L’uomo, il linguaggio e la sua irriducibilità
- Ultimissime
- 24 Giu 2013
I linguisti dibattono da tempo se i bambini realmente capiscono la grammatica che stanno utilizzando o stanno semplicemente memorizzando e imitando gli adulti. Un nuovo studio della University of Pennsylvania ha fatto luce su questo: i bambini, dai 2 anni in poi capiscono le regole grammaticali di base appena imparano a parlare, ma non lo fanno semplicemente come imitazione degli adulti.
I ricercatori hanno poi applicato la stessa analisi statistica sui dati di uno dei più famosi esperimenti di acquisizione-linguaggio negli animali (Project Nim), rilevando che gli scimpanzé a cui è stato insegnato il linguaggio dei segni nel corso di molti anni, non hanno mai afferrato le regole grammaticali che invece appaiono innate nei bambini di 2 anni. La conclusione tratta è molto semplice e contraria ad ogni scienza riduzionista: l’apprendimento della lingua è una caratteristica unicamente umana.
Filippo Tempia, ordinario di Fisiologia presso l’Università di Torino e direttore di un laboratorio di ricerca presso il Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi ha a sua volta spiegato che «negli animali manca completamente un omologo del linguaggio umano» (Complessità, evoluzione, uomo p. 192). Come già messo in luce dal biologo evoluzionista americano Marc Hauser, esiste un «divario fondamentale e senza precedenti» nell’evoluzione dell’uomo e dell’animale.
Esiste cioè una irriducibilità dell’uomo al suo substrato chimico, biologico e genetico, egli è ontologicamente differente da qualsiasi cosa lo circondi. L’uomo non è un animale semplicemente più evoluto, ma appartiene ad un’altra dimensione che non deriva dal graduale operare della selezione naturale nel corso del tempo (anche perché l’evoluzione non procede in modo graduale e la selezione naturale non è la sua unica protagonista).
Un’altra notizia recente circa il linguaggio riguarda la scoperta di una lingua comune e madre, un idioma arcaico nato probabilmente dalle parti dell’Anatolia o del Caucaso, comune a tutti i popoli dell’Europa e dell’Asia e di cui esistono ancora oggi delle tracce.
La redazione
143 commenti a L’uomo, il linguaggio e la sua irriducibilità
Buon giorno a tutti! ci sono alcune parti di questo articolo che mi sembrano un po’ strane…
“Esiste cioè una irriducibilità dell’uomo al suo substrato chimico, biologico e genetico, egli è ontologicamente differente da qualsiasi cosa lo circondi.” Queste caratteristiche possono essere applicate a qualsiasi organismo animale o vegetale, non solo all’uomo… un cane ad esempio è ‘ontogenicamente’ differente da qualsiasi cosa che lo circondi, no?
“L’uomo non è un animale semplicemente più evoluto, ma appartiene ad un’altra dimensione che non deriva dal graduale operare della selezione naturale nel corso del tempo (anche perché l’evoluzione non procede in modo graduale e la selezione naturale non è la sua unica protagonista).” cosa significa che l’uomo appartiene ad ‘un’altra dimensione’? quale dimensione di preciso? non capisco il senso… e poi, è assodato che l’evoluzione non si sia sviluppata seguendo una linea retta tesa tra le specie inferiori e l’uomo, nulla di strano. inoltre, che altro protagonista vedete nella storia, il cui intervento possa essere provato, oltre alla selezione naturale?
ho fatto un errore nella prima parte: ho scritto ‘ontogeneticamente’ al posto di ‘ontologicamente’; fate finta di nulla.
Caro Francesco, quello di dire che l’uomo è ontologicamente qualcos’altro rispetto al resto de mondo naturale è solo un trucchetto dialettico per fare entrare l’anima dalla finestra…
Caro Giuseppe, quello di dire che l’uomo è riducibile ad uno scimmione poco più evoluto è solo un trucchetto dialettico per sbattere l’anima (la coscienza, il libero arbitrio, l’affidabilità della ragione) fuori dalla porta. Molto masochista e autoconfutatorio, è vero, ma d’altra parte sono due secoli che vi siete fissati di essere dei mangiabanane 😉
Apriti alla scienza Peppe, il positivismo ateo-scientista obbligatorio sotto l’ateismo di stato sovietico è finito!
Mah… scienza, un attimo. Al di là di certe retoriche, dimostrare scientificamente l’esistenza dell’anima mi sembra un’avventura che vivono quel tipo di esaltati che stanno cercando attualmente l’arca di Noè. Sono d’accordo anch’io che esiste l’anima, ma non si tratta forse di un’entità trascendente? o ha una sua consistenza nel mondo presente (quello reale, ateisticamente parlando) e quindi una massa corporea?
Poi ovviamente molte scoperte scientifiche e archeologiche, a cui noto, con piacere, si aggiunge anche quella dell’ultimo link (che non ho ancora visionato, me lo gusto dopo) sono degli scossoni per le casate laiciste, ma in fondo queste possono sempre contare sull’edonismo e sulla diffamazione come possenti alfieri (vedesi i fattoni del fatto strafatto)…..
Guardi, sarei stato d’accordo su tutto quello che ha scritto. Peccato per l’ultimo pezzo!
oh… che riconoscesse l’anima come presente (ma incorperea) mi risulta nuovo. Poi per quanto riguarda il fatto: è evidente che la bomba all’evento l’avevano messa dei cristiani perchè aprile è il mese della Pasqua (come Furio Colombo aveva profetizzato!). Che dire… le auguro di leggere tante belle bufale, visto che la gratificano
L’articolista intende dire che, non solo l’antropologia filosofica, ma sempre di più anche altre scienze umane, stanno dimostrando che vi sono caratteristiche ontologiche dell’uomo in quanto tale (cioè apartenenti alla sua essenza o natura), che sono irriducibili alla materia; e che dunque dimostrano l’appartenenza dell’uomo anche all’ambito ontologico dell’immateriale: le facoltà conoscitive umane mostrano di funzionare in un modo impossibile agli animali, la cui inferiorità ontologica è sempre più chiaramente corrispondente al confine invalicabile che vi è tra spirito e pura materia.
Differenza qualitativa non necessariamente vuol dire differenza ontologica. Se così fosse la scienza non avrebbe piè senso. Perché a questo punto potrei postulare ogni tipo di salto ontologico, visto che in Natura sono presenti una marea di sistemi complessi non riducibili ai costituenti fondamentali.
La differenza qualitativa non si esaurisce nell’irriducibilità ma implica che vi è nell’ente una diversità di scopo fin dalle origini, dalle fondamenta. Il Nobel Eccles spiega infatti che “il mistero umano è incredibilmente svilito dal riduzionismo scientifico, con la sua pretesa di materialismo, riducendo tutto il mondo spirituale in termini di modelli di attività neuronale. Questa convinzione deve essere classificato come una superstizione. Dobbiamo riconoscere che siamo esseri spirituali con le anime esistenti in un mondo spirituale, così come esseri materiali con enti e cervelli esistenti in un mondo materiale”. Oggi la scienza va verso l’olismo, il riduzionismo è una zavorra alle sue spalle, che ha impedito per troppo tempo alla scienza di avanzare coraggiosa verso la scoperta della realtà umana.
Caro Paolo, dove hai trovato l’interessante pezzo di Eccles?
Ciao max, l’avevo visto nei commenti in alto su questo sito…secondo me lo trovi nella pagina in cui ci sono tutte le citazioni degli scienziati.
Per forza, avete una idea ottocentesca di riduzionismo!
Avete chi, Giuseppe? Io, fino a prova contraria, sono un essere umano con un mio cervello. Non vedo nessun altro vicino a me 😉
Il riduzionismo è una posizione filosofica ben precisa, che nasce certamente nell’800 e permane con diverse sfumature ancora oggi. Il concetto di base in ogni caso è identico, cambia la forma semmai.
Guardi, quel riduzionismo a cui fa riferimento lei nella scienza non esiste più…
Non capisco che altro riduzionismo ci possa essere.
http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/9803.pdf
Grazie Giuseppe, credo che tu faccia riferimento al primo articolo (quello tagliato a metà), giusto? Non capisco però come possa contribuire, qui si parla evidentemente di riduzionismo in campo biologico/genetico che è ben altro rispetto a quello fisico, sul quale oltretutto si può anche in parte concordare.
Usiamo la terminologia in modo corretto. “Ontologico” vuol dire “discorso sull’ente”, dunque usato propriamente implica il riferimento a una qualsiasi differenza apprezzabile in un qualunque modo tra enti o parti di essi; sia a livello puramente quantitativo, sia rispetto a differenze profonde tra ambiti dell’essere come quella tra materiale e spirituale.
Non bisogna poi assolutamente confondere la “complessità irriducibile” con lo spirituale, poiché si dà tranquillamente, ad esempio nel campo degli studi sulla percezione, una complessità irriducibile dei pattern percettivi di basso livello che vale anche per gli animali, cioè a livello puramente materiale, pur non essendo questi pattern percettivi riducibili, come pretendevano i filosofi empiristi come Locke e poi Hume, a semplice somma di “atomi sensibili” tra loro, una volta scomposti, tutti uguali.
Il Suo commento sembra essere in sintonia con quanto da me scritto sotto, in maniera volgare naturalmente. Il problema allora è: perché il linguaggio dovrebbe rinviare allo spirituale?
ps. Non credo che il pensiero di Locke e Hume possa essere definito riduzionista in qualche ambito. Le idee astratte, per esempio, implicano la spontaneità dell’intelletto che si aggiunge alla semplice “somma” delle idee semplici. La filosofia di Hume poi è eminentemente antiriduzionista.
[Smettila, o pavoncello, di darmi del lei]
1) In sotto trovi un mio post rivolto a Francesco, in cui abbozzo proprio ciò che costituisce risposta a questa tua domanda.
[Smettila, o pavoncello, di darmi del lei]
2) Come tu ben sai Hume è il campione di un certo tipo di riduzionismo, poiché riduce gli enti all’apparire delle loro manifestazioni fenomeniche, negando l’esistenza della “sostanza”, come Locke (per il quale l’idea di sostanza è solo un’idea complessa, cioè composta da idee di sensazioni semplici; sostanza che dunque non esiste nella realtà). Tanto è vero che Hume giunge a mettere scetticamente in dubbio l’esistenza continuata degli oggetti esterni, poiché ad es. un tavolo, prima percepito, una volta usciti dalla stanza in cui si trova, non si è più autorizzati a dire che esista ancora (dato che non abbiamo più la “impressione” diretta ed empirica della sua presenza). Hume estende questo poi all’io umano, che intende come un fascio di impressioni e sensazioni prive di alcun sostrato che le sostenga (“sostanza”, appunto).
2) Ma questo non è riduzionismo! E’ proprio il contrario del riduzionismo! Una forma di riduzionismo è per l’appunto ridurre la realtà esterna al fenomeno. L’empirismo mostra l’impossibilità di una tale riduzione. Nemmeno nel caso di Berkeley è lecito parlare di riduzionismo, piuttosto di eliminativismo (relativamente alla realtà materiale).
ps. Perché si diverte così tanto a storpiare il mio nome? Non sarebbe meglio studiare la storia della filosofia? 😀
Eh, eh, eh…, ho parlato infatti di “un certo tipo di riduzionismo” (cioè ne ho parlato in senso lato), perché per restare veramente fedeli al rasoio di Ockham, bisogna rispettare quel “praeter necessitatem” da entrambi i suoi lati semantici. Normalmente infatti viene inteso esclusivamente come accusa verso chi ipoteticamente “ci metterebbe troppo”; mentre deve intendersi anche come monito verso chi, essendocene effettiva necessità, “ce ne mette di meno”, come fa lo stesso Hume.
In altre parole la realtà non è sufficientemente spiegata senza ipotizzare l’esistenza della sostanza, che risulta dunque un elemento da includersi in ciò che è necessario dirsi esistente, per dare adeguata spiegazione della realtà.
P.S. Tu piantala una buona volta di prendere per i fondelli dandomi del lei e vedrai sparire la quadra con il vocativo 😉
purtroppo non possiedo grandi conoscenze umanistiche. Possiedo però un certo bagaglio scientifico: recentemente le indagini sul cervello degli animali (che sovente risultano più avanzate rispetto a quelle sull’uomo a causa della ricerca sviluppata di più sui primi) stanno evidenziando notevoli analogie nella struttura e nel funzionamento, sia macroscopico che microscopico, di alcuni processi ‘mentali’ che hanno portato a ritenere che, nonostante ci sia una differenza sostanziale tra uomo e animali, molti sentimenti e sensazioni vengano vissute in modo simile, come ad esempio l’esperienza del dolore. Nonostante le conoscenze umanistiche aumentino e trovino nuove differenze ce ne sono altre che evidenziano le analogie: tutto ciò non mi consente di vedere così chiaramente la differenza tra spirito e pura materia.
Ma perché i processi mentali del dolore dovrebbero annullare la differenza tra uomo e animale? Innanzitutto basterebbe soltanto accorgersi che l’uomo sa di essere simile all’animale ma l’animale non sa nemmeno valutare le differenze, già questo ti dovrebbe incuriosire. Noto comunque con moltissimo dispiacere come ancora permanga nella mente della maggioranza delle persone l’ideologia riduzionista, sarà colpa della cattiva divulgazione scientifica di 70 anni a questa parte?
Non la annullano infatti: ho scritto che la differenza tra l’uomo e gli animali è sostanziale, ovvero molto grande. Lo studio del dolore, ma anche molti altri studi, riconoscono che negli animali superiori ci sono reazioni, strutture encefaliche/spinali e meccanismi fisiologici molto spesso comparabili a quelli dell’uomo, se non, apparentemente, uguali (faccio notare, per inciso, che il confronto ‘uomo’ – ‘animali’ è improprio: questo perchè ogni specie è diversa dall’altra, per esempio un cane e una formica sono animali, ma sono anche molto diversi; pertanto il confronto sarebbe meglio farlo tra due specie): dagli studi pertanto sembrerebbe proprio che anche gli animali siano capaci di pensieri, sentimenti e altre caratteristiche fino a poco tempo fa attribuite solo agli esseri umani (anche se, ripeto, le differenze sono notevolissime). Dici che l’animale (non specifichi quale) non sa valutare la differenza che c’è tra l’uomo ed un’altro animale? non mi risulta: il mio cane sa riconoscere la differenza tra un uomo, un cane e un gatto (per esempio: è sempre molto contento quando vede un gatto perchè da piccolo ha passato moltissimo tempo giocando con questi animali e ora che da un po’ non si fanno vivi mostra grande felicità quando ne incontra uno, cosa che non succede con altri animali); un altro esempio può essere dato dal fatto che il cane è un animale definito ‘domestico’, ovvero che è stato oggetto attraverso i secoli di un processo di ‘addomesticamento’ ovvero di avvicinamento e di coabitazione con l’uomo, così profondo da fare in modo che ora riconosca i suoi proprietari come componenti del suo branco, pensi sia poco? se vuoi altri spunti prova a leggere il libro ‘L’anello di re Salomone’, troverai altri esempi. Non so bene a cosa ti riferisci quando parli di ‘cattiva divulgazione scientifica’: sono uno studente universitario (studio materie scientifiche, non voglio qui specificare altro), studio su libri di testo italiani e stranieri (non su giornali da tabaccheria), mi avvalgo di banche-dati scientifiche internazionali presso la mia facoltà; non credo di essere stato oggetto di ‘cattiva divulgazione’ o per lo meno di averla subita passivamente.
Avevo forse travisato il tuo pensiero, chiedo scusa. In ogni caso intendevo dire che l’animale certamente sa riconoscere quel che è differente da lui ma non sa concepire cosa significhi essere un cane a differenza di un gatto o viceversa. Pensieri e sentimenti fanno parte del bagaglio comune ma l’uomo sa di pensare, il cane no. Voglio dire che esiste una differenza che non è riducibile ad uno sviluppo maggiore dal punto di vista evolutivo (non è che l’uomo è autocosciente un po’ più del cane!) ma è proprio su un altro piano. Purtroppo di cattiva divulgazione ne parlano anche i testi scientifici, i quali pensano invece di stare facendo buona divulgazione… 🙂
credo di capire cosa intendi dire ma ti invito a riflettere su una cosa: gli animali ci stanno sorprendendo ogni giorno in più che li studiamo. Mi ricordo di aver visto un documentario in cui una scimmia veniva spinta a trovare soluzioni ad un ‘problema’ con lo scopo avere del cibo in cambio: essa sembra abbia avuto una (modestissima) capacità di ‘astrazione’ ovvero abbia ‘riflettuto’ su come fare per superare l’ostacolo e messo in sequenza una serie di azioni per raggiungere il cibo. Pertanto non ritengo impossibile che qualche animale superiore possa ‘immedesimarsi’ in un altro animale. C’è una interessantissima ricerca sui neuroni specchio, scoperti proprio in Italia (credo proprio nelle scimmie) che sembrano essere in grado di generale l’empatia: su internet puoi trovare molto sull’argomento.
Conosco gli studi di Rizzolatti, che ho anche conosciuto, e sono davvero interessanti. Ma nessuno studio e nessun progresso della scienza potrà mai colmare le lacune e per un motivo molto semplice: una scimmia non si specchierà, non si immedesimerà in un altro animale per lo scopo stesso di farlo e non per un ritorno “egoistico” (cioè l’avere del cibo, rispondere ad un’educazione per input e così via). La scimmia non capirà mai cosa vuol dire compiere un’astrazione, semmai riesca a realizzarla, e questa autoconsapevolezza è una lacuna non colmabile con il tempo perché non deriva da un “maggior grado” di evoluzione dell’uomo. Un animale potrà anche essere empatico, ma non saprà mai di esserlo. E’ una questione di qualità e non di quantità.
quello che dici può essere giusto. D’altro canto le differenze tra noi e le varie specie animali sono appunto immense. Rimango comunque in attesa di altre ricerche in questo campo e non mi stupirei se venisse trovato un giorno un animale o venisse rivelata una caratteristica di animali che abbiamo già studiato, che evidenzi che anche loro possiedono una infinitesima parte di consapevolezza del se.
Quello su cui non concordiamo è che io non penso che siano immense perché non penso che l’uomo abbia un grado di evoluzione maggiore. La sua differenza è di qualità, non di quantità. L’animale non è strutturato per l’etica, per la morale, per l’autocoscienza perché la sua esistenza è su un altro piano.
beh, se ritieni che l’uomo sia su un ‘altro piano’ vorrei sapere su che piano metti un cane. L’essere umano e ogni specie animale andrebbe messa ognuna su un piano diverso: ma per stabilire il ‘piano’ devi dare almeno dei punti di riferimento. Un sistema di punti di riferimento è appunto la teoria dell’evoluzione, che cerca di dare un ordine alle cose e suddivide gli animali in ‘piani’ (direi che in questo caso ‘piano’ è sinonimo di ‘specie’ no?)
Uomini e animali, già questa è una differenza qualitativa importante perché denota due piani differenti. Il primo non può ridursi al secondo e il secondo non può aspirare ad essere nel primo “insieme”.
pur confrontando spesso queste due categorie (uomo-animali) anche io per motivi pratici, mi sono reso conto che è una classificazione sommaria e parziale: questo perchè la categoria ‘animali’ non esiste in quanto tale! esistono diverse specie animali, che hanno in comune alcune caratteristiche quali l’assenza di linguaggio, facoltà di pensiero e ragionamento molto diverse dalle nostre (a volte ridotte, a volte non confrontabili). In tutta questa varietà di soggetti però è possibile che esista qualche essere in grado di avere coscienza di essere cosciente? almeno per qualche breve momento della propria esistenza? per me potrebbe anche esserci, perchè no? Magari un giorno verrà scoperto, o magari no. Rimango aperto a qualsiasi cosa. Peraltro, è una cosa così importante? a me non me ne fregherebbe nulla. Dici che il primo non può ridursi al secondo: secondo me questa è una informazione che non ci è dato ancora sapere. Persone con lesioni all’encefalo potrebbero avere danni che minano la capacità di coscienza (per come la intendi tu): non vedo questa suddivisione in categorie così rigida e stabile. D’altro canto, perchè un animale non potrebbe aspirare ad essere nel primo insieme? attualmente è una cosa che non si può dire. E poi, perchè parli di ‘aspirare’? magari ad una formica non frega nulla di entrare a far parte del primo gruppo: i nostri desideri possono essere estremamente diversi rispetto a quelli degli animali (ammesso che ne abbiano).
Purtroppo pensavo di essere d’accordo ma questo commento riapre il problema. Per quanto sommaria possa essere la divisione isola i due stati in mondi diversi, non c’è bisogno di scoperte future per capire come si comportano gli animali e osservare il comportamento dell’uomo.
C’è una distanza non giustificabile da un più alto grado di evoluzione e sopratutto non capisco come si possa pensare che la vita di un animale possa essere più dignitosa di quella di uomo (davvero una formica rimarrebbe formica se potesse ipoteticamente scegliere), o relegare al mondo animale esseri umani che hanno perso alcune facoltà della coscienza, come se poi fosse solo quest’ultima a identificare scientificamente e filosoficamente un essere umano/persona.
Io non capisco perchè la distanza che c’è tra l’uomo e una scimmia non sia giustificabile dall’evoluzione: perchè è troppo grande? non è un’obiezione valida! Più si studiano gli animali più ci sono evidenze che pure essi riescono ad effettuare ragionamenti o ad immaginare in modo che non si riteneva potessero fare. Questo getta luce sul fatto che possano esserci collegamenti tra gli animali e l’uomo. Faccio notare che fino a qualche centinaio di anni fa le persone non avrebbero mai immaginato che saremmo riusciti ad ottenere così grandi traguardi in campi umani, tecnici, scientifici e co. Si vede che qualche cosa è andato per il verso giusto nell’evoluzione umana, e ha dato la spinta per arrivare dove siamo ora. Prima di tutto questo però, gli uomini vivevano in modo molto simile agli animali: le conquiste sono arrivate nel corso del tempo, mica tutto d’un tratto!!! Tralascio il commento sulle implicazioni etiche dell’esempio che ho scritto precedentemente (altrimenti si parte per la tangente): ho solo cercato di spiegare che quello che tu (e molti alti qui) chiami ‘piano’ ha dei confini che non sono netti, o meglio, un piano può sfumare in un altro piano. Non travisare i miei esempi in chiave etica: sono appunto degli esempi riferiti al contesto in cui stiamo parlando.
Non capisco innanzitutto perché consideri l’evoluzione come un processo graduale, in cui con la giusta necessità di tempo (c’è stata la giusta necessità di tempo? dubito fortissimamente!) può emergere qualsiasi cosa. Questa è una concezione dell’evoluzione ormai abbandonata dalla maggior parte dei biologi, soprattutto dopo Goulde. Esiste certamente una continuità nell’emergere dell’uomo (e chi la mette in dubbio?), ma sopratutto una novità, cioè evento nuovo non riconducibile a ciò che esisteva in precedenza.
La grandezza della scatola cranica giustifica l’incredibile capacità umana della mente umana? Le nostre capacità e facoltà intellettive non sono in alcun modo comparabile con nessuna attività comportamentale degli altri esseri viventi, neppure quelli a noi più vicini come le scimmie antropomorfe. La cosa che emerge di più tra l’uomo e l’animale è la discontinuità e non la continuità. Per questo si parla di salto ontologico.
E’ davvero esplicativa l’affermazione di Dobzhansky: “l’evoluzione biologica trascende se stessa dando origine all’uomo”.
http://online.wsj.com/article/SB10001424127887323869604578370574285382756.html
Questo articolo direi che esemplifica molti dei concetti esposti da Francesco.
Lo studio è interessante, ma cosa può offrire al tema? L’animale se è per questo è certamente più intelligente e furbo di un neonato, già solo il fatto che deve guadagnarsi da vivere ogni giorno. Ma è l’intelligenza a rendere uomini? Ed è la sua mancanza, o temporanea mancanza, a farci ridurre allo stato di uno scimpanzé?
Anch’io credo che ci sia una certa differenza tra l’uomo e le altre specie viventi, e che tale differenza non sia data né da caratteri anatomici (il cervello, gli arti prensili) né da quello che possiamo o meno fare (usare e costruire utensili, linguaggio, scrivere poesie o andare sulla Luna), infatti ogni volta che si poneva uno di questi elementi come demarcazione tra l’uomo e l’animale, esso veniva smentito da nuove ricerche e si doveva cercare qualcosa d’altro per poter dire “qui finisce l’animale e inizia l’uomo”.
L’articolo da me postato è solo per mostrare come in effetti le ricerche degli ultimi anni stanno mettendo luce su aspetti sino ad ora inattesi ed ignorati del comportamento e della cognizione di certi animali.
Certo, capisco. Probabilmente con il tempo si scopriranno tantissime altre cose, fortunatamente. Ma questo non colmerà mai la lacuna ontologica tra uomo e animale, mentre è colmabile la stessa lacuna tra formica e cane.
strutture encefaliche/spinali apparentemente uguali
questa te la sei bevuta alla grandissima. Se c’è proprio qualcosa che cambia nettamente nel corso dell’evoluzione, è lo smisurato aumento delle facoltà corticali rispetto a quelle spinali!
Vuoi che ti faccia un elenco? Guarda che so di che cosa sto parlando. L’amigdala, ad esempio, considerata da alcuni il centro dei sentimenti (in particolare della paura) è una struttura molto ben conservata e costante nei mammiferi. I neuroni specchio, che ho già citato da qualche parte, sono stati riconosciuti negli animali e sono presenti anche nell’uomo: stanno alla base dell’empatia. ecc ecc
Li conosco. Ma tu hai parlato di strutture spinali. Mi vorresti dire che l’arco riflesso umano ha la stessa importanza di quello di un anfibio o di un rettile?
Lessi qualche tempo fa sulla rivista “Le Scienze” di come le nostre capacità fonatorie sarebbero dovute ad una certa mutazione genetica, non mi ricordo se con effetto sulle corde vocali o sulle capacità della bocca di muoversi per articolare suoni; bisognerebbe essere sicuri se non sia stato solo questo a far sì che unicamente noi Umani si potesse “esternare” le potenzialità che in realtà hanno anche altri animali.
Ritengo sia alquanto difficile che il linguaggio (data la sua immensa complessità) sia prodotto da una semplice mutazione genetica, sarebbe bello accedere allo studio di cui parli. Ritegno anche abbastanza paradossale la presenza di corde vocali a prescindere dalla capacità di parlare, a cosa sarebbero servite? Per “esternare” occorre essere predisposti a farlo, questo esige una auto-organizzazione interna semmai e non può essere un prodotto dell’orologiaio cieco.
Molti uccelli hanno capacità fonatorie ben più sviluppate delle nostre, eppure non dispongono di un linguaggio paragonabile. Questo perché l’abilità in sé non basta, il linguaggio umano esiste perché esiste un insieme di abilità semplici che, interagendo, formano un’abilità risultante che non può essere ridotta alla somma di quelle pre-esistenti, funziona un po’ come un cortocircuito, una scintilla, una scarica di potenziale…
La differenza fonetica tra l’uomo e le scimmie consiste effettivamente in un’impostazione totalmente diversa della trachea, non della bocca (così mi è stato insegnato all’università, almeno), attribuita ad una serie significativa di mutazioni.
Volare è una caratteristica dei volatili. Solo i volatili possono volare, l’uomo no, a meno che non si chiami Superman. Questo significa che i volatili sono ontologicamente superiori all’uomo?
Mi stupisce questo tuo commento…non si parla di caratteristiche proprie, altrimenti anche le piante avrebbero caratteristiche uniche rispetto agli altri. Anche tra gli uomini ci sono caratteristiche specifiche, gli esempi sarebbero infiniti. La tematica è che mentre i volatili sono riducibili ai loro antecedenti biologici, l’uomo no. E’ la stessa differenza che c’è tra le note di una musica e l’effetto che esse danno a chi le ascolta…sono piani differenti.
La discussione potrebbe essere interessante, mi aspetto però che il livello dei commenti cresca.
Anche negli animali esistono comportamenti non deducibili dalla loro biologia.
Questa è una risposta? Potresti fare degli esempi, approfondire, spiegare…oppure è il solito reazionismo? Dimmelo così smetto subito e non perdo tempo.
Vuoi dire che il linguaggio non è riducibile alla biologica, mentre lo è la coscienza, che è ciò che gli umani condividono con altri esseri viventi?
La coscienza sarebbe a disposizione degli altri esseri viventi? Un cane sa di essere un cane (auto-coscienza) e sa cosa vuol dire essere cani (coscienza), come un albero sa di essere un albero?
Il sapere non coincide con la coscienza. E benché sia in certa misura arbitrario estendere agli animali atteggiamenti proposizionali tipicamente umani , questo non vuol dire che sia del tutto arbitrario, il linguaggio degli atteggiamenti proposizionali risulta, a certe condizioni, predittivo anche quando riferito a essere animali non umani.
Il sapere di essere coincide certamente con la coscienza, l’animale sa ma non sa di essere. D’altra parte mi sembra che uno dei più grandi etologi, Lorenz, capì e sostenne a lungo la differenza qualitativa e ontologia dell’uomo.
Il sapere implica (non coincide con) la coscienza, anche se non sempre, o meglio non tutti i significati di sapere implicano la coscienza.
Bene, anche se fosse…dunque?
Come gia detto in altre occasioni su questo sito, contrariamente a quello che certi credono, molti sono gli animali dotati di autocoscienza (basti vedere coloro che si riconoscono nello specchio…), certi di questi capaci d’immaginare delle strategie -certo non ad un livello umano- ma comunque sempre delle strategie che, in certi casi, possiamo paragonarle alla cognizione o astrazione mentale di un bambino di 5-6 anni !
Riconoscersi nello specchio significa essere autocoscienti? Oppure l’autocoscienza equivale alla consapevolezza di sapersi riconoscere? Immaginare strategie è autocoscienza o capacità di astrazione, dettata dall’unica legge dell’animale: sopravvivere? Saper astrarre come un bambino di 6 anni (ammesso che sia vero, per ora sono tue affermazioni che prendo volentieri per vere) basta a ridurre il secondo ad uno stato animalesco?
Oppure in ogni caso c’è sempre un’irriducibilità di fondo nell’essere umano? Questo è il punto.
Assolutamente sì; la nostra coscienza di essere,
poi, è determinata dalla presenza di noi dell’Essere
Assoluto: la coscienza di essere è dunque la
coscienza dell’Essere.
io per coscienza intendo la capacità di collocare il proprio corpo nello spazio e nel tempo e capire cosa è ‘mio’ da cosa non lo è, definire i miei limiti: non so se un cane sappia di esistere (e sinceramente nemmeno me ne frega poi molto, inoltre non sono nemmeno sicuro che pensi) ma tutte le altre caratteristiche che ho citato le possiede.
Tu intendi un certo tipo di coscienza che banalmente si può anche chiamare esperienza soggettiva di eventi o di sensazioni. Ma per coscienza si intende saper valutare la qualità dell’esistenza, la differenza tra bene e male, dare un giudizio sulle sensazioni che si ricevono e avere consapevolezza del proprio stato di coscienza. Questo intendo con coscienza.
non so se sia la stessa cosa: io non sto parlando di ‘esperienza’ ma di un qualche cosa che già si possiede alla nascita (certamente questa coscienza verrà poi affinata durante tutta la vita). Sto parlando del fatto che un gatto (per dire un mammifero) sa già alla nascita qual’è il suo corpo e quello della madre (ad esempio) senza aver avuto nessuna esperienza. Esiste una teoria (definita la teoria della ‘neuromatrix’) che sembra avvalorare questa ipotesi. Sono consapevole comunque che questa parola abbia molti altri significati (a volte impropri)che dipendono dall’ambito in cui si discute: è sempre meglio darne una definizione precisa prima.
Credo che un gatto sappia di avere un corpo perché prova delle sensazioni, se dovesse essere privato della coda sentirebbe la sensazione della mancanza. Ma avere coscienza di sé è ben altro, significa ad esempio avere coscienza di essere consapevoli di avere un corpo…è tutta un’altra cosa, mi capisci?
Paolo Viti, ti rispondo qui perchè il pulsante di risposta dopo il tuo post delle 22:15 non lo visualizzo. Ho capito cosa intendi tu per coscienza, mi è chiaro. Quello che invece intendo io è che un gatto (per rimanere sull’esempio) nasce con ‘scritto nel cervello’ qual’è la sua gamba, la sua coda ecc ecc senza che l’abbia mai usata. Mi sto rifacendo alla teoria della neuromatrix, appositamente studiata per tentare di dare una risposta alla patologia dell’arto fantasma: succede che persone a cui venga amputato un arto sentano male all’ARTO MANCANTE dopo l’intervento, non al moncherino!! Sentono che la gamba (per esempio) c’è e gli fa male, anche se in realtà non c’è più. Questo per dire che la coscienza che intendo io non deriva dalla percezione dell’ambiente esterno ma è ‘scritta nel cervello’ (neuromatrix: neuro-matrice) che viene plasmata con l’esperienza del mondo esterno all’organismo (per questo ‘matrice’, ovvero cosa ancora informe, ancora non completamente ‘levigata’). Sono due significati diversi della stessa parola (coscienza)il modo di intenderla che hai tu e che ho io, ma penso che “esperienza soggettiva di eventi e situazioni” non corrisponda alla mia definizione.
“Sto parlando del fatto che un gatto (per dire un mammifero) sa già alla nascita qual’è il suo corpo e quello della madre (ad esempio) senza aver avuto nessuna esperienza.”
Questa è bella (a parte che c’è un apostrofo di troppo): il cucciolo di gatto sa queste cose mentre quello di essere umano non le sa? 😛
Michele Silvi: c’è un errore di grammatica nel mio post ma tu dimentichi cose elementari. Lo sai che l’uomo è un mammifero? le cose che hanno sul petto le donne le hai mai notate?
Il problema non è questo: il bambino appena nato non è cosciente di sé né del mondo, è immerso in un egocentrismo radicale in cui i due piani si intersecano e si sovrappongono, la differenziazione avverrà gradualmente con la costruzione delle nuove strutture corticali…
Stando alle teorie più recenti quello che dici non è vero: le strutture corticali già ci sono alla nascita (anche se con l’esperienza si avrà un’affinamento della coscienza del se). Ti consiglio di leggerti, in questo link, le pagine relative all’arto fantasma. http://www.brainmindlife.org/ithome.htm (è il primo sito che ho trovato in italiano: c’è molto altro materiale in giro per la rete se ti metti a cercare). Certamente è una teoria ancora poco definita e in evoluzione ma sicuramente molto interessante ed in grado di spiegare molti interrogativi della medicina.
Certo che ci sono già, ma la questione non è percettiva o sensoriale, ma cognitiva, ed il bambino che vive di riflessi spontanei, incontrollati e involontari (che poi scompariranno nel giro di poche settimane) non ha alcun bisogno di distinguere il sé dall’altro, ed in parte si mantiene lo stato simbiotico in cui era immerso durante la gravidanza (in alcune culture, ad esempio quella africana, il trattamento dei bambini crea condizioni tali che ci rende in grado di parlare addirittura di un'”esagestazione” di 9 mesi).
Ovviamente la distinzione inizia a formarsi fin da subito, ma è chiaro che il bambino, quando nasce, non ha consapevolezza del proprio corpo, né dei propri bisogni (anche l’alimentazione è infatti affidata ai riflessi spontanei, in particolare quelli di suzione e di rotazione del capo), ed anche settimane dopo continua ad agire come se il mondo non fosse altro che un’estensione del suo corpo, addirittura l’assegnazione di volontà proprie agli altri esseri umani non avviene prima di qualche anno di vita (non 7 come scriveva Piaget, magari, ma non si mette in dubbio il fatto in sé).
L’arto fantasma non capisco cosa abbia a che fare con questo: non mi pare si parli di bambini piccoli, tanto meno di coscienza o autocoscienza, la percezione del proprio corpo e delle sue condizioni contingenti non riguardano la sfera cognitiva consapevole…
Ora ho capito cosa intendi per coscienza, temo però che ci siamo però persi dal tema principale.
La teoria della neuromatrix sostiene che ci sia una rete di neuroni, precostituita alla nascita, in grado di ricostruire e mappare tutti gli organi del nostro copro. Pertanto questa è presente nel bambino. Questa matrice, rientrerebbe quindi pienamente nella definizione di coscienza che ho dato in questo gruppo (e che sembra essere diversa dalla definizione di coscienza ‘filosofica’). Lesioni a questa matrice sarebbero la causa della malattia dell’arto fantasma (percepire un arto che in realtà non esiste più). Dici che il bambino non ha bisogno di saper distinguere il se dall’altro? personalmente non ne sono convinto. E non mi convince nemmeno il fatto che il bambino non abbia consapevolezza del proprio corpo. Sicuramente è qualche cosa che viene affinato con il passare del tempo ma dubito che sia completamente assente alla nascita (questo è un mio parere).
Eh appunto è un’altra cosa (se non coincidono le definizioni poi non ci si capisce), in particolare lo studio dello sviluppo cognitivo è quello meno legato alla ricerca sui neuroni perché, pur dipendendo ovviamente dalle conquiste sul piano sensoriale, percettivo e motorio, questo non risulta accessibile a livello di stimoli e risposte (e infatti i comportamentisti quando si parla di sviluppo cognitivo non vengono nemmeno menzionati, molto spesso).
È uno studio che si basa sulle testimonianze stesse dei soggetti (quanto possibile) o sull’osservazione sistematica (inizialmente i usavano molto i diari), perché la domanda non riguarda il come ed il se si “senta” il corpo, ma l’interpretazione e la riflessione sullo stesso e sui rapporti che ha con il mondo che lo circonda.
Ho capito… d’altro canto gli studi ‘etologici’ sono nati piuttosto recentemente, non mi stupisce che vengano considerati di meno rispetto a quelli tradizionali.
Non capisco che intendi, lo studio etologico è quello sul campo e con il minimo di controllo, a parte qualche eccezione è un metodo strettamente osservativo e descrittivo…
L’etologia studia il comportamento: gli etologi sono detti anche comportamentalisti o comportamentisti. Spesso questi studi non vengono considerati: si preferisce molto di più basarsi sulla psicologia che sull’etologia quando si parla dell’uomo (nell’animale invece succede ovviamente il contrario). Come dici tu, siccome si riferisce al comportamento non alla psiche, è un metodo strettamente osservativo e descrittivo.
Ehm, no. L’approccio etologico e quello comportamentista sono diametralmente opposti, basti pensare che Lorenz accusava i pavloviani di essere, fondamentalmente, la più grande sciagura toccata alla civiltà occidentale…
L’etologia studia il comportamento come ethos, quindi costume, un vero etologo non ridurrebbe mai il comportamento animale ad una serie di riflessi condizionati (che sia condizionamento classico o operante), la concezione comportamentista è superata da un pezzo ed i primi veri contestatori furono proprio etologi come Konrad Lorenz, che fondamentalmente era molto più vicino a Popper (dal punto di vista epistemologico) o alla Gestalt che a Skinner…
(ovviamente bisogna dire che esistono casi in cui, effettivamente, il comportamento animale è riducibile ai riflessi condizionati, ma sono tipici delle forme di vita meno evolute. Insomma il cane sbava quando sente il campanello ma non è che il suo comportamento si limiti a processi di questo tipo)
mah… come ho detto non ho grandi basi umanistiche. Quello che so io è che l’etologia studia il comportamento ovvero atteggiamenti che un animale può avere (se si parla di animali) e che ci sono 3 grosse correnti di pensiero: Vitalisti, Meccanicisti e Behavioristi. Probabilmente tra gli aderenti a queste correnti ci saranno idee diverse ma il principio di base è sempre quello: lo studio del comportamento.
Certo, ma anche la psicologia studia il comportamento esteriore (e quando lo fa si serve del modello etologico come di quello comportamentista, ma anche di altri), l’etologia è lo studio del comportamento animale (ma talvolta viene applicata anche sugli esseri umani, ed iniziò a farlo lo stesso Konrad Lorenz), ma è uno studio che prevede l’osservazione sul campo, strutturata o meno, mentre i behaviouristi prediligevano lo studio in ambiente laboratoriale e seguivano i principi del riduzionismo e della parsimonia, che Lorenz rigetta non solo per parlare degli esseri umani, ma anche di animali.
Comunque le tre correnti più che etologiche mi sembrano filosofico-psicologiche, nel momento in cui nacque l’etologia vera e propria (ad opera di Lorenz e Timbergen, fondamentalmente, prima si può parlare di etologia solo in senso lato), tutte e tre le correnti avevano manifestato la loro insufficienza…
Non ho capito il senso delle obiezioni all’articolo:
si sta tentando di capire se l’uomo ha più o meno dignità degli altri animali?
La discussione di cui sopra, tra Francesco e Paolo Viti (e gli altri) si sta rivelando interessante, almeno a mio parere.
La differenza tra l’uomo e gli animali…vexata quaestio a cui molti rispondono dicendo che anche gli animali hanno sentimenti, ragionamenti di livello empirico, capacità di sacrificio.
La differenza tra l’uomo e gli animali, anche quelli più intelligenti non sta nei sentimenti e nelle passioni ma nella capacità di pensiero astratto.
L’uomo pensa al fatto che pensa e di lì è capace poi di formarsi concetti totalmente astratti, come ‘bene’, ‘male’, ‘amore’, ‘concetto’ (visto che lo citiamo e via così) e domandarsi in che rapporto sono i concetti astratti con gli enti materiali (il vecchio problema degli universali) e ad ogni risposta si domanda un altro perchè, sempre di tipo astratto (oltre che empirico e contingente come è ovvio).
Mi pare questo lo scarto ontologico, quello che Aristotele porrebbe tra anima sensitiva e anima razionale.
Esatto: gli animali potranno essere sì più intelligenti di quanto crediamo, ma non potranno mai essere razionali (cioè dotati di ragione).
Da profano, faccio questo esempio: si pensi a quante cose ha sviluppato l’uomo dall’età dei Romani fino a oggi: costumi, edifici, arte, musica, mezzi di comunicazione, tecnologia, etc.
Mentre il cavallo (un animale a titolo d’esempio) da allora è rimasto pressoché identico; forse saranno cambiate le sue razze, specie, ma non il suo modus vivendi.
…La differenza tra l’uomo e gli animali, anche quelli più intelligenti non sta nei sentimenti e nelle passioni ma nella capacità di pensiero astratto…
Concordo e aggiungo… La differenza fra l’uomo e l’animale non può essere posta in termini di intelligenza (qualche mammifero potrebbe essere anche più intelligente dell’uomo…) e non può essere posta in termini di qualità/quantità di reazione agli stimoli esterni (anche qui molti animali sono probabilmente più “evoluti” dell’uomo…). La differenza stà proprio nella possibilità dell’uomo di fare speculazione all’interno di se stesso (partendo dalla autocoscienza di essere) e nel mutuare le conseguenti risultanze in rapporto alla realtà esterna. E’ una constatazione che probabilmente non potrà mai trovare ragione esaustiva in spiegazioni esclusivamente biologico-chimico-fisiche. L’uomo non può essere considerato (banalmente) come la versione evoluta di qualche mammifero affine.
Non concordo. Esiste una gradualità nelle cose del mondo. Anche le caratteristiche che riteniamo proprie nel mondo animale possono essere manifeste in modo più o meno grande a seconda della specie animale di cui si parla (per esempio: gli erbivori hanno sviluppato una memoria eccezionale, forse superiore alla nostra, però potremmo anche definirli piuttosto stupidi, poco intelligenti; i carnivori hanno sviluppato maggiormente la capacità di astrazione necessaria per anticipare le mosse della preda da catturare mentre la loro memoria sembrerebbe ridimensionata rispetto agli erbivori). Ebbene, perchè ciò non potrebbe valere per la coscienza di se? Attualmente non ci è possibile, a causa di limiti tecnici, studiare in modo così approfondito il mondo animale; inoltre esiste un limite intrinseco grande: gli animali non parlano. Ma la presenza di questi limiti significa che gli animali non abbiano coscienza del se? di sicuro non c’è consequenzialità logica in questa frase. (concludo con una battuta trovata su facebook: una ragazza scrive ” vado a scuola diligentemente, ho bellissimi voti, ho solo avuto un ragazzo in tutta la mia vita, faccio volontariato, sono una persona onesta e generosa: proprio a me doveva capitare di rimanere incinta?” Risposta: “tutte le cose che hai elencato non sono metodi contraccettivi” 🙂 )
Provo a tradurre il tuo intervento: poiché esistono dei limiti tecnici alla verifica dell’esistenza dell’autocoscienza negli animali, io dico che tale facoltà esiste fino a prova contraria. Il fatto che l’evidenza mi dica che non può essere così, proverò a nasconderla dietro un’inutile e pomposa prosopopea sulle abilità specifiche delle singole specie. Domani, se sarà necessario scriverò che probabilmente anche batteri e protozoi hanno una propria coscienza: non sono forse in relazione col mondo esterno? E poi non abbiamo prove che dicano il contrario.
hahaha non hai solo tradotto il mio intervento: ne hai dato una tua personale interpretazione. Io mi limito solo a dire che non possiamo sapere attualmente se nel mondo animale esiste o meno una forma rudimentale di coscienza del se. Alla domanda: Gli animali hanno una coscienza? io posso rispondere solo così: “boh”. Pertanto non comprendo su che base i filosofi definiscano qual è la differenza tra un uomo e un animale, senza conoscere com’è fatto l’animale. capisci ora?
La base te l’ha perfettamente spiegata Beppina. Mutuare le conseguenti risultanze in rapporto alla realtà esterna. L’autocoscienza umana si traduce in opere, che non sono semplicemente un prodotto di un rapporto causa-effetto tra la percezione del mondo esterno e una risposta meccanica ad esso da parte del sistema nervoso del singolo animale, regolarmente improntata alla sopravvivenza della specie, ma consiste nell’infinità di possibili interpretazioni che dà l’uomo. Tra finito e infinito non c’è rapporto. Non credo che sia necessario considerare questa facoltà come inserita dall’esterno, ne’ insisterei sulle tautologie elevate a scienza riguardanti l’ente ineffabile, non misurabile ma onnipresente chiamato volgarmente ‘selezione naturale’.
Oltretutto, quello che mi lascia veramente di stucco della vostra irriducibile convinzione è che avete il coraggio di fare i saccenti. “Le recenti indagini…”, “nuove scoperte ci dicono che…”, “gli studi di zoologia affermano…”… Francesco, hai mai notato che ciò che vai cianciando lo facevano tranquillamente alcuni filosofi greci 2500 anni fa (anche Celso, il filosofo anticristiano per eccellenza, se la tua critica è mossa anche da ideali antireligiosi, potrebbe darti soddisfazioni da questo punto di vista)? Non credo che loro conoscessero le facoltà dei neuroni specchio. Forse non li conosci, perché hai detto di non avere cultura umanistica. Ma basterebbe il buon senso! Credi che sia necessario eseguire un esperimento in vitro sulle cellule neuronali di ghepardo per capire che i predatori si muovono per anticipare le mosse degli erbivori? O che si debba ricorrere alla teoria della neuromatrix per osservare come i cuccioli di ogni specie si avvicinino spontaneamente al seno della madre?
Non ci puoi imbambolare, la sappiamo lunga, stai tranquillo. Nessun esperimento, serio o ridicolo che sia, ti farebbe cambiare idea riguardo alla differenza tra uomo e animale. Abbi almeno il pudore di non ostentare la tua militanza accademica, che per l’appunto è condivisa anche da molti di noi!
Mi spiace di aver suscitato questa reazione da parte tua. Ma d’altro canto non so cosa farci. Io ho parlato di “recenti indagini” solo perchè sono tali: sono ricerche sviluppate negli ultimi 10 o 20 anni e attualmente ancora in via di sperimentazione. Non è per fare il saccente ma solo per dare indicazioni temporali ai fatti che espongo. Non voglio imbambolare nessuno e nemmeno vi considero degli ignoranti: non so perchè ti senti attaccato: sto solo esponendo ed argomentando le mie idee. Parli di ostentazione di militanza accademica: guarda che sono un semplice studente al termine degli studi di laurea, ho 26 anni e non mi ritengo un grande esperto in materia. Io non conosco la filosofia, se non qualche elementare rudimento. Quello che mi stupisce è la certezza con cui esponete idee che possono essere solo probabili, ed in modo cateogorico anche. In particolare tu mi sembri piuttosto poco elastico nel accogliere idee nuove. Mi spiace per te.
D’accordo, abbasso i toni, precisando che non ho bisogno della tua compassione 😉 .
Non mi sento attaccato: mi sento imbarazzato, ma non è colpa tua, nel vedere come a scadenze regolari entri in questo sito gente nuova che ritiene di avere di portare la parola della scienza contro l’ignoranza, nei modi più disparati, ma che seguono sempre lo stesso filo. Si può far riferimento a recenti scoperte, che in realtà non dicono niente di nuovo ma semplicemente chiariscono in termini analitici delle relazioni la cui esistenza macroscopica era già nota; si può citare a proprio vantaggio un certo numero di situazioni circensi nelle quali la scienza non c’entra un benemerito, tipo il gorilla che resta per qualche secondo sulle zampe posteriori, o l’elefante che dipinge con la proboscide, per azzardare qualche improbabile collegamento alle attività umane; si possono maneggiare a proprio uso i consumo i termini “coscienza”, “intelletto”, “volontà”, persino “anima”, che pure può essere evitato: tutto questo per cercare di dare un sostegno scientifico, perciò inattaccabile in quanto empirico, alle proprie convinzioni. Oltretutto, ognuno di voi porta esempi diversi, spesso contraddittori, ma tutti indirizzati verso lo stesso obiettivo metafisico; che sia solo un caso?
Apprezzo i tuoi toni moderati, che una volta erano anche i miei, almeno fino a quando non li ho abbandonati spazientito all’ennesima riproposizione degli stessi ritornelli. Tuttavia non posso fare a meno di notare che, per quanto tu possa negarlo, stai cercando di attribuirti un’autorità particolare. Sai benissimo che una buona parte di noi non sa cos’è la substantia nigra, il nucleo del rafe o il putamen, il fatto che tu lo sappia può farti valere una posizione di rilievo in una discussione che, in verità, non riguarda le caratteristiche anatomiche del cervello umano! In un certo senso, è quello che traspare con più evidenza dall’attività divulgativa dei militanti dell’ateismo, dai quali sembri attingere a piene mani: cosa c’entrano la memoria degli erbivori, la tecnica di caccia dei carnivori o i guaiti di un cane implorante con l’autocoscienza?
A questo punto è bene che tu sappia che anch’io ho 25 anni, anch’io sono laureando in scienze, anch’io accolgo con molto entusiasmo le idee che mi circondano, ma a differenza tua ho una capacità critica assai diversa, e non riesco ad eccitarmi quando leggo di uno scimpanzé che a forza di tentativi è riuscito a scartare una caramella. Nello specifico, credo che quello delle “ricerche” sia solo un colossale pretesto per sostenere qualcosa che, pur contrario all’evidenza, è possibilissimo sostenere anche nella più totale ignoranza della zoologia e della biochimica. Anch’io espongo le mie opinioni, della cui esattezza non posso essere sicuro. So solo che, tra qualche migliaio di anni, Francesco e Daphnos saranno spariti, e, anche se l’uomo sarà riuscito finalmente a stilare una mappatura completa di tutte le sinapsi avvenute nel corso della storia e di quelle che avverranno in seguito, gli animali continueranno a essere animali e a non porsi minimamente alcun problema riguardo al mondo che li circonda.
Ora devo scappare, ti risponderò meglio quando avrò più tempo. Dico solo che l’autorità particolare che mi attribuisci risulta prettamente dall’impressione che hai tu su di me. Io mi limito a scrivere di ciò che conosco, come altri fanno qui, e che scrivono usando termini filosofici, psicologici o provenienti anche da altri ambiti e, immagino, dal bagaglio culturale posseduto. Se conosco l’amigdala o la teoria della neuromatrix devo evitare di parlarne perchè altrimenti mi metterei su un piano superiore? ma non ci penso neanche!! 😛
Ok. A presto! Se ci rincontreremo, ti prometto che sarò più incline al dialogo 🙂 .
E’ esattamente così, Beppina.
La cosa incredibile è come si possa svicolare da
questa evidenza: si è mai visto un animale filosofare
sul senso dell’esistenza?
Mah.
Concordo pienamente con te Licurgo: cio’ che distingue l’uomo dagli altri animali e’ il metapensiero. A questa caratteristica, personalmente, ne aggiungerei anche un altra che mi sembra unicamente umana: l’uomo e’ eternamente insoddisfatto della sua condizione e cerca sempre di superarla. L’uomo, in definitiva, aspira all’ infinito mentre l’animale non subisce questa specie di “febbre” incessante.
Quando un animale parlante ti dirà di non aspirare all’infinito potremmo avere una base su cui discutere. Fintanto che questo non succederà la tua rimarrà una mera ipotesi basata su sensazioni, o un semplice parere, comune a molte persone.
Si è mai verificato un progresso nel linguaggio degli animali, da che li conosciamo?
che io sappia no. Certamente sono molto cambiati da com’erano una volta, in molti altri campi (forma, dimensioni, abitudini, ecc).
Sono cambiamenti comparabili con quelli svolti dall’essere umano?
Penso che l’unico cambiamento rilevante sia solo che alcuni si siano abituati a convivere con l’uomo (e smettere pertanto, per esempio, di cacciare).
Dipende da ciò che consideriamo ‘rilevante’: se parliamo di cambiamenti in ambito sociale, psicologico, economico ecc ecc gli animali non hanno mostrato grandi cambiamenti nella storia (piccoli cambiamenti si). Se consideriamo forma, dimensioni e abitudini invece si, sono cambiati e anche tanto. A ancora adesso cambiano, come succede anche all’uomo.
Però, al di là di tutte queste congetture (per esempio definire cosa si definisce rilevante o meno) anche per i motivi espressi da Licurgo, Paolo Viti, Beppina e Daphnos pare proprio esserci un ‘salto’ tra animali e esseri umani (quello che ho identificato come ragione ma che include anche l’autocoscienza, il senso del trascendente, le qualità artistiche, la capacità di costruire mezzi per risolvere problemi, etc.) e questo salto fino a prova contraria non può essere rilevato nella composizione biologica dell’essere umano, né nell’intelligenza, né nella reazione agli stimoli (come giustamente ha detto Beppina).
In più c’è un altro fattore: per un interesse superiore, l’uomo può scegliere di non seguire le sue pulsioni istintive; gli animali, non possono farlo.
Concordo sul fatto che esiste una differenza sostanziale tra l’uomo e gli animali. Non sono tanto convinto che questo salto non sia rilevabile dal punto di vista biologico: per esempio, l’uomo è l’essere vivente con il maggior numero di interconnessioni tra le cellule nervose (bada bene, non di neuroni), presenta un rapporto tra peso di midollo più encefalo e resto del corpo maggiore, presenta una straordinaria espansione della neocortex che non c’è in nessun altro animale, e molto altro ancora. Dici che gli animali non possono scegliere di non seguire le proprie pulsioni istintive: beh, è un tuo parere. Il mio è che gli animali (anche se sarebbe meglio specificare quale) prendano le loro decisioni al 98% in base all’istinto e agli ormoni, il 2% in base ad un ragionamento.
Sono curioso: dove l’hai sentita questa cosa del 2%?
(non è una provocazione)
Credo che tu, caro Francesco, da buon amante degli animali stia un po’ troppo umanizzandoli. E’ un processo molto noto come antropomorfizzazione, personalmente però credo che riconoscere la discontinuità tra uomo e animale -oltre ad essere un atto onesto scientificamente- sia una valorizzazione delle differenze che renda dignità all’uomo, sopratutto, e all’animale.
In proposito a quanto ti dicevo (anche se da un punto di vista diverso), riporto quest’articolo interessante:
https://www.uccronline.it/2012/02/09/il-filosofo-savater-i-diritti-degli-animali-sbagliato-paragonarli-agli-uomini/
Almeno per quel che riguarda le megattere (Megaptera novaeangliae), pare che il canto da loro usato, almeno in alcuni casi, si modifichi a seconda di quello usato da altri gruppi di consimili:
http://en.wikipedia.org/wiki/Whale_sound#Song_of_the_Humpback_Whale
Non può essere semplicemente una relazione causa effetto?
Della serie si ha a disposizione un limitato numero di ‘canti’ (chiamiamoli così) ognuno con un preciso significato per il gruppo: canto 1 = pericolo, canto 2 = aspettare, e via dicendo.
D’altronde anche un cane può latrare, ululare, abbaiare, ringhiare, guaire: ognuno con un differente significato ma non si può parlare di vero linguaggio.
@ Francesco.
Se ti dicesse di non pensare all’infinito ci starebbe già pensando, per cui il problema è malposto.
Potremmo rovesciare la tua asserzione: quando un animale mi comunicherà in qualche modo quel che pensa del problema degli universali, allora potremmo dire che la differenza è semmai solo quantitativa.
Ma, in tutta la storia animale, questo non si è mai verificato e difficilmente si verificherà
E’ proprio il fatto che nessun animale elabora in qualche modo un linguaggio convenzionale astratto insieme al fatto che l’animale non rielabora le sue emozioni trasformandole in concetti astratti e universali, cosa che si vede dal fatto che vive ogni volta la medesima emozione in modo identico come se fosse la prima volta, ci fa capire che non esiste l’astrazione concettuale che porta all’universale a farci legittimamente ipotizzare che questa astrazione non la abbiano.
Come ho detto qualche tempo fa non possiedo grandi conoscenze umanistiche. In particolare non so cosa intendi per ‘universali’. Concordo che l’animale difficilmente si metterà a parlare (o almeno che lo farà in tempo brevi). Non concordo invece su questo “[l’animale] vive ogni volta la medesima emozione in modo identico come se fosse la prima volta”. O almeno, su che base stabilisci tutto ciò? il mio cane reagisce in modo diverso, e probabilmente la sua reazione è suscitata da sentimenti diversi, a seconda degli ambiti, delle situazioni, delle persone presenti ecc ecc. Si può ipotizzare che i cani non abbiano astrazione concettuale, se vuoi, ma rimane appunto solo una mera ipotesi.
@ Francesco.
Gli universali sono i concetti astratti (l’amore, l’odio, la bontà, il cane, il gatto intesi come concetto di cane e gatto e non quel singolo cane o gatto).
Non so forse tu hai un cane speciale…il mio quando è ora di mangiare reagisce tutti i giorni con la medesima gioia ed emozione come se fosse la prima volta (e finchè da mangiare non è pronto aspetta preoccupato come se non fosse sicuro di mangiate anche se la stessa situazione si ripete ogni giorno da dieci anni); ogni volta che me ne vado è preoccupato, anche se è una routine, e ogni volta che torno dopo un po’ mostra la stessa gioia identica come se uno non tornasse (e la mia routine è sempre identica).
Questo vuol dire che non rielabora nè razionalizza le emozioni che prova ma semplicemente le vive: cosa bellissima, ma appunto molto lontana da quello che ha detto magistralmente Beppina.
Ti ringrazio per la gentilezza e la pazienza per avermi spiegato il concetto di universale. Io sono convito però che ‘molto lontana’ non significhi ‘assenza’. Ritengo che una forma di coscienza del se, anche se molto molto molto ridotta, possa esserci negli animali e che (forse) un giorno potrà essere evidenziata dalla scienza.
Ognuno, caro Francesco, ha le sue idee.
Metodo vuole che in assenza di evidenza un’affermazione possa avere gradi di probabilità direttamente proporzionali agli indizi e alle evidenze.
Finchè l’esperienza non ci dirà l’opposto, la tua idea, legittimissima, rimane una suggestione personale, mentre i motivi per cui io penso che l’animale non abbia concetti astratti nè razionalizzazione a posteriori delle emozioni personalmente li ho portati.
Sulla coscienza di sè: un conto è l’autopercezione, cioè accorgersi istintivamente di esistere, un conto l’autocoscienza, ovvero riflettere su se stesso come ente pensante. Certo, senza autopercezione non è possibile l’autocoscienza, ma sempre in base agli esempi mostrati ritengo che l’animale rimanga all’autopercezione, che, in base a quanto detto, manca dello scarto epistemico dell’astrazione concettuale.
Non mi devi ringraziare: nessuno è tenuto a sapere tutto, e se capita è bene spiegare quel che l’altro non sa; sulla gentilezza, ci mancherebbe: sei stato molto pacato e gentile anche tu.
‘Probabilità’, non ‘evidenze’ nella terza riga.
Mentre mangiavo mi è venuto in mente una cosa. Il mio cane a volte esce dalla porta di casa correndo e abbaiando verso le macchine che entrano in cortile; capita a volte che nella foga non si accorga che la macchina che entra sia in realtà la mia, fintanto che scendo. Accorto dell’errore si prodiga con leccate, corse, guaiti, scondinzolamenti vari, mi salta addosso nel tentativo di farsi perdonare , o almeno così interpreto io il suo comportamento, che non attua in modo così vistoso ed esagerato quando non esce ringhiando e abbaiando (ricordo che un cane che fa parte di un branco, attaccare il capobranco non è una cosa da poco: in natura rischierebbe l’esilio e la morte). Questo per esempio io lo interpreto come una possibile e ridottissima presenza di autocoscienza. Comunque è possibilissimo che io abbia torto. In ogni caso preferisco la prudenza e non me la sento di utilizzare come differenza categorica tra uomo ed animali la presenza di una autocoscieza. Concordo pienamente invece con la tua frase: “Metodo vuole che in assenza di evidenza un’affermazione possa avere gradi di probabilità direttamente proporzionali agli indizi e alle evidenze”.
E’ istinto, quello del capobranco che dici tu, istinto che dipende dall’autopercezione.
Se fosse autoscosciente (cioè capace di astrazione)si domanderebbe perchè tu hai supremazia su di lui e quali sono le differenze fisiche e gnoseologiche tra voi due.
Tu puoi dirmi che potrebbe essere e se lo domanda, ma a quel punto, oltre alle mie obiezioni già poste e che tu ripeti alla fine, rimando all’intervento di Lucio.
Facciamo anche finta che il cane abbia non soltanto una autocoscienza abbozzata, ma anche ben sviluppata. E ora? Sarebbe un uomo? No, perché? Perché in ogni caso non è nemmeno la coscienza che riempie il gap incolmabile tra uomo e animale.
L’autocoscienza NON è una caratteristica esclusivamente umana !
Gli etologi e antropologi (degni di questo nome) sono unanimi nell’affermare da studi e prove concrete ben documentate, che molti animali sono dotati d’autocoscienza ! Un esempio : gli scimpanzé non solo si riconoscono nello specchio, ma sia maschi che femmine, vanno a caccia in modo coordinato. Elaborano strategie per le agressioni premeditate verso altri gruppi. Dobbiamo inoltre includere i loro intrighi e gli impegni politici in termini di alleanze, per non parlare del tradimento, bugie e aggressioni premeditate. I negoziati sessuali contro il cibo sono comuni (prostituzione animale -sic!), come l’affetto, la gelosia e l’inganno. Infine, gli scimpanzé condividono il cibo, costruiscono e utilizzano una decina di strumenti (utensili), osservano le tradizioni e lo sviluppo culturale. Questi promemoria semplicemente per dire che tutte queste caratteristiche che credevamo esclusivamente umane, e per semplice correlazione, associate al linguaggio, precedono una condizione necessaria nel futuro per la sua comparsa ! NB. :Se gli chimpanzé avessero le strutture fonetiche articolatorie simili alle nostre o dei pappagalli, parlerebbero ! Avrebbero dei ragionamenti cognitivi espliciti equivalenti ad un bambino di circa cinque anni. Da notare che i nostri antenati (australopitechi) da 7 fino circa 4 milioni d’anni fa dovevano avere dei comportamenti simili ai bonobo’ e chimpanzé attuali!
L’autocoscienza NON è una caratteristica esclusivamente umana !
Gli etologi e antropologi (degni di questo nome) sono unanimi nell’affermare da studi e prove concrete ben documentate, che molti animali sono dotati d’autocoscienza !
Forse é il caso di partire da zero. Cominciamo col definire cosa é l'”autocoscienza” o il “prendere coscienza di se”. Poi vedremo…
Forse é meglio anche definire bene come possano un etologo e un antropologo essere “degni di questo nome”; scommetto che per lei l’essere credente non gioverebbe all’antropologo di turno… ho forse sbagliato? 🙂
Un esempio : gli scimpanzé non solo si riconoscono nello specchio, ma sia maschi che femmine, vanno a caccia in modo coordinato. Elaborano strategie per le agressioni premeditate verso altri gruppi. Dobbiamo inoltre includere i loro intrighi e gli impegni politici in termini di alleanze, per non parlare del tradimento, bugie e aggressioni premeditate. I negoziati sessuali contro il cibo sono comuni (prostituzione animale -sic!), come l’affetto, la gelosia e l’inganno. Infine, gli scimpanzé condividono il cibo, costruiscono e utilizzano una decina di strumenti (utensili), osservano le tradizioni e lo sviluppo culturale. Questi promemoria semplicemente per dire che tutte queste caratteristiche che credevamo esclusivamente umane, e per semplice correlazione, associate al linguaggio, precedono una condizione necessaria nel futuro per la sua comparsa !
Sono tutte facilmente spiegabili come ovvie conseguenze di “evenienze esterne”; sono esclusivamente conseguenze dell’istinto e del “vissuto” (quindi a posteriori…) e non sono conseguenza di una elaborazione o una speculazione (non c’é sviluppo a priori…). Tutto quanto elencato inoltre può benissimo essere compatibile con qualsiasi specie di animale “intelligente” ma del tutto privo di coscienza di essere (come del resto é per gli animali…). Per certi aspetti il modo con cui le formiche riescono a gestire la propria difesa contro attacchi esterni (in termini di “gruppo”) é forse ancor più “avanzata” degli scimpanzè; basta vedere come un formicaio ridotto al caos viene rapidamente portato al suo ordine naturale.
@ Beppina
Pendesini non ha letto la differenza tra autopercezione e autocoscierza oppure non ci ha capito niente.
Pendesini non conosce la differenza tra sensitivo (gli esempi da lui portati) e razionale (l’astrazione concettuale, il giudizio e il sillogismo), oppure non li ha mai capiti.
Ammirevole la tua pazienza nel rispondergli, ma credo che sia tempo perso.
Francesco,
sai benissimo che il tipo di indagine che proponi non e’ attuabile…
Se vogliamo proseguire con critiche di questo tipo allora potrei anche replicare in modo semiserio che, in fondo, l’animale potrebbe anche non esistere,(potrebbe essere solo un concetto fuorviante elaborato dalla nostra mente). La nostra mente, d’altra parte, potrebbe anche essere solo un illusione creata dal nostro cervello e che, infine, per porre all’ animale la domanda in oggetto dovremmo ricorrere al linguaggio e questo, si sa’, e’ incapace di farci giungere ad una comprensione autentica.
Vogliamo andare ancora avanti con il criticismo radicale (che sfocia nel nichilismo) oppure vogliamo tornare ad un sano atteggiamento realistico?
Ciao!
Torniamo ad un atteggiamento realistico allora. Alla domanda “qual è la differenza tra l’uomo e gli animali?” non è possibile rispondere in termini assoluti, ovvero la presenza di una autocoscienza non basta a segnare il limite; questo è il mio parere. Ci sono tante caratteristiche che differenziano l’uomo dall’animale e queste non sono così nettamente evidenziabili: io vedo una commistione di caratteristiche nell’uomo, che sono rilevabili anche negli animali e che vengono espresse in mono più o meno grande a seconda dei confronti che vengono fatti.
Allora, Francesco.
Abbiamo distinto la differenza tra autopercezione ed autocoscienza, e abbiamo visto che questa è tale in quanto astrazione.
Possono esserci tante altre differenze, ma dal punto di vista cognitivo, fino a prova contraria, essa rimane netta e notevole, e non è il fatto che ci siano (eventuali) altre differenze ad invalidare questa.
E’ una differenza qualitativa perchè, fino a prova contraria (e di prove abbiamo già parlato), l’animale non astrae concettualmente gli universali dal metapensiero.
Mi pare che, se non si invalidano le proposizioni precedenti, ci sia poco da girarci attorno.
Vedi Licurgo, sono d’accordo con te fino alla quinta riga del tuo commento. La differenza io non credo sia qualitativa ma quantitativa: gli esempi che mi hai portato, che in realtà sono solo quelli relativi al tuo cane, non mi sembrano sufficienti ad avvallare la tua idea. Senza andare ad analizzare i neurotrasmettitori o altro, la semplice osservazione del comportamento degli animali mi da la non-certezza che ci sia un distacco qualitativo tra l’uomo e un cane ad esempio. E questo implicitamente mi fa pensare ad una evoluzione nel mondo animale e nell’uomo, in atto anche adesso, che ha portato il mondo ad avere le ‘sembianze’ attuali.
Se l’animale astrae gli universali la differenza è quantitativa, se li astrae solo l’uomo è qualitativa.
Se l’animale si domanda perchè lui è un ente pensante e se ve ne siano altri nel cosmo la differenza è quantitativa, se non lo fa è qualitativa.
Finora, che gli animali abbiano queste due facoltà, esaminando i comportamenti, sembra solo un pio desiderio di alcuni.
il tuo ragionamento mi sembra corretto. In ogni caso mi pare molto strano che solo l’uomo possegga questa capacità. Penso però che sia più un limite della tecnica il fatto che ad oggi non ci sia ancora giunta la notizia di metapensieri elaborati da un animale; staremo a vedere.
Probabilmente con il futuro e il progresso della scienza si scoprirà anche che gli animali sanno far di conto, pregano Dio e hanno una teoria sulla dignità della vita dell’animale. Il futuro, il progresso, la scienza…mi sembra di essere tornato nell’800.
Caro Francesco, questa tua obiezione la trovo molto superficiale se posso permettermi.
Nemmeno una montagna o una pianta ha mai detto di aspirare all’infinito, vale la pena di aspettare che si esprimano prima di dire che non succederà? E’ solo una banale opinione affermare che la montagna non sentirà il bisogno di Dio e la rosa commetterà adulterio nella sua mente? Suvvia…
Un animale vive per rispondere all’unica legge che conosce, la sopravvivenza. L’uomo vive per sopravvivere?
non ne vale la pena: dubito che una montagna mai parlerà. Non capisco “la rosa commetterà adulterio nella sua mente”… cosa vuoi dire? cosa centra con il discorso “l’uomo vive per sopravvivere?”? …io sto discutendo della presenza o meno della coscienza negli animali… è inerente al nostro tema quello che dici?
Mi riferisco a quando dici: “quando un animale parlante ti dirà di non aspirare all’infinito potremmo avere una base su cui discutere. Fintanto che questo non succederà la tua rimarrà una mera ipotesi basata su sensazioni, o un semplice parere, comune a molte persone”.
Questo discorso non ha senso e siamo legittimati a dire che il cane non aspira all’infinito anche se non è stato lui a dircelo. Come può l’animale essere cosciente di essere cosciente? Questa è la coscienza Francesco…, non lo specchiarsi nello specchio!
ho capito qual’è il problema che mi stai ponendo (tu e gli altri), e se leggi bene non ho mai parlato di specchi (ma solo di neuroni specchio). Ti chiedi come possa un animale essere cosciente: ebbene, perchè non potrebbe? Persone in stato vegetativo si ritengono dotati di coscienza: e tutto ciò senza che il paziente muova un muscolo, o faccia segni di alcun tipo. Perchè per un animale non può essere? perchè non può esprimerlo?
Se l’animale fosse autocosciente, cioè cosciente di quello che è e cosciente di quello che non può essere, troverebbe immediatamente il modo più efficace per suicidarsi. Ma l’animale non sa di essere un animale e continua la sua esistenza sul principio di sopravvivenza, l’unica legge a cui risponde.
Nella tua domanda finale ancora si nota una incomprensione sulla differenza tra uomo e animale, mi spiace. E’ la coscienza che rende l’uomo uomo? Se il cane avesse la coscienza dell’uomo, si potrebbe chiamare uomo? Oppure nulla di quello che il cane potrebbe avere di “nascosto”, ovvero senza che noi oggi lo sappiamo ancora, lo renderebbe equiparabile all’unicità dell’essere umano?
mi hai frainteso credo: sto dicendo che l’assenza di una risposta da parte di un animale (o di un uomo) o comunque di un comportamento qualsiasi che identifichi la coscienza non significa l’assenza della coscienza stessa. Non sto dicendo che l’uomo ridotto in stato vegetativo non è più uomo, come credo abbia inteso tu.
e poi, non sono sicuro che un animale si suicidi per questo, proprio no.
Non riesco a seguirti, perché allora lo stesso concetto non vale per una pianta?
Sì, è vero: l’insoddisfazione dell’esistenza è peculiarità umana, derivante dalla ragione e dal concetto astratto di felicità (che è qualcosa che tende all’infinito e non la sommatoria di singole gioie, piaceri, soddisfazione) paragonato ai limiti della realtà contingente.
Scusate tutti tanto dei pasticci.
Stavo rispondendo a Lucio, di cui ho visto solo ora l’intervento e mi è uscito qua.
Scusate tanto ancora l’eccedenza dei commenti.
Secondo me l’uomo è un animale proprio speciale. Non perché c’è stato un “salto”, non credo Dio abbia agito così in quel modo; ma perché l’uomo è sempre stato in grado di porsi delle domande particolari: perché sono qui? Quale il mio destino? Perché l’universo?
Indubbiamente lo pongono su un piano d’azione “migliore” (=qualitativamente) degli altri. Ma questo non da un punto di vista biologico penso -correggetemi se sbaglio a livello cellulare siamo entrambi uguali e a quanto a facoltà ci sono animali più capaci-, ma da un punto di vista morale.
Con ‘salto’ intendevo una differenza sostanziale tra uomo e animale che quest’ultimo, pur evolvendosi e mutando nel tempo, non potrà mai colmare. 🙂
Francesco, se leggi attentamente l’articolo in inglese che riassume i risultati della ricerca condotta dal prof. Charles Yang dell’università della Pennsylvania, già emergono le basi per comprendere meglio cosa debba intendersi per “universali” e “astrazione”, che, per chi abbia studiato filosofia, sono relazionati come il processo (astrazione) che ha come risultato l’elemento base del linguaggio: il concetto (universale).
Iniziamo con il citare la conclusione di Yang: […] this is strong statistical evidence in favor of the idea that children actually know a lot about abstract grammar from an early age.
Come vedi qui si parla di un livello di astrazione grammaticale (abstract grammar), che differenzia l’uso linguistico dei bambini piccoli (2 anni) da quello di Lim (lo scimpanzé a cui è stato insegnato il linguaggio dei segni).
Questo significa che il livello base corrisponde a quello in cui si impara ad usare un linguaggio (= a manipolare simboli) in maniera puramente meccanica e per imitazione sostenuta da memorizzazione, cioè in maniera essenzialmente legata al numero di casi concreti di uso linguistico effettivamente sperimentati.
C’è poi invece il livello in cui l’uso linguistico è governato dalla comprensione delle regole metalinguistiche (le regole grammaticali) e qui è evidente che l’uso corretto della lingua è notevolmente indipendente dal numero di volte in cui si è già sperimentato l’uso corretto di una particolare espressione, perché, come si spiega nell’articolo, l’uso corretto delle espressioni linguistiche dipende in misura significativa dalla conoscenza metalinguistica che permette di astrarsi dal particolare.
Ecco cosa è l’universale: la possibilità di astrarsi dalle condizioni particolari in cui ci troviamo sempre per rispetto allo spazio (materia) e al tempo presente (momento attuale). L’uso astratto della lingua dimostra proprio la capacità di astrasi dallo hic et nunc (dal “qui” e dall'”ora”), che sono le condizioni della materia (rappresentate in questo caso dagli usi linguistici effettivamente sperimentati e memorizzati per imitazione). Dunque l’uomo ha in sé un principio (facoltà) che gli permette di elevarsi al di sopra delle condizioni tipiche della materia e dunque non è un ente puramente materiale.
e ritieni che ciò sia esclusivo dell’uomo? mah… mi sembra molto strano.
Francesco molto tempo fa su questo sito è stato pubblicato un articolo interessante che riprendeva le idee di Thomas Nagel, un filosofo che si è occupato delle relazioni mente-soggetto, a tal proposito è molto stimolante leggere la sua spiegazione in un suo articolo “Cosa si prova ad essere pipistrelli?” certamente troverai su internet.
ci darò un’occhiata