Vedere il dolore innocente e credere in Dio
- Ultimissime
- 30 Mar 2014
Il problema del male è la principale obiezione per molti uomini all’esistenza di un Dio buono e onnipotente, per questo occorre saltuariamente tornarci sopra provando a darvi una risposta, provando a spiegare perché l’esistenza del dolore e del male non è per noi cristiani un ostacolo. L’obiezione è formulata in modo abbastanza semplice e si basa su una deduzione: se Dio è buono e onnipotente allora non ci dovrebbe essere alcun male o sofferenza. La riflessione di Joe Manzari dell’University of California ha il pregio di offrire una delle migliori sintesi sulla questione. Da essa prenderemo spunto ampliandola laddove non ci sembra pienamente soddisfacente.
Occorre premettere che esistono due tipi di problemi riguardo al male. Il primo è il male causato dagli uomini (argomento deduttivo) e si basa su una sequenza apparentemente logica:
(1) Dio esiste.
(2) Dio è onnipotente.
(3) Dio è onnisciente.
(4) Dio è omni-benevolo.
(5) Esiste il male.
(6) Un Essere buono elimina sempre il male, per quanto possibile.
(7) Non ci sono limiti a ciò che un Essere onnipotente può fare.
Il problema sono gli assunti 6 e 7. La premessa 6 è falsa in quanto per eliminare il male commesso dagli uomini, Dio dovrebbe eliminare il loro libero arbitrio, la quale è una soluzione enormemente più malvagia. G.W. Leibniz ha risposto infatti a questo dilemma spiegando che Dio, valorizzando la libertà dell’uomo, ha deciso di fornire a lui la libertà di scegliere il bene sul male, piuttosto che costringerlo alla Sua volontà. Anche la premessa 7 è falsa, ad esempio non può compiere cose contraddittorie, perché -seppur appaia contraddittorio- ci sono limiti all’agire di un Essere onnipotente: Egli non può contraddirsi, non può creare un cerchio quadrato come non può (non vuole, si pone un limite cioè) costringere creature libere a fare la Sua volontà.
Il male causato dall’uomo, come omicidi, sofferenza delle persone e tanti cataclismi naturali (per mancanza di cura verso il creato), non è dunque imputabile a Dio ma piuttosto alla libertà dell’uomo di compiere il male, non ascoltando con onestà la legge morale che abita in lui.
Esiste una seconda versione del problema del male (argomento induttivo), molto più profonda e complessa ed è quella che è stata al centro della riflessione di miliardi di uomini nella storia. Anch’essa si basa su una sequenza di assunti:
(1) Se Dio esiste, il male gratuito non esiste.
(2) Il male gratuito esiste.
(3) Pertanto, Dio non esiste.
Oltre al male causato dall’uomo, dipendente dal suo libero arbitrio e non da Dio, esiste un male che non è il risultato dell’azione umana. E’ il caso di molte malattie, della sofferenza innocente e delle grandi ingiustizie della vita umana. Il fulcro dell’attenzione si deve rivolgere alla premessa (2): la pretesa è che esista un male veramente gratuito. Ma è un’affermazione indimostrabile e nessuno può escludere che ciò che appare superficialmente un male potrebbe essere la circostanza per trarre un bene maggiore.
Questa spiegazione è possibile darla soltanto all’interno del cristianesimo, come abbiamo già fatto notare, perché in essa esiste già un precedente significativo: l’ingiusta passione e sofferenza di Cristo, mezzo necessario per la Sua resurrezione. Ecco dunque il male come via per il bene, un esempio palese davanti a noi che ci permette di stare davanti al dolore più tragico senza scandalizzarsi ma confidando che, come per Gesù, anche per tutti noi sia la croce da portare per un bene maggiore. Non è un caso che Francesco d’Assisi chiamava la morte e la sofferenza, addirittura, “sorella”.
Dal male innocente commesso contro Suo figlio, Dio ha tratto un bene più grande. Questo ci autorizza a credere che sia sempre così e il male innocente risponda ad un disegno più grande che si realizza in una redenzione finale, incomprensibile per noi ora come era incomprensibile per gli apostoli vedere il loro Messia morire in croce come un ladro o un assassino. Ma «non vi è male da cui Dio non possa trarre un bene più grande», ha scritto Giovanni Paolo II, «non c’è sofferenza che egli non sappia trasformare in strada che conduce a lui». Il male, come è stato ben spiegato, non è un castigo e non è una fatalità, ma il mezzo attraverso cui Dio trae misteriosamente un bene più grande.
A volte capita di osservare i frutti già ora: quante persone, infatti, si convertono dopo una grave sofferenza o una terribile malattia? Grazie alla sofferenza patita arrivano a sperimentare la presenza di Dio dando finalmente un senso compiuto alla vita, così che se potessero tornare indietro vorrebbero nuovamente passare dalla croce patita per risorgere personalmente. Questi casi sono un esempio, in tanti altri casi non si vede apparentemente alcun bene e l’attenzione deve andare alla croce di Cristo: la sua non è stata una sofferenza gratuita ma una condizione inevitabile per la Resurrezione e la salvezza degli uomini. Così è per la sofferenza degli uomini, per tutti i mali che viviamo. La nostra fede in Dio è sfidata, non a caso Papa Francesco ha risposto così: «Davanti a un bambino sofferente, l’unica preghiera che a me viene è la preghiera del perché. Signore perché? Lui non mi spiega niente. Ma sento che mi guarda. E così posso dire: Tu sai il perché, io non lo so e Tu non me lo dici, ma mi guardi e io mi fido di Te, Signore, mi fido del tuo sguardo».
La redazione
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36 commenti a Vedere il dolore innocente e credere in Dio
dovreste essere chiusi (e denunciati) anche solo per la volgarita’ e l’insipienza con cui “trattate” di temi cosi delicati. fate venire il vomito.
@firmino
Immagino che lei stia bevendo, in questo momento, il calice amaro. Per questo ha un senso di nausea. Le chiedo di fare un piccolo sforzo e di dirci come lei interpreta il male; ha una risposta migliore di quella del cristianesimo?
La sua opinione è un ottimo esempio di un male (sotto ogni punto di vista) da evitare, per lei in prima persona.
Fortunatamente qualcuno ricorda sempre come agisce la tolleranza laica.
Dici di non essere volgare,ma parli volgarmente dunque sei anche sapiente e cioè sai parlare volgarmente,vantati di tanto sapere.
” fate venire il vomito.”
Dunque vai in bagno.
Articolo bellissimo. Varie volte mi sono posto il problema del male. E non si può che concludere, inizialmente, prendendo atto che il male lo si sperimenta e lo si vive; ma allo stesso modo non é possibile capire perché c’é e non é possibile eliminarlo. A questo punto l’Uomo ha due strade: 1) affrontarlo sapendo che la partita può essere ragionevolmente persa a priori oppure 2) non affrontarlo metabolizzandone l’accettazione. Il primo é un atteggiamento connotato soprattutto dal concetto di “umiltà”, il secondo é un atteggiamento connotato soprattutto dal concetto di “sfida”. Il primo porta ad una visione verso l'”infinito” (porta a cercare il senso della vita…), il secondo porta ad una visione “finita” (con la mia morte finisce tutto, quindi…). Ma una delle conseguenze più importanti di come l’Uomo approccia il male é il dare “il” significato di appartenere alla “comunità umana” e lavorare affinché la stessa “comunità umana” possa divenire il mezzo per contrastare lo stesso male sapendo ragionevolmente che la partita potrebbe anche essere persa. Ed é una delle principali differenze fra una “visione secolarizzata” e una “visione cristiana” della realtà.
Non si può parlare del male senza darne una corretta definizione, poiché è in grazia di tale definizione che si può arrivare ad avere la prospettiva filosofica più corretta intorno al problema rappresentato dall’esistenza di Dio (che può essere dimostrata filosoficamente, senza necessità di ricorrere alla fede e alla Rivelazione) e la presenza del male. Dovrò essere molto sintetico.
1) La definizione corretta è quella elaborata da Sant’Agostino e ripresa pienamente da San Tommaso d’Aquino: il male è privazione di un bene che dovrebbe esserci. Quel “dovrebbe” non ha qui valenza etica, ma ontologico-descrittiva, poiché dipende da ciò che la natura o essenza dei vari enti è in se stessa. Per una pietra non è un male non essere dotata di vista, poiché la sua essenza o natura non prevede tale proprietà, mentre lo è per un qualsiasi animale la cui specie sia dotata di vista.
2) Il male esiste, sì, ma SOLO COME PRIVAZIONE (di qualcosa che dovrebbe esserci) e in questo senso ha SEMPRE (anche nel caso di male morale relativo all’uomo) una natura parassitaria, come la ruggine, che c’è fino a che il metallo non è completamente divenuto ruggine.
3) Ma non è finita, poiché ad es. una malattia, che è un male in quanto privativa della salute, ha una causa che in sé non è un male, ma semplicemente un ente la cui attività è incompatibile con la nostra salute. Un virus in sé non è un “ente cattivo”, ma un ente, che come tutti gli altri tende a procacciarsi occasioni di sopravvivenza. Così come un leone, benché provochi senz’altro del male alla gazzella che uccide, in sé è un ente animale degno di esistenza e “buono” in quanto creato.
4) ORA LA DEDUZIONE PIU’ IMPORTANTE: se il male è privazione di un bene, e dunque esiste solo in quanto esiste l’ente “privato” di qualcosa, allora la presenza del male stesso dipende direttamente dalla causa che spiega l’esistenza dell’ente stesso. Se ne deduce che, essendo Dio la causa necessaria di ogni ente, l’esistenza del male non può essere contraddittoria rispetto all’esistenza di Dio, poiché se così fosse, nemmeno l’ente causato da Dio esisterebbe e di conseguenza nemmeno il male, che invece è un dato di fatto.
In definitiva, dunque, abbiamo due dati di fatto che non possono essere messi in dubbio: il male è un fatto, è altrettanto un fatto (naturalmente derivante da dimostrazione metafisica di tipo deduttivo a posteriori) che tutto sia creato da una Causa Prima Perfetta (= Atto Puro, Atto Infinito, Perfetto e dunque anche Infinitamente Buono).
Hai definito il Male senza aver definito il Bene…
Qual’è la tua definizione di “Bene”?
Deducibile da quanto ho detto: il “bene” (ontologico, non quello etico) corrisponde all’esistere per come richiede la propria essenza o natura; dunque ogni ente in sé è buono ontologicamente, anche se in relazione ad altri particolari enti può essere causa del loro male.
Ma il diavolo non esiste?
Certo che il demonio esiste, ma la sua esistenza non va cofusa, come ad es. Excelsior tende a fare (essendo egli un non meglio precisato ammiratore dell’ex lucifero), con una concezione manichea della realtà. Data la definizione di “male” come privazione di bene, il contrario però non vale, poiché non esiste una “sostanza” tutta male, avendo esso esclusivamente esistenza “parassitaria” rispetto al bene.
Però, at=ae, pur ritenendo valida questa “non-teodicea” (che parte dal male come privatio boni e che sicuramente dimostra come non ci siano problemi di carattere logico), non rimane comunque la porta aperta ad un altro problema ad essa collegato, ossia il cosiddetto “Problema della Santità”, il quale (scrivo per chi non lo conoscesse) sorge nel momento in cui prendiamo in considerazione il male morale positivamente commesso dall’uomo (peccato), tenuto conto della prospettiva (implicata nella stessa concezione tomista) concorrentista?
Se ti riferisci all’obiezione che individuerebbe l’aporia posta dall’esistenza del male non tanto in riferimento all’esistenza di Dio, ma più specificamente in riferimento alla sua Santità o Perfezione, in realtà il problema è il medesimo, poiché, essendo Dio Atto Puro, se non potesse essere Perfetto, Dio non esisterebbe (ossia non esisterebbe la Causa Prima, che in quanto tale è perfetta e che, invece, è razionalmente necessaria).
La risposta che San Tommaso dà al problema del male morale, consapevolmente compiuto, è che Dio, non potendo fare il contraddittorio (e dunque non potendo creare né un altro Atto Puro, né enti finiti infallibili per natura), avrebbe una sola possibilità per rendere l’uomo impeccabile: agire costantemente in modo miracoloso o soprannaturale, dal di fuori della loro essenza o natura. Ma ciò renderebbe privo di senso l’avere dotato queste creature di una natura (razionale) che le rende libere in grazia della comprensione della verità che possono raggiungere da sé. Ecco perché nemmeno gli angeli sono stati creati in uno stato “finale” di santità definitiva.
Si, l’obiezione parte dal presupposto che le cause seconde, pur avendo un reale potere causale, nel produrre i loro effetti hanno Dio come Causa Prima che “concorre” continuamente con esse. Questo comporterebbe (secondo l’obiezione) che Dio sia (per così dire) “partecipe” dell’azione peccaminosa dell’uomo, cosa che costituirebbe una “macchia” alla Sua Santità.
Ora, da quello che ho capito, anche nel caso del PdS la risposta sarebbe più o meno la stessa che viene data al problema del male, ossia: abbiamo argomenti indipendenti che ci dicono che Dio esiste ed è la somma di tutte le Perfezioni, motivo per cui anche se (nel caso del PdM) il male -in definitiva- è un mistero, ciò non significa che la sua esistenza, perchè comunque c’è ed è innegabile (contra Mary Baker Eddy, ad es.) sia contraddittoria con quella di Dio.
Cosa simile per il PdS: sappiamo che Dio esiste ed è Perfetto e se non fosse Perfetto non sarebbe Dio, ergo è evidente che, anche se in un modo che non capiamo, possa comunque concorrere a determinate azioni dell’uomo senza che ciò “macchi” alcunchè. E’ così?
Data la stessa definizione del male come privazione, il male NON E’ UN ENTE NE’ UNA SOSTANZA, è una privazione che colpisce un ente. Dunque, non essendo un ente, non può nemmeno essere causato da Dio, che invece semplicemente “lo permette” come conseguenza, cui potrebbe ovviare solo tramite miracoli continui, della finitudine e imperfezione intrinseca a tutte le creature.
Come tu ben sai, infatti, “partecipazione” in termini tomistici è equivalente a “causazione”, dunque dire che Dio partecipa al male, significa dire che lo causa.
Il male, in definitiva, deriva puramente da difetto e dunque è resposabilità in toto dell’uomo, che sceglie consapevolmente di peccare, ossia di “auto-mutilarsi” (colpevolmente) della propria perfezione morale.
Sì, questo mi è chiaro, ma qualcosa continua a sfuggirmi: mi pareva d’aver capito che l’obiezione mirasse a dimostrare che Dio, pur non essendo la Causa agente delle azioni malvagie, sia comunque -in quanto Causa Prima- ciò che “sostiene”, e quindi permette, il compiersi di tali azioni (che di per se sono positive, es. l’omicida che accoltella la vittima). Questo permettere non implica quindi la Sua totale estraneità ai fatti: lo sarebbe se lo considerassimo alla stregua del dio del deismo e/o prendessimo per buona la tesi del puro conservazionismo, cosa che non facciamo.
Ne segue allora che il semplice “sostenere nell’essere” l’azione peccaminosa sia quanto basta all’obiezione per funzionare (stando a ciò che dicono quelli che la ritengono valida) dato che questo “sostenimento” sarebbe sufficiente a ledere la Santità d Dio…
“Permettere”, dipende anche dai motivi per cui si permette e da chi permette… Dio permette per due fondamentali motivi (ciò che si può dire sul piano filosofico): 1) perché la libertà è un vero dono, cioè non è un prestito ad usura, ma implica la terribile serietà che la possibilità della scelta tra il bene e il male comporta (altrimenti noi saremmo né più né meno che marionette); 2) perché Lui è l’unico che può far sì che avere ricevuto gli effetti negativi dell’uso cattivo della libertà da parte di altri, possa non costituire ingiustizia. Ma è la prima motivazione ad essere particolarmente fondamentale: mi sembra minima giustizia non creare pupazzi, Dio non scherza. Aggiungo che la libertà nel perdono è forse l’unico atto veramente totalmente creativo che ci è concesso…
Ok bene. Il primo punto è certamente fondamentale ma -personalmente- ammetto di aver “trovato soddisfazione” nel secondo. Ti ringrazio!
interessante
un argomento molto nebbioso eppure lo hai accostato con argomentazioni nitide
complimenti e anche grazie
In sintesi: non si può essere contraddittori rispetto alla causa (Dio) di ciò (l’ente) da cui si dipende.
Si vabbè, capisco la dottrina… un passettino in più, che so…riusciamo a mettere insieme il triangolo bene/male/amore, svincolato dalla struttura gerarchica, bada bene come ragionamento eh! Se no diventa imposizione e il libero arbitrio rischia di innescare comprensibili equivoci (per quanto reali)relativistici. Secondo me eh!
Non si capisce molto di quanto intenderesti affermare…
Cominciamo a dire pane al pane e vino al vino, poi magari ne riparliamo.
francesco ha cominciato, sono curioso di vedere chi lo segue. Lui è un ottimo didatta.
Al di là della tua opinione, continui ad essere brutalmente OT. Quando si starà commentando un articolo dedicato ai comportamenti di certi Sacerdoti, esprimerai con grandi sorrisi le tue obiezioni, ma qui si parla del male in relazione all’esistenza di Dio…
Un articolo molto interessante. Bravi.
il termine teodicea non lo conoscevo proprio.
A me invece l’attributo omni-benevolo mi è nuovo, cioè non sapevo che esistesse una parola che descriva la Benevolenza di Dio.
Pensavo che la parola migliore fosse Misericordia.
La Misericordia, però, riguarda la pietà. Da ignorante in materia, credo che Misericordia e Omnibenevolenza siano due attributi distinti: uno indica la pietà, l’altro la bontà ( almeno questo è quel che ipotizzo )
Articolo molto interessante, ma ho un grosso dubbio, in quanto non viene mai citato il demonio, elemento che secondo me non può mancare in un discorso sul bene e sul male.
Anzi dall’articolo sembrerebbe esserci solo un male causato dall’uomo, che fa azioni malvagie deliberatamente, o un altro tipo di male, che non ha origine dall’uomo e che avviene per scopi più alti e che noi non vediamo, come “circostanza per trarre un bene maggiore”
Sinceramente ho qualche perplessità e vorrei sapere se l’articolo è stato approvato da qualcuno di affidabile… scusate lo scetticismo, ma come può mancare il diavolo in questo discorso?
Lo stesso papa lo ha citato più volte e ho sentito più volte dire che la prima mossa del diavolo è proprio quella di far pensare che lui non esista…
Il Diavolo è sempre implicito, cioè è colui che corrompe la libertà umana e non permette il bene. Il dolore causato dall’uomo è da attribuirsi certamente a Satana.
provoca miraggi ai distratti e i compiaccenti e i miraggi sono tentazioni una volta assecondate si commette il peccato
Quello del Papa mi sembra il commento migliore. Anch’io mi ritrovo a dire:” Signore, non capisco. Ma tu sai, e io mi fido di Te”.
Cari amici,
proprio dall’esistenza del male, si dimostra l’esistenza di Dio:
Si malum est, Deus est!
Se c’è il male, c’è il bene relativo. Se c’è il bene relativo, c’è il bene assoluto. Se c’è il bene assoluto, c’è Dio. Dunque se c’è il male, c’è Dio
Ecco i link sull’argomento:
https://dl.dropboxusercontent.com/u/13842603/si%20malum%20est%20deus%20est.pdf
Sto leggendo adesso questi appunti della lezione di p. Barzaghi e volevo ringraziarti per averli messi a disposizione… e quindi grazie!
Mi sono letto la riflessione di Joe Manzari linkata nell’articolo. Trovo che l’affermazione centrale, capace di rispondere a gran parte delle domande inerenti al problema della teodicea, sia la seguente: “Primo, lo scopo principale della vita non è la felicità, bensì la conoscenza di Dio”.
Una volta capito (e accettato) questo, tanti dubbi si dissolvono da sé.
Dopo mi leggo il link, ma in prima battuta correggerei quanto riportato: in sostanza è il problema di Kant, che non riusciva a comprendere, data la sua formazione pietista, come fosse possibile conciliare l’eudaimonismo con il il puro disinteresse personale, proprio della carità cristiana. La soluzione consiste nel comprendere che amare veramente Dio, non può non corrispondere ad essere felici, anche se tale felicità è un riverbero dell’amore come prima intenzione.
E penso che l’errore derivi dalla confusione tra il “finis cuius” e il “finis quo” che invece San Tommaso distingue (Summa Theologiae, I-II, q. 1, art. 8), ossia la distinzione tra il “fine oggettivo” e il “fine soggettivo”: il primo è il fine considerato per quello che è (nel caso del fine ultimo si tratta di Dio), il secondo è il fine considerato secondo il modo in cui viene conseguito o raggiunto (da chi lo abbia, appunto, come fine). Per intendere la terminologia tomista si consideri il finis cuius come il fine di cui si è felici e invece il “finis quo” come il fine per cui si è felici del fine: il fine può infatti essere inteso in se stesso, oggettivamente per quello che è (in questo caso Dio), oppure dal punto di vista di chi lo raggiunge e ne fruisce, cioè dal punto di vista soggettivo indicante l’atto in grazia di cui si gode del fine in sé o oggettivo.
Come spiega con un esempio lo stesso San Tommaso, il fine dell’avaro può dunque essere sia il denaro come oggetto in sé (fine oggettivo), sia l’atto stesso del possesso di denaro (fine soggettivo).
Ora, se si confondono fine oggettivo e fine soggettivo non si riesce più a comprendere come sia possibile amare “disinteressatamente” il fine oggettivo, pur essendo ordinati a goderne soggettivamente, come riverbero, una volta conseguitolo. In realtà si può dunque, si deve, amare Dio per se stesso, pur poi conseguendone soggettivamente l’appagamento dei propri bisogni naturali più profondi.