La follia dello scientismo e il ruolo della filosofia
- Ultimissime
- 19 Mar 2013
“La follia dello scientismo” è il titolo di un articolo del professore di scienze biologiche dell’università del Sud Carolina, Austin L. Huges, pubblicato sulla rivista “The New Atlantis”, in cui l’autore descrive appunto la degenerazione del pensiero scientista, per il quale taluni scienziati vorrebbero attribuire alla scienza campi di competenza della filosofia, così da dichiararla ormai obsoleta, analizzando il fenomeno nei suoi caratteri fondamentali e riportando numerosi esempi di inconsistenza filosofica delle teorie pseudoscientifiche che si presume dovrebbero scardinare il ruolo della filosofia.
L’autore si chiede, dunque: “Lo scientismo è difendibile? È vero che le scienze naturali forniscono una spiegazione soddisfacente e ragionevole (…) di ogni fenomeno dell’universo? Ed è vero che la scienza è più in grado, o persino l’unica ad esserlo, di rispondere alle domande che un tempo si ponevano i filosofi?”.
Innanzitutto, fa intendere Hughes, la filosofia ha un ruolo fondamentale nel definire le “regole” della scienza, che è necessariamente soggetta, ad esempio, alla logica elementare che, se non padroneggiata e conosciuta a sufficienza, può rappresentare un grave ostacolo per lo scienziato. Ancora di più, la filosofia è necessaria a definire e comprendere la scienza stessa: è ciò che succede nelle teorie essenzialiste, che sostengono una chiara distinzione tra scienze e filosofia e un ruolo necessario per ognuna, tra le quali c’è il criterio di falsificabilità di Karl Popper, per il quale una teoria è scientifica solo se risulta possibile pensare un’evidenza empirica che la dimostri errata: tutto il resto, ovviamente, cade al di fuori del campo della scienza.
Esistono tuttavia teorie che identificano la scienza con le “istituzioni sociali” che la rappresentano e con coloro che la praticano: i sostenitori di queste teorie “istituzionali” arrivano talvolta ad utilizzare i “fattori istituzionali” come criteri di qualità della scienza, che non necessita più, in questo modo, dell’epistemologia. La debolezza di questa definizione di scienza risiede nella sua natura essenzialmente circolare: “Scienza è semplicemente quello che gli scienziati fanno”. L’inaffidabilità delle istituzioni scientifiche, inoltre, è palese (nel peer-reviewed si possono testimoniare condizionamenti dettati da pregiudizi, vendette personali, eccetera) e gli scienziati non sono certo esenti dalle corruzioni presenti in tutti gli ambienti abitati da esseri umani.
Hughes, comunque, individua tre campi tradizionalmente filosofici che si pretende spesso di studiare con gli strumenti della scienza, arrivando a conclusioni migliori di quelle dei filosofi: metafisica, epistemologia, etica.
Metafisica. “La filosofia è morta”, sostengono Hawking e Mlodinov in “The Grand Design”, e tocca alla scienza rispondere a domande quali: “qual è la natura del reale?” “Da dove viene l’universo?” “L’universo ha bisogno di un creatore?” Tuttavia, in contrasto con simili posizioni, si pongono chiaramente le corrispondenze tra la moderna cosmologia scientifica ed alcune concezioni tradizionali riguardanti la creazione dell’universo (la teoria del Big Bang di Lemaitre è un esempio, o le varie forme del principio antropico). “È forse, in parte, in risposta a queste apparenti coincidenze”, scrive Hughens, “che nasce una grande letteratura professionale e popolare dedicata, negli ultimi decenni, alle teorie sul multiverso.”. Ma se queste teorie possono, in qualche modo, allontanare la conclusione che l’universo sia “fine-tuned”, fatto apposta per l’umanità, non possono evitare le domande fondamentali della metafisica suscitate dal fatto che esiste qualcosa piuttosto che niente. Questi argomenti falliscono, infatti, nel distinguere tra essere necessario e contingente: che l’universo possa essere contingente non è affatto un’idea nuova, e di fatto la terza prova di San Tommaso d’Aquino (che definisce Dio come l’essere necessario in sé stesso) prevede che esistano esseri contingenti e mantiene la stessa validità teorica, multiverso o meno. E se, per le leggi della probabilità (su cui si basano Hawking e compagnia), è “certo” che in una moltitudine di universi ci sia quello giusto per permettere la nascita dell’uomo, tale certezza non ha nulla a che fare con la necessità: il fatto che, lanciando migliaia di volte una moneta, diventi praticamente certo che esca, almeno una volta, testa piuttosto che croce non ha nulla a che fare con l’evento necessario perché questo sia possibile: l’esistenza della moneta! Allo stesso modo, le teorie del multiverso continuano a non spiegare come mai il multiverso stesso (o la matrice del multiverso) esista.
Epistemologia. “Come mai siamo in grado di riconoscere le leggi della fisica? Come possiamo essere sicuri che tale conoscenza sarà sempre migliore, sino a diventare totale?” La risposta comune nell’ambiente scientista è: evoluzione, applicata anche all’epistemologia a partire da W.V.O. Quine. Egli sostiene, infatti, che la selezione naturale avrebbe favorito lo sviluppo del discernimento tra vero e falso poiché credere il falso sarebbe dannoso; più recentemente, anche le teorie scientifiche sono state considerate oggetto della selezione naturale. Ora, sebbene la predisposizione ad accumulare informazioni garantisca un certo vantaggio evolutivo, non è affatto ovvio che ci siano sempre dei vantaggi evolutivi nel conoscere meglio la realtà: la teoria dei quanti o l’analisi del DNA non sembrano avere conseguenze sulla sopravvivenza della specie in senso darwiniano. Anche in biologia, oggi, si tende sempre meno ad aspettarsi che ogni tratto di ogni organismo sia spiegabile con la selezione positiva: molte caratteristiche di organismi sorsero da mutazioni che non furono selettivamente favorite né sfavorite. Parlare di un processo darwiniano di selezione tra idee culturalmente trasmesse è al massimo una blanda analogia, con implicazioni fortemente fuorvianti: permette speculazioni che sembrerebbero poter spiegare ogni singola caratteristica umana. Inoltre, in ogni caso, questi argomenti possono al massimo aiutare un minimo a spiegare perché l’uomo sia in grado di comprendere il mondo, ma non perché il mondo sia in sé comprensibile.
Etica. L’etica è probabilmente la branca della filosofia più tenacemente attaccata dallo scientismo, che tende solitamente a sostenere il relativismo morale: mentre la scienza riguarda l’oggettivo ed il fattuale, l’etica rappresenta soltanto il sentire soggettivo delle persone: non c’è posto per il giusto e lo sbagliato universali. Storicamente, in tutto questo, è stata coinvolta la biologia evolutiva: il darwinismo sociale, che dalle suggestioni di questa nacque, servì a giustificare il capitalismo senza regole, si tentò poi di “correggerlo” con l’eugenetica perché, ironicamente, l’evoluzione biologica dimostrò di andare in verso opposto rispetto a quella economica (dopotutto ha come elemento centrale la riproduzione, non il capitale), quindi occorreva “fermare gli inadatti che si riproducono come conigli”, nonostante ciò non avesse senso da un punto di vista darwiniano (che avrebbe giudicato inadatte proprio le classi agiate e poco (ri)produttive). Passando alla sociobiologia e alla psicologia evolutiva, si lascia il piano politico per concentrasi sul personale o, meglio, sull’intimo: ecco che spuntano fuori “storie proprio così” che spiegano la natura “adattativa” di ogni sorta di comportamento sessuale. Dato che comportamenti come l’infedeltà e lo stupro esistono, la selezione naturale dovrebbe aver favorito tali comportamenti, quindi certamente lo ha fatto: ecco come raccontare storie le fa diventare dei fatti (mentre non sono altro che speculazioni, per lo meno nella stragrande maggioranza dei casi). La mossa successiva, scrive Hughens, è solitamente deplorare tali comportamenti: fanno parte della nostra eredità, ma oggigiorno non li approviamo. Ma se “noi ora sappiamo” che i comportamenti egoistici dei nostri avi sono immorali, come siamo arrivati a saperlo? Su quali basi diciamo che qualcosa è sbagliato se il nostro comportamento non è altro che una conseguenza della selezione? E se desideriamo di essere moralmente migliori dei nostri antenati, siamo liberi di esserlo? O siamo programmati per comportarci in un modo che ora, per qualche motivo, deploriamo?
Parte di questo approccio evoluzionistico mira, naturalmente, a smontare la morale: se essa deriva dalla selezione naturale, dicono, non può riferirsi ad alcuna verità etica oggettiva. Una possibile replica potrebbe consistere nel sostenere che, semplicemente, quella che s’è evoluta è la capacità di comprendere la natura umana, e che le proposizioni etiche derivino dalla comprensione di tale natura: ma questo è ciò che sosteneva Aristotele nell’Etica Nicomachea! Eppure non tutti gli scientisti riducono l’etica all’evoluzione. Alcuni, come Sam Harris, si basano sull’utilitarismo: il criterio per giudicare la moralità di un comportamento consiste nel contributo che tale comportamento offre al “benessere delle creature coscienti”, così si cerca di aggirare la distinzione fatti-valori concentrandosi solo sui fatti, ma si finisce poi per affermare certi valori su altri, e senza discuterli. Harris, ad esempio, “dimentica” di definire quel “coscienti”: non è forse vero che la coscienza è strettamente legata alla dimensione temporale? Il benessere di esseri che saranno coscienti (gli embrioni), o che potrebbero esserlo di nuovo (i pazienti in stato vegetativo) non conta nulla? E perché? E se ad Harris interessano solo le creature coscienti nel momento presente, perché mai non consumiamo all’istante tutte le risorse del pianeta per trarne il più possibile, fregandocene delle generazioni future? Ma ancora, con quali fattori si calcola il benessere? Harris si appella alle neuroscienze, bene, ma il fatto che sappiamo quali sono le differenze tra l’organismo di una persona ben nutrita e quello di una che sta morendo di fame non contribuisce certo gran che alla soluzione del problema della fame nel mondo: il fattore che fa la differenza non è interno, ma esterno, ed è il cibo! E sapere che il sistema nervoso reagisce in un certo modo in uno stato di malnutrizione non aggiunge un bel nulla alla discussione riguardante il problema, che consiste nel comprendere come evitare che proprio quelle condizioni attivino certi comportamenti del sistema nervoso, se vogliamo vederla da quel punto di vista. Il fulcro del problema, poi, si fa palese quando ci si mette a parlare dei comportamenti propriamente etici: Harris ricava, dai suoi dati, che le azioni dei criminali vengano determinate da qualche combinazione di “geni sbagliati, famiglia sbagliata, idee sbagliate e sfortuna”. Ora, tralasciando la storia dei geni che ci riporta all’eugenetica, la domanda etica non è “quali sono le condizioni che formano una buona persona?”, ma “Come possiamo fare in modo che tutti vivano in circostanze che non li costringano a diventare criminali?” Semplice: con complesse discussioni di filosofia, diritto, politica che portino a capire quale sia la vita buona e come si possa garantirla. Ciò che fa lo scientismo è, semplicemente, presentare come soluzioni originali quelli che non sono altro che i termini da cui prendono parte discussioni iniziate millenni fa.
La conclusione di Hughens è questa: l’ultima a ridere sarà la filosofia, perché lo scientismo rivela continue confusioni concettuali che risultano ovvie alla riflessione filosofica; piuttosto che renderla obsoleta, si sta preparando il terreno per un revival sempre più necessario. Arriva poi a dire che, se chiamiamo superstizione l’insistere testardamente nell’affermare che qualcosa abbia poteri che non sono supportati da alcuna evidenza, ecco che questa è la natura dello scientismo. Una natura pericolosa, perché potrebbe minare gravemente la credibilità della scienza stessa, spingendo la gente a dubitarne anche quando discute dei suoi veri campi di competenza. L’augurio dell’autore è che giunga un nuovo illuminismo, capace di rimettere al loro posto certe superstizioni spacciate per scienze empiriche.
Considerato com’è andata la storia, compresa la constatazione che è proprio in un clima post-illuminista che presero vita le suggestioni scientiste, noi ci limitiamo a sperare che le prossime generazioni di scienziati dispongano di una formazione filosofica tale da comprendere che il campo di esperienze delle scienze empiriche ha dei confini, che non possono essere valicati senza iniziare a parlare di filosofia, anche quando non ce se ne rende conto.
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84 commenti a La follia dello scientismo e il ruolo della filosofia
Nessuno nega che ci siano scienziati disonesti e truffatori, ma non c’entra nulla con la serietà della scienza.
Il problema non è la scienza ma lo scientismo.
Il punto è che lo scientismo è una tesi filosofica che contraddice se stessa.
Afferma, in sostanza, che solo la scienza è fonte di verità e di ‘risposte sensate e significative’
Il problema che questa affermazione non è provabile scientificamente, ma è per se stessa una affermazione metafisica.
Quindi, come per il positivismo logico (che asserisce qualcosa di molto simile allo scientismo), lo scientismo contraddice se stesso.
La scienza non “è” verità, la scienza cerca di trovarla, di trovare risposte oggettive e ripetibili, la scienza è innanzitutto lo strumento migliore che abbiamo per “dimostrare” qualcosa, tutto il resto è opinione.
“la scienza è innanzitutto lo strumento migliore che abbiamo per “dimostrare” qualcosa”…anche questa è un’opinione dunque, giusto?
Ma perché confondi il dimostrare con il vero? Ti hanno mai detto che tutto quello su cui basi la tua vita non è dimostrato?
Ad esempio, gli scienziati ti hanno mai dimostrato scientificamente che tua madre ti ha voluto bene? No? E perché continui a crederci?
Perchè la vedo, mi tocca, esiste, mi dimostra che mi ama con le sue azioni e con le sue parole.
Saluti.
Nessuno scienziato ti ha dimostrato che tua madre non ti sta ingannando, anche un’attrice saprebbe toccarti, esistere e fingere di amarti con le sue azioni e le sue parole. Ancora a credere a cose non scientificamente dimostrate?? Svegliati e porta subito tua madre e i tuoi cari in un laboratorio di analisi!
Ah. Lei dice in quel senso. No, ho la sensazione che mi ami, si, certo, c’è una possibilità infinitesimale che menta etc. etc. ma mi pare inverosimile, non l’ho mai calcolata. Dunque non ho mai sentito l’esigenza di portarla in laboratori d’analisi, ove secondo lei cercherebbero di appurare se mi vuole bene.
Si aspettava una risposta molto differente alla sua sagacissima domanda?
Saluti.
Quindi hai passato la vita con tua mamma (e ora con tua moglie, altra potenziale attrice!) senza dimostrazione che ti voglia bene? Tutto per una sorta di fideismo bigotto?? Ma è assurdo!! Poi mi hanno detto che metti la tua vita in pericolo ogni volta che vai in pizzeria e mangi la pizza senza alcuna dimostrazione scientifica che non vi sia dentro del veleno…tu sei fuori di testa!! Hai fatto un esame scientifico sulla sedia su cui sei seduto? Potrebbe crollare da un momento all’altro e tu ci resti seduto sopra? Ma allora non hai davvero limiti…devi aprirti alla scienza bigotto!!!
Penso che fare con lei il discorso dell’uso regolativo vs uso costitutivo degli assunti sia fare il passo decisamente più lungo della gamba.
Da un punto di vista logico, lei non può affermare con il 100% di sicurezza che sua madre le voglia bene, che sua moglie non le avvelenerà la minestra, o che la pizza che va a mangiare con gli amici non sia condita con la stricnina.
Poi, può esprimere una ragionevole convinzione che tutte queste cose di cui sopra non possano avvenire.
Ma c’è una differenza ABISSALE, da un punto di vista ontologico, tra una certezza assoluta e una ragionevole convinzione.
Differenza che, per quanto macroscopica, pare che non venga colta dai più
Non credo che Davide cercasse degli avvocati, sopratutto se fanno affermazioni più inopportune di quanto è capace lui.
Non ti accorgi che la tua “ragionevole convinzione” altro non è che un mero atto di fede? Ti fidi che la minestra sia “pulita”, ti “fidi” di tua madre ecc.
Lo hai confermato tu: da determinati segni e indizi arrivi ad una ragionevole certezza usando il metodo della fede, proprio l’opposto della tesi laicista che voleva sostenere Davide.
La scienza non potrà mai far raggiungere un livello così alto di certezza come invece può il metodo della fede, ma questo è già un passaggio troppo complicato per voi.
No, sono i soliti sofismi. La scienza non risponderà mai a determinate domande, ma il suo approccio è apprezzabile. E’ il metodo sperimentale che è il modello migliore per analizzare la realtà.
Filosofie e religioni sono ampiamente manipolabili, non a caso in 2000 anni ogni popolo è rimasto con la sua religione e con la sua filosofia, perchè nulla di dimostrato è anche nulla che può essere confutato: è tutto vero e tutto falso, tanto non si dimostra nulla se non con sofismi.
Saluti.
Appunto, nessuno ti ha mai dimostrato che tua madre ti vuole bene davvero e non stia fingendo, dunque il tuo è puro sofismo. Il mio consiglio? O la porti in un laboratorio di analisi oppure sparisci dalla sua vita, è l’unica posizione razionale per un razionalista.
se alla Chiesa avesse fatto paura la scienza saremmo mooolto più indietro. Il motivo per cui gran parte degli scientisti possono asserire che “l’uomo viene dalla scimmia” (cosa di cui mi permetto non di dissentire, ma di dubitare, non avendo mai visto una scimmia partorire una non-scimmia), è nel D.N.A….. che lavoro faceva quel signore che incrociando i piselli si accorse dell’ereditarietà? ed era forse ateo quello lì che aiutò un eminente scienziato (a quanto pare teista) nella scoperta del big-bang (= e luce fu)?. Eppure loro sono scientificamente convinti del caso, tanto da scommettere sull’inesistenza di ogni cosa predicata dalla religione, pena il dolore eterno. Noi ci limitiamo semplicemente a non contestare, con teorie abbastanza improbabili, determinati eventi storici, anche se scritti da “cronisti di serie B”, seppur concordi, decisi a tutto (fino al supplizio) pur di testimoniare, in luoghi diversi, ciò che avevano visto, ed effettivamente senza scopi materiali di lucro. Ma ovviamente gli intelliggentoni sono loro (gli scientisti) e va a finire che noi semplicemente non capiamo la scienza (noi che l’abbiamo scoperta….) perché loro “hanno dimostrato scientificamente che l’universo è nato dal nulla”. In futuro, a meno di apostasia conseguente inizio della fine, questa sarà una buona barzelletta da pensionati al bar. Tuttavia, mi rivolgo ai cristiani, non bisogna odiarli nonostante la loro presunzione e la loro contestazione di cose vere con cose non dimostrate. Bisogna, lo so è difficile, rispettarli come fratelli finché sono ancora in vita. Scusate la lungaggine. Ora torno a studiare va….
@manuzzo 86
Lo scopo della scienza è quello di fornire una descrizione approssimativamente vera della realtà. Questo obiettivo è raggiungibile in quanto:
– Le teorie scientifiche sono sia vere, sia false.
– La loro verità (o la falsità) è letteraria e non metaforica.
– Non dipende in nessun modo dalle nostre tendenze, convinzioni o volere, dalla struttura della nostra mente, o della società in cui viviamo.
Inoltre, nessun scienziato (degno di questo nome) ha la pretesa di affermare che una qualsiasi teoria scientifica sia definitiva !
P.S. Sembra ragionevole supporre che nessuna delle entità postulate dalle nostre teorie attuali sia assolutamente fondamentale, ma tutte le entità teoriche delle nostre teorie ben confermate conserveranno un certo status come entità derivate nelle teorie che avverranno in futuro.
sbagliato, le teorie scientifiche sono teorie in quanto tutte da dimostrare, in tal caso evolvono a Leggi.
@Contedduca
Da quello che scrive Lei sembra ignorare che il termine “teoria”, in ambito scientifico, ha un significato relativamente diverso da quello del linguaggio comune ! Questo puo’ portare a malintesi o fraintendimenti. Per sua informazione : le teorie che spiegano le osservazioni vengono accettate finché un’altra osservazione non è in disaccordo con esse. In questi casi, la teoria incriminata viene eliminata oppure, entro una certa misura, modificata per poter capire l’osservazione. Sperando di essere stato chiaro
Caro Michele,
intanto complimenti per un articolo bello e denso, quanto a chi sarà ‘l’ultimo a ridere’ non lo so, so però chi è il ‘primo a piangere’ è pradossalmente è proprio la scienza che è la prima vittima dello scientismo.
Il lavoro dello scienziato è un lavoro artigiano che si confronta ogni momento con la dura realtà delle cose, che immunizza contro ogni ideologia ed educa al sano realismo (.tomista oserei dire). Nessuno scienziato serio si lancerebbe in buonafede in voli piandarici sulla morale, l’etica o il multiverso, semplicemente l’orizzonte delle teorie non sperimentabili è fuori dalla scienza e stop.
La sostituzione della scienza con l’idolatria scientista toglie progressivamente dal mondo un pensiero onesto ed umile con conseguenze pernciose su tutta la società (nessuno ormai si stupisce di sentire un giornalista e un politico dire tutto e il contrario di tutto in pochi giorni, si pensi tanto per fare un esempio di attualità alla promozione dei grillini da ‘fascisti mestatori’ a ‘eroi rivoluzionari’ da parte di una certa stampa ..) chi coltiva il legame con il reale, la verifica sperimentale comincia anche ad essere osteggiato dalla comunità scientifica. Ecco allora che la scienza (quella vera) è ormai la trincea dove si combatte lo scientismo (tanti filosofi ne sembrano ahimè preda sia che critichino per partito preso il pensiero tecnico-scientifico sia che lo esaltino senza comunque capire di che cosa stanno parlando).
Non tu però caro Michele che ci offri un articolo serio ed equilibrato.
“Nessuno scienziato serio si lancerebbe in buonafede in voli piandarici sulla morale, l’etica o il multiverso, semplicemente l’orizzonte delle teorie non sperimentabili è fuori dalla scienza e stop.”
O meglio, è perfettamente lecito che lo faccia (Einstein mi pare un ottimo esempio a questo proposito, e fornisce inoltre una weltanshauung piuttosto interessante) riconoscendo però ai suoi voli pindarici il loro essere voli pindarici e basta.
Voglio sottolineare, comunque, che di mio nell’articolo c’è ben poco, per il 90% è roba di Huges 😛
Articolo decisamente interessante, e che condivido nella linea di fondo: se si vuole discutere su questioni che, seguendo la definizione popperiana (e non quella più comune…), non sono scientifiche, bisogna sempre aver presente che si sta parlando di niente di più e niente di meno di aria fritta.
Aria fritta che può avere un ruolo molto importante nella realizzazione di Scienza popperiana, rappresentando spesso una “via” per la ricerca, ma resta in ogni caso aria fritta.
O, per essere un po’ più rispettosi (e citare chi, fondamentalmente, aveva già detto tutto a proposito della questione della demarcazione), Noumeno non indagabile
Ho però due perplessità.
1. L’autore scrive: “Esistono tuttavia teorie che identificano la scienza con le “istituzioni sociali” che la rappresentano e con coloro che la praticano.”
Il primo a farlo è proprio Popper: nelle “Congetture e Confutazioni” parla proprio di Scienza come risultato dell’approvazione della comunità degli scienziati.
2. Il fatto che tradizionalmente un campo fosse filosofico, non significa affatto che lo debba rimanere in eterno: la Fisica, ad esempio, prima di Galileo, era tipicamente “filosofica”.
Personalmente, penso che l’ambito di indagine della filosofia si ridurrà sistematicamente fino ad arrivare, come è giusto ed inevitabile che sia, all’indagine del solo Noumeno.
“Personalmente, penso che l’ambito di indagine della filosofia si ridurrà sistematicamente fino ad arrivare, come è giusto ed inevitabile che sia, all’indagine del solo Noumeno.”
Onestamente non mi sembra affatto inevitabile. Sul “giusto”, poi, è meglio stare attenti, specialmente in campo morale: quando lo stato, o un’autorità superiore, ha provato a delineare un’etica che coinvolgesse forzatamente ogni individuo, sono sempre nati dei pasticci.
Beh, tra una disciplina qualitativa e una quantitativa si preferisce sempre la seconda (che è quella che ha miglior capacità predittiva, in senso popperiano), quindi è inevitabile che, laddove si riscontri la possibilità di quantificare un fenomeno non ancora quantificato, lo si faccia.
Per il giusto, mi sembra che la questione quantitativo/non quantitativo non abbia connotazioni morali: il mio giusto era per mostrare come un processo di questo genere sia conforme alla tendenza umana di spiegare sempre meglio quello che si vede.
Temo che alcune cose siano irriducibili al misurabile, e questo è un dato d’esperienza.
Poi, la fede è l’ultima a morire.
Lo stesso dato di esperienza che portava Galileo a parlare del colore come caratteristica esclusivamente soggettiva, quando ora sappiamo che possiamo “misurare” di che colore è un determinato oggetto analizzando (in maniera MOLTO quantitativa) lo spettro della sua radiazione luminosa?
Non si confuta un’affermazione con un solo caso e per di più “particolare”. Lo sai che è una fallacia logica, vero?
Secondo Popper basta una confutazione, e l’intera teoria è da buttare nel cesso.
Eccolo qui il grande danno dello scientismo. Confondere una cosa come l’esperienza con una teoria scientifica da confutare “secondo Popper”.
Ti spiego una cosa: c’è una abissale differenza tra una teoria scientifica e la frase che tu vorresti confutare. La prima pretende di essere sistematica, deterministica; la seconda ti sta parlando di un dato di fatto, di valori “sperimentali” se vogliamo. Come fai a confutare la realtà come se fosse una teoria? È un delirio da allucinati!!
Ti è stato detto:
e non hai capito nulla, come al solito. C’è un dato di fatto: alcune cose non sono irriducibili al misurabile. Corollario: questo risultato è sperimentale, viene dall’esperienza.
Non puoi confutare questi postulati dicendo che esiste un caso in cui non è così, perché già la frase dice “alcune cose”. In altre parole solo uno stupido risponderebbe come hai risposto. Per confutare ciò che ti era stato chiesto avresti dovuto prendere tutte quelle “alcune cose” e confutarle una per una, per poter finalmente dire che tutte le cose sono riducibili al misurabile·
Non solo non l’hai fatto ma hai avuto anche la spudoratezza di continuare a cercare di difendere la tua idiozia.
Fammi una cortesia, buttati nel cesso
Temo di non esser d’accordo con i Suoi 2 punti, Matyt.
1. Quando Popper si riferisce al giudizio della comunita’ scientifica, lo fa sempre riguardo ai problemi che rientrano nel dominio scientifico, e non ai problemi etici, politici, sociali, ecc. Il timbro della comunita’ scientifica non e’ il potere della maggioranza, per Popper, ma solo una garanzia di controllo sul rispetto dei protocolli scientifici (v. per es., il caso dei neutrini superluminali!).
2. A meno che Lei non intenda con noumeno, oltre agli oggetti della metafisica, anche quelli dell’etica, dell’estetica, della politica, della cultura, della storia, ecc., ecc., facciamo secondo me a dire prima cio’ che appartiene alla scienza sperimentale, piuttosto che cio’ che apparterra’ sempre alla filosofia. E alla scienza sperimentale appartengono le galileiane affezioni. Tutto qua.
Mi associo alla sua puntuale risposta ai problemi sollevati da Matyt, riportando la questione nel suo giusto alveo.
C’è tuttavia un aspetto che continua a lasciarmi perplesso e su cui spenderei qualche parola, confidando magari in una chiarificazione da parte sua o di altri.
Leggo nell’articolo che secondo Popper “una teoria è scientifica solo se risulta possibile pensare un’evidenza empirica che la dimostri errata: tutto il resto, ovviamente, cade al di fuori del campo della scienza.”
Ecco, a me non sembra che questo sia il pensiero dell’epistemologo austriaco, il quale è ben lontano dal considerare scientifico solo ciò che è empiricamente verificabile.
Al contrario, considerando che scientifico è semmai il metodo conoscitivo – che si muove per affinamento successivo di teorizzazioni generali, su di un piano propriamente deduttivo e non certo induttivo – la tradizionale demarcazione tra scienze esatte e “tutto il resto” appare superata nei fatti e non più plausibile (senza considerare gli esiti epistemologici del principio di indeterminazione).
Anche la storia o la storiografia o la sociologia o il diritto, insomma, sono scienze come la fisica e la biologia, pur non avendo alcun momento di verifica empirica o misurativa.
Tale mi è sempre sembrata la posizione popperiana autentica.
Sarei grato per eventuali pareri, correzioni o chiarimenti.
Non sono un esperto di Popper, però non sarei d’accordo con Lei, Gibbì. Secondo me, Popper col suo criterio di falsificabilità empirica intendeva stabilire una demarcazione tra scienza naturale e le altre scienze “umane”, sulla falsariga di Galileo.
Io però non darei più di tanto peso alla questione, perché comunque, anche su questo Popper ha mostrato di aver capito molto poco delle forze reali che muovono la moderna tecno-scienza e che sono ben state svelate da Lakatos, Kuhn, ecc.
Non so, io Popper un po’ l’ho studiato e non mi sembra che le cose stiano così.
Tra l’altro è proprio con Popper che decade – o comincia la decadenza – della divisione tra scienze naturali e scienze umane che, a quanto so, non sarà contraddetta dagli altri autori citati.
Però probabilmente lei ne sa più di me.
Conosco molto bene Popper (del quale ho letto penso tutte le opere principali), e posso dirvi che la sua posizione è esattamente quella che pensate sia errata: Popper sostiene che l’unico criterio di demarcazione per distinguere la Scienza dalla nonscienza (o Metafisica, per usare il suo lessico), sia proprio quello dell’esperimento cruciale, ovvero il pensare un’evidenza empirica che possa falsificare la teoria.
Non fa mai riferimento a una possibile demarcazione tra scienze naturali e scienze umane: anzi, fa proprio riferimento a due tra le più famose “scienze” umane (la psicanalisi e la storia) come tipico esempio di discipline pseudoscientifiche, che in realtà non lo sono.
Proprio in quest’ottica parlo di “scientifizzazione” della filosofia: penso ad esempio alle moderne neuroscienze, che stanno lentamente offrendo una visione più quantitativa di quello che Freud analizzava in modo brutalmente qualitativo, oppure la moderna microeconomia, che fornisce una spiegazione quantitativa (e falsificabile…) dei processi di decision making del consumatore.
Inoltre, nelle “Congetture…” Popper afferma proprio come non sia affatto il metodo a garantire che qualcosa sia scienza (portando il famoso e pittoresco esempio di F.A. Kekulè, che ha “visto” in sogno la corretta forma della molecola del benzene), ma proprio questa “falsificabilità”, condizione necessaria e sufficiente a fare di una teoria una proposizione “scientifica”.
Non conosco l’opera di Lakatos (per quanto ricordi di averne sentito parlare, e probabilmente di averne pur letto qualcosa…), e di Kuhn ho consultato solo “La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche”, che, per quanto fosse estremamente amato dalla mia professoressa di filosofia del liceo, mi è sempre sembrato un libro piuttosto ingenuotto, che teorizzava discontinuità forti laddove, effettivamente, non potevano essere osservate.
Ammesso che si capisca qualcosa del suo commento – e io francamente non capisco chi lei voglia confutare e su cosa – io di Popper ho capito soprattutto una cosa: che il suo antidogmatismo era rivolto più alle scienze umane che non alle scienze naturali.
Nella vulgata è passato soprattutto il contrario, il che è quantomeno grossolano.
L’epistemologia di Popper è un miracolo di semplicità, a differenza di certi discorsi che si fanno sul suo conto, e può essere riassunta nelle famose tre parole: problemi, teorie, critiche.
Chiunque voglia vedere in questa epistemologia qualche forma di empirismo di ritorno o di separazione metodologica tra discipline o sta barando o sta parlando delle proprie opinioni, senza saperlo.
Poi, magari, ho capito male io i concetti di Popper.
Ma vorrei che qualcuno si spiegasse in termini quantomeno comprensibili.
Cerco di riforumulare il tutto per punti:
1. Popper non parla mai di demarcazione (intesa come forumlazione di un criterio che permetta di distinguere) tra scienze umane e scienze naturali.
2. Popper sostiene esattamente l’opposto di quello che sostiene lei: è possibilità di verifica empirica quella che garantisce scientificità, e non il metodo, portando esempi di proposizioni scientifiche alle quali si è pervenuti senza seguire alcun metodo, e proposizioni antiscientifiche invece sostenute da una osservazione “orientata”.
Non so di quale Popper lei stia parlando.
Parlare di “verifica empirica” infatti è un’assoluta enormità teorica che lo stesso Popper avrebbe rigettato senza mezzi termini, stando a quello che lui stesso scrive, che a seguire brevemente riporto.
Dalla premessa della seconda edizione italiana de La Società Aperta e i suoi nemici: “Credo […]che in queste tre parole problemi-teorie-critiche si possa riassumere tutto quanto il modo di procedere della scienza naturale” E’ il modo di procedere del fisico e del sociologo, dello storico e del chimico, del biologo, dell’economista, dell’ermeneuta e del traduttore e del geologo…..Le nostre ipotesi non possono venir verificate (corsivo nel testo), non possiamo dimostrare la loro certa verità; esse, però, possono venir falsificate (il corsivo è sempre del testo)”….eccetera.
Mi sono limitato a riportare queste breve note introduttive, in parte di Dario Antiseri, nelle primissime pagine del libro, per non andare alla ricerca nel corpo del testo – o di altri testi relativi a Popper – dei passaggi relativi alla problematica sollevata.
Parlare di verifica empirica, nel caso di Popper, è completamente fuori luogo dato che si fa riferimento a teorie valide tanto per le scienze empiriche (fondate sull’osservazione esteriore di fenomeni)quanto per le scienze umane; entrambe si avvalgono, infatti, del metodo deduttivo (ricavato da una teorizzazione generale di sfondo che dà senso all’intero quadro).
I più recenti emuli degli empiristi – i c.d. “verificazionisti” come Carnap e Neurath – hanno poco o nulla a che fare con Popper.
Almeno stando a quello che c’è scritto sui libri.
Poi c’è Matyt con le sue strambe “verità”…..
Aggiungo come contributo alla riflessione più generale.
Il grande lascito di Popper sta nell’aver argomentato in modo straordinario l’indeducibilità dei valori dai fatti.
In altre parole, a differenza della scienza attuale che milita per una qualche visione del mondo al posto di un’altra, occupando (appunto) indebitamente il campo di indagine della filosofia, nessuna scienza di nessun tipo potrà mai dirci cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è bene e cosa è male.
Mentre la pretesa degli scientisti – e dei laicisti al seguito – è esattamente questa: quella di fondare un’etica su basi scientifiche (pensiamo all’unione omosessuale, agli stili di vita vegetariani, all’ambientalismo catastrofista eccetera…).
Tirare per la giacchetta pure Popper, per queste finalità indecenti, mi sembra davvero troppo.
“Popper stresses in particular that there is no unique way, no single method such as induction, which functions as the route to scientific theory, a view which Einstein personally endorsed with his affirmation that ‘There is no logical path leading to [the highly universal laws of science]. They can only be reached by intuition, based upon something like an intellectual love of the objects of experience’”
A riprova del fatto che il problema non sta affatto nel metodo, ma nella falsificabilità.
“The fourth and final step is the testing of a theory by the empirical application of the conclusions derived from it. If such conclusions are shown to be true, the theory is corroborated (but never verified).”
Un riferimento più esplicito al controllo empirico delle teorie mi pare non possa esistere.
(tutte le citazioni sono, per mancanza di tempo nell’andare a scartabellare le opere orginali, da http://plato.stanford.edu/entries/popper/ )
Per quanto riguarda Carnap e Neurath (ma più in generale la scuola di Vienna), la questione è differente: in quel caso il criterio di demarcazione veniva stabilito, facendo tesoro delle speculazioni di Wittgenstein, in senso vs. mancanza di senso.
Sarà, ma i nostri due Popper sono un filo diversi: il problema è che pare che gli studiosi di Stanford siano d’accordo con me….
“But never verified” a lei sembra una verifica?
Il richiamo forte al momento intuitivo che lo collega e lo avvicina ad Einstein le sembra empirismo?
E’ certo che i nostri due Popper sono diversi.
Si tratta di capire quale sia quello vero.
No, proprio non ci arriva.
1. Insiste a parlarmi di Metodo Scientifico, quando penso ormai sia chiaro anche ai sassi che Popper non ritiene in alcun modo l’aderenza ad un metodo come garanzia di scientificità
2. Mi dice che Popper non crede alla valutazione empirica delle teorie quando il concetto di falsificabilità è SOLO ed ESCLUSIVAMENTE empirico, visto che non fa altro che andare a valutare il risultato di un esperimento.
Ora, sinceramente, non so più neanche cosa dirle.
Io non c’arrivo.
Allora vediamo se c’arriva lei scendendo sul concreto.
Una teoria odierna vorrebbe che l’omosessualità sia un comportamento sessuale “normale”, privo di conseguenze per la famiglia e per eventuali figli aggregati in un modo o nell’altro alle coppie omosessuali.
Nessuna evidenza empirica sostiene questa teoria mentre, dall’altro lato, ci sono ricerche che hanno cominciato ad enumerare (a misurare) le statistiche del disagio sociale correlate al fenomeno.
Mi sembra che qualcosa in materia sia stato postato anche in questo sito ma non saprei linkare l’articolo.
Naturalmente, intorno alla questione non si possono fare “esperimenti”, ossia ciò che distinguerebbe, secondo la sua interpretazione di Popper, la scienza dalla non scienza. Salvo che si voglia considerare la scelta politica del matrimonio gay come una sorta di esperimento di “tecnologia sociale” (questa l’espressione terminologica di Popper) di cui gli effetti si osserveranno nelle conseguenze sociali effettive delle prossime generazioni.
Secondo lei – che non sa più cosa dire per fare il maestrino – e secondo la sua asserita comprensione di Popper, la teoria della normalità omosessuale sarebbe o non sarebbe, indipendentemente da ogni sperimentazione, confutabile sulla base dei dati attualmente posseduti?
E ancora secondo il suo genio: Popper la considererebbe una questione affrontabile in termini di razionalismo critico o materia di pura e semplice opinabilità ideologica ad libitum?
Vediamo se lei c’arriva così….
1. Sembra un bambino delle elementari, a darmi del maestrino: ribadisco, Popper è un filosofo a cui devo molta della mia weltanshauung, e quindi lo conosco molto bene, al contrario, probabilmente, di altri.
Socrate avrebbe detto che, in questi casi, sarebbe opportuno affermare di “sapere di non sapere”, ma transeat.
2. Mi pare, con la sua fissazione verso il Popper più “politico” che abbia letto solo ed esclusivamente “La Società Aperta e i Suoi Nemici”, opera affascinante e “formativa”, da un punto di vista della teoria politica e della difesa dai totalitarismi (mi auguro si sia soffermato con grande, grande attenzione sia all’analisi della teoria politica di Platone, sia alle parole crude che Popper rivolge al ciarlatano Hegel)
3. Passiamo finalmente ad analizzare il caso da lei proposto:
Formuliamo una teoria: Gli omosessuali sono buoni genitori.
Il tentativo di falsificazione consiste nel trovare cattivi genitori omosessuali.
Cattivi genitori omosessuali esistono.
Teoria confutata.
Proviamo a fare il caso opposto:
Teoria: Gli omosessuali sono cattivi genitori.
Tentativo di confutazione: devo trovare buoni genitori omosessuali.
Questo libro ne è pieno.
http://www.ibs.it/code/9788842816058/lalli-chiara/buoni-genitori-storie.html
Teoria confutata.
Bisogna cercare una sintesi, sintesi che, al momento, ne io ne lei riusciamo a raggiungere.
Altrimenti, uno dei due avrebbe preso un Nobel per la medicina, e il dibattito sul matrimonio agli omosessuali sarebbe morto da un pezzo, surclassato (come, ad esempio, la teoria razzista “biologica”) da più corrette teorie scientifiche.
Non mi pare difficile.
C’ha raggione Matyt: Popper e i popperiani (tra cui Lorenz, e chi mi conosce sa che sono fissato) senza experimentum crucis nemmeno ci provano a parlare di scienza, poi ovviamente questo non impone che l’esperimento empirico sia “concreto” o programmato, basta che sia pensabile (poi per la falsificazione effettiva ovviamente bisogna che entri in campo l’esperienza vera e propria, o comunque un’evidenza di qualche tipo).
peccato che lalli non sia un pulpito ragionevole e che le sue affermazioni siano più che discutibili, anni luce lontane dal poter confutare la qualunque: lalli su Uccr
Sorvolo sulla supponenza arrogante che, evidentemente, è un suo problema personale.
Sì, certo, mi sono occupato del Popper politico perché quello è il mio campo di interessi.
Tuttavia, sia dalla lettura dei suoi testi che dai commentari a corredo emerge con grande chiarezza che Popper non vede differenze di rilievo tra il metodo conoscitivo delle c.d. “scienze naturali” (empiriche) e le c.d. “scienze umane” (comportamentali) in quanto, entrambe, si avvalgono del medesimo schema procedimentale ricordato prima.
Questo è tanto vero che Popper se ne serve soprattutto per confutare la pretesa scientificità delle teorie marxiste (il socialismo scientifico) inscritte nell’errore paradigmatico dello storicismo.
Come è stato osservato da numerosi autori, non può essere falsificata la pretesa scientificità di una dottrina senza avvalersi di argomenti razionali ossia, in ultima analisi, scientifici.
Non solo, ma proprio in quanto nessuna disciplina, di qualunque statuto dotata, potrà mai raggiungere una “verità” conclusiva la distinzione tra scienza e non scienza perde molto del suo senso, a meno di rivolgersi ai fondamenti razionali del metodo conoscitivo (che è, infatti, l’oggetto dell’epistemologia).
Popper ne è talmente consapevole che, infatti, definisce le scienze sociali come una “tecnologia”, il che non è esattamente lo stesso che condannarle all’ignominia della non scientificità, della superstizione o, peggio, della demagogia.
Chiudo osservando che lei stesso cade nel medesimo errore scientista di cui si tratta, nel momento che lascia intendere che il razzismo biologico sarebbe stato soppiantato da “più corrette teorie scientifiche”.
Una minchioneria allo stato puro, dato che si tratta, al contrario, di un valore convenzionalmente sostenuto in sede politica.
Per uno che c’ha la “weltanshauung” popperiana tutta tirata a lucido è una bella smarronata….
Popper sostiene che l’unico criterio di demarcazione per distinguere la Scienza dalla nonscienza (o Metafisica, per usare il suo lessico), sia proprio quello dell’esperimento cruciale, ovvero il pensare un’evidenza empirica che possa falsificare la teoria.
Definizione impostata ad arte per ampliare in modo spropositato l’ambito della scienza. Ad es. la ripetitività dovè?
E qui entra in gioco la comunità scientifica, portata a ripetere l’esperimento cruciale per verificarne i risultati.
Mi scusi, vediamo se ho capito bene: per Popper la validazione di una teoria è basata sul tentativo di invalidarla e il processo logica->deduzione viene considerato superiore al normale processo induzione->intuizione.
Ma cosa serve questa visione quando generalmente l’osservazione del fenomeno naturale è propedeutica ad ogni costruzione teorica e ad ogni possibile critica ad essa? Ho come l’impressione che questa idea di scienza sia soprattutto pura speculazione. Mi ricordo che qualche giorno fa, voi cervelloni del blog, parlavate di multiverso, infiniti universi, ecc…; e in questo caso forse potrebbe far comodo il modo popperiano di concepire la scienza perché funzionale appunto a speculazioni scientifiche che, ragionevolmente, non troveranno mai la possibilità di essere validate sperimentando qualcosa che falsifica la teoria iniziale. Non so, resto comunque dell’idea che questa idea di scienza serve solo ad ampliare artificiosamente il campo della stessa scienza, e se così (scusate se mi ripeto) perché?
Dunque… in realtà la questione è un pelo più delicata.
Innanzitutto, Popper non parla mai di verificabilità di una teoria, proprio perchè si è reso conto che una tale opera possa giungere solo e soltanto attraverso l’induzione, che è, per nostri limiti intrinseci, incompleta.
Le teorie, quindi, non sono “vere” in senso ontologico, semplicemente sono sopravvissute ai tentativi di falsificazione alle quali sono sottoposte.
Inoltre, non sostiene mai che la deduzione sia superiore all’induzione: l’unica cosa che a Popper interessa è che un assunto sia falsificabile, indipendentemente da come esso è stato “partorito”.
Le speculazioni scientifiche sul multiverso (e su Dio…) sono antiscientifiche proprio per questo: dal momento che è impossibile realizzare una circostanza in cui possa falsificare la teoria, tali affermazioni sono non-scientifiche.
Provi a rifletterci: il criterio di falsificabilità è in realtà estremamente severo, e pochissime discipline riescono realmente a soddisfarlo…
Se in definitiva la definizione Popper porta a concludere che tante prove a sostegno di una tesi scientifica non valgono praticamente niente in rapporto ad una prova che invalidi quella stessa tesi, certo che non può che essere considerato un metodo severo.
Ma a questo punto raramente sarà possibile ammettere la scientificità di una tesi nel momento in cui altrettanto raramente (o con difficoltà) si possa dimostrare la falsificabilità di quella stessa tesi. Come la mettiamo con il divenire della scienza, almeno dopo Galileo? Quante scoperte scientifiche sono state facilmente ed empiricamente sconfessate (e non improponibilmente empiricamente falsificate) e in tal modo successivamente naturalmente approfondite fino ad essere annoverate nell’ambito dell’acquisito scientifico? Se il metodo Popper viene considerato probatorio non é che rischiamo di avere meno progresso scientifico?
Tra l’altro, vista da questo punto di vista, la visione popperiana non amplia l’ambito della scienza (come erroneamente pensavo) ma anzi lo restringe.
@Gibbi
La storia, sociologia o diritto -e non solo- non mi risulta facciano parte della scienza !
Inoltre, contrariamente a quello che certi credono, scrivono e/o dicono, non esiste nessuna branca della scienza esatta, o considerata tale !
1. Ovviamente il discorso di Scienza come approvazione della comunità di scienziati si presuppone solo ed esclusivamente per teorie scientifiche, e a posteriori: ovvero si suppone che tutta la Comunità sia sufficientemente onesta intellettualmente da riconoscere che una teoria è smentita se l’esperimento cruciale è andato male.
2. Onestamente, non mi sono mai concretamente posto il problema: sono però convinto che le discipline per così dire “descrittive” (Economia, Sociologia, Psicologia, e più in generale le Neuroscienze) diventeranno esclusivamente quantitative, e cesseranno di essere appannaggio dei filosofi.
Per riprendere la sua definizione, ormai le galileiane affezioni comprendono molti più fenomeni di quelli che lo stesso galileo poteva immaginare.
Quelle “produttive” (Etica, Estetica) rimarranno filosofiche, in quanto risulta impossibile accordarsi su una definizione univoca del loro oggetto di analisi (e mi rincresce di dover diventare wittgensteiniano)…
Il problema dell’economia non è di non saper misurare la “quantità” (di merci, pil, prezzi, valute, ecc. – che fa da sempre), ma di non saper “prevedere” nulla. E questo vale ancor più per la sociologia, la psicologia, ecc., ecc., fino alla biologia (secondo Stuart Kauffman). Perché, Matyt, la scienza moderna non è fatta solo di misure di alcune “affezioni”, ma di teorie matematiche costruite sulle misure delle affezioni che permettano predizioni (possibilmente “prima”, non “dopo” come fanno i giornali sportivi al lunedì per spiegare perché la squadra A ha perso e la squadra B ha vinto) e falsificazioni.
Questa fiducia sulle n-ple ci divide, Matyt: Lei pensa che man mano che procederà il galileiano setaccio delle affezioni dalle essenze, la scienza progredirà. Io, invece, penso pascalianamente che la ricchezza delle essenze è infinita ed irriducibile all’affezione e che, per es., nessuna n-pla della fisica o delle neuroscienze descriverà mai, neanche lontanamente, la sensazione del rosso o la vertigine dell’amore.
….la fisica o neuroscienza non descriverà mai, neanche lontanamente, la senzazione del rosso o la vertigine dell’amore…..
@Giorgio Masiero
Rispetto questa sua affermazione ma non la condivido !
Anche se ammetto che la scienza abbia i suoi limiti. Il nostro encefalo è molto più limitato di quanto si possa immaginare : non funziona con chiave « istruzionista » ma « selezionista », in altre parole non ha evoluto per potere descrivere la «realtà »…Malgrado questo la neuroscienza ha scoperto e dimostrato dei fenomeni psichici umani insospettati solo qualche decennio fa, che la maggioranza della gente ignora !
A titolo di esempio : quasi sette miliardi di persone sono convinte che i colori che noi « vediamo » esistono realmente nella natura…..Potrei anche, se lo desidera, inviarle qualche decine di esempi simili…..
Non è perché il nostro sapere è limitato che dobbiamo rifiutarci di formulare delle ipotesi fondate a partire da quello che sappiamo. Non dobbiamo confondere “sconosciuto” con “inconoscibile”. Nulla è inconoscibile! Lo scopo della scienza è quello di andare avanti e cercare di esplorare le terre attualmente indecifrate, che sembrano addirittura indecifrabili, come ad esempio le rappresentazioni sociali.
Mi piace il suo approccio.
Non condivido però una sua affermazione:
Esistono cose inconoscibili: il Noumeno ad esempio (o banalmente, il perchè esistiamo…)
@Matyt
Non esiste una definizione unicha e soprattutto chiara di noumeno !
Il noumeno, come concetto, fonda l’idea di metafisica in Platone !
L’esplicazione delle relazioni che intercorrono tra la realtà noumenica e quella fenomenica è una delle questioni più spinose, ma anche fantasmatiche, della filosofia di Kant.
P.S. “Il concetto di cane, non abbaia”….enuncia l’idea secondo la quale un pensiero filosofico e immateriale si distingue dalla realtà materiale, in altre parole, l’applicazione nella realtà di un idea puo’ rivelarsi in contraddizione con l’idea stessa. Questo non significa che la cosa in sé, che non possiamo farne l’esperienza, non abbia consistenza, questo concetto ha una “realtà” ma che esiste solo nell’ordine del pensiero o immaginazione umana !
Su questo siamo senz’altro d’accordo.
Resta il fatto che possiamo affermare senza ombra di dubbio che alcune questioni metafisiche non abbiano praticamente alcuna ripercussione tangibile e “controllabile” sul mondo reale, e quindi restino non conoscibili.
@Matyt
Forse avrà capito leggendo i miei commenti che mi considero materialista e non dualista. Non posso immaginare che esista qualcosa al dilà dell’energia o materia barionica, anche perché nessuno ha potuto dimostrarlo ! La metafisica o l’immateriale è un terreno che considero “sterile” ; non entra nell’ambito della metodologia scientifica, non puo’ essere ne amalgamato ne capito dalla scienza !
Non ho seguito il dibattito, perciò mi scuso innanzitutto perchè non so quali per lei siano le quaestioni metafisiche con o senza ripercussioni. Intervengo comunque perché scorrendo questa ultima affermazione e qualcosa del dibattito precedente su epistemologia e metafisica mi pare si sia arrivati a toccare un punto per me cruciale. Io direi così:
– Il fatto che una questione non abbia ripercussioni tangibili sulla realtà non vuol dire che la questione non ha senso o non debba/possa essere posta.
– Cercare un “senso” generale alla realtà mi pare sia esattamente lo spazio della religione. Evidentemente la realtà continuerà ad esistere indipendentemente dalla religione, eppure la scelta religiosa avrà effetti tangibili e verificabili sulla vita delle persone che vi aderiscono.
– La mia posizione é che la religione non possa essere in nessun modo ricondotta all’imposizione forzata di un Dio bizzoso né ad una necessità logica. Entrambe queste eventualità negherebbero sia il libero arbitrio che la razionalità e bontà di Dio. La religione non può che essere la libera scelta della coscienza alla ricerca di un senso ultimo per sé e per la realtà, perciò non ha assolutamente niente a che spartire con la scienza. Almeno nel senso che la scienza non può confermarla né confutarla. Questo non vuol dire che non abbia effetti sulla realtà, perchè il cristianesimo é una religione storica, fondata su fatti storici e con effetti sulla storia: gli effetti coincidono con la testimonianza che siamo in grado di darne. Per questo le crisi attuali non dipendono né dagli attacchi dei “cattivi” scienziati né da quelli dei “cattivi” filosofi, ma unicamente dalla nostra insufficiente testimonianza.
Dunque sarà fatta un’obbiezione micidiale alla scientismo, è il punto debole di platone:
DAL PENSIERO NON PROCEDE L’ESISTENZA DEI FATTI.
I cattolici già conoscono questa obiezione,solo che qua il sogetto saranno le sfrenate fantasie e i voli pindarici degli pseudoscienziati.
Aprrofitto di questo contesto per porre la vosta attenzione su ciò che il Prof. Angelo Vescovi, che sta lavorando ad un progetto per curare la SLA con le cellule staminali ADULTE (notate anche questo: Vescovi, pur essendo – per sua stessa ammissione – ateo, sostiene che l’uso di embrioni umani nella ricerca scientifica sia contrario all’etica, poiché considera, su basi scientifiche, che l’embrione non sia un grumo di cellule ma una persona: cioè la “battaglia” per la difesa dell’embrione umano non è una “fissazione” della Chiesa, ma è una presa di posizione che ha solide basi scientifiche, cioè è un altro esempio di come Fede e Scienza possano andare a braccetto), sta subendo, cioè un attacco subdolo e senza precedenti che mira a distuggere e infangare il suo prezioso lavoro. Qualcuno, senza autorizzazione, si è intrufolato in uno dei suoi laboratori e ha messo in uno dei frigoriferi un feto umano morto. Non è comunque la prima volta che Vescovi riceve attacchi subdoli: nei mesi scorsi ci fu una serie di telefonate anonime di minaccia nei suoi confronti. Vescovi ha ulteriormente ribadito che lui utilizza per i suoi studi soltanto FETI PRECEDENTEMENTE MORTI PER CAUSE NATURALI (cioè non c’è stato alcun sacrificio umano) e donati GRATUITAMENTE dai genitori al suo laboratorio (pensate che bella la scelta di questi genitori: pur nell’immenso dolore per aver perso un figlio, decidono di fare questo dono enorme alla comunità scientifica).
Evidentemente Vescovi e il suo staff (è importante dire anche che i suoi labpratori danno lavoro a parecchi giovani ricercatori in gamba) danno fastidio a quelle lobby che vorrebbero, per scopi economici e di propaganda laicista, usare solamente le staminali EMBRIONALI (che tra l’altro sembrano essere, da un punto di vista scientifico, non solo meno promettenti delle adulte, ma addirittura pericolose) per curare la SLA e le altre malattie.
Schieriamoci dalla parte di Vescovi e difendiamo la vera scienza contro questi subdoli scientisti e laicisti!
Sono stato in Bicocca, e anch’io sono stupefatto da questa cosa. Non è nemmeno la prima volta che accadono sabotaggi del genere, dice Vescovi: in altri due casi sarebbero stati distrutti dei campioni importanti per i suoi lavori (tirandoli fuori dall’azoto liquido e/o rovesciandoli in terra), da gente che evidentemente sapeva cosa cercare e come muoversi in un laboratorio.
Mi ricorda questo articolo di Israel:
http://gisrael.blogspot.it/2007/12/neanche-la-scienza-convince-gli.html
comunque io mi terrei cauto circa la provenienza di questi gesti assurdi, chissà che non salti fuori una brutta sorpresa…
Per “brutta sorpresa” cosa intendi?
Ecco… non vorrei apparire pessimista, ma a volte spuntano fuori sorprese circa l’origine di attacchi di questo genere. Non conosco il tenore delle minacce che Vescovi ha ricevuto, ma mi manterrei cauto perché, se la vicenda fosse avvenuta in America, qualcuno avrebbe potuto sospettare l’attività di fondamentalisti religiosi che hanno preso fischi per fiaschi.
Sapendo che i nostri amici laicisti non aspettano altro che il sorgere, anche in Italia, di qualche gruppo di estremisti cristiani, per fare vittimismo e gridare al complotto contro la scienza, il progresso, la ragione, l’Illuminismo, Galileo, Giordano Bruno e Moana Pozzi (leggasi al proposito la pagina di Nonciclopedia dedicata al sito Pontifex, recentemente chiuso), questa potrebbe essere una brutta sorpresa.
Angelo Vescovi, per essere precisi, è agnostico, non ateo :
“Luca Luigi Cavalli-Sforza le direbbe che la sua difesa dell’embrione è ideologica. Perché lei è un cattolico che pensa che in quel grumo di cellule c’è «un’anima individuale e immortale».
Io sono agnostico e, sebbene ritenga Cavalli-Sforza un eminente scienziato, non credo che il suo sia un ragionamento logico. Io non credo che nell’embrione ci sia l’anima, tuttavia sono sicuro, basandomi su considerazioni prettamente scientifiche, che quello è un essere umano sin dall’atto del concepimento. Di fronte all’essere umano la scienza si deve fermare perché essa opera per difenderlo e guarirlo, non per crearlo e distruggerlo. Parliamo tanto di ragione illuministica e poi quando dobbiamo usarla la accantoniamo per diventare dogmatici?”
Copiato da un intervista su “tempi”:
http://www.tempi.it/angelo-vescovi-la-mia-battaglia-le-staminali-adulte#.UUmaQaAiGlh
Non vorrei poi approfondire a proposito di “agnostico”.
Francamente credo che esistano più non-scienziati scientisti che scienziati scientisti. Comunque ho letto l’articolo originale in inglese, e l’ho trovato una via di mezzo tra la sagra della fuffa e la fiera dell’ovvio, così, insospettito, ho fatto una ricerca sull’autore, e tutto mi è stato più chiaro…
I ‘scientisti’ sono solitamente persone che appartengono al movimento ‘New Atheism’ (detto così perchè si contrappone al vecchio ateismo che era decisamente più intellettuale e meno presuntuoso), come Dawkins.
Penso che la maggior parte degli scienziati (per esperienza dato che sono anche io uno di loro), anche atei, non aderiscano ne allo scientismo ne al ‘new atheism’.
Il problema è che i ‘nuovi atei’ sono anche quelli che fanno più rumore, come Dawkins o Oddifreddi, perchè si sentono, ironicamente, chiamati “divinamente” a evangelizzare la loro ‘anti-fede’.
———
Comprendo i tuoi sospetti sul biologo Hughes, ma seppure sostenga teorie poco ortodosse, non sono certo più assurde della teoria del gene egoista e della meme (anzi…)…
Che poi le sue teorie siano corrette o meno, bisogna dimostrarlo…
La meme si trasmette in un gene letteralmente inventato dal nulla tipo il multiverso, sono “atti di fede” nella propria “imaginazione”.Già i greci avevano demarcato la tecnica dalle scienze naturali-Platone stà all’inventore come Aristotele al naturalista-Lo scientismo per me non è che quest: lo scambio di un’idea umana con un fatto naturale,disnesso quindi dall’osservazione empirica ovvero un atto di fede perchè la natura antecede gli schemi dell’osservatore “prima dell’uomo c’è l’universo che va con le sue leggi nè seguiva nessuno dei tuoi modelli”,tuttavia ciò non implica che l’idea sia inutile,al contrario la massima espressività dell’idea si raggiunge nella tecnica dunque nel progresso teconologico.Oltretutto l’imposizione di un modello non ha senso sulla natura,ma bisogna ricavare il modello dalla natura come faceva Newton.
Andrebbe ribadito un criterio di demarcazione tra tecnica/natura e scienze umane.
La filosofia non è morta,semplicemente le nuove tecniche di comunicazione impediscono il ragionamento dei concetti,le informazioni sono articoli di giornali,per le quali è irrilevante la realtà,oggi il pensiero è recepito nei 140 caratteri di twitter.Oltretutto ogni irrealtà diventa magicamente reale in questi quotidiani,la meme e il multiverso anche,equazioni su carta senza nessun riscontro sul piano sensibile.Non si può “Inventare” la natura come si inventa una nuova tecnologia.
Sono d’accordo, Giuseppe, che la maggioranza degli scienziati non è scientista. E’ vero però che essi lavorano senza fare lo strepito di quella minoranza che, magari in pensione dopo una vita passata a studiare un segmento ristretto della realtà naturale, estrapolano metodi e domini a tutto l’universo delle domande umane.
E su questo concordo con lei. Il problema è che le persone, e mi riferisco a quelle a digiuno di scienza, confondono il riduzionismo ontologico con quello metodologico. Il riduzionismo ontologico poggia sulla compatibilità dei diversi livelli di descrizione della realtà, dal quark fino all’universo, con l’uomo in mezzo, ma il livello di descrizione più fondamentale non è necessariamente quello più importante, perché dipende da ciò che si vuole descrivere. Non ha senso dunque un approccio riduzionista, nel senso metodologico del termine, se si deve descrivere qualcosa che a che fare con le vicende umane, così come non parto dalla lagrangiana delle teorie di campo per descrivere perché guardare un arancino di riso mi fa venire fame, o perché amo la mia fidanzata. Lo scientismo è figlio del riduzionismo, ma il riduzionismo inteso nell’accezione metodologica, e non ontologica, è un equivoco che una sana alfabetizzazione scientifica, e filosofica aggiungerei, contribuirebbe a rendere certamente obsoleto…
Interessanti considerazioni, caro Giuseppe. Grazie per averle postate.
Grazie.
D’accordo su tutto, Giuseppe, eccetto che là dove Lei dice che sono solo “le persone a digiuno di scienza a confondere il riduzionismo ontologico con quello metodologico”. No, secondo me sono le persone a digiuno di logica e filosofia. Ci sono infatti tanti, troppi scienziati che fanno quella confusione sui media tutti i giorni, dove il prestigio che hanno meritato nelle loro ricerche viene misusato per abbindolare la massa a far credere come scientifico il riduzionismo ontologico.
L’elenco dei problemi che la filosofia ha risolto non è davvero impressionante. Prendiamo ad esempio la questione dell’origine e il destino dell’universo, l’origine della vita, la natura della mente, o il dibattito tra natura e cultura. Gli “errori della filosofia” è un argomento raramente discusso tra gente di “buona compagnia” nel mondo accademico. I filosofi, per contro, sono maestri nell’arte di porre domande a livello concettuale che gli scienziati raramente affrontato. Concetti come il “problema difficile” e il “problema facile” della coscienza, la distinzione tra coscienza fenomenica e coscienza di accesso, tra i contenuti della coscienza, le condizioni causali da rispettare per far si che questa possa esistere … sono problemi affascinanti per i quali gli scienziati dovrebbe pensare più spesso. Quindi il mio (modesto) suggerimento è quello di ascoltare le domande poste dai filosofi, ma essere molto cauti, non lasciarsi distrarre più di tanto dalle risposte che forniscono…….
valido
A proposito di questi argomenti, ho avuto il piacere, di recente, di assistere ad una conferenza di G. Consolmagno, “Astronomy and Belief”. Consolmagno e’ astronomo e gesuita al Vatican Observatory (forse Giuseppe conoscera’ il “Popescope”). Tra le varie cose – tra cui una critica allo scientismo – ci ha parlato di come, anni fa, con altri fu ascoltato dalle commissioni che avrebbero dovuto decidere il curriculum dell’istruzione secondaria in South Carolina (proprio quella). Oggi tale stato ha un curriculum di istruzione secondaria che e’ giudicato tra i migliori degli Stati Uniti – in uno stato molto “evangelico”!
Consolmagno e’ egli stesso una persona molto interessante. Dopo aver ottenuto la laurea al MIT ed il dottorato di ricerca all’Universita’ dell’Arizona, ha poi fatto lavori come post-doc (post-dottorato) ad Harvard. Poi ha insegnato Fisica ed Astronomia per due anni con i Peace Corps USA in Kenya. Circa 20 anni fa prese la decisione di far parte dell’ordine dei Gesuiti. Lavora da molti anni al Vatican Observatory, dove conduce ricerca sulle meteoriti e sugli asteroidi. E’ autore di oltre 40 articoli su riviste peer-reviewed e co-autore di vari libri di divulgazione sull’Astronomia, come “Turn left at Orion”. Ed ha una squisita ironia 🙂
Se lo si vuole seguire su Twitter: https://twitter.com/specolations
Ora che ci penso sono in disaccordo sull’interpretazione di una frase:
Non e’ vero che gli scientisti vogliono rendere il non scentifico inesistente,piuttosto vogliono rendere il non scietifico,scientifico.
@Penultimo
Concordo !
Come esempio cito un certo Jean Staune (fondatore e segretario dell’Université interdisciplinaire de Paris), che considero come -diciamo- « scientista », ma preferirei dire « pseudo-scienziato ».
Ma esistono scientisti creazionisti, soprattutto nei fondamentalisti evangelici (e non solo). Essi credono che tutto ciò che Dio ha creato lo è stato per le loro proprie esigenze, quindi possono fare uso delle risorse della natura come meglio credono. N.B. :Da notare che gli USA di George W. Bush e il governo australiano hanno rifiutato di ratificare il Protocollo di Kyoto, mentre sostengono il movimento dei creazionisti e anti-evoluzionista ! (sic)
Pandesini purtroppo non ho fatto in tempo a risponderle nell’altro articolo.
“vogliono rendere il non scietifico,scientifico.”
Non deve afatto concordare con me,infatti è come possibile che una cosa sia scientifica e non scientifica nel medesimo istante per il medesimo attributo?
Va bhè gli evangelici,ci accusano di essere figli del diavolo perchè non abbiamo rifiutato la teoria di Darwin (anche perchè dal punto di vista tomistico non cambia nulla).E questo perchè testardamente leggono alla lettera.Scintista cioè pseudoscienziato,a prescindere dal credo o convinzioni di appartenenza.
….. vogliono rendere il non scientifico, scientifico……
@Penultimo
Forse abbiamo un interpretazione diversa di questa frase. Mi spiego : certi creazionisti fondamentalisti tipo TdG, evangelisti ecc…pagano salatamente certi (pseudo)scienziati affinché possano elaborare “teorie” (pseudoscientifiche) che vengono considerate da gente ingenua, poco colta o opportunista come scientifiche ! Basti leggere le riviste “Svegliatevi” e “Torre di Guardia” dei TdG e non solo……..
In particolare non si vede su cosa lei differisca, non dalla “mia” interpretazione ma dal principio di non contraddizione logica.Forse lei intende,bisogna deffinire COSA E’SCIENTIFICO (il metodo) da Cosa “non lo è”.
Si va bene ma sono irrilevanti le religioni,chi ha pagato gli scienziati per fare questa affermazione priva di senso: “multiverso”,è un’affermazione del tutto equiparabile a una credenza,masiero dice da vero e proprio INDOTTRINAMENTO.Dove si apostatizza un modello a prioristico mentale che pretende di avere un contenuto extramentale nella realtà,ma ciò non implica che poichè pensabile sia vera,ciò implica che una FANTASIA fiabesca,tenta di spacciarsi per un enunciato scientifico.
Trovo anch’io che l’articolo sia ben scritto. Tuttavia io non sarei così negativo rispetto al confronto tra scienza – filosofia – teologia. Proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno. Il fatto che gli scienziati escano a misurarsi con le implicazioni delle loro teorie in campi diversi e più ampi rispetto al loro specifico a me pare una cosa bellissima. Loro stessi stanno toccando i loro limiti e “provano” ad uscirne (come la loro natura di ricercatori richiede). Ci vedo il segno dell’esigenza finalmente percepita di ricomporre il sapere, scisso da secoli tra umanesimo e scienza. Ovviamente é possibile che ci sia qualche esagitato come il buon Hawking (fanno giusto il paio per dire con i nostri fondamentalismi) ma non ne farei un dramma, lo vedrei come una febbre di crescita. Secondo me il problema vero é la percezione distorta che il pubblico ha del ruolo dello scienziato e la mancanza di una cultura diffusa su cosa sia una teoria scientifica.
«La possibilità che la teoria della gravitazione e della dinamica, nota anche come teoria della relatività generale, sia sbagliata non è una prospettiva molto piacevole per la maggioranza degli astrofisici. La teoria di Einstein non solo è estremamente attraente per la semplicità dei suoi presupposti, ma ha funzionato benissimo fino ad ora, superando con onore ogni prova sperimentale. Questo naturalmente non garantisce che sia giusta. Dopo tutto la teoria della gravitazione di Newton è perfettamente valida nella maggioranza dei casi, ma non spiega tutto; non spiega i buchi neri, per esempio. La stessa cosa potrebbe valere per la teoria ei Einstein. Ma perché cambiare una teoria che funziona bene nella maggioranza dei casi prima ancora di aver esaurito tutte le possibili alternative? Questa posizione conservatrice è tipica di quasi tutti gli scienziati e il maggiore sforzo per spiegare la massa mancante è stato dedicato alla ricerca di forme in cui la maggior parte della massa cosmica può esser nascosta.»
(Riccardo Giacconi, Wallace H. Tucker, “L’universo in raggi X”, Mondadori 2003, pag. 174)
«Per i miei obiettivi l’immagine delle stringhe che danzano in qualche spazio-tempo a più dimensioni non è importante. Non mi interessa neppure se la teoria delle stringhe sia una spiegazione corretta della fisica delle particelle a energie molto elevate. Quello che è importante è che la dualità mi permetta di sostituire un problema intrattabile dal punto di vista matematico con uno semplice.»
(Subir Sachdev, “Strane stringhe”, Le Scienze n. 535 uscito nel marzo 2013)
Questa è la prospettiva scientifica, identica per Einstein come per Darwin. Certo che gli scienziati fanno ipotesi strampalate! Se così non fosse, non ci sarebbero rivoluzioni.