Compatibilità tra scienza e fede, l’ira degli atei
- Ultimissime
- 08 Mar 2013
L’astrofisico Max Tegmark, professore associato di Fisica presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha recentemente parlato di un’indagine svolta sulla scienza e la religione nel popolo americano, in occasione dell’anniversario di nascita del celebre naturalista Charles Darwin.
Assieme al suo team ha scoperto che solo l’11 per cento degli americani appartiene ad una religione che rifiuta apertamente l’evoluzione o il Big Bang. È interessante notare, ha poi aggiunto in un articolo sull’Huffington Post, «che anche le organizzazioni scientifiche che rappresentano la maggioranza degli scienziati americani non credono vi sia alcun conflitto tra scienza e fede». Ad esempio, ha notato, l’American Association for the Advancement of Science afferma che scienza e religione «vivono assieme tranquillamente, anche nelle menti di molti scienziati».
Dai risultati si nota che nella popolazione americana, coloro che maggiormente non vedono alcun conflitto tra scienza e fede sono i cattolici e i non religiosamente affiliati. Chi invece rifiuta maggiormente le conclusioni scientifiche sono i protestanti, in particolare battisti e luterani.
In un secondo articolo, il prof. Tegmark è tornato sull’argomento rivelando di aspettarsi che, dopo aver pubblicato l’indagine, «la casella di posta elettronica sarebbe stata inondata di mail di odio da parte dei fondamentalisti religiosi che credono il nostro universo sia nato meno di 10.000 anni». Ha quindi proseguito: «Abbiamo infatti ricevuto risposte al vetriolo come previsto. Ma con mia grande sorpresa, la maggior parte di esse non sono venute da persone religiose, ma da atei arrabbiati!».
A questi atei fondamentalisti ha voluto rispondere che: 1) aiutano soltanto il fondamentalismo religioso (o protestante); 2) dovrebbero essere più modesti rispetto ai risultati della scienza; 3) dovrebbero mettere in pratica ciò che predicano, ovvero la razionalità e la tolleranza. Consigli sprecati?
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65 commenti a Compatibilità tra scienza e fede, l’ira degli atei
consigli sprecati 😉
dovrebbero essere più modesti rispetto ai risultati della scienza
Sacrosanta verità. Nel mio piccolo ho sempre pensato che, come per la maggior parte degli scienziati che effettivamente hanno fatto e fanno la STORIA della scienza, c’é sempre e rimarrà sempre diretta proporzionalità fra grandezza della scoperta e consapevolezza che la strada della conoscenza non può aver mai fine (per definizione); da cui la necessaria modestia ed umiltà ad approcciare scoperte e relative applicazioni.
dovrebbero mettere in pratica ciò che predicano, ovvero la razionalità e la tolleranza
Quando una persona non applica o applica poco di quello che semina ci sono sempre motivazioni predominanti rispetto ad altre; nel caso di “tolleranza” e “razionalità” probabilmente prevalgono motivazioni culturali ed etiche.
Una bella conferma della distanza tra quello che la gente pensa realmente e quello che invece vogliono farci credere!
E’ davvero triste scoprire quanti pregiudizi si nascondano in tanti uomini
di scienza; ma forse, dopo aver deciso che “Dio non c’è” senza nessun
argomento di ragione, sono costretti a proseguire su questa strada demoniaca:
“saranno tormentati dai loro stessi idoli”, dice la Bibbia.
Forse l’orgoglio impedisce loro di ammettere l’errore.
Immagino che essere costretti a constatare che la stessa logica
conduce ad un Creatore, li faccia stare malissimo.
Mah, l’unica -forse- è pregare che si lascino illuminare dal buon Dio.
Non conosco scienziati che si professino atei in senso positivo (“so per certo che dio non c’è”).
Conosco molti scienziati che sono scientificamente agnostici (“la scienza non può dimostrare o negare l’esistenza di dio”) e spesso di conseguenza atei in senso stretto (“non ho la credenza che dio esista”).
Tra l’altro lo stesso Max Tegmark è uno di loro, o almeno si professa non religioso.
Professarsi atei in senso positivo è impossibile perché l’ateo non può dimostrare di aver ragione e non crede all’atto di fede come metodo di conoscenza affidabile, per questo l’ateismo non può esistere. Gli atei di fatto sono agnostici, come lo stesso Dawkins si definisce.
Lo scienziato deve perentoriamente essere agnostico mentre compie il suo lavoro.
«Gli atei di fatto sono agnostici, come lo stesso Dawkins si definisce.»
Beh, dipende dalla giornata 😉
Scusi signora Maia, le è troppo difficile scrivere DIO con la maiuscola?
Per il resto, la Scienza conduce a scoprire che ovviamente dal nulla nasce nulla (e non c’è bisogno di tanti studi, per realizzare questa ovvietà), dunque conduce una mente aperta alla constatazione che un Essere Assoluto creatore di tutto esiste.
Non volevo offenderla: nel mio testo andavo parlando di “un dio” in senso generale ed astratto. Dovessi avere con lei una corrispondenza magari privata in cui mi riferisco nello specifico al _suo_ Dio, scriverei diversamente per suo riguardo.
Quanto al principio di causazione e al problema di recessione infinita / causa prima, il suo “ovviamente” non è corretto: fior fiore di scienziati e filosofi non la trovano una ipotesi ovvia nè necessaria.
Alcuni le diranno che la causazione di per sè potrebbe essere una costruzione intellettuale umana basata sull’esperienza della fisica a scale antropiche di spazio e tempo. Altri che la recessione infinita può non essere un problema. Altri che la causa prima non necessariamente è un dio nei termini delle culture umane.
Qualcuno -come lo stesso Tegmark dell’articolo- le potrebbe rispondere che l’universo materiale delle nostre percezioni, principio di causazione e tutto, può essere uno degli infiniti universi di pura matematica che ammettono agenti coscienti.
Se l’esistenza di un essere assoluto e creatore fosse una ovvietà, allora per definizione sarebbe la conclusione a cui giungerebbe l’assoluta maggioranza delle persone, in particolare quelle che si occupano di logica e (meta)fisica.
Quelle di cui lei parla sono risposte pseudo razionali, dunque pseudorisposte.
Roba da salotto bla bla bla dove non si affronta la logica:
dal niente niente può nascere, tanto meno un universo così perfetto
da permettere la vita, la coscienza di essere.
Ma menti annebbiate riescono, ha ragione, a sparare assurdità come quelle cui lei accenna.
“Come potete credere voi che cercate la gloria
gli uni dagli altri?”.
Senza alcun paternalismo, ma con sincero amore per la ricerca intellettuale, mi sento di consigliarle di non essere così tranchant e se avrà tempo e voglia di approfondire la sua consocenza del lavoro di filosofi e scienziati con le cui conclusioni potà anche non concordare.
Guardi signora Maia che in assoluto avere convinzioni “tranchant” non è una irrazionalità o un segno di infantilismo.
L’affermazione,ad es., che “DIO esiste” è basata sulla logica, una logica che segua la giustizia.
Poi uno può dire che il niente non è proprio niente, che l’ipotetico multiverso non necessita di un Creatore (?) et similia, ma questo è un altro discorso-
Chi non vuol credere in DIO può, anzi ‘deve’ spararle sempre più grosse, senza però mai poter smentire che dal niente niente può nascere.
Beh io lavoro in un centro di ricerca (sono un fisico) e concordo che il più degli scienziati (alcuni dei miei colleghi compresi) ‘atei’, sono solitamente o disinteressati alla religione o agnostici (ovvero non credono in Dio ma nemmeno negano che possa esistere), oppure sono atei convinti ma non dicono cavolate come ‘Dio non esiste perchè non si può provare scientificamente’.
Naturalmente ci sono anche fanatici come Dawkins e Krauss, che fanno ateismo militante (a prescindere che poi ammettano di essere solo agnostici).
Tra i miei colleghi ci sono anche persone che sono religiose (devoti cattolici, induisti e mussulmani) e tra di loro non ho mai visto nessuno che trova un probleam tra la scienza e la loro fede.
Io so di non sapere, diffido di chi viene e mi dice: “fidati, credi, la risposta esatta ce l’ho io!”
Specie se il suo discorso è privo di dimostrazioni.
In questo modo si ha la certezza di non dire corbellerie.
Quanta retorica Davide, come siete appiattiti e prevedibili ormai.
La fede cristiana è una proposta da verificare personalmente, non è mai fideismo.
Oltretutto ti contraddici: tu non sai dimostrare che la tua posizione è migliore di chi invece crede fideisticamente, dunque dovresti diffidare di te stesso, eppure non lo fai. Come vedi sei pieno di dogmi, più irrazionale di un fideista.
Per favore ateucci da quattro soldi, evolvetevi o estinguetevi.
Parole sante, sig.Moraldi!
<>
Davide, quello che stai dicendo sono corbellerie, ironicamente. Sono luoghi comuni fasulli e puerili.
Innanzitutto la religione e la Chiesa non affermano di avere ‘la verità su ogni cosa’.
La verità che segue dalla teologia naturale e rivelata (che HA DIMOSTRAZIONI, non necessariamente empiriche però) non si arroga l’idea di avere il monopolio anche sulla verità scientifica.
Al contrario, già nel IV secolo Agostino afferma che ci sono verità che sono conoscibili non attraverso la rivelazione ma attraverso l’ osservazione del mondo naturale (ovvero la filosofia naturale al tempo e ora la scienza).
Ovvero esistono diversi tipi di verità che sono investigabili con diversi metodi (come le verità matematiche che NON sono provabili empiricamente, ma sono comunque dimostrabili, e le verità scientifiche che invece si basano sugli esperimenti).
Queste idee si trovano nella Chiesa attraverso i secoli, nonostante alcuni incidenti (come quello di Galileo).
Alla fine lo stesso conflitto tra fede e scienza è una forma di ‘fideismo ateo’ che crede appunto di avere tutte le verità (nascondendo si dietro falsa umiltà spesso, come fanno Dawkins e Oddifreddi).
Naturalmente questo assurdo fideismo ateo pure si limita ai ‘New Atheists’ e ci sopno per fortuna anche atei intellettualmente onesti (come Nagel, che è molto ateo ma anche cosciente che il suo ateismo è una forma di ‘fede’) con cui si può entrare in dialogo serio e costruttivo.
“Nonostante alcuni incidenti come quello di Galileo”, Lei dice, FM. Se per incidente intende che non si devono mai processare le idee, sono d’accordo. Se, invece, intendesse riferirsi al merito scientifico di chi avesse ragione, ebbene allora occorre ricordare che aveva ragione Bellarmino e torto Galileo, perché il moto è relativo e solo una questione di convenienza matematica (nel calcolo delle orbite), come ebbe ad esprimersi Bellarmino, può privilegiare un sistema eliocentrico rispetto ad uno geocentrico.
Quello che dici però non significherebbe che Bellarmino aveva ragione soltanto alla luce di quanto sappiamo noi oggi?
Se non sbaglio ai tempi di Galileo si credeva che il sistema geocentrico corrispondesse alla realtà, ma che per comodità di calcolo si potesse utilizzare il sistema eliocentrico, che però si riteneva non corrispondesse alla realtà.
Credo invece si possa affermare che Galileo avesse torto anche alla luce delle conoscenze di allora, perchè in realtà non fu in grado di produrre prove tali da scalzare la teoria geocentrica.
Bellarmino non parla di relativita’ del moto, ma dice che, finche’ non sara’ provato che il Sole sta fermo e che e’ la Terra a girargli intorno, le risultanze sperimentali mostrano solo un’utilita’ matematica del sistema eliocentrico, e non ci costringono a rivedere (come invece pretendeva Galileo, impropriamente sul piano teologico, oltre che erratamente sul piano scientifico) la corrente interpretazione della Bibbia. Ineccepibile.
Che dire alla luce delle conoscenze scientifiche attuali? La risposta sulla relativita’ e’ aperta e collegata alle possibili risposte sull’essenza dello spazio-tempo in relativita’ generale in rapporto alla MQ. Una soluzione del problema dell’entanglement passa attraverso l’esistenza d’un riferimento privilegiato, anche se non osservabile…
Infatti caro Davide, lei deve sapere che io mi sono rotto di dire che sono esistiti Napoleone, Cleopatra e Socrate solo perché è scritto in qualche libro…. Marx non esiste! ma l’ateismo si, ed ha fatto troppi morti, ne sta facendo, e ne vuole fare sempre di più!
Devo dire che avevo ritenuto Tegmark uno scienziato guidato molto più da un’ideologia (la fede nel Multiverso) che dalla scienza… fa piacere, invece, scoprire che è una persona intellettualmente onesta e libera. Mi piace, tra l’altro, la citazione di Howard Thurman che Tegmark mette nel suo sito (http://space.mit.edu/home/tegmark/index.html):
“Non chiederti di che cosa il mondo abbia bisogno; chiediti che cosa ti risveglia. E poi va e fallo. Perché ciò di cui il mondo ha bisogno sono persone che si sono risvegliate”.
Poi se parli con uno uaarino e gli dici che sembra un talebano parte per la tangente.
Mah, a me pare siano più o meno così. Almeno nella forma mentis.
Infatti l’idea che la scienza e la fede siano in conflitto sono un luogo comune errato.
Ok, è vero che in passato ci sono stati casi in cui scienza e fede si sono scontrate, ma sono solitamente eccezioni.
Da notare che lo scontro tra scienza e IDEOLOGIE (religiose e non) è molto comune. Ad esempio nella Unione Sovietica, al tempo del comunismo, si nascondevano certi fatti scientifici perchè contrastavano certi concetti comunisti.
Solo una MINORANZA di Cristiani rifiuta la evoluzione o altre teorie scientifiche per motivi religiosi, questi sono solitamente cristiani di stampo evangelico e ultrafondamentalista che prendono alla lettera la bibbia in ogni cosa.
La maggior parte dei cattolici e dei protestanti però, non è contro la teoria dell’evoluzione o altre teorie.
DA NOTARE che ci sono atei stessi (come Nagel e Tallis) che hanno criticato la teoria dell’evoluzione, o meglio non criticano che essa sia vera, ma come questa viene interpretata nel darwinismo fondamentalista (come quello di Dawkins).
Purtroppo negli Stati Uniti queste posizioni non sono minoritarie tra i cristiani. Dal grafico dell’articolo mi pare le varie fedi crisitane assommino a più dell’80% della popolazione, e quindi quel 46% che crede che l’uomo sia stato creato fatto e finito meno di 10000 anni fa è una posizione di maggioranza (ascrivibili alla stessa credenza potrebbero essere musulmani, che però sono solo lo 0.6% ed ebrei, 1.7% ).
Ovviamente questo è un problema dell’educazione scientifica e religiosa americana, non dei cristiani o cattolici in generale.
Posso farLe, Maia, 2 domande, in riferimento a 2 Sue affermazioni?
1. Lei dice: “Conosco molti scienziati che sono scientificamente agnostici (“la scienza non può dimostrare o negare l’esistenza di dio”). Anch’io, fisico e credente, sono convinto che la scienza (sperimentale moderna) non può dimostrare né negare l’esistenza di Dio. E come me, pensano tutti gli scienziati, i filosofi ed i teologi credenti, ed anche tutti i credenti che conoscano il campo ed il metodo della scienza sperimentale moderna. Non per questo però siamo agnostici! E’ d’accordo che dall’ammettere che la scienza non può dimostrare né negare l’esistenza di Dio non deriva logicamente la necessità di essere agnostici?
2. Lei dice: “Come lo stesso Tegmark dell’articolo le potrebbe rispondere che l’universo materiale delle nostre percezioni, principio di causazione e tutto, può essere uno degli infiniti universi di pura matematica che ammettono agenti coscienti”. Dove Tegmark, che è un esperto della teoria del multiverso, ha mai detto questo? Che cosa sono secondo Lei “gli infiniti universi di pura matematica”?
Le rispondo nell’ordine:
1) capisco l’ambiguità. Ho parlato di “agnosticismo scientifico” intendendo la rinuncia alla possibilità di giungere per via scientifica alla determinazione dell’esistenza di dio. Alcuni da questa posizione di conoscenza ( o mancanza di tale ) arrivano ad una posizione di credenza o convinzione che è l’ateismo in senso stretto e non positivo. Altri arrivano a credere in dio per altra via, ma nello stretto senso della determinazione scientifica restano pur sempre agnostici. Ovvero accettano che quello specifico metodo di conoscenza resta, come mi pare di capire nel suo caso, non capace di portare ad un giudizio di verità della tesi. Cosa diversa, ovviamente dall’agnosticismo in senso lato (” sospendo il giudizio per qualsiasi via sull’esistenza di dio”).
2) mi pare di capire che Tegmark nella teoria del multiverso di iv tipo sostenga che realtà matematica e fisica coincidono per qualsiasi tipo di struttura matematica coerente immaginabile, anche se in seguito ha ristretto questa ipotesi al solo sottoinsieme degli universi computabili per evitare problemi con Goedel. In particolare in molti di questi universi matematici, che in pratica sono come delle simulazioni di universi fisici (isomorfi ad essi), sono possibili delle strutture complesse che hanno esperienze soggettive di coscienza ed autocoscienza. Nello specifico noi vivremmo in uno di tali infiniti possibili universi matematici e tutte le nostre esperienze fisiche, ed anzi tutta l’evoluzione del sistema dinamico dell’intero universo sarebbero non descritti ma letteralmente coincidenti con una struttura matematica particolare tra infinite possibili varianti di leggi dinamiche, condizioni iniziali etc., tutte esistenti in senso platonico e disgiunte.
Si tratta ovviamente di una ipotesi in pratica metafisica, che volendo risolve il problema (sempre metafisico) del fine tuning, ma ancora più vertiginosa della molteplicità per stati relativi di Everett.
Ammetto che la mia conoscenza si concentra invece su altri aspetti della teoria della misura, ma anni addietro ho scorso un suo articolo in proposito. Lo trova su arXiv gr-wc 0704.0646.
Grazie, Maia. Però…
1. Io avevo chiesto qui la Sua opinione, ovvero se Lei ritiene logico dedurre dall’agnosticismo “scientifico” (come Lei lo chiama) e che per me è una tautologia – dato che la scienza naturale non si occupa del soprannaturale, per definizione – una posizione di ateismo “in senso stretto”, cioè di credenza tout court nell’inesistenza di Dio. Posso conoscere la Sua opinione diretta?
2. Su questo punto, conosco bene i lavori di Tegmark, e quindi comprendo che la Sua frase sugli “infiniti universi di pura matematica” è stato un modo veloce ed informale di riferirsi agli universi paralleli dei diversi tipi speculati da Tegmark, come si addice ad una chat. Ciò che mi interessava conoscere da Lei riguardava un Suo eventuale giudizio di scientificità su tali speculazioni. Me l’ha dato (“ipotesi metafisiche”, ovvero non controllabili sperimentalmente), e su ciò concordiamo. Non concordo con Lei, invece, che il problema del fine tuning sia metafisico: che le costanti cosmologiche abbiano quei valori, questo è un “fatto” fisico, che si deve tentare di spiegare con i mezzi della scienza. Spero anche che, come è nelle ambizioni di chi è insoddisfatto del modello standard, si possa intanto con una nuova teoria unificata ridurre il numero delle costanti indipendenti. In ogni caso, anche se le costanti del fine tuning si abbasseranno a 10, o a 5, o anche ad 1 sola, rimarrà sempre il problema insoluto del fine tuning. Ma si tratterà, a mio modo di vedere, di un problema “fisico” indecidibile, come indecidibile è la questione di Wigner; e “metafisiche” semmai sono le due soluzioni alternative, quella del caso (multiverso) o del disegno (Dio). Più o meno, secondo me, come l’ipotesi del continuo di Cantor, che non è un problema metafisico, ma genuinamente di aritmetica; e che, essendo indecidibile come ha dimostrato Cohen, può trovare soluzioni solo di meta-aritmetica.
Non è in fondo questa la migliore dimostrazione che viviamo nella contingenza, Maia?
Mi scuso innanzitutto per la cattiva qualità nella scrittura di questo e del precedente commento, ma sono ridotta all’uso di un tablet con autocompletamento molto intrusivo. Nello specifico:
1) la mia opinione è che la posizione di ateismo in senso stretto sia non quella da lei indicata, ma l’assenza di una credenza positiva nell’esistenza di dio (la differenza starebbe in un principio metafisico di economia), e che tale posizione derivi legittimamente dall’agnosticismo scientifico per chi ha una impostazione strettamente naturalistica. Noti che ovviamente accetto la presenza di ipotesi metafisiche di un qualche genere, e non vedo come se ne possa fare a meno.
2) perdoni vista la sua area di competenza l’approssimazione con cui ho accennato all’ipotesi di Tegmark, ma mi è parsa una meravigliosa coincidenza che proprio lui fosse autore di questo studio. Quanto al fine tuning, per evitare confusione immagino ci stiamo riferendo non al problema antropico del fine tuning, che trovo questo si tautologico e poco interessante, ma a quello per cosi dire ontologico.
Qui credo siamo nel campo della semantica. Fino a quale punto possiamo “spiegare” le costanti e.g. del modello standard? Se scendiamo fino a livelli come la topologia come fanno gli stringhisti, o il calcolo delle proposizioni, non arriviamo alla fine con Hilbert a dire che l’esistenza per un oggetto matematico è solo la non contraddizione? A tale punto io chiamo il problema del perchè la nostra realtà implementi l’oggetto matematico non contraddittorio A e non quello B un problema metafisico. Per fare come lei una similitudine con la matematica, se smonto un teorema di geometria fino ai postulati di Euclide, alla fine mi fermo oppure salto ad un livello “meta” dove ho un ventaglio di geometrie non Euclidee. Pertanto chiedermi perché nel teorema di Pitagora sul piano l’esponente sia proprio 2, una proprieta strettamente geometrica, diventa un problema meta euclideo. Internamente sappiamo solo che la proprietà esiste nell’ambiente delle proposizioni derivate dai postulati di Euclide in quanto non contraddittoria. Solo ad un livello più ampio la domanda perché 2 e non 2.1 acquista senso, comparendo opzioni differenti a loro volta non contraddittorie in ambienti diversi.
Le contesto tuttavia la sua dicotomia caso / disegno: una soluzione come quella di Tegmark, così come localmente la many world interpretation, sono ipotesi di multiverso, ma rimuovono completamente il caso. Tutte le possibilità sono realizzate.
1. “Per chi ha un’impostazione naturalistica”, Lei aggiunge, Maia. Appunto: per uno che ha questa concezione necessariamente non esiste un soprannaturale, e quindi non esiste il Dio trascendente delle religioni del Libro, che è il tipo di dio su cui stiamo questionando. Insomma, l’ateismo di un naturalista non deriva logicamente (“legittimamente”, come Lei si esprime) dal suo agnosticismo scientifico (che è una tautologia insita nel metodo scientifico, che ci fa tutti, atei e credenti degli agnostici scientifici), ma è assunto a priori dalla sua Weltanschauung naturalistica.
2. Anche al totocalcio avviene spesso in maniera multipla quasi tutte le settimane che tutte le possibilità si realizzino: ciò tuttavia non elimina il fatto che i vincitori sono usciti per caso. In questo significato ho utilizzato la parola caso. A mio parere, il multiverso metafisico di Tegmark non risolve la questione di Wigner, che qui diventa: perché la logica-matematica si rivela così efficace nella descrizione di tutte e 4 le specie del multiverso di Tegmark? Posto il problema, ho proposto a suo tempo una soluzione: il sistema di matrioske cosmiche non è finito, il super-multiverso di Livello 4 appartiene ad un “megaverso di Livello 5” d’infiniti super-multiversi dotati di tutte le logiche più assurde.
1) non tutti sono agnostici scientifici: una posizione soggettiva gnostica può essere, semplicemente, sbagliata nel senso che non mappa correttamente la realtà naturale. E dove lei vede un depotenziamento nel fatto che vi siano assunti a priori, io vedo un metodo costruttivo. Ad una teoria matematica e scientifica chiediamo, ovviamente, di essere non contraddittoria; non la consideriamo certo non interessante di per se perchè non recedente infinitamente in altre teorie. Semmai ci preoccupiamo che essa sia predittiva e falsificabile perchè questo la rende “fertile”. Allo stesso modo definisco legittimo – in quanto non contraddittorio – assumere una posizione naturalisitca nella spiegazione “interna” del mondo fisico e non assumere una posizione teistica. Noti bene che un naturalista non afferma positivamente la non esistenza di entità soprannaturali, ma semmai rigetta concetti che potremmo definire semi-naturali. Un dio distante, non consocibile razionalmente e privo di relazioni causali con il mondo naturale è altrettanto accettabile per un naturalista che un universo parallelo di Tegmark che invece segue delle regole razionali. La differenza sta nel fatto che il secondo è potenzialmente più “fertile” modulo una estensione di ciò che consideriamo natura esplorabile razionalmente.
Per farla breve: le tautologie sono di per se sterili, ma sono ciò che ci aspettiamo di trovare quando smontiamo una teoria vera. L’alternativa è una contraddizione.
2) quella del totocalcio mi pare una similitudine impropria, ma come sempre il problema è nella definizione di caso e di osservazione. Se un osservatore O si siede su un punto x,y del piano cartesiano “a caso”, questo non significa che il piano stesso contenga casualità di alcun genere. Semmai che la relazione dell’osservatore con il piano prevede una generalizzazione razionale non in contraddizione con alcune nostre ipotesi ( non è assurdo entro certe regole pensare and un osservatore O’ che siede su un punto x’,y’ ). Gli universi di Tegmark non contengono caso e riempiono tutto il piano. Gli osservatori coscienti all’interno di alcuni di questi universi hanno abbastanza potenza computazionale da costruire generalizzazioni razionali della loro relazione minoritaria con il loro universo; questo non toglie che loro appartengano al loro universo e non a quello immaginato. La probabilità che ogni agente osservi il suo universo è -tautologicamente- 1. Quello che lei chiama caso diventa una relazione insiemistica di contenimento: l’osservatore non è in relazione con il multiverso, ma solo con il suo universo.
Il che mi riporta al problema di Wigner, su cui non capisco la sua insoddisfazione: per definizione gli osservatori di Tegmark vivono in universi computabili. In alcuni di essi gli osservatori elaborano teorie isomorfe alla struttura del loro universo, soddisfacendo Wigner.
Alla sua richiesta di ulteriori metauniversi: non vedo come questo aggiunga niente alla costruzione di Tegmark, finchè non chiarisce cosa sia una “logica assurda”.
PS: mi accorgo ora, rileggendo, di avere assunto un tono sintetico che può apparire brusco. Le assicuro che si tratta di un fatto accidentale e che ho trovato la conversazione piacevole ed interessante.
1. No, secondo me. Una posizione gnostica non appartiene alla scienza, ma alla filosofia, e come tale è anch’essa “scientificamente” agnostica.
2. No, secondo me. Per definizione, tutti gli universi paralleli di Tegmark rientrano nella teoria logico-matematica degli universi paralleli di uno stesso “osservatore” terrestre (Tegmark) e ciò lascia aperta la questione di Wigner: perché la logica-matematica del nostro Universo (o comunque di un sottoinsieme di universi del multiverso) si adatta così bene a descrivere “tutta” la (presunta) realtà del multiverso?
L’osservatore Tegmark non è speciale nell’ipotesi di Tegmark, nè Tegmark pone limiti a quali strutture matematiche esistano realmente, eccetto che richiede la non-contraddizione.
Per Tegmark se qualcuno riuscisse a scrivere con della matematica M’ diversa dalla nostra una struttura di complessità sufficiente a contenere un universo, allora quell’universo esisterebbe per definizione ed al suo interno potremmo avere un osservatore Riwnerg – con processi mentali isomorfi a M’ – che si domanda come mai il suo universo sembri seguire la schematizzazione di M’ nella sua pseudo-testa.
Questa matematica M’ potrebbe essere per noi eternamente inaccessibile, così come in linea di principio potrebbe esserlo almeno parzialmente la matematica M del _nostro_ universo. E’ concepibile infatti che il nostro universo sia schematizzabile in maniera semplice in termini di strutture matematiche che esuleranno per sempre dalla nostra capacità biologica di ragionamento per mole di dati, tempi di computazione o limiti intuitivi. Finora non abbiamo avuto la necessità di simili mostri matematici, ma significa solo che finora nello schema di Tegmark sembra siamo parte degli osservatori “fortunati”. Un domani potremmo incocciare in fenomeni fisici che non riusciamo a descrivere matematicamente – come saprà ad esempio Penrose azzarda l’idea che la QM non sia necessariamente computabile – ed allora ci accorgeremmo di essere -se mi consente di coniare una classificazione- in un universo per noi, soggettivamente, non-Wigner.
Di nuovo, mi pare che se vuole saltare fuori dallo schema di Tegmark invece di aggiungere opzioni _interne_ al livello IV, deve generalizzare concetti come “computabile”, “proposizione” o “non contraddizione”. Come le dicevo prima, deve costruire concretamente una proposta di “logica assurda”. Che non è detto sia possibile.
1. Mi pare che su questo punto la discussione si sia conclusa.
2. Il multiverso a 4 livelli di Tegmark non si basa solo sul principio di non contraddizione (come Lei dice), come potrebbe essere una qualsiasi disquisizione filosofica neodemocritea di universi transfiniti, nelle cui borgesiane “Biblioteche di Babele” c’è un racconto scritto per ogni storia immaginabile. No: il multiverso di Tegmark è una complessa struttura matematica multistrato, di “metafisica matematica” (A. Vilenkin), che ambisce a rimanere quanto più possibile “scientifica” nello strato (anche se non in tutto il multiverso), in quanto capace di predittività falsificabili nel substrato del nostro Universo fisico, seppur disgiunto dagli altri universi dello stesso strato. Più in là, dove non può arrivare, Tegmark prolunga gli universi fino ad isole dove vale solo il principio di non contraddizione… Ma i primi arcipelaghi, Maia, hanno un prezzo, che Le ribadisco: la questione di Wigner. Come si spiega che un sistema logico-formale, qual è quello di Tegmark, ben articolato e basato su tutt’altro che il solo principio di non contraddizione (che permette persino a Tegmark di dire che, alla distanza di 10^(10^29) metri da qui, c’è un universo parallelo che ospita una conversazione come quella che Lei ed io stiamo avendo in questa chat, tra due persone uguali a noi!) possa rappresentare isomorficamente “tutta” la realtà del multiverso?
Il parametro di scala da lei enunciato ( (10^(10^29)) metri ) immagino venga da stime sulle dimensioni/distanze di bolle causalmente distinte in una cosmologia inflattiva. Questo è quindi, nella classificazione di Tegmark, un universo parallelo al nostro nel senso I o II e su cui possiamo fare un po’ più di fisica e.g. dall’analisi del fondo a microonde. Persino il multiverso di livello III potrebbe non essere una costruzione metafisica completamente esente da falsificazione: come immagino saprà Deutsch ha a suo tempo suggerito degli esperimenti in grado di falsificare alcune forme di MWI, ed esperimenti di quantum superposition macroscopica sono previsti per testare teorie GRW o similari, che darebbero risultati ben diversi dalla reversibilità dei processi di misura previsti da una stretta interpretazione alla Everett.
Tutto ciò è però quello che un americano chiamerebbe una red herring: mi pare però evidente che il fuoco del mio discorso fosse invece sul multiverso di livello IV; il quale, si, è una ipotesi che mi pare strettamente metafisica. L’ipotesi finale di Tegmark è la CUH che restringe il più generale MUH alle sole strutture computabili per sfuggire ai “difetti” in una struttura matematica esaustiva garantiti dal teorema d’incompletezza di Goedel. Il che, in una metafisica in cui l’universo letteralmente è una struttura matematica, mi pare proprio significhi limitarsi a tutti gli universi non contraddittori.
Di più, il multiverso di livello IV conterrebbe embedded i livelli precedenti. Quindi se anche il buon Wigner avesse problemi a livello I – III, con universi separati cosmologicamente ma di leggi fondamentalmente simili ma con tuning potenzialmente diverso, questo sarebbe comunque superato a livello IV dove tutte le possibili leggi computabili sono realizzate. Lo stesso Tegmark d’altronde cita il problema di Wigner come uno degli spunti che l’hanno portato a proporre la MUH per il IV livello.
Come diceva il fisico Lev Landau (premio Nobel per la Fisica 1962), “I cosmologi si sbagliano spesso, ma non dubitano mai”
Signor Maia, quando una persona fa discorsi che sembrano molto acculturati e sapienti ma poi usa molte abbreviazioni non esplicitate (CUH,MUH,QM,MWI,GRV,etc.) oppure inglesismi che nessun fisico si sognerebbe di utilizzare parlando in italiano (quantum superposition, embedded, tuning, etc.) generalmente non sa di cosa sta parlando.
Sembra piuttosto che ci sia stata una lettura, da parte di un estraneo alla disciplina, di un testo in lingua inglese dedicato ad altro genere di “pubblico”.
Sarò felice di essere smentito quando riscriverà i suoi commenti esplicitando le abbreviazioni e descrivendo con sue parole gli inglesismi, perché altrimenti siamo tutti bravi a pavoneggiarci di terminologie e concetti che non abbiamo la possibilità di capire ma che ben sappiamo scopiazzare o emulare pur di avere ragione in un dibattito. Dico bene?
Gentile Ateofago, purtroppo la discussione tra me ed il dottor Masiero si è richiusa ad una discussione per lo più a due vie allontanandosi dal suo punto originario e dal suo carattere più aperto. Ho fatto uso per brevità delle abbreviazioni usate da Tegmark nel lavoro da me precedentemente citato e che il mio interlocutore conosce. Ho fatto uso di inglesismi ed abbreviazioni che per quanto possano infastidire un purista della lingua italiana sono il gergo utilizzato quotidianamente dai fisici, professione che vive di conferenze strettamente in lingua inglese, articoli e pubblicazioni in lingua ingelse, corrispondenza privata in lingua inglese ed al giorno d’oggi anche lezioni universitarie tenute in Italia in lingua inglese.
Se desidera le fornisco un breve glossario:
QM = quantum mechanics è la meccanica quantistica
MUH = mathematical universe hypothesis è l’ipotesi di Tegmark secondo cui -in termini molto semplificati- ogni struttura matematica è reale
CUH = computable universe hypothesis è la seconda versione proposta da Tegmark, ristretta alle sole strutture algoritmicamante computabili
GRW = Ghirardi-Rimini-Weber sono i tre autori della teoria eponima che offre un modello di riduzione spontanea degli stati quantistici, altrimenti noto anche collasso spontanteo della funzione d’onda. Il contesto è: spiegare il passaggio tramite osservazione o altri meccansimi dal mondo in sovrapposizione lineare dell meccanica quantisitca a quello macroscopico. E’ noto come problema dela macro-objectification.
embedded = (credo in genere in italiano si dica “immersione”) quando una struttura matematica è contenuta in una di dimensionalità maggiore. Nel nostro caso i multiversi di livello I-III di Tegmark sarebbero “immersi” in una varietà di livello superiore che Tegmark chiama multiverso di livello IV e per cui avanza l’ipotesi MUH.
Mi dispiace di essere ricaduta in un gergo opaco ai più, ma davo ormai per scontato che il mio interlocutore in questo sotto-thread fosse fondamentalmente il solo dott. Masiero. Non capisco francamente però la sua aggressività: quale giovamento avrei a intavolare una discussione millantando competenze che non ho? Non sono qui per “segnare punti”, e mi pare la mia condotta sul forum lo dimostri, ma solo per offrire un punto di vista diverso da quello prevalente e purtuttavia del tutto aperto al dialogo.
@ Maia
Bene, Maia: dunque fino al livello III il sistema logico-formale di Tegmark non è basato solo sul principio di non contraddizione! Resta il problema di Wigner, e come lo risolve Tegmark? Assumendo un ambiente di livello IV dove vale la pre-assunzione MUH, che svuota ipso facto la tesi (di Wigner) da spiegare! In questo livello IV, “per definizione” la questione di Wigner è risolta, perché sono coperte tutte le possibilità, secondo la vecchia strategia democritea di rendere certo l’improbabile moltiplicando adeguatamente i tentativi.
Ammesso che questo ragionare, che entrambi concordemente non consideriamo scienza galileiana, sia metafisica (ma io ho qualche dubbio a considerarla tale, per la stima che porto ad Aristotele), resta un ultimissimo problema, mi pare: l’autoconsistenza del Tutto che, se non si può dimostrare per l’Aritmetica di Peano, a maggior ragione non si può dimostrare per la Metafisica di Tegmark. Come risolvere il problema? Io, sempre seguendo la strategia di coprire tutte le possibilità, ho suggerito a Tegmark il megaverso di V livello di tutte le logiche possibili…
Che una discussione su un sito aperto diventi quasi privata è un male, è al limite dell’OT.
La ringrazio per aver fatto uso della tavola delle abbreviazioni e/o di wordreference, ma enunciare non coincide sempre con il comprendere.
Sa, io sono un fisico sperimentale e noi sperimentali, a differenza dei teorici che si chiudono nella loro stanza a confabulare, cerchiamo di indagare, osservare e manipolare la realtà. Non credo si offenderà se allora le chiedo di palesare quale sarebbe l’evidenza sperimentale dei multiversi che difende con tanta lena, quelle “bolle” (di sapone) che Weinberg non esitò a definire “ciarpame”. Non le nascondo il mio scetticismo – presumo che non le dispiaccia neanche questo, visto che permette uno scetticismo ben maggiore nei confronti della mia religione e delle mie posizioni filosofiche – che è maturato particolarmente quando mi è sembrato di averla vista asserire che l’elemento provante sarebbe la radiazione di fondo. Spero non le dispiaccia chiarire come una radiazione originata dal nostro stesso universo e intrappolata entro il suo spaziotempo fin dai primordi (è questo che ufficialmente si è stabilito) possa essere la qualsivoglia dimostrazione di qualcosa che non appartiene al nostro spaziotempo.
Sui fisici si sbaglia. Sembra che lei non abbia mai scritto neanche un abstract. Quando si usa un’abbreviazione per la prima volta la si esplicita subito, e se si sta parlando di fisica in italiano nessuno si sognerebbe di usare “embedded” senza neanche virgolettarlo. E, non per fare il gradasso, ma ho perso pure il conto di quanti articoli, conferenze, seminari e poster ho realizzato in inglese. Sfonda una porta aperta. Mai però un docente a lezione in Italia ha mai fatto uso di una terminologia da autodidatta.
Io aggressivo? Le ho solo chiesto di chiarire per il bene di tutti e per evitare eventuali furbate.
N.B. (nota bene) Conosco una sola persona che fa confusione tra sito, blog e forum. Vediamo che pesce ho pescato questa volta…
@Giorgio Masiero
Ovviamente fino al livello III le definizioni di multiverso di Tegmark sono ben più vincolanti del principio di non contraddizione. Mi pare di avere sempre specificato quando parlavo del livello IV, che è poi il contributo più originale di quel lavoro e che ne ha causato la notorietà. Concorderà con me che per la maggior parte degli universi di livello IV non ha neppure senso parlare delle condizioni di similitudine descritte ai livelli I-III: un universo computabile non ha in generale nozione di big bang, inflazione o meccanica quantistica con many world interpretation. Tali descrizioni hanno senso per gli universi “vicini” al nostro, ma se avessimo un concetto di misura direi su un sottoinsieme trascurabile di tutti quelli del livello IV.
Quanto alla sua ipotesi di livello V, continuo a non capire un passaggio: stiamo parlando di strutture computabili in un qualche senso. Logiche diverse (opportunamente potate delle proposizioni problematiche per Goedel) potrebbero essere implementate computazionalmente e quindi due tali logiche diverse resterebbero opzioni interne al livello IV. Il salto sarebbe necessario per logiche non computabili o diversamente computabili… Ma qui davvero sto parlando di temi ben al di fuori della mia preparazione matematica.
@Ateofago
Le faccio presente che non ho difeso alcuna ipotesi di Tegmark. Ho sottolineato che almeno per i livelli I-III si prospettano tentativi di indagine sperimentale, mentre il IV mi pare totalmente metafisico. Personalmente non ho competenza sui suoi livelli I e II, mentre la cosmologia è appunto il mestiere di Tegmark, ma questi due livelli presuppongono aree di spazio tempo causalmente separate dalla nostra, Quando a suo tempo ho studiato relatività generale mi è stato mostrato come la misura angolare delle irregolarità del fondo cosmico e quindi della termalizzazione permettesse di porre un limite superiore alla velocità di espansione dell’universo in un modello a stato stazionario. L’inflazione è necessaria nei livelli I e II e quindi le misure di anisotropia del fondo cosmico dovrebbero essere il primo argomento d’indagine.
Personalmente non sono affatto convinta ne mi sento di difendere queste ipotesi cosmologiche di multiverso, semplicemente per mancanza di adeguata preparazione in proposito. Mi convince in qualche misura invece il livello III, la many world interpretation, la quale risolve molti problemi concettuali in teoria della misura e funziona bene con e.g. lo schema di Zurek dell’envariance ed altri meccanismi che tentano di spiegare la macro-objectification via decoerenza.
Tutta la discussione, le ricordo, parte dal fatto che ho contestato il fatto che il principio di causazione sia una ovvietà indubitabile, portando come esempio l’opinione proprio dello scienziato autore dello studio oggetto del pezzo.
Infine, credo lei stia leggendo troppo nel linguaggio che ho utilizzato, le assicuro che io utilizzo in maniera interscambiabile le espressioni “forum” e “sezione commenti” in un blog. Non so con chi lei abbia avuto cattive esperienze in passato, ma mi pare inutilmente sospettoso.
Entriamo nel merito. La prima impressione che si ha leggendo il lavoro di Tegmark, scaricabile qui, è quella di un’ammucchiata di congetture discorsive su varie ipotesi (e poteva anche evitarsi l’orrendo riferimento a Giordano Bruno). Pochissimi numeri, nessuna formula, nessuna descrizione matematica di un qualsivoglia modello. Il livello I è scientificamente non supportabile, giacché la comunità scientifica concorda che la dimensione dell’universo sia circa una dozzina di gigaparsec. Resta la fantasiosa ipotesi che attorno ad una delle stelle della Via Lattea orbiti un pianeta come la Terra dove un mio sosia starebbe trapanando il cranio di un uomo invece di scrivere questo commento. Fantasie che lasciano il tempo che trovano e non pongono alcuna condizione sull’origine dell’universo stesso. Il livello II è un’altra bella fantasia ma se il nostro universo ha geometria euclidea o no, o se esso è piatto o curvo, noi stiamo deducendo informazioni solo su di esso. E qui veniamo alla sua non risposta riguardo alla radiazione di fondo:
Si rende conto che oltre a ribadire “dobbiamo guardare la radiazione di fondo” non spiega né perché né come dovrebbe essere legata all’esistenza di almeno un universo parallelo? Probabilmente non sono stato chiaro. Come può una cosa nata nel nostro universo e ivi intrappolata fornirci informazioni su altri universi? La risposta è che non può, con buona pace di tutte le teorie del multiverso. Bisognerebbe essere Dio per poter avere una visione d’insieme e determinare finalmente se l’universo è uno solo o più d’uno.
Nonché in diversi passaggi il nostro dichiara esplicitamente di dover ammettere più universi perché non è in grado di accettare le coincidenze in questo universo. A testimonianza del fatto che il cosmologo che vuole dare calci a Dio finisce per delirare il più delle volte.
Il livello III poi si basa sul più grande fraintendimento di tutti i tempi sulla meccanica quantistica. Il gatto di Shroedinger non è mai stato sia vivo sia morto contemporaneamente, questa è una deformazione dell’esempio! La meccanica quantistica è la incarnazione del non sapere, la formalizzazione dell’incertezza, la resa dello scenziato al fatto che egli non può sapere tutto. Molti pensano che finché non si apre la scatola il gatto è sia morto che vivo, in realtà siamo noi a non saperlo: il gatto può essere benissimo ancora vivo o può benissimo essere già morto, ma è di sicuro in uno solo dei due stati. Ma poiché è chiuso in una scatola e finché non l’apriamo non sapremo mai in quale stato è, dobbiamo ricorrere ad uno stratagemma matematico che descriva il gatto in uno stato indeterminato morte/vita. Stato indeterminato che viene a cessare nel momento in cui apro la scatola. Sullo stesso tono il fraintendimento della GRW (teoria Ghirardi–Rimini–Weber) vedi sotto.
Non è che l’esistenza di stati indeterminati significhi l’esistenza di due universi (uno in cui il gatto è vivo, l’altro in cui è morto): infatti il problema riguarda solo noi che non sappiamo, ma come ho detto, il gatto è già nel suo stato prima di aprire la scatola.
Lo schema di Zurek, che si può trovare qui, è solo un’altra maniera di arrivare alla regola di Born ma non è che sia una qualche spiegazione della realtà. Si tratta sempre di espedienti concettuali per affrontare determinati problemi ma alla fine la realtà del gatto di Schroedinger è sempre quella che ho spiegato più sopra.
Il livello IV invece, se eliminamio lo sproloquio sul multiverso, può invece aprire ad altre recenti teorie sulla corrispondenza biunivoca tra la materia e la trama n-dimensionale della quale è proiezione. Ma qui stiamo saltando da una teoria metafisica all’altra.
Sui multiversi Tegmark si sbaglia (il suo rappresenta il tentativo di un ateo di dare un senso non trascendente a ciò che può avere senso solo nella trascendenza) ma sul principio di causazione ha ragione (vedi sotto).
Morale della favola: sui cosmologi aveva ragione Landau.
Il fatto che lei scambi senza criterio “forum” e “sezione commenti” in un blog non giustifica certo la liceità del suo errore. Chiamiamo le cose con il loro nome per cortesia.
NB per essere stato solo un “nota bene” ha “triggerato” (ha provocato una sua reazione) abbastanza, cosa che fa riflettere sul pronto intervento nello smentire la propria situazione. A suo sfavore depone anche l’orario, che se non è chi penso io allora conferma che a voi contestatori di blog cattolici vi fanno con lo stampino (tutti uguali). Terzo elemento sospetto è l’aver dovuto impiegare quasi due ore da quando ha letto il mio commento a quando ha inserito la risposta (e questo lasso di tempo è deducibile dal suo commento precedente, posteriore al mio). Se fossi un cosmologo direi che lei è chi penso io sotto mentite spoglie: stesso linguaggio da autodidatta; stessi orari; stessi fraintendimenti…
Solo una MINORANZA… che prendono alla lettera la Bibbia su ogni cosa. Io durante il liceo scientifico ho dovuto sorbirmi quella storia delle scimmie, ma semplicemente non ho mai visto una specie evolversi in qualcos’altro, per questo non credo nella storia delle scimmie. Però se mi si dimostrasse (se potessi vedere, galileianamente) che le specie a un certo punto cambiano, non avei nessunissimo problema ad accettare il fatto che l’evoluzione sia stato il metodo, materiale, del Creatore nella sua opera. La vedo semplicemente una cosa di buon senso, non c’entra nulla un credo o un non credo.
“Chi invece rifiuta maggiormente le conclusioni scientifiche sono i protestanti, in particolare battisti e luterani”.
Con buona pace di certi atei (specialmente militanti) che considerano il protestantesimo molto più evoluto del cattolicesimo. È più probabile che lo sopportino meglio perché in Europa i paesi protestanti stanno cedendo sempre di più all’ateismo… e al modello olandese.
sanno qual’è la verità da abbattere, la sentono!. Già il fatto di allontanare le persone dal sacramento eucaristico è una gioia assoluta per il loro padrone. “Uno sfizio simpatico” per i cagnolini di quest’ultimo (comunque si facciano chiamare….)
Lo scienziato ateo nega in realtà ciò che vorrebbe professare. Infatti, la scienza deve usare tutti gli strumenti di indagine per studiare la natura. D’altra parte, è innegabile che oltre i cinque sensi esistono altri canali con cui l’uomo può capire il mondo. Uno di questi è la ragione; Einstein sviluppo la sua teoria a tavolino e molte sue affermazioni furono verificate sperimentalmente diversi anni dopo.
Esistono poi i canali legati alle emozioni, di cui l’arte è forma sensibile. Ad esempio, per studiare l’uomo vale forse meno “Coscienza di Zeno” o “la Recherche” degli scritti di Freud? Esiste qualcosa che meglio spieghi un temporale estivo dell'”Estate” di Vivaldi? Esiste una foto che meglio permetta di scrutare la profondità di uno sguardo, rispetto alla Gioconda?…e così via.
Infine, come negare la spiritualità umana? La specie umana è l’unica dotata di questa capacità. La spiritualità per millenni ha rappresentato una via per la ricerca di se stessi e del mondo.
Lo scienziato ateo nega tutto ciò. Rifiuta questi mirabili strumenti, pensando che se una cosa non si può misurare allora non esiste. Eppure tutti sappiamo che l’amore esiste, esiste la giustizia, esiste il male, esiste la gioia, esiste la solitudine… ma con quale metro misuriamo queste cose? E quando sappiamo che una cosa e giusta o sbagliata a prescindere dai ragionamenti logici, come facciamo a saperlo?
Negare questi strumenti per partito preso è antiscientifico. Il fatto che non li sappiamo definire ed utilizzare appieno, non giustifica il trascurarli né tantomeno deriderli. Supponente, ad esempio, che uno scienziato illuminista si fosse trovato fra le mani un microscopio elettronico… cosa dovrebbe dovuto fare? Gettarlo alle ortiche solo perché non ne capiva l’uso? Oppure rifiutare quello che vedeva nel suo schermo, perché in constrasto con la realtà sensibile a cui era abituato?
Il vero scienziato deve utilizzare tutti gli strumenti, compresi quelli spirituali, per cercare di comprendere la realtà. Il fatto che la spiritualità sia in contrasto con la scienza è una pura invenzione illuminista necessaria per togliere potere alla religione ed alla Chiesa in particolare.
Molto bene. Del resto, considerando il significativo contributo dato alla scienza da tanti scienzati cattolici, non poteva essere altrimenti.
Il vero cattolico non è un Ned Flanders.
Anche perché Ned Flanders NON è cattolico, ma chiaramente protestante, anche se non viene mai specificata la confessione.
Non ho mai capito una cosa: gli atei numericamente sono molto pochi però sono molto influenti. Perché? Eppure la complessità irriducibile dei sistemi in natura è un fatto che di per sé dovrebbe condurre direttamente ad un essere intelligente (ID). Il famoso esempio della trappola per topi sta li a dimostrarlo. E questo è tanto più evidente quanto più si procede nella scienza, dal bosone di Higgs alle nuove scoperte sulla biologia molecolare. Più si va avanti e più si scopre un universo nell’universo.
La risposta credo di averla trovata in un concetto di Barry Commoner riportata nel bellissimo “Fede e scienza” di Lennox (a proposito della strabiliante complessità delle proteine, ma il concetto può essere esteso a tutti i “dogmi” del pensiero neo-darwinista): “Il dissenso, o puramente la scoperta di un dato di fatto discordante, è una trasgressione passibile di punizione, un’eresia che potrebbe facilmente condurre all’ostracismo professionale (…) ma vi sono altre ragioni più insidiose per cui i genetisti molecolari possono accontentarsi dello status quo: il dogma fondamentale ha fornito loro una spiegazione soddisfacente, seducente e semplicistica dell’ereditarietà, su cui appariva sacrilego nutrire dubbi. Il dogma fondamentale era semplicemente troppo bello per non essere vero”.
…peccato che Odifreddi non venga più a farci visita… eppure il tema dovrebbe accattivarlo. Dobbiamo tornare a trollare sul suo blog perché ci degni della sua presenza?
Mha,che senso abbia postulare universi piu del necessario non lo so,una rasoiata sarebbe necessaria,visto che nemmeno si sa spiegare Questo di universo.La scienza non va d’accordo con la fede,solo se la prima piu’ che essere scienza diventa fede che logicamente sara’ in contraposizione con la seconda.
@Davide
Tu sai di non sapere,lo so anche io e lo sapeva Socrate,sapere di non sapere non serve a precipitare nel nichilismo ma forse a sapere che il nichilismo del sofista e dell’erista e’ ignoranza piuttosto.Cosa e’ il sapere?Cercare qualcosa sapendo di non saperla dunque cercarla per saperla.E l’ignoranza?Il nichilismo stesso per il quale si presume di non sapere tutto dunque di aver trovato.Ecco perche’ un Nietzesche disprezzava un Socrate ignorantemente.Apriti cielo per i difensori dell’immobilita’ del pensiero.
Cara Redazione, relativamente allo stimolante dibattito che si sta sviluppando in questa sede, soprattutto tra “Maia” e Giorgio Masiero, mi permetto di proporre parte di una relazione che ho presentato alcuni anni fa, per un esame del Master in scienza e fede, al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum di Roma. Mi rendo conto che alcune considerazioni in essa contenute risultano datate, ma, forse, le tesi di fondo che ho cercato di esporre possono essere utilmente riproposte in questo dibattito… Mi affido tranquillamente al vostro giudizio e, volentieri, colgo l’occasione per rivolgervi i più calorosi ringraziamenti per la straordinaria efficacia che, pur in un contesto fortemente problematico e colmo di radicati pregiudizi, come quello odierno, il sito UCCR ha raggiunto nel presentare ad un pubblico, (che immagino e spero sempre più vasto), la profonda ed umanizzante ragionevolezza della fede cattolica.
Ritengo che l’impostazione naturalistica-positivistica, dominante ancora su una parte significativa della cultura contemporanea, tenda a sovrastimare il potere della ragione umana che viene ritenuta in grado di pervenire alla formulazione di una teoria definitiva della totalità. Ai nostri giorni, probabilmente, il rappresentante più noto di questa posizione è Stephen Hawking titolare fino al 2009 della cattedra lucasiana di matematica a Cambridge. Egli, in conclusione della sua opera La teoria del tutto, ipotizza che “se riuscissimo a scoprire una teoria completa, col tempo tutti – e non solo pochi scienziati – dovrebbero essere in grado di comprenderla, almeno nei suoi principi generali. Saremmo quindi tutti in grado di prender parte alla discussione sul perché l’ universo esiste. E, se trovassimo la risposta a quest’ ultima domanda, decreteremmo il definitivo trionfo della ragione umana, poiché allora conosceremmo il pensiero di Dio”. A dire il vero, nello stesso volume, poco prima, Hawking aveva mostrato una promettente consapevolezza di alcune fondamentali questioni metafisiche che non si dovrebbero dimenticare quando ci si pone il traguardo piuttosto ambizioso della teoria finale. “Ma possiamo interrogarci sulla natura di Dio anche se c’è solo una possibile teoria unificata, che si riduce ad un semplice insieme di leggi ed equazioni. Che cos’ è che soffia il fuoco vitale nelle equazioni, e crea un universo che esse possono descrivere? …Perché mai l’ universo si dà pena di esistere? La teoria unificata ha una forza tale da determinare la sua propria esistenza? O ha invece bisogno di un creatore? E chi ha creato questo creatore?”.
Effettivamente, le domande poste dallo scienziato britannico confermano la fondatezza delle affermazioni di Giovanni Paolo II circa la cosmologia che, per la sua specifica natura di indagine dell’ intero universo fisico, più di ogni altra scienza, si pone ai confini con la filosofia e la religione: “La cosmologia, una scienza della totalità di quel che esiste come essere sperimentalmente osservabile, è quindi dotata di un suo statuto epistemologico particolare, che la colloca forse più di ogni altra scienza ai confini con la filosofia e con la religione poiché la scienza della totalità conduce spontaneamente alla domanda sulla totalità stessa, domanda che non trova le sue risposte all’ interno di tale totalità”.
Peraltro i numerosi incoraggiamenti dei papi nei confronti degli studi cosmologici e naturali, se, da una parte confermano la fiducia nella bontà e nella razionalità del cosmo, dall’altra sono in netta controtendenza rispetto al giudizio di sostanziale inutilità dell’indagine sull’universo, così come si dovrebbe ricavare dalla prima antinomia della Critica della Ragion Pura di Kant. Proprio in relazione a questo punto non secondario del kantismo, Stanley Jaki nel suo Dio e i cosmologi ha acutamente rilevato che “Occorreva lasciar perdere l’Universo al fine di trovare scuse speciose per separarsi dalla propria razionale fede in Dio”. A distanza di oltre due secoli dalla morte del filosofo prussiano, se teniamo conto dello straordinario sviluppo della cosmologia, le cose si sono sviluppate ben oltre le intenzioni di Kant…
Pertanto vorrei riflettere innanzitutto sull’ultima domanda di Hawking presente nel testo citato; essa evidenzia uno scarsa dimestichezza col principio di causalità che si può individuare non solo in Hawking, ma anche in altri famosi pensatori come John Stuart Mill, Bertrand Russell e, più recentemente, Hans Albert che pure si considera un razionalista critico.
Russell, posto di fronte all’ idea di Dio come prima causa incausata, non trovò di meglio che scrivere: “Se vi può esser qualcosa senza una causa, il mondo può essere proprio così come Dio”. In effetti, ciò che Russell continuò a trascurare è la nozione di contingenza del mondo. Ammesso che l’ universo sia eterno, non può contenere in sé la causa della sua esistenza; infatti un ente contingente eterno è, almeno logicamente, pensabile, ma, se le parole hanno un senso, data la sua contingenza, anch’ esso è debitore del suo esistere ad una causa altra da se stesso.
Gli altri autori che ho citato ritengono invece di poter attuare un regresso infinito nella catena delle cause, in opposizione al criterio dell’ananke stenai (è necessario fermarsi quando si risale da una causa all’altra) fissato, per la prima volta, dalla filosofia aristotelica.
A ben vedere, la formulazione più corretta del principio è la seguente: “Ogni ente contingente è causato”, ed, in quanto tale, il principio non è estendibile a tutto l’essere. La teologia naturale classica ha spiegato che Dio, causa prima incausata non è riconducibile a causa alcuna. Pertanto anche l’idea di Dio considerato causa sui, come viene descritta in alcuni passaggi del pensiero cartesiano, non risulta sostenibile. Vittorio Possenti in Razionalismo critico e metafisica ha chiarito bene le difficoltà di tale concetto, abbozzando, nel contempo, i tratti di una più completa ed illuminata ontologia teologica: “Nel concetto di causa sui si insinua l’ idea di una decisione. Tuttavia l’ Ipsum esse, l’ Essere primo….non esiste perché così decide, come se l’ esistenza divina dipendesse da un atto di libero arbitrio, sempre e nuovamente protratto onde Dio, volendolo, potrebbe annullarsi. Nella sua esistenza necessaria risplende un’infinita spontaneità, che è il privilegio della libertà di aseità (aseitas). Fa parte dell’ essenza divina di non poter venir definita solo negativamente attraverso il concetto che essa non è causata, ma di alludere ad una pienezza di necessità, libertà, intelligenza e amore”.
Anche per quanto riguarda gli altri interrogativi di Hawking, sembra che lo scienziato che pure li ha formulati così lucidamente, non abbia ancora ben definito le loro risposte; indubbiamente, restando sul piano della scienza fisica, ogni studioso, pur dotato della genialità di un Hawking, non può trovarle.
Il tipo di riflessione richiesta non è qualcosa di antitetico alla scienza ed al rigore razionale, e non è neppure affidato, come qualcuno tende a pensare, al puro opinare soggettivo; si svolge ad un diverso livello, senza il quale, tuttavia, la nostra comprensione della realtà risulta inevitabilmente mutilata, unidimensionale; le equazioni matematiche non creano la realtà, da loro quello che al massimo ci si può aspettare, (e si tratta, comunque, di magnifiche imprese dell’ intelligenza umana) è una descrizione dell’ universo fisico in termini di relazioni sempre più vaste ed articolate. Per procedere verso una comprensione più esaustiva si deve avere il coraggio intellettuale di rompere ogni residuo pregiudizio positivistico e sviluppare una solida indagine metafisica. E’ a questo livello che la raffica di domande di Hawking possono e debbono essere sensatamente affrontate
Innanzitutto è difficile pensare all’ origine del soffio vitale nelle equazioni prescindendo dall’ Essere assoluto. Juan José Sanguinetti, nella sua relazione “Origine dell’ Universo, intervento di Dio” ha correttamente ravvisato nell’ impostazione del problema di Hawking la riproposizione di una questione classica della filosofia medievale: ”Questa perplessità di fronte all’ esistenza, ovvero l’ impossibilità di dedurla dall’ equazione stessa, trova una certa corrispondenza con la formula scolastica secondo cui l’ esistenza è indeducibile dall’ essenza, a meno che sia invocato l’ argomento anselmiano in alcune delle sue versioni. Non pare che Hawking sia al corrente delle controversie medievali in proposito”. Di fronte ai problemi metafisici sollevati da Hawking, qualcuno potrebbe anche essere tentato di ricorrere al panteismo di Spinoza: una natura increata, infinita ed eterna considerata nel contempo naturans e naturata, causa ed effetto di se stessa, in cui tutto esiste e da cui tutto deriva necessariamente, come in un immenso teorema. Mi pare tuttavia che il razionalismo panteistico-matematicista dello spinozismo e tutti i suoi più recenti derivati siano stati spazzati via dal teorema di Godel. E’ merito innanzitutto di Stanley Jaki aver richiamato la comunità scientifica internazionale al significato negativo del teorema rispetto alla pretesa di costruire visioni dell’ universo sub specie aeternitatis. Per lo studioso benedettino, la portata ultima dell’ opera di Godel “non significa affatto la fine della fisica. Significa soltanto la morte dei tentativi che mirano ad una teoria definitiva secondo cui il mondo fisico è ciò che è e non può essere altrimenti”. Pertanto, data la contingenza del cosmo, risultano certamente plausibili e ben fondate:
1) l’ idea di “Dio che può creare liberamente un particolare universo a partire da un numero infinitamente grande di possibilità”
2) l’ impossibilità di una sua deducibilità logico-matematica, a priori
3) allo scopo della sua conoscenza, la necessità di studiarlo, come aveva esplicitato Galilei, mediante “necessarie dimostrazioni e sensate esperienze”.
Alle domande poste da Hawking, si può dunque tentare di rispondere sulla base della particolare filosofia soggiacente alle cosmologie dei diversi scienziati. A questo riguardo, ritengo azzeccata l’ “etichetta” attribuita allo stesso Hawking da Gianfranco Basti nel suo Filosofia della Natura e della scienza – 1. Basti ritiene Hawking determinista “secondo i dettami dell’ interpretazione più stretta che sia possibile del motto determinista einsteiniano «Dio non gioca a dadi»”. La posizione dello scienziato britannico sembra potersi ascrivere ad “una convinzione ideologica di determinismo geometrico della natura che verrebbe voglia di definire vetero-newtoniana”. Per mons. Basti esiste tuttavia almeno un merito nella teoria cosmologica di Hawking: essa mostra la debolezza logica del cosiddetto “principio antropico forte”. In ciò le critiche di Hawking risultano convergenti con quelle avanzate da diversi autori tra cui Sanguinetti e il prof. Galvan dell’Università Cattolica di Milano. Secondo quest’ ultimo si può individuare l’ errore di fondo del principio antropico forte, nel suo nucleo centrale, che è stato definito “requisito creazionistico etico”. Esso consiste nella confusione operata tra la positività assiologica e la necessità ontica. Se consideriamo che la prima afferma il dover essere di un valore che, in quanto tale, diventa un fine, e che la seconda sostiene la necessità dell’ esistenza di un determinato ente, si può capire che non solo è logicamente pensabile che il meglio, (la comparsa nell’ universo di esseri intelligenti come l’ uomo), effettivamente non si verifichi, ma che è altresì molto improbabile che questo accada, senza l’ intervento di altri fattori. Insomma, tornando ad Hawking, si può senz’altro convenire con la sua opinione, sostenuta peraltro da diversi scienziati, per cui si deve rifiutare il “principio antropico” come teoria esplicativa e lo si può invece, utilmente, proporre nella sua versione debole, che, evidentemente, implica la necessità di spiegare l’ apparire della vita e della vita intelligente nell’ universo..
Per quanto riguarda la domanda metafisica più radicale “perché l’ universo si dà la pena di esistere?”, il successore di Newton all’Università di Cambridge, esprimendosi pubblicamente, ha mostrato una certa contraddittorietà.
Nell’ opera Dal Big Bang ai buchi neri, dopo aver abbandonato l’ ipotesi della singolarità iniziale del cosmo, Hawking, sulla scorta della teoria quantistica, ha scritto che “non ci sarebbe alcuna singolarità sottratta all’ applicazione delle leggi della scienza e nessun margine estremo dello spazio-tempo in corrispondenza del quale ci si debba appellare a Dio…L’ universo sarebbe quindi completamente autonomo e non risentirebbe di alcuna influenza dall’ esterno. Esso non sarebbe mai stato creato e non verrebbe mai distrutto. Di esso si potrebbe dire solo che E’…Ci sarebbe ancora posto, in tal caso, per un creatore?”. Paul Haffner nel volume Il mistero della creazione ha ben chiarito che la concezione del divino che si affaccia nelle righe di Hawking appena citate, è quella del Dio tappabuchi ovvero di una divinità che, al massimo, viene concepita come riempitiva delle nostre lacune scientifiche. L’ universo che si autoorigina deriva da una certa interpretazione della teoria quantistica che, a ben vedere, risulta una “estrapolazione illecita della scienza fuori dal proprio campo. La scienza fisica va collegata con esperimenti reali o possibili, e questo non può essere il caso nelle considerazioni dell’ origine assoluta dell’ intero universo dal nulla”. In effetti, per quanto concerne il “mito del vuoto quantistico”, che, in maniera filosoficamente piuttosto sprovveduta, qualche fisico di grido ha voluto, più o meno consapevolmente, identificare col nulla assoluto, è stato ormai rilevato da diversi autori, tra gli altri J. Barrow, Sanguinetti e Basti, che l’uso della parola vuoto in tale contesto non può significare in alcun modo l’ esistenza, assolutamente contraddittoria, del non-essere. Nel vuoto quantistico, quantomeno, si deve assumere la presenza di leggi quantistiche, campi quantistici, energia caoticamente disordinata e, probabilmente, logica matematica. Almeno su questo, Parmenide, dopo Platone, non deve temere altri parricidi…
In un testo pubblicato più recentemente, Buchi neri e universi neonati. Riflessioni sull’ origine e il futuro dell’ universo, è significativo ciò che Hawking ha risposto ad un’ intervistatrice della BBC che gli chiedeva, se con la sua ricerca sui fondamenti della cosmologia fosse riuscito a prescindere completamente dall’ esistenza di Dio: “Tutto ciò che la mia opera ha dimostrato è che non si deve dire che il modo con cui l’ universo ha avuto inizio sia stato un capriccio personale di Dio. Rimane però ancora, la domanda: perché l’ universo si dà la pena di esistere. Se crede, si può dire che Dio sia la risposta a questa domanda”. In questa occasione dunque Hawking esclude che la scelta delle condizioni iniziali dell’ universo sia stata un atto irrazionale del Creatore. Di fronte a queste parole, ancora una volta, non mi pare eliminato il dubbio riguardo a ciò veramente pensa il nostro scienziato: egli ritiene che Dio, nel creare il mondo, sia libero di operare una scelta o piuttosto crede che qualcosa, comunque, lo abbia costretto ad operare la scelta che effettivamente si è realizzata? Mi pare che se, certamente, si deve ritenere che l’ Onnipotenza e la Bontà divina non agiscano mai in maniera irrazionale, contemporaneamente, proprio per non escludere tale Onnipotenza, risulta difficile negare che il range di scelta del creatore si estenda ad un numero infinito di universi possibili.
Ma, nel rispondere all’ interrogativo più radicale, è significativo che H. lasci aperta la possibilità che Dio sia il perché ultimo dell’ esistenza del cosmo. Ma allora quale immagine di Dio si può ricavare dalla cosmologia di Hawking? E’ evidente che se la descrizione tecnica della teoria quantistica sottesa alle posizioni dello scienziato risulta questione esoterica e, per riconoscimento dei maggiori specialisti del settore, ben distante dall’essere definitivamente acquisita, si possono comunque proporre alcune riflessioni. Innanzitutto, risulta metafisicamente ben posta la distinzione tra le condizioni di partenza dell’ universo, “il modo in cui l’ universo ha avuto inizio” e il Principio della sua esistenza, Dio come risposta alla domanda sul perché c’è il mondo.
Infatti se, attualmente, Hawking sembra propendere per un non-inizio temporale dell’ universo, resta il fatto che entrambe le ipotesi opposte circa tale questione risultano compatibili con le leggi fisiche conosciute e perciò è assolutamente legittimo continuare a discuterne, soprattutto sulla base di nuovi dati sperimentali eventualmente acquisiti che possano sostenere l’ una o l’ altra. A questo proposito, è altamente istruttivo, innazittutto, per chi si colloca in un’ ottica di fede, tenere ben presente le parole scritte dal genio di San Tommaso d’ Aquino, nella Summa Theologiae: “Che il mondo abbia avuto inizio è qualcosa oggetto di fede, ma non è dimostrabile né conoscibile. E’ bene considerare e riflettere su tutto questo, affinché qualcuno, pretendendo di dimostrare ciò che è oggetto di fede, non porti a sostegno di questa sua pretesa delle motivazioni che non possono dimostrare nulla, così da offrire materia di irrisione ai non credenti che allora potrebbero pensare che noi crediamo certe verità non per fede, ma per queste false motivazioni”. L’Aquinate ritiene dunque che, sul piano della pura speculazione razionale, l’inizio temporale dell’universo non è dimostrabile e si imbarcherebbero certamente in una cattiva apologetica quei credenti che pensassero di usare le parole del Genesi per fare del facile concordismo, provando a dimostrare ciò che è logicamente indimostrabile. A questo punto si potrebbe essere tentati di vedere nel testo di S. Tommaso l’ anticipazione, per la parte temporale, della sopra ricordata, prima antinomia della dialettica trascendentale kantiana.
In effetti, ritengo che sulla base di un certo vizio idealistico soggiacente alla filosofia di Kant, la soluzione dell’ antinomia risulti in quest’ autore assolutamente impossibile, mentre invece per quanto riguarda Tommaso, l’ impostazione realista del suo pensiero non poteva che decretare una impossibilità sul piano puramente razionale, senza tuttavia precludere una possibile scelta tra i due corni del dilemma, per via di indagine fisica.
Tornando alla questione del Fondamento assoluto, essa risulta assai meno opinabile, e su questa posizione si attesta anche il “secondo Hawking”. Nello stringato linguaggio dello scienziato è la risposta metafisica al “perché l’ universo si dà la pena di esistere”. Dopo Godel dovrebbe essere altresì evidente che, per evitare gli inghippi logici delle fondazioni autoreferenziali, tale Principio non può che star fuori dall’Universo stesso. Mi pare che su questo decisivo rilievo concordino diversi autori. Il teologo Stefano Visintin, nel suo recente saggio Dal cosmo a Dio, ha espresso efficacemente sia la radicale dipendenza ontologica del cosmo dal suo Creatore, (anche se l’universo fosse temporalmente infinito), sia la trascendenza di Dio: “Dio è il solo fondamento del mondo, la causa prima che lo ha posto e lo mantiene nell’ esistenza …il mondo si trova nei suoi confronti in un rapporto di totale dipendenza. Esso non si riferisce quindi tanto a un momento del passato (il suo inizio), ma alla posizione, nei riguardi di Dio, di tutto l’ esistente, tempo compreso…Anche se l’ universo non avesse avuto un inizio, ciò non sminuirebbe affatto il valore teologico del termine creatio ex nihilo, ma indicherebbe semplicemente che tutto il creato dipende radicalmente, da sempre, dal Creatore. Dio, cioè, avrebbe da sempre voluto l’ esistenza di una realtà distinta da lui e, da sempre, la sosterrebbe nella sua esistenza”.
Riguardo alla necessità di distinguere l’ uso del termine Causa nell’ ambito del creato e riguardo alla relazione tra Dio e il creato stesso, Visintin, opportunamente, precisa: ”Nella nostra esperienza delle cose del mondo, non solo l’ effetto dipende dalla causa ma anche la causa in definitiva viene a dipendere dall’effetto, in quanto senza l’ effetto non sarebbe più la causa. Applicato a Dio, ciò significherebbe che Dio avrebbe bisogno della realtà finita e non sarebbe più radicalmente e realmente distinto da essa, ma parte di un tutto e avremmo quindi un monismo che, in definitiva, toglierebbe alla creatura non solo il suo spazio di autonomia ma anche il suo stesso essere. Dio, invece, crea ex nihilo, vale a dire nulla c’era di preesistente che potesse condizionare la sua opera, e il suo intervento creativo è quindi libero. Quando parliamo di Dio come causa prima intendiamo dire che egli non è la prima causa nella catena causa- effetto delle cose di questo mondo, ma quella che è causa dell’esistenza di questo mondo e di tutte le relazioni causa-effetto che in esso si trovano”. Tra le varie considerazioni che si potrebbero fare, ritengo molto importante che il chiarimento di Visintin, sviluppato comunque sulla base della magistrale impostazione tomistica, faccia giustizia dell’impossibilità decretata da Kant di applicare lo stesso principio di causa oltre l’ambito fenomenico.
A questo punto, prima di lasciare Hawking, ancora poche parole sul punto d’ arrivo della sua riflessione che lo ha portato ai confini tra fisica e metafisica. Come ha evidenziato Gianfranco Basti, lo scienziato britannico pare giunto esattamente alla stessa meta cui, poco meno di otto secoli fa, era pervenuto il Dottore angelico: questi, in fondo a tutte le “cinque vie”, dopo aver dimostrato la necessità dell’ esistenza del Principio metafisico fondamentale, concludeva con la frase: “e questo lo chiamiamo Dio”. Hawking, alla fine della sua intervista, usa parole simili: “Se crede, può dire che Dio sia la risposta alla sua domanda”. L’ ultimo passaggio che però l’ agnostico Hawking non ha compiuto è quello della fede nel Dio Personale della Bibbia. Ma, per l’appunto, in quest’ultimo passaggio entra in gioco la dimensione della fede che appartiene al mistero del rapporto di ogni coscienza umana con l’ unico, vero Dio.
In buona sostanza, a partire dagli assiomi metafisici propri della filosofia realista dell’ Aquinate, la riflessione puramente razionale, a prescindere da qualunque fede religiosa, è necessitata a riconoscere l’ esistenza di un Assoluto trascendente. Usando ancora le parole della Summa Theologiae: “E’ evidente infatti che il mondo conduce alla conoscenza della potenza divina creante, sia che il mondo non sia da sempre, sia che da sempre sia stato”. Ovviamente, nell’ esperienza di fede delle grandi religioni monoteiste “la potenza divina creante” si arricchisce di tutti i connotati del Dio della Rivelazione. E ciò risulta coerente con tutta la tradizione ed il magistero della Chiesa Cattolica.
Secondo me, Hawking è molto sopravvalutato nei terreni logico e metafisico, dove contraddice se stesso ad ogni passo. Faccio un solo esempio.
Nel suo ultimo libro, Hawking scrive: “Poiché esiste una legge di gravità, l’Universo può creare e di fatto crea se stesso da niente”. Questa frase merita di entrare nel Guiness dei primati: 4 nonsensi in una riga. Se è raro, infatti, che l’uomo di strada si contraddica due volte nella stessa frase, il cosmologo che ha occupato per 30 anni a Cambridge la cattedra già di Newton e di Dirac lo fa 4 volte qui, nella proposizione che sintetizza tutta la sua ricerca metafisica. Nonsenso n. 1: “Poiché esiste la legge di gravità… ”: altolà! Allora l’Universo non è sorto da niente, ma dalla legge di gravità pre-esistente. Nonsenso n. 2: la legge di gravità è la stessa cosa della gravità? Ovviamente no: la prima è un’equazione matematica che descrive un fenomeno naturale, la seconda è il fenomeno naturale, noto fin dalla preistoria ai nostri avi che, senza conoscere l’equazione di Newton, lo usavano in difesa salendo sulle alture e potendo così scagliare dall’alto verso il basso proiettili con maggior violenza degli attaccanti. E, con l’eccezione degli sciamani operanti in Amazzonia, Nuova Guinea ed Oceania – che appartengono a culture dove non è ancora stato inventato il metodo galileiano –, tutto il mondo distingue tra la capacità descrittiva e la sterilità prescrittiva delle formule nell’evocazione di eventi naturali. Insomma la legge di gravità non può fare alcunché, men che mai creare un Universo, perché per fare serve un agente. Nonsenso n. 3: “L’Universo può creare e di fatto crea…”: la potenzialità di fare una cosa e l’atto di farla sono due stati distinti, essendo la prima un’apertura sia all’accadere che al non accadere del secondo. Va spiegato perché un evento solo possibile si è realizzato “di fatto” qualche tempo fa, e non è rimasto (per l’eternità) allo stato di potenzialità latente. Nonsenso n. 4: “L’Universo… crea se stesso”, come dire “l’Universo è causa dell’Universo”. Se A è causa dell’effetto B, si richiede l’esistenza della causa A per il realizzarsi dell’effetto B: quindi la proposizione “A è causa di A” è priva di senso, perché invoca l’esistenza di A per spiegare l’esistenza di A.
Come possiamo discutere di metafisica con un matematico che, fuori del suo steccato tecnico, usa così allegramente la logica?! di filosofia con un fisico che, mentre la disprezza, la usa a sproposito a piene mani?
“Unicuique suum”….Grazie per avermi fornito una sintesi efficace dell’ultimo Hawking che conferma ed amplifica tutte le mie precedenti riserve…Naturalmente, concordo pienamente con lei e perciò diffido dei tuttologi che si impancano e/o vengono strumentalmente innalzati a depositari della verità in ambiti nei quali offrono prestazioni da dilettanti allo sbaraglio… Purtroppo, anche nel nostro Paese troviamo qualcuna di queste menti super illuminate a cui, non accidentalmente, non vengono fatte mancare le tribune da cui propinare, a senso unico, su questioni fondamentali, i loro indiscutibili dogmi…Ma sono felice che lei e molti altri che operano in questo sito siano ben vigili e “pronti a rendere ragione della speranza che è in noi”…
Caro vecchio Hawking, mi hai fatto passare delle belle serate con la tua divulgazione, ma quel “l’universo, semplicemente, sarebbe” non mi è mai andata giù 😉 . Certo, c’è chi può fare di peggio: Richard Dawkins, ovviamente, che nei tre paragrafi in cui presume di confutare san Tommaso afferma che le prime tre vie sono più o meno tutte uguali.
E comunque, ricollegandomi al dibattito tra Maia e Andrea, mando un suggerimento a quest’ultimo. Approfondisci pure la questione, come Maia ti invita a fare. Ma a meno che tu non cominci a considerare esistente per definizione qualunque ente descrivibile senza contraddizione (tesi assai avventata, oserei dire) come ci è stato suggerito, sappi che almeno un paio delle opzioni alternative al Dio creatore proposte dalla nostra amica sono nate già confutate dal Dottore Angelico, e una terza è solo una variazione di forma.
Non studio filosofia da quando ero una studentessa del liceo se non per quegli aspetti tecnici inerenti ai miei studi di fisica. Mi pare però di capire che principio di causalità e principio di non contraddizione siano due _assunti_ di S.Tommaso alla base delle sue cinque vie. Come può pertanto dirsi che tale lavoro confuti in senso logico una poszione secondo cui il principio di causalità stesso potrebbe non essere una realtà fondamentale?
Mi toglie una curiosità? Se non c’è una causa allora cosa ci mette al suo posto? Mi spiego: se il terzo principio della dinamica, la conservazione dell’energia, il terzo principio della termodinamica hanno sempre funzionato stabilendo che ogni fenomeno ha delle cause, per quale misterioso motivo dovrebbero non essercene in questo caso e soprattutto per quale assurda ragione non dovremmo porci neanche la domanda, come lei sostiene?
Ho davvero bisogno di mettere qualcosa al posto della causa? Una teoria microscopica come la GRW che prevede statisticamente riduzione spontanea può fittare tutti i dati sperimentali bene come una teoria di evoluzione unitaria con interpretazione di Copenhagen, e rimuovere al tempo stesso la dicotomia concettuale tra evoluzione unitaria e processo di osservazione. Capisco che lei nomini conservazione di impulso ed energia, ma questi potrebbero sempre rimanere validi a posteriori, come vincoli su -anche rari- processi fisici non strettamente “causati”. Come mai invece mi nomina il terzo principio della termodinamica?
Per non (saper) rispondere lei è maestra nell’arrampicamento sugli specchi.
Se invece vuole discutere seriamente, proviamo così: perchè esiste qualcosa anzichè il nulla?
Mettiamola cosi’, Maia: se togliamo dalla fisica il tempo t, con la sua struttura di campo R, che cosa le resta? Nulla, ne’ la RG ne’ la MQ. Se chiamo “causa” di un fenomeno A(t) l’insieme B(t’), con t'<t, dei fenomeni correlati ad A, possiamo legittimamente dire che la scienza naturale e' lo studio (matematico) delle cause dei fenomeni, e che non esistono fenomeni naturali osservabili senza una causa.
Senza dubbio, sempre ammesso che abbia interesse a studiare l’origine dell’universo. Perché, se le interessa, dovrebbe rispondere alla domanda: “da dove viene?”. Se asserisce che non c’è una causa dovrebbe allora supportare la sua affermazione con un modello solido che spieghi meglio del postulato di causazione l’esistenza della materia e dello spaziotempo.
La GRW (teoria Ghirardi–Rimini–Weber) sostiene che una funzione d’onda ha una probabilità non nulla di diventare la funzione nulla. Enunciato così sembrerebbe che la materia scompaia da sola ogni tanto. Poi però i nostri correggono il tiro e dicono: non è che una funzione d’onda qualsiasi scompare, voglio dire che se di una particella non conosco lo spin essa è descritta dalla sovrapposizione della funzione d’onda spin up e quella spin down e che una delle due si annulla quando misuro lo spin. Ma ritorniamo al caso del gatto di Shroedinger: non è sia morto che vivo, siamo noi a non sapere com’è.
Il punto è che questi sono espedienti concettuali per affrontare la realtà ma certo la realtà è già determinata di suo, siamo noi a non sapere. La meccanica quantistica è la disciplina dell’ignoto in un certo senso. E dovremmo imparare tutti da essa a dire “non lo so” piuttosto che delirare sui massimi sistemi.
Che cosa??
Spero non stia dicendo che sia plausibile che in una regione di spazio con energia totale E0 ci possa essere FLOP! e diventa E1 senza dirmi dove è andata la differenza… Lei ha appena detto “a me importa che E1 si conservi a posteriori” e questo, se mi permette, è solo un fuggire dal problema: da dove viene E1?
Perché l’Universo ha quella quantità di materia e non altra? Perché quell’energia? Vede, il principio di conservazione di energia e impulso non ha l’interruttore. Quando lei descrive un processo deve sempre saper dire lo stato iniziale e quello finale e ciò significa indicare, tramite le condizioni iniziali al contorno, cosa lo ha provocato. Se una palla rotola sul pavimento la sua energia cinetica non viene da Zio Paperone ma dal bambino che l’ha calciata. Il problema di dover dare una causa ad ogni fenomeno non è una fisima della teologia di San Tommaso d’Aquino ma rappresenta la domanda principale nell’investigazione dei fenomeni e soprattutto della loro storia.
E, infine, definendo l’entropia e l’irreversibilità, il terzo principio della termodinamica conferisce all’asse temporale un verso ben definito. Insieme agli altri principi che ho nominato impone che la descrizione di un fenomeno implichi anche le sue origini e quindi le sue cause.
Non e’ metafisica e’ idea platonica,platone inventava letteralmente l’idea e l’idea era assoluta,per lui l’idea era la realta’ non la percezione sensibile,mentre per Aristotele il processo partiva dai 5 sensi.Affermare comunque che la realta’ e la matematica significa implicare che e’ irrilevante dimostrare poi un qualche nesso con qualsiasi osservazione.A me,ignorante quanto si voglia ,mi sembra una cosa del genere:
Lo penso dunque esiste senza ne’ osservazioni,ne’ esperimenti.
Pare palese che non abbia cause,infatti un’idea si ogetivizza in enti artificiali,la causa di un edificio architettonico (si pensivagli schizzi geometrico matematici del progetto che sono una rappresentazione IDEALE di cio che poi con la tecnica viene costruito) non e che il soggetto pensante che lo ha ideato,qui si bloccano i nessi di causa,proprio perche’ la natura non causa in realta’ enti artificiali,ma il soggetto pensa l’idea (Fantasia) la rappresenta (matematica/geometria) ,essendo che l’essere e’ l’idea presa da un costrutto fantastico (si pensi al concetto di “fantasia” e all’importanza che Platone dava a questo concetto)la causa non e’ in realta’ che il soggetto che la ha ideata,ragion per cui risiede nello stesso pensiero umano, e nell’archetipo del’idea.E mi pare scontato a questo punto che non si poteva dire che e’ “incausato” diciamo che non e’ incausato ma totalmente “ideato” quindi ipotizzato, a priori dei 5 sensi,come ogni buon Platonico che si rispetti.
@ Maia
La mia proposta di livello V, Maia, era solo una provocazione avente lo scopo di segnalare tutta l’artificiosità della costruzione a più livelli di Tegmark, dove ogni livello viene creato ad hoc per risolvere un problema insoluto della fisica; e ciò si ottiene facendo esplorare a quel multiverso tutte le possibilità, in modo da rendere ogni cosa possibile, compreso il fenomeno che si doveva spiegare.
Il mio punto di vista è che la stessa idea di multiverso, in tutte le sue accezioni e nel caso di Tegmark già dal livello 2 e ben prima del MUH (che coincide con la platonica Iperurania), è fuori dalla scienza galileiana. Perché? Esattamente come la sua controparte intelligente (l’Agenzia trascendente, che tutti chiamano Dio con la d maiuscola), nessun multiverso è in regola con la prescrizione scientifica di controllabilità empirica delle sue previsioni perché, come le rette parallele non s’incontrano mai, così gli universi paralleli sono topologicamente disgiunti, ovvero è proibito a priori ogni viaggio dall’uno all’altro: in particolare dalla nostra Isola quantica, abilitata alla certificazione di scientificità in quanto dotata di menti osservatrici e di strumenti d’osservazione, alle altre. I cultori del multiverso ammettono che nessuna predizione teorica riguardante un universo diverso dal nostro può essere controllata, ma confidano che qualche (futuribile) predizione riguardante la nostra Isola possa essere qui verificata. Il problema però è che, se anche una tale predizione sopravvenisse, per il rasoio di Ockam essa corroborerebbe la teoria del multiverso solo alla condizione che non si potesse con minor dispendio assiomatico costruire una sub-teoria del nostro Universo contenente la stessa predizione, il che appare francamente improbabile data l’informazione infinita assunta in ogni modello di multiverso! Esempio banale: postulando il principio antropico nella versione “forte” (“Le proprietà dell’Universo sono tali da produrre la vita ad un certo stadio della sua storia”), avremmo una “spiegazione” del fine tuning con una spesa d’informazione minore di quella necessaria a comprare 10^(10^123) universi, come calcola Penrose.
Tutti i modelli di multiverso, insomma, sono “esercizi di cosmologia metafisica”, come ha dichiarato candidamente uno dei loro più prolifici ideatori, il fisico ex-sovietico Alexander Vilenkin. Io, che ho un grande rispetto per la metafisica non essendo stato allevato a Mosca in un’alma mater del Partito, li considero solo esercizi di cattiva metafisica. Perché cattiva? Perché, a dirne una, in nessuna teoria ho trovato il controllo della coerenza tra le proprietà postulate dell’Agenzia Cieca e la sua contingenza svelata per tutti i modelli dal famoso teorema di Borde, Guth e Vilenkin d’incompletezza del tempo passato (2003), e dai suoi raffinamenti successivi.