Carl Friedrich Gauss e la sua “ferma fede in Dio”
- Ultimissime
- 19 Mar 2014
di Francesco Agnoli,
da Il Foglio, 07/03/14
Tra Ottocento e Novecento l’università di Göttingen, in Germania, è la Mecca della matematica, e, in parte anche della fisica. Passano di qui, infatti, come alunni o come insegnanti, Carl Friedrich Gauss, Bernhard Riemann, Felix Klein, Arnold Sommerfeld, David Hilbert, Hermann Minkowski, Kurt Godel, ma anche Albert Einstein, Max Planck, Max Born…Una serie incredibile di geni, che hanno spesso qualcosa da dire anche al pensiero filosofico e teologico.
Vorrei parlare del primo, il celeberrimo Gauss, il “principe dei matematici”, considerato spesso il più grande matematico della modernità. Buona parte della sua vita la trascorre proprio a Gottinga, come studente, dal 1795 al 1798, e poi come docente (sino alla morte, sempre a Gottinga, nel 1855). La carriera del già brillantissimo alunno comincia molto presto, con una serie di contributi alle ricerche matematiche.
Il primo giorno del nuovo secolo, il I gennaio 180, l’astronomo italiano don Giuseppe Piazzi (“il Colombo dei piccoli pianeti”) scopre il primo asteroide, Cerere, ma ne perde in breve le tracce. Gauss predice il punto esatto in cui riapparirà, facendo uso del metodo dei minimi quadrati. Cerere riappare proprio nel punto indicato da Gauss il 1 gennaio 1802. Inizia così il ruolo del grande matematico anche in campo astronomico, tanto che nel 1807 viene nominato direttore dell’osservatorio e professore di astronomia proprio a Gottinga. In onore del sacerdote astronomo italiano, Gauss chiamerà un figlio Giuseppe. Con il tempo Gauss darà contributi nei campi più svariati: oltre alla matematica e all’astronomia, alla geodesia, all’ottica, al magnetismo…
Quanto al pensiero filosofico e religioso di Gauss, è possibile ricostruirlo soprattutto grazie alla biografia di Wolfgang Sartorius von Waltershausen, direttore del museo di mineralogia e paleontologia dell’università di Gottinga e grande amico di Gauss. Scrive il Sartorius, in un testo stampato a Lipsia nel 1856: “La idea inconcussa di una vita personale dopo la morte, la ferma fede in un Ordine ultimo, in un Dio eterno, giusto, onnipotente, onnisciente furono le basi della sua vita religiosa, in perfetta armonia con le sue ricerche scientifiche”.
Riporta anche alcuni pensieri espressi dal grande matematico: «c’è in questo mondo una gioia della mente che trova soddisfazione nella scienza, e una gioia del cuore che si esprime soprattutto negli sforzi dell’uomo per illuminare le preoccupazioni e i pesi l’uno dell’altro. Ma se il piano dell’Essere Supremo è quello di creare esseri su pianeti diversi e assegnare per loro godimento ottanta o novant’anni di esistenza, sarebbe in verità un piano crudele. Se l’anima vive 80 anni o 80 milioni di anni e poi deve un certo giorno perire, allora questa durata della vita è una mera dilazione del patibolo. Non conterebbe nulla. Uno è perciò portato alla conclusione che in aggiunta a questo mondo materiale ne esiste ancora un altro, puramente spirituale…». “Questa convinzione divina –chiosa Sartorius- fu cibo e bevanda per il suo spirito fino a quella mezzanotte silenziosa in cui i suoi occhi si chiusero. ..”.
Sappiamo infatti che Gauss vedeva nella matematica un tentativo di leggere nel piano divino della Creazione, ma sapeva molto bene, d’altro canto, quali fossero i limiti del sapere umano. Narra sempre il Sartorius che in un’occasione lo sentì affermare: “è lo stesso per me se Saturno ha 5 o 7 lune. C’è qualcosa di più alto nel mondo”. Un altro biografo, il Dunnigton, riporta un’altra frase di Gauss: «Ci sono domande le cui risposte io porrei ad un valore infinitamente più alto che quello della matematica, per esempio quelle riguardanti l’etica, o il nostro rapporto con Dio, il nostro destino ed il nostro futuro; ma la loro soluzione resta irraggiungibile sopra di noi, fuori dall’area di competenza della scienza». Per questo leggeva, ogni sera, il Vangelo.
Altre notizie importanti sul credo di Gauss le troviamo nel suo epistolario con un caro ed intimo amico ungherese, il matematico Volfang Bolyai. Una lettera di Gauss, datata 3 dicembre 1802, si chiude così: «Ora mio caro, addio! Possa questo sogno che si chiama vita esserti soave, preludio alla vita vera nella propria patria nostra, dove i ceppi del corpo greve, le barriere dello spazio, i flagelli dei dolori terreni, il languore delle nostre misere e trepide brame non angustiano più lo spirito ridesto. Coraggio, e senza brontolii portiamo sino alla fine il nostro fardello; ma non perdiamo mai di vista la meta più alta. E, quando suona la nostra ora, rallegriamoci di deporre il carico e di vedere cadere il denso velame”. Quando Bolyai annuncia all’amico la nascita di un figlio, questi, dimostrando ancora una volta di possedere una visione religiosa dell’esistenza, dichiara: «Tu hai ora in mano i primi anelli della catena del destino di una esistenza eterna che si prolunga all’infinito. Grave e seria, ma dolce vocazione!».
Dispiace per l’ex seminarista Odifreddi, ma anche in questo caso è verificabile la famosa frase di Bacone, Boyle e Pasteur: “Poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui”.
Diversi pensieri religiosi dei principali scienziati esistiti è possibile trovarli nel nostro apposito dossier.
48 commenti a Carl Friedrich Gauss e la sua “ferma fede in Dio”
Gauss dice che se l’anima deve perire allora il disegno divino non avrebbe senso d’essere. Cerca quindi di far rientrtare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta, non dice cioè che se non vi è dimostrazione dell’esistenza e dell’immortalità dell’anima è possibile che tutto il discorso attorno a Dio sia mera invenzione umana, ma dice che se Dio esiste, esiste necessariamente anche l’anima immortale. Parte quindi da un’argomentazione a priori, che se non è valida in ambito filosofico, lo è ancora meno nel più incontrovertibile campo della matematica.
Ma, secondo te, esiste solo ciò che è matematicamente dimostrabile? Non ho capito.
Il tuo ragionamento è sensato, ma Gauss non voleva infatti fare una dimostrazione filosofica/scientifica di Dio, semplicemente esprimeva la sua convinzione di scienziato e di credente, una delle tante riflessioni che possono fare chi vive un’esperienza di fede, la quale non si basa certo su tali riflessioni.
Indubbiamente c’è un legame teoretico forte tra l’esistenza di Dio e l’esistenza di un’anima spirituale (= incorruttibile), ma non si tratta di un legame necessario, poiché non è vero che Dio, se esistente e creatore, sarebbe obbligato a creare anime immortali. Nell’altro verso poi, dall’esistenza dell’anima immortale alla necessaria esistenza di Dio, si può forse dire che il legame è ancora più stretto (perché un post-mortem metafisico-eterno privo di causa prima personale, pare veramente difficile), ma non dipende tanto dall’immortalità dell’anima in quanto tale, poiché tale caratteristica è un caso, se si vuole eminente, ma non tanto diverso da quello di qualsiasi altra cosa esistente, che non sia “atto infinito”: tali enti non hanno in sé la ragione della propria esistenza (siano spirituali o meno).
Il discorso di Gauss è diverso: basandosi sul dato della “gioia della mente” (= fatto della conoscenza intellettuale) e della “gioia del cuore” (= fatto della presenza di fatto dei comportamentei etici, ossia implicanti responsabilità e libertà), afferma che non avrebbe senso che tali gioie non implicassero la spiritualità e dunque l’immortalità dell’anima e che dunque sarebbe un assurdo concedere tali gioie e negare l’immortalità da parte di Dio.
Ricordiamo anche Kurt Godel, uno dei logici matematici più importanti nella storia, stostenitore dell’esistenza di Dio a tal punto da fornirne una prova, Newton, Pascal, … (e chi più ne ha più ne metta).
Infatti Godel è noto per aver provato che esistono delle verità matematiche(affermazioni vere) che non sono dimostrabili (ossia derivabili da un insieme di assiomi nel modo usuale in matematica). Se ciò succede in matematica figuriamoci al di fuori di essa.
Sì, appunto, si tratta di affermazioni vere. Ciò che i teoremi di Goedel sconfiggono è l’ideale panlogistico di Hegel e quello logicista di Frege e non il fondazionalismo extra-logico di Aristotele. Non bisogna cioè commettere l’errore di fare coincidere il vero conoscibile con il “dimostrabile” in senso deduttivo.
Inoltre la dimostrazione dell’esistenza di Dio è questione “a posteriori” e non “a priori”.
Ritengo che nessuna scienza sia più vicina a Dio della matematica. Uno studioso che non crede o è particolarmente arido e ottuso (privo di amore) o è in malafede.
Questa la devi spiegare, se credi che sia arido e ottuso chi giunge alla conclusione che le religioni sono un sistema inventato dagli uomini stessi per fugare i propri dubbi esistenziali, allora l’aridità e l’ottusità diventano sinonimi di profondità e conoscenza. Qui c’è qualcosa che non quadra…
Non tanto più che l’ateismo…è molto più comodo essere atei, senza rendere conto a nessuno, non credi?
In ogni caso il cristianesimo non è una religione perché è nata da un fatto storico, non è nata dalla mente degli uomini. Il cristianesimo è gente che segue Cristo..tutto qui.
Rendere conto a sè stessi non è semplice o facile.
Certe volte nella c’è una via semplice e “sbagliata” ed una giusta e “difficile”.
La cosa bella dell’ateismo è scegliere quella giusta comunque perchè vuoi farlo TU, non perchè è scritto da qualche parte o lo vuole un qualche Dio.
Questa invece ce la devi spiegare tu 😉 . Che sia più difficile cantarsela e suonarsela da soli piuttosto che cercare di interpretare una realtà preesistente è opinione opinabile, per non dire risibile (è come dire che vantarsi di aver fatto forca a scuola è più difficile e persino più corretto che cercare di giustificarsi con la famiglia e i professori). Ma sono sicuro che saprai spiegarti adeguatamente, senza ricorrere a petizioni di principio ammantate di saccenza, sullo stile della sig.ra Giuliana. Vero? 🙂
“Che sia più difficile cantarsela e suonarsela da soli piuttosto che cercare di interpretare una realtà preesistente è opinione opinabile, per non dire risibile (è come dire che vantarsi di aver fatto forca a scuola è più difficile e persino più corretto che cercare di giustificarsi con la famiglia e i professori)”
Cosa sarebbe la realtà preesistente? Alludi ad un dio?
Inoltre noto come tu paragoni gli sforzi di una persona di vivere secondo un codice di comportamento che comporta a volte sacrifici e rinunce per agire nel giusto (possiamo ritenerlo positivo?) sia da te paragonato al marinare la scuola (esempio negativo).
Vuoi forse dirmi che solo voi cristiani sapete vivere rettamente?
Io faccio i conti tutte le mattine con una persona, quello che ho di fronte allo specchio. E ti dico che è un giudice severo. E questo mi basta/spinge/sprona a comportarmi al meglio della mia etica personale.
Non so se sono riuscito a spiegarmi…
“E per dire che gli argomenti per dimostrarne filosoficamente l’esistenza sono invalidi, dovresti, credo, scendere sul piano della discussione razionale, non rimanere appollaiata sul ramo della preclusione pregiudiziale rispetto ad ogni affermazione riguardante Dio.”
Non si può dimostrare neanche che esista, diversamente saremmo tutti felici credenti. Credo che resti una grande incognita o tu hai prove certe dell’esistenza che puoi mostrarmi?
Ok, ti rispondo sulla mia parte. Come realtà preesistente io personalmente intendo un dio, c’è chi la chiama legge naturale, ma certamente deriva da una concezione non personalistica del mondo, basata sulla semplice osservazione che esiste una realtà che può fare a meno di noi come individui. Il tuo personale (ma diffuso) concetto di ateismo sembra il puro e semplice rifiuto dell’autorità, che per riflesso condizionato fai coincidere con una persona o una divinità dal carattere dispotico, che viene sostituita dall’ego. Per carità, è una tua scelta personalissima, anche rispettabile, che per la verità è in parte anche mia (si chiama esame di coscienza, e lo faccio tra me e me in base alle mie convinzioni), ma 1) non posso credere che tu sia poi così severo… chiamalo intuizione, chiamalo pregiudizio, ma non ci credo, nulla di personale 😉 , 2) crei una discontinuità insanabile tra soggetto ed oggetto (spero che tu consideri le conseguenze), 3) perché mai marinare la scuola è un esempio negativo? Se serve a risparmiarsi un’interrogazione alla quale sono impreparato, perbacco, è cosa buona e giusta!
Ok, ti ringrazio della risposta.
Lungi da me dire che sono un “santo” o un asceta.
Ritengo però di essere tutto sommato, una brava persona, anche facendo un esame di coscienza. Intendo una persona leale ed onesta, per esempio.
“2) crei una discontinuità insanabile tra soggetto ed oggetto (spero che tu consideri le conseguenze)” é la pausa pranzo, abbi pietà :), ho ancora i panini in corpo che mi offuscano la mente. Cosa intendi?
“3) perché mai marinare la scuola è un esempio negativo? Se serve a risparmiarsi un’interrogazione alla quale sono impreparato, perbacco, è cosa buona e giusta!”
Dai che lo sai, si chiama affrontare le responsabilità. Forse era meglio studiare?
Anzitutto ti ringrazio per la discussione pacata, faccio ammenda, a volte non mi riesce, ma è sempre bello provarci.
Sulla discontinuità. Non è un’accusa, è semplicemente un’annotazione. Intendo dire che o bene e male oggettivi esistono, oppure no. Io personalmente credo che esistano, ma è una mia opinione. Con ciò intendo che io ho scelto, ovviamente in base alle mie esperienze personali, di aderire al cristianesimo perché lo ritengo corretto, è una condizione attiva, non passiva. Quindi anch’io mi sento responsabile in buona parte anche davanti a me stesso. Ma questo perché io mi sento inserito in un contesto che mi richiama a una responsabilità (come hai notato giustamente anche tu), e la responsabilità a cui faccio riferimento viene da un mondo oggettivo, e non soggettivo: quindi io, soggettivamente, agisco nel tentativo di seguire una responsabilità oggettiva. Non è facile, è interessante e coinvolgente, ma non per questo giusto.
Tuttavia, credimi ancora, non si tratta di un’accusa ad personam bensì di una osservazione statistica: vedo tendenzialmente, nell'”ateismo” che ho conosciuto tra i miei coetanei, una tendenza a considerare la fuga dalla responsabilità come un valore. Inoltre, alla faccia dell’individualismo (ognuno fa come gli pare), ho osservato anche che è quasi impossibile non giudicare. Anche chi si ritiene giudice e giuria di sé e solo di sé, difficilmente riesce a non ritenere stupide e sconsiderate, oppure ipocrite, persone che scelgono ad esempio la castità prematrimoniale. Questa è l’impressione che suppongo sia condivisa anche dalle altre persone che ti hanno risposto, e ciò che mi piacerebbe, proprio per evitare di cadere nei pregiudizi, soprattutto se come dichiari ti ritieni una brava persona, è che tu provassi a considerare almeno una parte di noi credenti come impegnati in una grandissima responsabilità, e non sempliciotti esecutori acefali di comandi assimilati senza criterio (che poi, anche in quel caso, non sarebbe certo la cosa più facile da fare: bisognerebbe sempre combattere contro l’istinto)!
“Tuttavia, credimi ancora, non si tratta di un’accusa ad personam bensì di una osservazione statistica: vedo tendenzialmente, nell’”ateismo” che ho conosciuto tra i miei coetanei, una tendenza a considerare la fuga dalla responsabilità come un valore”
Beh,credo dipenda più dall’età. Io ho 40 anni ed una figlia, diciamo che aiuta a rimanere focalizzati sulle responsabilità.
“è che tu provassi a considerare almeno una parte di noi credenti come impegnati in una grandissima responsabilità, e non sempliciotti esecutori acefali di comandi assimilati senza criterio”
Io rispetto le credenze di ognuno, purchè siano ragionevoli (vedi infibulazione).
Vorrei anche che però non si considerasse tutti gli atei come “sesso droga e rock’n’roll” solo perchè non credono in dio.
Scusami, ma la tua obiezione non è molto profonda. Per affermare che una scienza come la metafisica (che ha una tradizione in Occidente risalente a Platone) non vale nulla, bisognerebbe essere esperti del campo, non ti pare? Oppure tu ritieni possibile che chiunque possa comprendere adeguatamente le speculazioni più ardite della fisica teorica (giusto per fare un esempio)?
Dico solo che per quanto siano interessanti queste speculazioni non hanno ancora portato a risultati certi.
Non penso certo di essere un genio (non sono ferratissimo in fisica o filosofia, ahimè), ma non mi risulta che ci siano conferme certe dell’esistenza di un dio.
Se ci sono ed io sono ignorante in tal senso, dammi qualcosa da leggere.
Dipende sempre da che cosa può e deve intendersi, a seconda dei casi, per “risultati certi” e “conferme certe”. Nel caso della metafisica (teologia razionale) la conferma non può consistere nel “toccare con mano” Dio, ma nell’averne dedotto l’esistenza come causa necessaria di ciò che esiste, in quanto ciò che esiste manifesta, attraverso alcune proprie caratteristiche essenziali, l’insufficienza a giustificare la propria stessa esistenza. Ma per provare a penetrare veramente a fondo tutto quanto sta intorno a questa struttura di base delle dimostrazioni dell’esistenza di Dio, bisogna necessariamente conoscere bene la filosofia.
Anche tu siedi “comodamente” sul ramo del rifiuto pregiudiziale (vedi risposta a Giuliana sotto)…
Cos’è il “giusto”, quello che si dovrebbe seguire, se Dio non esiste?
La tua frase è a mio avviso più adatta a una visione cristiana (di più, cattolica) della vita:
“La cosa bella del cristianesimo è scegliere la cosa GIUSTA [che in un contesto non eticamente relativistico ha il suo significato: il bene, ciò che Dio con la sua esistenza garantisce, ciò di cui possiamo anche fare esperienza nello spirito], perché vuoi farlo TU liberamente, non perché Dio ti impone con la forza di farlo.”
I Cristiani, lungi dal seguire dei diktat come marionette non pensanti (così ho interpretato, estremizzandolo il tuo “perché lo vuole un Dio”), sono chiamati a trovare conferme della loro Fede con la ragione (per questo c’è UCCR) ma soprattutto con l’esperienza del rinnovamento della propria vita nel seguire il Bene.
“Cos’è il “giusto”, quello che si dovrebbe seguire, se Dio non esiste?”
Beh, credo che chiunque possa comprendere che “fare del male”(ingannare, offendere, umiliare etc etc) ad altre persone sia sbagliato.
Non mi serve il cattolicesimo/buddismo/islam per capire che se tutti ci comportassimo meglio gli uni con gli altri avremmmo un mondo mogliore, non credi?
“estremizzandolo il tuo “perché lo vuole un Dio”) -> si parla di una volontà esterna alla tua.
Domanda: si può “comportarsi bene” senza che nessuno te lo dica, senza avere ricompense di sorta ed onori?
Risposta: sì, si può.
Ciao!
Grazie per il dialogo educato (difficile da trovare),
Tuttavia rimane un problema, a mio avviso (filosofico, non religioso) su cui ti invito a riflettere profondamente: se Dio non c’è, cosa sono “bene” e male”, “giusto” e “shagliato”?
Come posso dire mi comporto bene? Cosa vuol dire?
Perché rispettare qualcuno anziché no? Perché preferire l’ordine al caos?
Su cosa basi la tua morale?
Ciao e grazie dell’utile confronto. 😉
se Dio non c’è, cosa sono “bene” e male”, “giusto” e “shagliato”?
Giusto e quello che ti fa crescere ed arricchisce la tua vita, sbagliato è “fare del male” a te ed agli altri.
“Come posso dire mi comporto bene? Cosa vuol dire?”
Faccio la mia vita e non inganno nessuno, nè lo tradisco.
Boh, faccio fatica a spiegare quello che in realtà sento 🙂
“Perché rispettare qualcuno anziché no? Perché preferire l’ordine al caos?”
Si devono rispettare tutti, finchè non ti nuociono.
E per il caos… leggendo un bellissimo libro di Morcock (Elric il negromante) spiega il simbolo del caos: un cerchio con tante frecce. Tanti movimenti diversi, in tante direzioni ma inutili, perchè in realtà ti muovi per rimanere sempre fermo (era una definizione che trovai estremamente affascinante). Ecco perchè il caos in realtà non porta da nessuna parte.
Il problema è che, per usare la tua stessa immagine figurata, l’essere senza Dio è proprio un muoversi in tutte le direzioni senza alcun senso (dato che solo il vero bene può indicare un univoco “senso” in cui muoversi)…
Infatti se tutto viene dal caso e tornerà presto (almeno per quanto riguarda la nostra esistenza individuale) nel nulla assoluto, non esiste un solo motivo razionale per prediligere ciò che “senti” tu piuttosto di ciò che “sente” l’assassino o il maniaco sadico, proprio perché qualunque cosa si “senta” o si sia, è il frutto del caso e dunque non c’è ragione del fatto che sia così piuttosto che il suo esatto contrario. Solo se esiste un Creatore Intelligente e Infallibile si può dire: ciò che è stato creato in questo modo è un vero bene, poiché Chi lo ha fatto così non poteva certo “sbagliarsi” nello stabilire questo, piuttosto che il contrario, come bene.
Direi di no: il mio fare aiuta l’umanità e lo sviluppo, quello del maniaco no.
Ci sono 2 grandi strategie in natura per fare proseguire una “razza”: fare tantissimi figli o creare un gruppo sociale.
Io che sono “zoon politikon” scelgo la seconda.
E dato che il caso ha fatto sì che per una fortunatissima coincidenza io sia qui, dovrei buttare questa grandissima occasione a ramengo? No, ne approffitto!
Mi stai dando risposte che implicano già un’attribuzione di valore etico positivo che, però, nell’ipotesi della provenienza di tutto dal caso non trova giustificazione.
Parli infatti ad es. di “sviluppo” come se svilupparsi fosse moralmente meglio del non svilupparsi, ma per quale motivo “ti sembra” meglio una cosa piuttosto che l’altra? Forse perché lo svilupparsi è un bene per tutti gli esseri viventi, piuttosto che il perire? Ma in un universo in cui tutto viene dal nulla e dal caso e in cui tutto, presto o tardi, torna al nulla, che senso ha il vivere o l’avere vissuto, se alla fine nulla sarà comunque? E’ proprio ciò che diceva Gauss: che senso ha vivere con consapevolezza della bellezza di essere intelligenti e liberi, se poi di tutto ciò saremo irrimediabilmente e completamente privati?
Inoltre se tutto torna nel nulla, perché mai dovrei cercare di comportarmi “bene”, ammesso che il bene in sé esista? Cosa mai resterà del dolore o dell gioie che provo o di cui sono la causa rispetto ad altri?
Di quale “grandissima occasione” parli, se tutto ciò che fai per te e per gli altri è già pronto per essere annullato? Che senso ha vivere per morire? Che senso una gioia di cui non avrò più ricordo, che senso sopportare un dolore o forzarmi ad essere buono?
“che senso ha vivere con consapevolezza della bellezza di essere intelligenti e liberi, se poi di tutto ciò saremo irrimediabilmente e completamente privati?”
Ha il senso che potrei non avere avuto questa possibilità semplicemente non essendoci.
Il fatto che invece io ci sia, esista è di per se stesso un motivo.
“Inoltre se tutto torna nel nulla, perché mai dovrei cercare di comportarmi “bene”, ammesso che il bene in sé esista? Cosa mai resterà del dolore o dell gioie che provo o di cui sono la causa rispetto ad altri?”
Direi il fatto di aver fatto, nel mio piccolo e fugace istante lampo di vita, qualcosa di bello.
“Di quale “grandissima occasione” parli, se tutto ciò che fai per te e per gli altri è già pronto per essere annullato? Che senso ha vivere per morire? Che senso una gioia di cui non avrò più ricordo, che senso sopportare un dolore o forzarmi ad essere buono?”
Ripeto, potrei non avere avuto questa occasione. E’ questo il punto.
Esisto, dunque vivo, mi verrebbe da dire.
Il punto è che l’ateismo porta per necessità logica al relativismo etico, per il quale bello, brutto, giusto, sbagliato (parole che stai usando) assumono significati mutevoli a seconda delle mode e dei tempi, dunque non hanno senso assoluto: fosse riuscito Hitler a vincere la guerra e convincere il globo delle sue teorie, queste sarebbero state, relativisticamente parlando, “giuste” e tu oggi non avresti criteri per potertene distaccare, ma penseresti cose diverse da quelle che pensi oggi nella consapevolezza di fare bene.
Spero di essere stato più chiaro,
Ciao.
Ma no. Proprio di questo parlava Gauss: la dilazione di tempo che separa il nostro nulla iniziale dal nostro nulla finale, la rende priva totalmente di senso, proprio a causa di quell’esito, poiché avere fatto qualcosa sapendo già che esso equivarrà a non averlo fatto, è realmente come non averlo fatto.
C’è forse qualcosa nella tua vita che tu fai senza avere almeno la speranza che equivalga a non averla fatta? Mangeresti forse, se il mangiare producesse lo stesso identico risultato del non averlo fatto?
Errore: “che non equivalga a non averla fatta?” Mancava quel primo “non”…
Io cerco di vivere sapendo che ogni giorno che passa non lo riavrò indietro.
Su questo non mi trovo d’accordo con Gauss.
Ogni tramonto è diverso e finirà nel nulla, forse per questo smetti di ammirarlo?
Io no.
Ma scusa, proprio nella stessa misura in cui la vita è bella e più lo è, diviene ancor più assurdo perderla e finire nel nulla assoluto. Che senso ha ritrovarsi, con la sola differenza di un lasso di vita più o meno lungo, nella stessa situazione in cui si trova chi non è mai venuto all’esistenza dal proprio nulla? Che senso ha una vita ridotta ad un illusorio piacere del “carpe diem”, ossia del prendi ciò che c’è di buono, bello e piacevole, pur sapendo che tutto è già morto, annichilito, finito?
Ma soprattutto in una situazione talmente assurda, perché mai dovrei sforzarmi a fare sempre il “bene”, se riesco a cavarmela facendo ciò che mi è invece più comodo? Anzi, se il termine ultimo a cui tutte le nostre vite tendono è il nulla, perché mai dovrebbe essere considerato un male gravissimo assassinare qualcuno? Vivere è già un assassinio di per sé, perché, appunto nell’ipotesi del nulla finale, la vita è letteralmente un vivere per la morte…
“Ma scusa, proprio nella stessa misura in cui la vita è bella e più lo è, diviene ancor più assurdo perderla e finire nel nulla assoluto. Che senso ha ritrovarsi, con la sola differenza di un lasso di vita più o meno lungo, nella stessa situazione in cui si trova chi non è mai venuto all’esistenza dal proprio nulla?”
Di un viaggio il bello non è l’inizio e la fine, ma proprio IL VIAGGIO, il durante.
” Che senso ha una vita ridotta ad un illusorio piacere del “carpe diem”, ossia del prendi ciò che c’è di buono, bello e piacevole, pur sapendo che tutto è già morto, annichilito, finito?” -> ha il senso che hai questa occasione. Altri non ce l’hanno, oppure vivono in maniera sfortunata.
A me basta. La vita non ha un fine, sei tu che glielo dai.
Un fine buono aiuta altre persone come te, i tuoi figli e ti aiuta ad elevarti.
Se potessi salvare una persona senza che nessuno la sapesse lo faresti comunque? Sì, giusto?
” Vivere è già un assassinio di per sé, perché, appunto nell’ipotesi del nulla finale, la vita è letteralmente un vivere per la morte…”
Vero, ma tutto muore, anche le stelle. A quanto pare è un destino comune…
La differenza è che una stella o un cane non son razionalmente consapevoli di morire, né sanno cosa sia il piacere intellettuale, estetico o il bene morale…, mentre noi umani sì ed è per questo che non ha senso essere indifferenti rispetto alla consapevolezza che ciò che facciamo presto equivarrà sotto ogni possibile aspetto al non averla fatta.
Se non cogli questo aspetto è solo perché in realtà non sei capace di immaginare l’impossibile (il nulla assoluto di te stesso), dato che Dio esiste e la tua vita è già eterna, ora…
Non sono d’accordo: piccolissimi mutamenti di persone nel lungo periodo possono fare la differenza.
Se io insegno qualcosa di buono a mia figlia forse le rimarrà e la insegnerà a suo figlio e così via…
Noi siamo finiti, ma dietro di te guarda quanta gente c’è stata: genitori, nonni, etc.
Ognuno nel suo piccolo ha lasciato un piccolo segno nel mondo.
Se fosse come dici tu staremmo ancora nelle capanne a farci la guerra tra tribù.
Il punto è un altro. Dato per ipotesi che tutti finiamo nel nulla assoluto, per quale motivo tu insegni certe cose a tua figlia? Per il suo vantaggio? Ma se poi tutto ciò che lei e chiunque altro avranno costruito finirà anch’esso nel nulla assoluto, a cosa sarà servito a tua figlia l’averlo costruito? Stai solo spostando il discorso in là all’infinito…, ma l’essenza del problema è che se faccio qualcosa, ha senso razionale il farla, se ho almeno la speranza che ciò che ho fatto permanga in qualche modo, altrimenti, sapendo che qualunque sia la scelta il risultato sarà identico e per di più corrisponderà a nessun risultato per tutti, veramente non si capisce per quale motivo dovrei farla quella dannata cosa… Meglio sarebbe spararsi direttamente in testa e farla finita.
“sapendo che qualunque sia la scelta il risultato sarà identico e per di più corrisponderà a nessun risultato per tutti,”
Speravo che si fosse capito: questa è solo una tua considerazione.
Se tutti al mondo ci ammazziamo o ci aiutiamo, la situazione resta uguale?
Non credo.
Vuoi cambiare le cose? Devi farlo a partire dal singolo.
Se per esempio Rosa Parks avesse deciso di rimanere al suo posto le cose sarebbero state le stesse?
Perchè sottovalutare la voglia, la forza di cambiare e migliorare?
Perchè non pensare che si può, si deve fare di meglio?
Quello che speravo che tu capissi è che non ha senso cambiare le cose che stanno qua, perché quelle prima o poi finiscono per tutti, se è vera l’ipotesi del nulla assoluto che ci aspetta tutti. Ammesso e non concesso che noi facciamo cose solo per gli altri e non anche per noi stessi, comunque gli altri vivono esattamente nella nostra stessa condizione di esseri mortali, dunque il fatto che in questa parentesi terrena abbiano vissuto più o meno felici (se si può essere filici veramente sapendo che quello che si fa non ha senso) di noi, alla fine è del tutto indifferente, perché quello che hanno vissuto e che sono diventati non rimane nulla.
“Quello che speravo che tu capissi è che non ha senso cambiare le cose che stanno qua, perché quelle prima o poi finiscono per tutti”
Infatti non lo capisco perchè non ha un senso.
Il fatto che abbia una fine, per tutti, non toglie niente all’esperienza.
Stai facendo di un tuo assunto una legge.->ha una fine, è inutile.
Io dico: ha una fine, quindi mi gusto ogni istante.
Altrimenti tutti gli atei si suiciderebbero, se fosse come dici tu.
Le circostanze in cui si fa una certa esperienza hanno grande importanza per il senso dell’esperienza stessa: se uccido qualcuno nella circostanza in cui questo qualcuno sta tentando di uccidere mio figlio, non ho commesso alcuna azione malvagia, anzi!, ma se io uccido un innocente ho commesso un omicidio. La differenza nel risultato della somma azione + circostanze (diverse nei due casi) non mi pare irrilevante anche se l’azione in sé è identica (uccisione di un altro essere umano).
Se vivo la stessa esperienza nel contesto di una vita dotata di un after-life (di un secondo tempo eterno) il significato delle esperienze che faccio in questa vita terrena è totalmente diverso, anche se in se stesse le esperienze sono le medesime.
Nel primo caso, qualunque cosa io faccia in questa vita, il risultato finale sarà piattamente identico, perché sia io sia chiunque possa essere influenzato in un modo o nell’altro dalle mie azioni terrene finiremo nel nulla assoluto. Nel secondo caso le mie azioni avranno un risultato ben diverso, poiché il loro valore intrinseco supererà questa vita e avrà dunque avuto un senso e un significato per la costruzione di qualcosa che permarrà e la cui qualità eterna dipende dal tipo di azione che ho compiuto in questa vita.
Se non riesci a cogliere l’abissale differenza tra queste due prospettive, non so cos’altro dirti.
“Nel primo caso, qualunque cosa io faccia in questa vita, il risultato finale sarà piattamente identico, perché sia io sia chiunque possa essere influenzato in un modo o nell’altro dalle mie azioni terrene finiremo nel nulla assoluto.”
ho salvato l’unica vita di mio figlio. Se per te è poco…
” Nel secondo caso le mie azioni avranno un risultato ben diverso, poiché il loro valore intrinseco supererà questa vita e avrà dunque avuto un senso e un significato per la costruzione di qualcosa che permarrà e la cui qualità eterna dipende dal tipo di azione che ho compiuto in questa vita.”
Insomma, hai bisogno di una ricompensa per agire bene.
Ti è cosi difficile accettare il fatto che potremmo essere finiti e che va bene così 🙂 ?
Buona serata e grazie della chiaccherata.
Se tu chiami “ricompensa” il fatto che le mie azioni abbiano SEMPRE E PER SEMPRE delle conseguenze corrispondenti al loro essere state buone o cattive (il che si chiama giustizia), mi sembrerebbe il minimo.
Ma il problema di fondo è che se questa possibilità non si dà, in realtà ciò che ti appare come bene e come male è una pura illusione, proprio perché salvando la vita puramente materiale e terrena di tuo figlio non gli hai regalato niente che valga la pena di considerarsi veramente buono; anzi, se tu lo avvessi lasciato assassinare (o tu stesso lo avessi assassinato), gli avresti fatto un favore, nelle circostanze del nulla che aspetta e che gli avrebbe comunque inesorabilmente rubato tutto più presto che tardi… Quando si finisce comunque e tutti nel nulla, la differenza dell’aver vissuto qualcosa che non avrà alcuna rilevanza passato qualche decennio, non è una differnza rilevante e apprezzabile.
Buona serata anche a te
Attacco di fioretto.
Parato.
Tu piuttosto dovresti spiegare perché, come un cane di Pavolov, appena senti nominare Dio, pensi immediatamente e solo alle “religioni”… Di Dio si occupa, eccome!, anche la filosofia. E per dire che gli argomenti per dimostrarne filosoficamente l’esistenza sono invalidi, dovresti, credo, scendere sul piano della discussione razionale, non rimanere appollaiata sul ramo della preclusione pregiudiziale rispetto ad ogni affermazione riguardante Dio.
Bellissimo articolo.