Una storia triste….anzi no
- Ultimissime
- 24 Ago 2013
di Stefano Bruni*
*pediatra
A due anni e due mesi di vita un bimbo dovrebbe ricordare l’immagine di Gesù bambino che l’iconografia tradizionale ci offre: allegro e spensierato, con la sua mamma e il suo papà. E invece guardando il corpo martoriato di Lucia viene da pensare a Gesù crocifisso.
Una flebo infonde farmaci al suo corpicino collegata ad una vena di un piedino. Il resto del corpo è cosparso di petecchie e di ematomi. La cute è pallidissima per effetto della grave anemia che la affligge. Gli occhietti, appena visibili tra i cerotti che le attaccano al viso una mascherina per l’ossigeno, non sono i suoi soliti occhietti vispi e pieni della gioia di vivere: sono spenti, malinconici, impauriti. Già, impauriti. Chiunque entri nella sua cameretta, nel reparto di onco-ematologia dell’Ospedale in cui è ricoverata, Lucia lo guarda con terrore; lo sguardo corre dall’intruso alla mamma che le è accanto, in cerca di protezione; e poi torna all’intruso e si vela di qualche lacrima; e poi ancora alla mamma. Ma le forze sono scarse e Lucia non riesce ad attaccarsi alla mamma.
Quegli intrusi sono lì per curarla; sono medici ed infermieri, vestiti di bianco, di verde, qualcuno persino con dei fiori disegnati sul camice. Sono gentili; dietro le mascherine, che indossano per non trasmetterle malattie che ne aggraverebbero le condizioni, sorridono a Lucia che però è troppo piccola e spaventata per riuscire ad intuirlo solo dai loro occhi. Vallo tu a spiegare ad una bimba di due anni e due mesi che quelle siringhe piantate nelle pieghe dei gomiti e sulle mani e i piedi (come i chiodi che hanno attaccato Gesù alla croce), quei lacci che prima della puntura della carne la stringono, provocando vistosi ematomi (come il flagello con cui è stato frustato Gesù) a causa del bassissimo numero di piastrine che le sono rimaste, quella mascherina (che mi ricorda tanto la corona di spine imposta a Gesù) che le rende difficile persino piangere sono strumenti non di tortura ma di cura? A Lucia hanno appena diagnosticato una leucemia acuta. A due anni e due mesi. Come può una bimba di due anni e due mesi affrontare una prova di questa gravità? Eppure non è la prima volta che Lucia deve affrontare una ospedalizzazione per una malattia importante.
Ricordo quando il papà e la mamma me la portarono la prima volta in ambulatorio. Avevano l’impressione che la bimba respirasse male. Ed avevano ragione. Lucia, quando l’ho visitata, era fortemente dispnoica, cioè aveva difficoltà a respirare; conseguentemente il suo sangue si ossigenava con difficoltà e il saturimetro, uno strumento che serve a misurare lo stato di ossigenazione del sangue, mostrava valori preoccupanti. Quando posso cerco di gestire senza ricoverare i bimbi ammalati. Ma in questo caso ho dovuto inviare immediatamente in Ospedale Lucia. Aveva poco meno di due mesi, allora, e una bronchiolite, una grave infezione causata da un virus particolarmente pericoloso nel lattante, il Virus Respiratorio Sinciziale. Per fortuna Lucia, quella volta, dopo qualche giorno di Ospedale e le cure del caso ha iniziato a migliorare ed è guarita ed ha potuto tornare a casa. L’ho visitata successivamente diverse volte, per episodi infettivi banali e anche semplicemente per valutarne la crescita. Sempre sorridente, mai impaurita dalla visita; quando è stata in grado di farlo, ricordo che, seduta sul lettino, prendeva il martelletto e imitava i miei gesti nel tentativo di evocare i riflessi rotulei, poi si metteva il fonendoscopio intorno al collo come fosse una collana e imitava un’ascoltazione del torace sorridendo. Una bimba normale, dolcissima, con i suoi ricci castani ed i suoi occhi scuri, profondi. Le guanciotte rosse, così lontane dal colorito pallido di questi giorni.
Per qualche mese non ho visto la bimba. La mamma mi ha poi detto che andava tutto bene. Si era anche adattata molto bene all’asilo nido e, a parte qualche raffreddore e un paio di faringiti, tutto sembrava andare nel migliore dei modi. Poi, una settimana fa (ndr: sette giorni prima che io abbia sentito il bisogno di raccontare la sua storia), una febbre che persiste da qualche giorno, una tosse che alla mamma “non piace”, la visita dalla pediatra di famiglia che nota qualche petecchia sulle gambe e sotto le palpebre e consiglia un ricovero per accertamenti. Poche ore e molti prelievi ed esami strumentali dopo il ricovero, mentre Lucia appare sempre più prostrata, la terribile diagnosi: leucemia acuta. Non un segno premonitore, nulla che facesse pensare a questo “tsunami”, devastante per la famiglia di Lucia. La mamma mi chiama al telefono e piangendo mi racconta cos’è successo. La sua piccola Lucia ha la leucemia. Non ho parole: la mia piccola Lucia (i bimbi che seguo in ambulatorio li sento un po’ anche miei, non me ne vogliano i loro genitori) ha la leucemia. Ha solo due anni e due mesi, com’è possibile? Eppure lo so che è possibile: ne ho visti tanti di bimbi piccolini con malattie altrettanto gravi. Ma non riesco a farci l’abitudine. Proprio non ci riesco.
Il primo impulso è di andarla a trovare in Ospedale, abbracciare il papà e la mamma per far loro sentire, per quello che può contare in momenti come questo (ma credo che possa contare qualcosa), che se lo vogliono possiamo fare insieme questo pezzo di strada, dolorosa, in salita ma con una meta che oggi, a differenza di qualche anno fa, è certamente alla portata di Lucia: la guarigione. E così, lasciandomi guidare dal cuore, vado. Lucia è sul suo lettino, con il suo orsetto accanto ed il lenzuolino, la sua copertina di Linus, saldamente stretta in mano. È pallidissima; sulle braccia e sulle gambe vistosi ematomi indicano i tentativi di cannulare le sue piccole vene per prelevare il sangue per gli esami ed infonderle le prime terapie. Sul lettino, dei pennarelli ed un libricino da colorare, tentativo di distrarla e farle passare qualche momento da bambina, a fare qualcosa da bambino, a pensare che la vita è colorata anche nel grigio e nella penombra di quella stanza. Unica altra nota di colore, il rosso luminoso del sensore del saturimetro avvolto intorno ad un ditino del piede. Ci scherziamo sopra con Lucia; che si tocca il piedino, ma non riesce a sorridere.
Le hanno prelevato anche un campione di midollo osseo: la diagnosi è certa, le prospettive quelle di un trattamento lungo e faticoso, di una guarigione possibile, e di anni, lunghi anni di controlli e di ansia per la mamma, il papà, i nonni. Nella mia carriera di medico ho visto tanti bambini, di tutte le età, soffrire. È una cosa cui non ho voluto abituarmi, cui non ci si può abituare. Nei reparti di terapia intensiva neonatale, nelle stanze del Pronto Soccorso, nella medicheria dell’onco-ematologia pediatrica dell’Ospedale in cui ho lavorato (dove ho fatto la mia prima guardia di 12 ore, in un giorno di Pasqua che ricorderò per tutta la vita) o negli ambulatori dove ho visitato bambini con gravi e rare malattie genetiche, ho conosciuto la disperazione di tante mamme e di tanti papà, ho toccato con mano la loro sofferenza insieme a quella dei loro figli. E mi sono domandato tante volte perché Dio permetta questa sofferenza, tanto più in coloro, i bambini, che rappresentano l’innocenza, che sono i più indifesi. Ma ho visto anche tanta luce, tanta speranza, tanta forza e tanta fede.
Ho visto l’angoscia dell’oggi ma anche la speranza nel domani. Ho visto una mamma (una come tante) gioire insieme ad un medico per un emocromo con qualche migliaio di piastrine in più e un papà (uno come tanti) fermarsi e dedicare finalmente qualche ora in più al suo bambino rimproverandosi per non averlo fatto prima. Mi è capitato di piangere insieme a chi piangeva e di sorridere con chi aveva motivo di speranza. Ho sentito tante persone gridare, come Gesù sulla croce (non vi sembri blasfemo questo paragone: Gesù non era forse un uomo come noi, anche se Dio? e noi non siamo forse fatti ad immagine e somiglianza di Dio stesso?) “Dio mio, Dio mio: perché mi hai abbandonato?”. Ma ho visto nei gesti concreti di tante persone la realizzazione di quell’affidamento a Dio sintetizzato nelle parole “sia fatta la tua volontà”. Ho sentito genitori urlare silenziosamente “basta!”, di fronte alle sofferenze dei loro bambini. Ma un attimo dopo li ho visti ricominciare a lottare insieme ai medici accanto ai figli, circondati dall’amore della famiglia. Amore che può fare tantissimo, perché quando si è soli a lottare si può pensare di non farcela, ma insieme è tutta un’altra cosa. Con l’aiuto e l’amore degli altri questa paura svanisce e le persone trovano un vigore ed un coraggio che non sapevano di avere, una speranza nuova. Alla faccia di chi vorrebbe chiudere la pratica con una molto più economica e asettica “eutanasia”.
Lucia è ancora seduta sul suo lettino. È appoggiata ai due cuscini che la sostengono, debole com’è. Penso che non dovrebbe esserle capitato ciò che le è capitato: è così piccola… Ma chi sono io per dire se sia giusto o no ciò che le è capitato? Di una cosa sono certo, però: non è Dio che ha voluto questa sofferenza per lei. Dio è il contrario del male. E anche di un’altra cosa ho la certezza assoluta, perché l’ho visto centinaia di volte: Dio si mette accanto a chi soffre, si offre di fare questo pezzo doloroso e difficile di strada insieme. Lo fa “in incognito”, servendosi dei medici, dei propri cari, degli amici, anche di estranei che ci accorgiamo ad un certo punto di avere accanto. Ma lo fa anche in prima persona, direttamente e intimamente nel cuore di chi lo accoglie, cui grida (mi sembra di sentire la sua voce): “Vedi, io ero sulla croce prima di te, conosco le tue sofferenze; ma ora sono qui, davanti a questo sepolcro vuoto, perché ho vinto la morte. Dammi la tua mano: portiamo insieme la tua croce.”
La mamma di Lucia, quando la saluto, ha gli occhi lucidi ma non ha più lacrime. Le ha già piante tutte. Trova la forza per abbozzare un sorriso. Ma non sembra un sorriso di circostanza: entrambi sappiamo che non c’è motivo, in questa situazione, di aspettarci un sorriso di circostanza, né da lei né da me. È dunque un sorriso sincero, una richiesta di vicinanza, un dialogo aperto. Lucia mi segue con lo sguardo mentre esco dalla stanza. Non dice nulla. Non sorride, come invece faceva quando la visitavo nel mio ambulatorio. Ma nel suo sguardo, almeno in questo momento non c’è più la paura che vi ho letto all’inizio della mia visita. Nell’atrio incontro il papà e la nonna di Lucia che sono rimasti fuori per permettermi di stare qualche minuto nella stanzetta insieme a Lucia: mi rendo conto che ho portato loro via dei minuti preziosi che avrebbero voluto passare insieme alla loro bimba. Chiedo scusa. E loro invece mi ringraziano e mi fanno sentire davvero parte della loro famiglia. Il papà vuole accompagnarmi fin fuori dall’Ospedale. Non ha molte parole da dire. Rispetto al dolore, grandissimo, certamente, in questo momento prevalgono l’incredulità e la paura. Siamo d’accordo che mi aggiorneranno per telefono sulle condizioni di Lucia e che io ogni tanto tornerò a trovarla.
Le mie conoscenze scientifiche mi dicono che la percentuale di sopravvivenza libera da malattia per le patologie del tipo che ha colpito Lucia è piuttosto alta. La mia esperienza umana di medico mi dice che per quanto alta possa essere questa percentuale si tratta comunque di un semplice numero che ha un valore molto relativo per una famiglia al cui bimbo è stata appena posta una diagnosi tanto brutta. Il mio cuore mi urla che mentre i colleghi che hanno in cura Lucia si prodigheranno per trasformare quella probabilità in una certezza io, insieme a tutti coloro che vogliono bene a Lucia possiamo fare qualcosa di tanto piccolo e semplice quanto grande ed importante: possiamo stare vicino a lei, alla sua mamma e al suo papà, camminare al loro fianco, riflettere l’amore e la vicinanza di Gesù a questa famiglia.
È una storia triste questa? Certo, umanamente non la si può definire in altro modo. Ma forse anche no. Perché dove c’è la sofferenza c’è spazio per la solidarietà umana, per la compassione, quella vera, quel patire insieme che significa distribuirsi un po’ il peso della sofferenza, fisica, psicologica, morale. Ma soprattutto nella sofferenza c’è Dio, che non la vorrebbe certamente per noi , suoi figli, come nessun papà e nessuna mamma vuole la sofferenza per i propri figli, ma che si serve anche della solidarietà umana per accendere la luce della speranza. Il papà di Lucia mi saluta. Ci stringiamo la mano. È una stretta forte, sincera. Come il sorriso che mi fa.
20 commenti a Una storia triste….anzi no
Grazie di questa testimonianza, Stefano.
In Olanda parlerebbero di protocollo di Groninga.
Malattie, sofferenza, disperazione, quale altra prova volete che Dio non esiste?
Speriamo solo nella ricerca medica..Dio in questi casi è sempre il grande “assente”. Lodevole il tentativo del dott. di giustificare Dio, quando Dio è totalmente ingiustificabile.
Eppure quale genitore umano (che è pur finito e limitato) vorrebbe la sofferenza dei suoi figli? Quale genitore umano avendone la possibilità non guarirebbe suo figlio gravemente ammalato?
“Ma soprattutto nella sofferenza c’è Dio, che non la vorrebbe certamente per noi , suoi figli, come nessun papà e nessuna mamma vuole la sofferenza per i propri figli, ma che si serve anche della solidarietà umana per accendere la luce della speranza.”
Tipica risposta di chi non sa “che pesci pigliare”. Sono proprio queste risposte che mi hanno fatto allontanare dala fede diversi anni fa.
Saluti
Caro Michele, il problema dell’esistenza del male e di quella di Dio è una tematica affascinante e dibattuta da secoli.
Essa ha un impatto violentissimo soltanto per tutte le religioni al di fuori del cristianesimo (compreso l’ateismo), solo in esso c’è una risposta al male che non è una teoria ma è Cristo stesso. Lui stesso è stato messo in croce da Suo padre, ma attraverso questo dolore e sofferenza gratuita ha compiuto qualcosa di ancora più grande: la vittoria sulla morte.
La sofferenza dunque non è più scandalo per me, mentre lo era quando non credevo in Dio. Da quando sono cristiano la sofferenza è diventata un mistero, affrontabile e parzialmente comprensibile soltanto se guardo alla crocifissione di Cristo. Senza il Dio cristiano la sofferenza non avrebbe senso e sarebbe insopportabile.
Occorre poi non confondere la sofferenza quando deriva dalle nostre libere scelte personali o dal nostro errato modo di trattare la natura. L’uomo è libero di sbagliare e anche la natura ha la sua libertà, al contrario di quanto credono i creazionisti protestanti.
E’ stata proprio l’impossibilità a spiegare il dolore innocente ad avvinarmi al cristianesimo e come ti dicevo, da allora non è più uno scandalo per me.
Comunque la sofferenza rimane un mistero o sbaglio?
Quale genitore umano avendo la possibilità di guarire suo figlio non lo farebbe?Perchè Dio tace?
Credo che le religioni siano un tentativo umano per cercare una risposta alla morte e alla sofferenza, ma in realtà invece di dare risposte creano ulteriori domande.
Certo, se la religione va intesa come una sorta di consolazione va anche bene, ma finisce la.
Infine volevo porre l’attenzione non solo sull’inutilità della sofferenza, ma anche sul presunto fatto che da un male se ne ricavi un bene.
Anni fa si è suicidato un mio carissimo amico. Una persona veramente “speciale”, che nel giro di 1 anno e mezzo (per diversi motivi che non sto qui a spiegare) si era ridotta ad una larva umana, fino a porre fine in modo tragico alla sua vita.
A distanza di anni il padre è morto e la madre ha praticamente perso le facoltà mentali al seguito della sofferenza. Altro che da un male se ne ricava un bene!!
Di fronte a tutta questa immensità della sofferenza, abbiamo bisogno di qualcuno che ci tiri fuori da questa situazione, non di un Dio che viene a soffrire con noi. Quando io sto male vado all’ospedale perchè il medico mi guarisca, non perchè si ammali insieme a me
Non riesco a credere, non credo nell’esistenza/bontà divine e non ho nessun motivo per ringraziare Dio.
Non abbiamo chiesto di nascere in questo mondo e con queste “regole”, tutto è imposizione senza lo straccio di una spiegazione. Un Dio così lo rifiuto senza se e senza ma
Rimane un mistero, come sono misteriose tante altre cose della vita umana. Il nostro desiderio di amore, di giustizia, di verità, di libertà…trovano risposta in Cristo, ma non vengono ancora spiegate.
Dio tace per chi non vuol ascoltarlo, per molte persone Dio si rivela nella sofferenza e questo a loro basta. Meglio essere malati ma accompagnati da Dio, che sani ma accompagnati dal nulla. O sbaglio?
Io parlo del cristianesimo, non delle altre religioni. Il cristianesimo aiuta a non avere paura della morte, a trattare bene i propri simili, a rispettare il creato e a prendersi cura dei più indifesi. Questo ovviamente non vuol dire che il cristianesimo sia nato per tutto questo, ma tutto questo -compresa la diversa visione della morte- è una semplice conseguenza, un effetto della fede cristiana. Non bisogna confondere la causa con l’effetto.
Il cristianesimo non consola nulla, anzi mette l’uomo ancora più in ricerca e lo rende ancora più inquieto perché gli chiede di stare su una strada che risulta a lui a volte troppo difficile: il cristiano è tutto tranne che consolato, tant’è che Gesù ci ha detto di essere “sale nel mondo”.
Mi spiace molto per il tuo amico, conosco però persone ridotte così che sono più felici di me perché capiscono che la loro sofferenza ha un senso, allo stesso modo dei genitori. Dal male si trae un bene se uno affida la sua sofferenza a Colui che può operare tale cambiamento, nulla è automatico!
Ti faccio una domanda: a cosa ti serve la salute fisica? Preferisci che la tua vita, e quella dei tuoi cari, abbia un senso ultimo oppure che tu sia sano fisicamente? Tu non hai primariamente bisogno del medico e della salute fisica, tu hai bisogno di essere felice sapendo che tutto quanto costruisci in questa vita abbia un senso finale, uno scopo, un Padre che ti possa abbracciare.
Gesù Cristo ha risposto al vero bisogno dell’uomo, non ha guarito tutti i malati che incontrava perché non era il suo scopo quello di guarire la malattia fisica. Ha guarito la speranza dell’uomo, per questo si può essere una larva ed essere più lieti e felici della persona più sana del mondo.
A prima vista può sembrare che Dio ci abbandoni a noi stessi nel dolore, ma non è così. Cristo che è morto in croce ci ha insegnato che la sofferenza serve a vincere il male, intendendo per “male” i peccati degli uomini. È proprio accettando la sofferenza che diventiamo co-redentori del mondo. Ecco credo sia questo in ultima analisi il vero perché del dolore. Gesù ha bevuto il calice della passione e guarda quali frutti ha portato, ha preso su di se i peccati di tutti gli uomini e ci ha aperto le porte del paradiso, che erano chiuse dai tempi del peccato originale. E risorgendo dai morti ha vinto la morte. Ti pare poco?
Egli ci ha insegnato la strada, tocca noi fare la nostra parte, anche noi abbiamo la ns croce da portare, chi non ce l’ha? Ma il bello è che i peccati li ha cancellati non come Dio ma come uomo.
“Se sei veramente il figlio di Dio scendi dalla croce!” Certo, era Dio e poteva benissimo farlo, ma nel Getsemani ha deciso di accettare tutto come uomo, con la sua volontà umana. Un nell’esempio, non c’è che dire.
Etty Hillesum, una ragazza ebrea morta ad Aushwitz ha scritto sul suo diario: “ogni sofferenza se accettata di buon grado si trasforma in grazia”.
È uno schifo la vita se non si ha una prospettiva di eternità, se manca la fede. E la fede è credere che Cristo, il figlio di Dio è veramente risorto. Resurrexit sicut dixit.
Caro Michele, mi dispiace che una frase nel mio testo sia proprio come quelle che ti hanno allontanato dalla fede. Ma francamente non capisco perchè una frase come “Ma soprattutto nella sofferenza c’è Dio, che non la vorrebbe certamente per noi , suoi figli, come nessun papà e nessuna mamma vuole la sofferenza per i propri figli, ma che si serve anche della solidarietà umana per accendere la luce della speranza.” sia una frase di chi “non sa che pesci pigliare”.
Il sottotitolo dell’articolo in realtà è parzialmente fuorviante perchè pone l’attenzione solo sull’aspetto del significato della sofferenza umana che non è esattamente quello principale della testimonianza che ho voluto portare.
Il mio intento era soprattutto sottolineare l’importanza del sentimento/atteggiamento della SOLIDARIETA’/COMPASSIONE (nel senso etimologico di patire insieme), molto umano e non appannaggio della sola religione cattolica (anche se questa lo sublima, certamente, e ne fa un imperativo per tutti i credenti) come mezzo per aiutare chi è nella sofferenza.
Dopodichè, per me che credo il primo ad essere “solidale” e a “compatire” l’uomo che soffre è Dio; ma per chi non crede in Dio la compassione e la solidarietà sono forse qualcosa di dannoso? o di poco importante per chi la riceve? o forse non abbiamo più o meno tutti esperienza di quanto avere accanto qualcuno che ci vuole bene nei momenti in cui stiamo attraversando periodi difficili costituisca un aiuto importantissimo?
Appuntati tutto quello che hai scritto quà e vallo a dire alle cartelle cliniche di molti santi , alle storie dei santi e ai santi . Io purtroppo non sono santo ma posso dirti chiaramente che se tu avessi letto meglio alcune cose della bibbia e avresti provato a capire qualcosa non saresti depresso come ora e che visto che Dio non esiste tu dovresti suicidarti e io (non ipocrita) non dovrei neanche parlarti , ma visto che io ti do senso ti rispondo .
Scusa le virgole di non essere venute ma ho pensato queste cose con la voce del dott Cox . Si lo sono che lo conosci , è uno dei protagonisti di quella serie televisiva che se fatta vedere ad uno di 10 fa crescere atei materialisti fancazzisti .
E ora fammi prendere fiato caro sdaijfnhadso . Se non l’avessi capito, ti ho chiamato in quel modo perchè il tuo nome non ha senso caro ateo .
errore aggiungo 10 anni .
Parli di cose che non sai, o per sentito dire. Non ho mai visto una soggetto, una famiglia ecc esultare perchè un suo membro si ammala.
Anzi vedo smarrimento, dolore, e spesso disperazione. Il male è male, poi se uno si vuole illudere che da un male venga un bene libero di pensarlo.
Pensa te se la bambina dell’articolo venisse guarita…quale gioia negli occhi e nel cuore dei genitori.!!!
Altro che “per questo si può essere una larva ed essere più lieti e felici della persona più sana del mondo.”
Nessuno è felice di diventare una larva umana. Purtroppo subiamo la malattia senza possibilità di scelta
Eppure di persone con malattie gravissime ne conosco tante, non si parla di esultare ma di dare senso alla malattia.
La malattia è insopportabile (dolore fisico a parte) perché non ha senso, ma all’interno del cristianesimo essa acquista senso. E’ un’illusione? Allora è illusione tutto e si torna alla stessa accusa: i cristiani sono stupidi, gli atei sono intelligenti. Se vuoi la chiudiamo qui, a me va bene.
Il male è male, ma se il male ha un senso allora è un male accettabile, ha un senso anch’esso e può essere offerto a Dio.
Non si può scegliere di avere una malattia, ma si può scegliere come viverla. Questo cambia tutto, perché se ha un significato allora si può accettarla e a volte sentirsi anche privilegiati per questo dono (penso alle centinaia di persone che si sono convertite grazie alla malattia, perché si sono svegliate dal torpore di una vita piatta e nichilista).
Hai mai sentito parlare del tizio che pretendeva di possedere la conoscenza del bene e del male?
Hai mai riflettuto sulla risposta di Dio a Giobbe?
Ti posso assicurare che vivere la sofferenza, pur restando qualcosa che si cerca sempre di evitare, può diventare un’esperienza di una dolcezza inappagabile.
Grazie Stefano per questa storia che ci hai raccontato.
Segnalo un errore, mio, nel testo. Dove è scritto “Eppure non è la prima prova che Lucia deve affrontare una ospedalizzazione per una malattia importante.” si legga “Eppure non è la prima volta che Lucia deve affrontare una ospedalizzazione per una malattia importante.”
Se la Redazione potesse correggere… Mi scuso per l’errore e grazie alla Redazione. SB
Stefano, scusa ma dov’è la differenze tra le due frasi?
si deve cambiare “prova” con “volta”.
A mio avviso, la funzione principale dele religioni è portare conforto ai credenti, dare un senso alle sofferenze della vita, e promettere un lieto fine se si è buoni.
La funzione del cristianesimo è rendere uomo l’uomo, dare un volto all’uomo. Se poi ci aiuta ad essere più predisposti alle opere di carità o ad avere sulla morte uno sguardo diverso è una delle tante conseguenze.
Un bell’articolo.
Mi chiedo perchè chi non crede dice Dio non esiste e da comunque la colpa a Lui perchè era assente.
Tanto vale incolpare gli uomini per quello che ci può capitare, no?
Dio c’è e lo vediamo nella compassione, nella solidarietà, e negli amici che vengono a trovarci nella sofferenza quando i più hanno deciso che siamo uno spreco di tempo.