2020 la giornalista del South China Morning Post, Mimì Lau, attivista contro le discriminazioni del partito comunista cinese, ha scritto che «la speranza era che l’accordo avrebbe guarito una frattura degli anni ’40, quando Pechino cacciava la chiesa dalla Cina e fondava una chiesa cattolica autonoma indipendentemente da Roma. L’accordo provvisorio del 2018 scadrà a settembre, ma si dice che Roma sia pronta a prorogarlo di altri due anni, nonostante il Vaticano non sia soddisfatto di ciò che vede come un fallimento di Pechino nell’adempiere alla sua parte dell’accordo. Fonti affermano che il Vaticano aveva atteso un gesto reciproco da Pechino dopo che papa Francesco aveva accettato otto vescovi nominati da Pechino senza la sua approvazione nel dicembre 2018, tre mesi dopo la firma dell’accordo. Lawrence Reardon, un esperto di politica cinese presso l’Università del New Hampshire, ha affermato di non essere sorpreso dalla mancanza di una svolta nelle relazioni tra il Vaticano e il Partito comunista cinese: “Il Vaticano si trova di fronte a una leadership più dogmatica del PCC che si sente assediata dalle minacce interne ed esterne”, ha affermato. Nonostante le frustrazioni, ci sono stati alcuni segni di progresso. Il mese scorso, Pechino ha riconosciuto due autorità nella chiesa fedeli al Vaticano: Lin Jiashan, un arcivescovo di 86 anni della diocesi di Fuzhou nella provincia sud-orientale del Fujian, e Li Huiyuan della diocesi di Fengxiang nella provincia dello Shaanxi nel nord-ovest. Un altro vescovo, Jin Lugang della diocesi di Nanyang nella provincia di Henan, è stato riconosciuto da Pechino a gennaio 2019. Ma ci sono ancora 23 vescovi scelti dal Vaticano in attesa di riconoscimento da parte di Pechino. Un ricercatore di questioni religiose con sede a Pechino ha affermato che la Cina si sta muovendo lentamente perché “la mentalità della guerra fredda incombe ancora nel suo pensiero strategico”. Una fonte ha affermato che il Vaticano ha adottato un approccio silenzioso per evitare il confronto con la Cina, poiché ciò innescerebbe solo una risposta aspra con conseguente maggiore sofferenza per i cattolici continentali. “Il Papa consente ai critici vocali, come il cardinale in pensione Joseph Zen Ze-kiun di Hong Kong e il cardinale del Myanmar Charles Maung Bo di “sensibilizzare il mondo della natura perniciosa dello stato-partito ed esercitare pressioni esterne sullo stato-partito cinese” ha detto Reardon, dall’Università del New Hampshire. “Con il suo potere il Papa può fermare Zen quando vuole, ma non lo ha fatto perché le sue critiche sono importanti. Sta dicendo a Pechino: puoi avere Zen, o puoi avere me, di chi vuoi occuparti? Penso che questo sia il modo in cui la chiesa sta cercando di dire alla chiesa cinese ufficiale che siamo una famiglia e che dobbiamo lavorare insieme”».
Il 06 luglio 2020 la stampa accreditata in Vaticano ha fatto sapere che nel testo diffuso poco prima dell’Angelus di Francesco era previsto anche un appello per Hong Kong, vittima di prevaricazione e repressione della libertà da parte di Pechino. Ma tuttavia il Papa non ha pronunciato l’appello. I soliti opinionisti antibergogliani, capeggiati da Marco Tosatti ed Antonio Socci, hanno subito accusato Bergoglio di aver ceduto a presunte pressioni cinesi. Riccardo Formiche ha invece spiegato che «si può escludere che la mancata pronuncia sia stata dovuta a pressioni cinesi. In un lasso di tempo così breve, il testo alla stampa viene divulgato meno di un’ora prima della pronuncia, è un’ipotesi che non sembra reggere all’evidenza. Vista la delicatezza mondiale del problema e la chiara preoccupazione di tutelare il dialogo e non di chiudere gli spiragli esistenti, si può ipotizzare che si sia ritenuto di far intendere quale sia il pensiero di Roma senza esternarlo però ufficialmente».
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40. CONCLUSIONE
In questo lungo dossier abbiamo preso in esame le maggiori accuse ricevute da Papa Francesco, sottolineando la loro fragilità e pretestuosità. Abbiamo seguito il criterio suggerito dal Papa stesso: andare a leggere e mostrare quel che lui ha davvero detto e non ciò che i media hanno riportato, è sufficiente questo per smentire le accuse senza bisogno di interpretare intellettualisticamente le sue parole.
Come ha scritto Antonio Socci poco prima di rinnegare tutto e farsi trascinare nell’antipapismo dai blog tradizionalisiti, «tutto fa brodo per attaccare Francesco, perfino il colore delle scarpe o il fatto che dica “Buongiorno” e “Buon pranzo”. Ogni inezia viene guardata col sospetto di eterodossia e di infedeltà alla tradizione. Ma degli atti ufficiali del suo magistero se ne infischiano, così pure snobbano il suo magistero quotidiano». C’è «chi sta col “randello” del pregiudizio in mano», ha proseguito lo scrittore, «con l’unico obiettivo di coglierlo in fallo, non sente ragioni, si attacca a ogni pretesto ed è sempre pronto a colpire». Anche lui ha riconosciuto i due fuochi che hanno preso di mira il Papa, quello progressista e quello tradizionalista: « Alla forzatura di certi media che attribuiscono arbitrariamente a Francesco un profilo “sovversivo”, fanno da sponda certi fondamentalisti che alimentano all’interno della cristianità la stessa idea. Il disorientamento che si produce così non va sottovalutato. La sofferenza è manifestata soprattutto da buoni cattolici ed ecclesiastici finora fedeli al papa che dicono di sentirsi orfani di Benedetto XVI. Questi sedicenti ratzingeriani dimenticano che papa Benedetto ha proclamato fin dall’inizio la sua affettuosa sequela al nuovo papa e ha ricordato a tutti – alla vigilia del Conclave – il fondamento del cattolicesimo: “Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura”. Se non si crede questo, come ci si può dire cattolici?»”.
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