In ricordo di Norberto Bobbio, un maestro di laicità

Norberto Bobbio Ci lasciava undici anni fa, Norberto Bobbio. E tuttora, dopo undici anni, è scomodo ricordarlo, per molti intellettuali laici. Perché Norberto Bobbio, unanimemente uno dei maggiori intellettuali e una delle personalità culturali più influenti d’Italia del XX secolo, pur professandosi chiaramente non uomo di fede bensì uomo del dubbio (tanto che poi, com’era nelle sue volontà, fu tumulato con cerimonia prettamente civile), voleva essere anche uomo del dialogo. Non era un laicista furente, non era alla ricerca forsennata del “politicamente corretto”, ma era un uomo sinceramente in travaglio nei suoi dubbi e desideroso di trovare risposte.

Egli stesso disse di sé: «Mi ritengo un uomo del dubbio e del dialogo. Del dubbio, perché ogni mio ragionamento su una delle grandi domande termina quasi sempre, o esponendo la gamma delle possibili risposte, o ponendo ancora un’altra grande domanda. Del dialogo, perché non presumo di sapere quello che non so, e quello che so metto alla prova continuamente con coloro che presumo ne sappiano più di me (N. Bobbio, Elogio della mitezza, Linea d’ombra edizioni, Milano 1994, p. 8). Bastano queste parole a comprendere perché, anche in due articoli della nostra Redazione, si sia ricordato come Bobbio fosse definito “papa laico”, uno di quei pensatori che enormemente influivano sul pensiero comune, un po’ come “l’intellettuale profeta”, figura cui lui era contrario assolutamente, asserendo, come già il filosofo Max Weber prima di lui, che «la cattedra non è né per i demagoghi né per i profeti». Un’affermazione illuminante, come quelle, già riportate i Ultimissima 1/6/10 in cui Bobbio riconosceva amaramente che «la morale razionale che noi laici proponiamo è l’unica che abbiamo, ma in realtà è irragionevole […] Io non ho nessuna speranza. In quanto laico, vivo in un mondo in cui è sconosciuta la dimensione della speranza» (De senectute, Einaudi, Torino 1996).

Infatti, perché si dovrebbe fare il bene piuttosto che il male, se facendo il male mi verrà un vantaggio e nessun svantaggio? Se manca un fondamento per una qualsiasi etica, allora nessuna etica concepibile da uomo è razionalmente possibile, e ne consegue che quel fondamento non può che venire da un Legislatore fuori di noi. Da Dio. La “morale laica” si può appoggiare solo sulla coscienza personale e il consenso popolare a una certa norma o comportamento, ma tal morale fin quanto reggerà? Fin quanto appagherà lo spirito, sazio di certezze e non di idee relative che continuamente possono essere contraddette o mutate? Altra affermazione illuminante: «la maggior parte degli uomini di oggi non sono tanto atei o non credenti, quanto increduli. Ma colui che è incredulo non è fuori dalla sfera della religione. Lo stato d’animo di chi non appartiene più alla sfera del religioso non è l’incredulità, ma l’indifferenza. Ma l’indifferenza è veramente la morte dell’uomo» (Che cosa fanno oggi i filosofi?, Bompiani, Milano, 1982, p. 140).

L’8 maggio 1981, alla vigilia del referendum sull’aborto, rilasciò un’intervista al Corriere della sera nella quale affermò la sua contrarietà all’interruzione della gravidanza in qualunque periodo e per qualsiasi motivo: «L’aborto è un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri. […] Innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di depenalizzazione dell’aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all’aborto […] Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti l’onore affermare che non si deve uccidere (da “Bobbio: ecco perché sono contro l’aborto” Corriere della sera, 8/5/1981). Questo è davvero edificante: un intellettuale non credente, dubbioso, non per questo è favorevole all’aborto.

Se per un “principio x” si ritiene legittimo spezzare una vita sul nascere, lo stesso identico principio x può essere applicato per giustificare la pena di morte e tutte le altre forme di omicidio, poiché si viene a creare un fondamento etico e giuridico che giustifica, di per sé, l’interruzione di una vita. Che tal vita sia ancora nel grembo o al termine della vita o macchiata dal delitto, diventa solo un “dato x” da determinare. L’eutanasia ne è un esempio lampante. Questa considerazione di Bobbio spezza, inoltre, un’altra equazione falsa: che l’aborto sia un diritto della donna perché riguarda il corpo della donna, che delle proprie membra può fare ciò che vuole. No. La creatura dentro la donna, non è il corpo della donna, né s’identifica con la vita stessa della donna, poiché quella creatura è un’altra vita.

Il Corriere della Sera ha scritto, a cinque anni dalla morte: “Bobbio è anzitutto un maestro di laicità, non nel senso stupido e scorretto qua­si significasse l’opposto di credente, come credono e vo­gliono far credere gli ignoranti e i disone­sti. Oggi viviamo in una temperie culturale assai poco laica, funestata dai fondamentali­sti religiosi come da quelli aggressivamen­te atei entrambi capaci di ragionare solo con le viscere e con slogan orecchiati”. E Bobbio disse: “I due mali contro cui la ragione filosofica ha sempre combattuto – e deve combattere ora più che mai – sono, da un lato, il non credere a nulla; dall’altro, la fede cieca” (N. Bobbio, “Che cosa fanno oggi i filosofi?”, Bompiani, Milano, 1982, p. 140). Quindi, al contrario di quanto pensano i militanti laicisti di oggi, il vero dibattito non sta nel non credere a nulla per mettere in crisi tutto, bensì nel saper discutere e dialogare con posizioni diverse, animati da sincere intenzioni di trovare la verità. Dialogare anche a costo di mettere in crisi sé stessi.

Una posizione incredibilmente vicina al cristianesimo nel tema del Peccato Originale, come già Leopardi prima di lui, ma resa amara e negativa dalla mancanza di Speranza (la maiuscola qui è d’obbligo), Bobbio la espresse con queste parole: “Gli uomini sono cattivi. Il male è la storia umana. È la sconfitta di Dio e la sconfitta della ragione. Questo secolo lo dimostra più di ogni altra epoca. E il cristianesimo, dov’è il cristianesimo?”. Parole tratte da un’intervista inedita a Bobbio del 7 gennaio 1994 (due giorni e dieci anni esatti prima della morte) e resa pubblica tre anni fa dalla rivista “Tempi”. Tornando al tema dell’etica, laica o cristiana che si voglia considerare, Bobbio constatò pure, in questa intervista, che «come diceva Croce, non possiamo non dirci cristiani. Senza l’etica cristiana non c’è convivenza. Ma il cristianesimo come fede è un’altra cosa. E io non riesco a non dubitare».

Anche a Benedetto Croce, seppur estimatore del cristianesimo, mancava la fede, quel dono che, è sì dato da Dio e non da noi stessi, ma che è dato a chi lo vuole avere, e porta a una volontaria e cosciente accettazione delle verità cristiane. Possiamo sperare che undici anni fa Bobbio abbia abbracciato la fede per lasciarsi abbracciare dal Padre, così come possiamo sperare che i laicisti di oggi possano avere la sua stessa onestà e mitezza, prendendo esempio dal maestro.

La redazione

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