Omogenitorialità, gli studi e la scienza dicono no

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Adozioni di coppie omosessuali, cosa dice la scienza? Ci sono studi sull’omogenitorialità? In questo dossier elenchiamo le ricerche più autorevoli sulle adozioni di coppie dello stesso sesso offrendo una panoramica spesso nascosta sui grandi media.


 

Nel gennaio 2013 la Prima sezione civile della Cassazione ha sostenuto che si tratta di un «mero pregiudizio» affermare che sia «dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale», in quanto «non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza».

In molti hanno visto in tale dichiarazione la prima apertura in Italia all’adozione da parte di persone dello stesso sesso.

Vengono così liquidati come “pregiudizio” una consistente mole di dati scientifici prodotti fino a oggi, contrari alla loro posizione.

In questo dossier, in continuo aggiornamento, elenchiamo in ordine cronologico gli studi sull’omogenitorialità e autorevoli pronunciamenti su questa tematica, i quali mostrano che la difesa della famiglia naturale e del diritto di avere un padre e una madre, si basa su un “giudizio” e non un “pre-giudizio”.

 


 

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1. OMOGENITORIALITA’, PANORAMICA DELLA RICERCA

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Le principali associazioni scientifiche mondiali (statunitensi, soprattutto) hanno assunto una posizione favorevole o neutrale circa l’adozione da parte di figli da parte di coppie omosessuali.

Tuttavia, almeno per quanto riguarda la più influente, l’American Psychological Association (APA), diversi membri della comunità scientifica e addirittura alcuni ex presidenti dell’associazione sostengono che tale posizione è tutt’altro che basata su evidenze empiriche.

«L’APA», ha spiegato ad esempio, Nicholas Cummings, ex presidente APA, professore emerito di Psicologia presso l’Università del Nevada, «ha permesso che la correttezza politica trionfasse sulla scienza, sulla conoscenza clinica e sull’integrità professionale. Le persone non possono più fidarsi della psicologia organizzata per parlare di prove, piuttosto ci si deve basare per quel che riguarda l’essere politicamente corretti. Al momento la governance dell’APA è investita da un gruppo elitario di 200 psicologi che si scambiano le varie sedi, commissioni, comitati, e il Consiglio dei Rappresentanti».

Vale la pena ricordare, inoltre, che la principale ricercatrice dell’APA, colei che si occupa dei pronunciamenti ufficiali circa l’omosessualità, è Charlotte Patterson, lesbica, convivente e attivista LGBTQ+.

Nonostante queste prese di posizione “politicamente corrette”, numerosi studiosi continuano a sottolineare come la vulgata della “no differences” (“nessuna differenza”) tra figli di coppie omosessuali ed eterosessuali, sia fondata su basi empiriche inesistenti o deboli, al contrario della stabilità di evidenze scientifiche che mostrano come il luogo ideale per la crescita di un bambino sia la famiglia formata da madre e padre biologici, meglio se sposati.

In particolare, viene fatto notare che:

a) In diversi studi i campioni di soggetti esaminati non sono adeguatamente selezionati e randomizzati, ad esempio quelli in cui il campione di analisi si propone in modo volontario;
b) In molti studi il ridotto numero di figli di omosessuali esaminati non è rappresentativo (quasi sempre sotto le 40 unità);
c) Vi sono importanti difficoltà di ricerca a causa del numero ridotto del fenomeno e della sua dispersione geografica;
d) la quasi totalità degli studi “neutrali” riguarda “famiglie” omosessuali femminili, dove il figlio è cresciuto inizialmente in una normale famiglia eterosessuale; e) Gli studi ad intervista risultano in genere poco affidabili in quanto osservazioni qualitative-soggettive possono raccogliere alterazioni derivanti da desiderabilità sociale;
f) una nuova elaborazione dei dati raccolti da alcuni dei primi studi porta a risultati diversi, e non è possibile distinguere se si tratti di errori statistici o di alterazioni volontarie dei ricercatori.

E’ condivisibile la constatazione di Walter R. Schumm (Kansas State University) circa l’esistenza di un bias pro-omosessuale nella gran parte delle ricerche al riguardo.


 

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2. OMOGENITORIALITA’, GLI STUDI SCIENTIFICI

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  • Nel novembre 2016 i ricercatori dell’università di Oxford hanno rilevato la fondamentale e insostituibile importanza della figura paterna, soprattutto nei primi anni di vita. In particolare è stato positivamente associato allo sviluppo emotivo e ai comportamentali positivi nei bambini.

 

  • Nel settembre 2016 il prof. Walter Schumm, docente presso la Kansas State University ha pubblicato lo studio intitolato A Review and Critique of Research on Same-Sex Parenting and Adoption, in cui documenta come la maggior parte degli studi sull’omogenitorialità sono imperfetti, non conclusivi, basati su piccola scala e quasi tutti condotti su coppie istruite e benestanti. E molte questioni preoccupanti, inoltre, non raggiungono mai i media. Ad esempio, l’instabilità del rapporto sembra essere più elevato tra coppie di genitori gay e lesbiche e potrebbe essere un fattore di influenza negativo per i bambini, inoltre è stato osservato che la maggior parte dei ricercatori ritiene che molte, se non la maggior parte, coppie gay e lesbiche non sono monogami e questo è un altro fattore negativo per la salute dei bambini.

 

  • Nell’aprile 2016 la Pediatric Academic Societies (PAS), schierata politicamente a favore dell’omogenitorialità, ha presentato uno studio con il quale vorrebbe giustificare la sua posizione sulla tematica. Il campione utilizzato sono 732 padri gay contattati tramite un sondaggio online, i quali hanno risposto sul rendimento scolastico, l’autostima e le relazioni tra pari dei loro figli. Le risposte date sono state più che prevedibili: l’88% ha detto che “non era vero” che il loro bambino è infelice o depresso e così via. Lo studio è stato presentato sotto al titolo: “I figli di padri gay sono ben adattati”. Un esempio perfetto di come vengano realizzate le ricerche a favore dell’omogenitorialità: campione irrilevante, sondaggi online e risposte dei genitori rispetto a cosa pensano dei loro figli.

 

  • Nell’agosto 2015 sul British Journal of Education, Society & Behavioural Science sono stati riesaminati 3 precedenti studi pubblicati tra il 2004 il 2008 dal Dr Jennifer Wainright e dalla Dr.ssa Charlotte Patterson, forse tra i più citati a sostegno della genitorialità omosessuale in quanto hanno utilizzato per la prima volta un campione rappresentativo, concludendo che i bambini che crescono con genitori dello stesso sesso non hanno svantaggi rispetto a quelli che crescono con genitori di sesso opposto. La revisione dei dati ha tuttavia rilevato che dei 44 casi di coppie lesbiche che costituivano il campione, ben 27 erano in realtà genitori eterosessuali male identificati (un errore presente nell’Add Health survey consultato dai due autori), cioè erano bambini che vivevano con una madre e un padre. Dopo la correzione dell’errore fatale, la ri-analisi del campione ha rivelato che gli adolescenti cresciuti con genitori dello stesso sesso sperimentano una significativamente minor esperienza di autonomia e livelli maggiori di ansia rispetto ai bambini con genitori di sesso opposto. Analizzando i dati del campione di adolescenti cresciuti con famiglie omosessuali è emerso inoltre che se i due genitori dello stesso sesso erano sposati, i bambini mostrano sintomi ben maggiori di crisi di depressione, di pianto e attacchi di panico rispetto a quelli cresciuti con genitori non sposati.

 

  • Il 25 gennaio 2015 sul British Journal of Education, Società & Behavioral Science è stato pubblicato uno studio intitolato “Emotional Problems among Children with Same-Sex Parents: Difference by Definition”. Come abbiamo mostrato anche su UCCR, basandosi su un campione più ampio rispetto a quelli di qualsiasi altro precedente studio è stato mostrato che vi sono «problemi emotivi maggiori per i bambini con genitori dello stesso sesso rispetto a quelli con genitori di sesso opposto addirittura con una incidenza più che doppia». Ovviamente lo studio ha ricevuto alcune critiche dal mondo Lgbt, alle quali è stato però ottimamente risposto.

 

  • Il 21 gennaio 2015 sul British Journal of Medicine & Medical Research è stato pubblicato lo studio intitolato “Child Attention-Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD) in Same-Sex Parent Families in the United States: Prevalence and Comorbidities” in cui si è rivelato che i bambini cresciuto con genitori dello stesso sesso negli Stati Uniti hanno avuto più del doppio della probabilità di soffrire della Sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) rispetto ai bambini cresciuti con genitori di sesso opposto. In molti casi la causa è dovuta a forme di bullismo e discriminazione.

 

  • Il 10 gennaio 2015 sul “Journal of Scientific Research & Reports” è stato pubblicato lo studio “Bias in Recruited Sample Research on Children with Same-Sex Parents Using the Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ)” il quale ha mostrato un bias (“pregiudizio”) a sottovalutare le difficoltà psicologiche dei bambini cresciuti con coppie omosessuali negli studi sull’omogenitorialità che si avvalgono di campioni di popolazione reclutati. Per questo «gli studi non dovrebbero basarsi sui campioni reclutati, ma rigorosamente casuali. Allo stesso modo le riviste scientifiche o accademiche dovrebbero astenersi dal pubblicare studi basati su campioni di popolazione reclutati e non anonimi». Infatti, gli studi basati su campioni casuali hanno mostrato maggiori problemi emotivi tra questi bambini, più il campione era grande e più le differenze erano statisticamente significative.

 

  • Nel dicembre 2013 Richard E. Redding, vice cancelliere dell’istruzione universitaria e docente di Diritto e Psicologia presso la Chapman University, ha ricordato il noto “caso Regnerus” (il sociologo aggredito mediaticamente per aver realizzato uno studio i cui risultati rilevavano maggiori problemi per i bambini cresciuti da genitori omosessuali), affermando che «la scienza, in particolare le scienze sociali, sono spesso politicizzate. La controversia Regnerus dimostra che il punto di vista socio-politico degli scienziati influenza spesso il tipo di scienza che viene condotta su questioni di rilevanza politica, influenza l’interpretazione dei risultati e il grado di analisi critica che questi studi ricevono». E’ noto che nelle scienze sociali il rapporto tra liberali e conservatori è da 8:1 a 30:1 e questa «omogeneità di vedute socio-politiche porta quasi sempre ad un “pensiero di gruppo”, un fenomeno che si verifica quando i membri del gruppo hanno sfondi relativamente omogenei o viste ideologiche simili».

 

  • Nel dicembre 2013 i ricercatori del McGill University Health Centre hanno pubblicato sulla rivista “Cerebral Cortex” uno studio nel quale rilevano come l’assenza del padre durante la crescita porti i bambini ad aumentato rischio di comportamenti devianti riscontrabili nella fase adulta. Hanno concluso gli autori: questi studi «dovrebbero indurre i ricercatori a guardare più profondamente nel ruolo dei padri durante le fasi critiche della crescita e suggeriscono che entrambi i genitori sono importanti nello sviluppo della salute mentale dei bambini».

 

  • Nel dicembre 2013 Douglas W. Allen, docente di Economia alla Simon Fraser University, ha pubblicato sulla rivista accademica peer review “Review of Economics of the Household” dopo aver confrontato su larga scala la genitorialità omosessuale, le famiglie monoparentali e genitori non sposati di sesso opposto basandosi sui dati del censimento canadese del 2006. I dati raccolti hanno mostrato che i bambini cresciuti da coppie gay e lesbiche hanno avuto solo il 65% di probabilità di ottenere il diploma delle scuola superiore rispetto ai bambini cresciuti in famiglie naturali con due genitori di sesso complementare, ovviamente confrontati per reddito e istruzione dei genitori simile. I figli di coppie dello stesso sesso hanno avuto anche tassi di diploma più bassi rispetto ai figli di genitori single.

 

  • Nel giugno 2013 i risultati dello studio “The Australian Study of Child Health in Same-Sex Families” condotto dall’università di Melbourne e realizzato tramite questionari online, hanno sostenuto che i bambini che crescono nelle same-sex families (famiglie omosessuali) avrebbero uno sviluppo normale e punteggi più alti dei coetanei in tema di benessere e coesione familiare per via delle discriminazioni cui sono sottoposti. E’ stata mediaticamente presentata come la “più ampia ricerca al mondo” sul tema, anche se basata su 500 soggetti.

    In realtà, è stato osservato, la ricerca è viziata dall’errore presente in quasi tutti gli studi sull’omogenitorialità che affermano la “normalità” dei bambini cresciuti con coppie dello stesso sesso: il campione non è casuale, ma reclutato attraverso annunci, pubblicità, elenchi di indirizzi mail della comunità gay (campionamento di convenienza e non probabilistico). Inoltre lo studio, il cui autore è il dottor Crouch, omosessuale militante, non chiarisce se si tratta di figli coi genitori sposati, conviventi, separati o single. La situazione economica di oltre 400 bambini su 500 è fuori dal comune, fra i 60.000 ed i 250.000 dollari, così come i titoli di studio dei genitori gay reclutati sono risultati mediamente superiori a quelli degli altri di confronto. Lo studioso Walter R. Schumm della Kansas State University, ha invece sottolineato che la rivista su cui è stata pubblicata la ricerca non è peer-review e quindi non ha la necessaria credibilità scientifica, inoltre l’età dei bambini è inferiore ai 10 anni quindi le risposte probabilmente sono state compilate dai genitori che, si sa, vogliono pensare sempre il meglio per i figli. Anche Mark Regnerus, della University of Texas, ha rilevato difetti evidenti nella metodologia della ricerca. Critiche sono arrivate anche da studiosi italiani (qui)

 

  • Nel maggio 2013 la rivista “Early Children Develop­ment and Care” ha dedicato sette articoli alla figura del padre e del suo contributo allo sviluppo mentale del bam­bino. Viene confermato che padre e madre so­no ugualmente importanti per il figlio ed insostituibili poiché ognuno ha un suo ruolo indispensabile per l’equilibrio psicofisico del bambino. Nell’edi­toriale si ricorda che i figli di genitori con ruoli madre-padre differenziati «hanno capacità sociali più sviluppate e sono più pronti alla competizione» rispetto ai figli di genitori con ruoli non differenti. Inoltre, viene affermato, «i padri sembrano giocare un ruo­lo maggiore nel processo di apertura dei figli al mondo esterno che è legato allo sviluppo dell’autonomia e alla ca­pacità di affrontare i rischi». Invece, «le madri attribuiscono maggior valore al lavoro in casa, al supporto e­motivo per i figli e all’educazione ses­suale».

 

  • Nel novembre 2012 uno studio pubblicato su Demography ha mostrato forti limitazioni nell’interpretazione di uno studio precedente (Rosenfeld 2010) e utilizzando lo stesso insieme di dati di tale indagine, si è verificato che rispetto a quanto accade nelle tradizionali famiglie sposate, i bambini allevati da coppie dello stesso sesso presentano il 35% in meno di probabilità di progredire attraverso un percorso scolastico normale. Ha inoltre rilevato che «quasi nessuna delle ricerche che utilizzano campioni rappresentativi a livello nazionale ha incluso genitori dello stesso sesso come parte dell’analisi»

 

  • Nell’agosto 2012 uno studio pubblicato su Child Development ha mostrato la fondamentale importanza della figura paterna nello sviluppo dell’adolescente, evidenziando il fatto che più tempo trascorre con il padre e maggiore sarà l’autostima del ragazzo, e migliori saranno le sue abilità sociali.

 

  • Nel luglio 2012, sulla rivista Social Science Research il prof. Loren Marks della Louisiana State University ha mostrato l’infondatezza della posizione “possibilista” dell’American Psychological Association (APA), secondo la quale i figli di genitori gay o lesbiche non sarebbero svantaggiati rispetto a quelli di coppie eteorsessuali. Lo scienziato ha analizzato i 59 studi sull’omogenitorialità citati dall’APA per sostenere la propria tesi, dimostrandone l’inaffidabilità dal punto di vista scientifico e attestando notevoli differenze sussistenti tra figli adottati da coppie gay conviventi e figli naturali di coppie eterosessuali

 

  • Sempre nel luglio 2012 il sociologo Mark Regnerus dell’Università del Texas, basandosi sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale, ha pubblicato uno studio su Social Science Research con il quale, interrogando direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali, ha dimostrato un significativo aumento di problematiche psico-fisiche rispetto ai figli di coppie eterosessuali. Lo studio ha ricevuto numerose critiche su alcuni quotidiani internazionali da parte di alcune fazioni di parte (come associazioni gay, militanti e anche scienziati ecc.) ma avendo superato la revisione anonima in peer-review lo studio può essere confutato soltanto attraverso una pubblicazione a sua volta pubblicata su una rivista scientifica di pari livello. Dall’altra parte l’indagine ha trovato il sostegno di un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari attraverso un comunicato pubblicato sul sito della Baylor University. In ogni caso, l’Università del Texas ha comunque avviato un’indagine interna per analizzare nuovamente lo studio di Regnerus, pubblicando un comunicato finale con il quale si rileva che «nessuna indagine formale può essere giustificata sulle accuse di cattiva condotta scientifica», dato che «non ci sono prove sufficienti per giustificare un’inchiesta». L’indagine interna ha riconosciuto la legittimità del lavoro e la fedeltà al protocollo seguita dalla metodologia utilizzata.

    Occorre infine ricordare che, come accade in tutti gli studi sull’omogenitorialità (e non solo), anche in quello di Regnerus esistono delle imprecisioni e lo stesso sociologo lo ha tranquillamente ammesso. Tuttavia questa ammissione è stata divulgata come un riconoscimento da parte dello studioso dell’inattendibilità del suo lavoro, ma in realtà egli ha semplicemente affermato (il link originale non è più rintracciabile, qui un sito Lgbt riprende le sue parole, seppur strumentalizzandole): «Io ho parlato di “madri lesbiche” e “padri gay”, quando in realtà, non conoscevo il loro orientamento sessuale, conoscevo solo il loro comportamento di relazione omosessuale. Ma per quanto riguarda gli stessi risultati, io li confermo». L’importanza e la diffusione di questo studio nel campo scientifico è stata mostrata nelle dichiarazioni di Pietro Zocconali, presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi (ANS) e di Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio per i Diritti dei minori e consulente della Commissione parlamentare per l’Infanzia, i quali hanno entrambi fatto riferimento a tale indagine. Nel dicembre 2016 sul New York Post, Naomi Schaefer Riley è tornata sull’argomento scrivendo: «Regnerus è stato oggetto di aspre critiche per le sue scoperte in un articolo 2012 sugli effetti della genitorialità omosessuale sui bambini. Nonostante le richieste di correzione, l’Università del Texas non ha trovato irregolarità. I critici sono rimasti in disaccordo con la sua metodologia, ma non c’era alcun mistero su come è arrivato alle sue conclusioni».

 

  • Ancora nel luglio 2012 Daniel Potter dell’American Institutes for Research ha pubblicato sul Journal of Marriage and Family uno studio con il quale si è concentrato sui bambini cresciuti all’interno di relazioni dello stesso sesso, paragonandoli a quelli cresciuti con genitori di sesso opposto. Ha sottolineato come la ricerca mostri chiaramente che «i bambini cresciuti in famiglie tradizionali (vale a dire, con i due genitori biologici sposati) tendono a fare meglio dei loro coetanei cresciuti in famiglie non tradizionali».

 

  • Nel marzo 2012 l’American College of Pediatricians ha preso posizione su questa tematica affermando: «i bambini allevati da due individui dello stesso sesso crescono in modo adeguato come i bambini allevati in famiglie con una madre e un padre? Fino a poco tempo la risposta univoca a questa domanda è stata “no”. Nell’ultimo decennio, tuttavia, organizzazioni sanitarie professionali, accademici, politici e mezzi di comunicazione hanno affermando che i divieti di genitorialità verso le coppie dello stesso sesso debbano essere tolte. Nel prendere questa decisione di tale portata, qualsiasi sostenitore responsabile dovrebbe basarsi su elementi di prova completi e conclusivi. Ma non solo non è questa la situazione, ma esistono al contrario prove tangibili che i bambini esposti allo stile di vita omosessuale possono avere un rischio aumentato di danno emotivo, mentale e anche fisico». Si è concluso quindi: «l’American College of Pediatricians ritiene inopportuno, potenzialmente pericoloso e pericolosamente irresponsabile, per i bambini, annullare il divieto di adozione per i genitori dello stesso sesso. Questa posizione è radicata sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili».

 

  • Nel marzo 2012 su Hormones and Behavior è apparso lo studio di Ruth Feldman intitolato “Oxytocin and social affiliation in humans”, che ha confermato, dal punto di vista psico-sociale dello sviluppo dei bambini, il beneficio della complementarità di una famiglia intatta, formata da una madre e da un padre, situazione ottimale per un sano sviluppo del bambino. Lo studio in particolare fa notare la differenza dei ruoli delle madri e dei padri, l’importanza di queste differenze per lo sviluppo umano, suggerendo che i sistemi umani dell’ossitocina possono spiegare le diverse e complementari funzioni materne e paterne» (pag. 380-391)

 

  • Nel dicembre 2011 su Archives of Sexual Behavior uno studio ha mostrato che le figlie 17enni di madri lesbiche, concepite mediante inseminazione artificale, sono più propense a segnalare a loro volta un comportamento omosessuale e ad identificarsi come bisessuali, rispetto alle figlie di genitori eterosessuali.

 

  • Nell’ottobre 2011 uno studio realizzato dal Melbourne Institute of Applied Economic and Social Research presso l’Università di Melbourne, ha scoperto che i ragazzi adolescenti (meno per le femmine) che hanno una figura paterna presente nella loro vita hanno significativamente meno probabilità di impegnarsi in successivi comportamenti delinquenziali rispetto ai loro coetanei orfani o senza padre. «Il senso di sicurezza generato dalla presenza di un modello di ruolo maschile in un giovane un effetto protettivo per un bambino, indipendentemente dal grado di interazione tra il bambino e il padre», ha detto il professor Deborah Cobb-Clark, direttore del Melbourne Institute e autore principale dello studio. Dunque è importante anche solo la presenza, senza valutare la qualità di questa figura. «I padri offrono ai bambini modelli di ruolo maschile e possono influenzare le preferenze dei bambini, valori e atteggiamenti, dando loro un senso di sicurezza e rafforzano la loro autostima», ha continuato. In particolare, lo studio ha rilevato che ogni forma di comportamento delinquenziale è stato ridotto di 7,6 punti percentuali per i ragazzi che vivevano con i loro padri biologici, e di 5 punti percentuali per quelli che vivono con il loro padre non biologico. «I padri sono associati ad una riduzione particolarmente grande di incidenza in comportamenti violenti e la lotta tra gang di ragazzi adolescenti»

 

  • Nell’agosto 2011 sul Canadian Journal of Behavioural Science uno studio a lungo termine ha esaminato come i padri contribuiscono a rendere i loro figli più intelligenti e meglio controllabili. La situazione muta notevolmente nei bambini con i padri assenti.

 

  • Nel marzo 2011 sono apparsi i risultati di uno studio condotto dall’Istituto di ricerche economiche e sociali (ISER) dell’Università di Essex, Regno Unito. Dopo aver utilizzato un campione di 11.825 adulti e 1.268 giovani (età 10-15) è stato valutato il grado di felicità dei bambini nelle famiglie con alto e basso reddito verificando che l’influenza maggiore sulla felicità di un bambino è se esso vive con entrambi i genitori -maschio e femmina- e dal rapporto che hanno con essi, in particolare la loro madre.

 

  • Nel 2010 uno studio pubblicato su Marriage & Family Review ha esaminato la letteratura scientifica precedente mostra che essa «suggerisce maggiore conoscenza circa la stabilità delle relazioni omosessuali (lesbiche) di quanto precedentemente sospettato e che, in media, tali rapporti tendono ad essere meno stabili di quelli dei genitori eterosessuali sposati». Evidentemente l’alta instabilità, rilevata statisticamente, dei rapporti di coppie omosessuali è un dato contrario all’affidamento dei bambini, conoscendo i danni sui minori causati dalla separazione e dal divorzio.

 

  • Nel 2010 sulla base del censimento USA del 2001, lo studio con conclusioni “no differences”  di Michael J. Rosenfeld ha esaminato (su oltre 700.000 casi) quanti ragazzi sono stati bocciati a scuola a seconda del nucleo famigliare: 6,8% i figli naturali di coppie eterosessuali, 9,5 e 9,7% i figli di coppie lesbiche e gay. A parità di fattori (reddito, residenza…) la probabilità è non statisticamente significativa, 7,94% (etero) e 9,07% (omo). L’interpretazione è stata messa in forte dubbio in quanto è stato fatto notare che tale divario non può risultare ai ricercatori come “non significativo”

 

  • Nel settembre 2010 in uno studio apparso su Archives of Sexual Behavior gli studiosi hanno mostrato che gli adolescenti cresciuti in famiglie lesbiche hanno meno probabilità di essere vittime sessuali di un altro genitore (la pedofilia è un fenomeno prevalentemente maschile) ma maggiore probabilità (le femmine) di essere a loro volta omosessuali o identificarsi come bisessuali (circa +200%), mentre i maschi sono meno predisposti a relazioni eterosessuali (-35%). Le ragazze mostrano anche un minore ricorso a protezioni contraccettive durante i rapporti sessuali (-35%), e sebbene questo non sia correlato a un aumento di rischio di malattie veneree, implica un maggiore ricorso alla pillola del giorno dopo (+560%).

 

  • Nel luglio 2010 sul Journal of Biosocial Science uno studio ha mostrato che «l’ipotesi che i genitori gay e lesbiche avrebbero più probabilità di avere figli gay, lesbiche, bisessuali o dall’incerto orientamento sessuale è confermata». La percentuale di bambini di genitori gay e lesbiche che hanno adottato un’identità non-eterosessuali a distanza di tempo è tra il 16% e il 57%.

 

  • Nel 2009 su Psychological Reports una revisione di 9 studi sull’omogenitorialità ha dimostrato che i bambini cresciuti con genitori gay erano (a) più propensi ad adottare interessi e attività omosessuali, (b) più propensi a segnalare confusione sessuale, (c) più suscettibili ad essere socialmente disturbati, (d) più propensi all’abuso di sostanze, (e) meno propensi a sposarsi, (f) più inclini ad avere difficoltà nelle relazioni d’amore, (g) meno religiosi e più non convenzionalmente religiosi, (h) più inclini ad avere difficoltà emotive, (i) più probabilità di essere esposti a molestie da parte dei genitori, e (j) più inclini al tradimento.

 

  • Nel 2009 su Psychological Reports uno studio ha mostrato che in diversi studi sulla genitorialità gay, «taluni risultati potenzialmente negativi possono essere stati oscurati da effetti soppressori». Tuttavia, si prosegue, «le differenze sono state osservate, tra cui alcune prove in dissertazioni più recenti, le quali suggeriscono che l’orientamento sessuale dei genitori potrebbe essere associato con l’orientamento sessuale dei bambini in seguito all’emulazione e l’attaccamento all’adulto». Si conclude quindi che «la più recente ricerca sulla genitorialità gay continua ad essere viziata da molte delle stesse limitazioni delle ricerche precedenti in questo settore di studi, compresi gli effetti soppressori trascurati».

 

  • Nel novembre 2009 sull’American Psychologist è stata pubblicata una ricerca di Charlotte J. Patterson nella quale si conclude che i risultati «non forniscono alcuna garanzia per la discriminazione legale contro» le famiglie omosessuali in quanto i bambini si svilupperebbero in modo simile a quelli nelle coppie eterosessuali. E’ stato fatto notare in seguito che la Patterson è un’attivista omosessuale, convivente con tre bambini e ricercatrice di riferimento su questo tema dell’American Psychological Association. Nel suo studio ha riconosciuto che «la ricerca sui genitori gay e lesbiche e i loro figli è ancora molto nuova e sono relativamente scarsi gli studi longitudinali che seguono famiglie di gay e lesbiche nel tempo». Tuttavia la sua stessa indagine presenta numerosi difetti di campionamento, oltre al fatto che 44 bambini non possono essere rappresentativi.

    In passato, dopo un’analisi dei suoi studi sull’omogenitorialità da parte di un tribunale della Florida, la Corte ha concluso:

    «L’imparzialità della Dr. Patterson è venuta in discussione quando prima del processo si è rifiutata di consegnare ai suoi legali le copie della documentazione da lei utilizzata negli studi. Questa corte le aveva ordinato di farlo ma lei ha unilateralmente rifiutato, nonostante i continui sforzi da parte dei suoi avvocati di raggiungere tale scopo. Entrambe le parti hanno stabilito che il comportamento della dr Patterson è una chiara violazione dell’ordine di questa Corte. La dr Patterson ha testimoniato la propria condizione di lesbica e l’imputata ha sostenuto che la sua ricerca era probabilmente viziata dall’utilizzo di amici come soggetti per la sua ricerca. Tale ipotesi ha acquisito ancora più credito in virtù della sua riluttanza a fornire i documenti ordinati»1JUNE AMER, Petitioner, v. Floyd P. Johnson, District Administrator, District X, Florida Department of Health and Rehabilitative Services, Respondent, 17th Judicial Circuit in and for Broward County, Case No. 92-14370 (11). July 27, 1997

 

  • Nel febbraio 2006 sul Journal of Family Issuses, lo studio “The ParentChild Relationship and Opportunities for Adolescents’ First Sex”, realizzato da Mark D. Regnerus e Laura B. Luchies, basandosi su 2000 adolescenti ha notato che la relazione padre-figlia, più che quella madre-figlia, è risultata essere un fatto fondamentale durante la transizione dell’adolescente alla fase della attività sessuale

 

  • Nel maggio 2006 una ricerca pubblicata sul Journal of biosociali Science ha chiaramente evidenziato che l’orientamento omosessuale dei genitori influenzava significativamente quello dei figli.

 

  • Nel 2006 i ricercatori Gunnar Anderson et al., nello studio intitolato “The Demographics of Same-Sex Marriages In Norway and Sweden”, pubblicato su Demography hanno rilevato che il rischio di divorzio è maggiore nei matrimoni dello stesso sesso. Non è stata rilevata, inoltre, nessuna variazione sulla notevole instabilità nel corso tempo, anche in funzione della nuova legge legalizzante le unioni gay. Gli autori hanno stimato in particolare che in Svezia il 30% dei matrimoni femminili rischiano di finire in divorzio entro 6 anni, rispetto al 20% dei i matrimoni di sesso maschile e il 13% di quelli eterosessuali (pp. 76-89). L’alta instabilità dei matrimoni omosessuali, rilevata statisticamente, è un altro dato importante contro all’adozione di bambini da parte di queste coppie.

 

  • Nell’aprile 2005 uno studio su Psychological Reports ha rilevato che il 50% degli abusi su bambini in adozione in una indagine sulla popolazione generale, e il 34% di abusi determinati dal DCF dell’Illinois, erano stati vittime di un genitore omosessuale.

 

  • Nel 2005 sul Journal Of Law & Family Studies è stato mostrato come la letteratura scientifica dica chiaramente che madri e padri sono essenziali per ottimizzare la crescita dei figli. La complementarità di genere offre ai bambini la possibilità di prosperare in un ambiente migliore, mentre altre forme familiari non sono altrettanto utili o salutari per i bambini. Ricerche sostanziali dimostrano infatti gli effetti negativi dell’assenza del padre, mentre si possono solo supporre le conseguenze negative dell’assenza della madre. Inoltre, si continua a leggere, i dati che emergono sul collocamento dei bambini in coppie omosessuali forniscono segnali di avvertimento significativi, suggerendo che ci sono differenze tra i bambini allevati da coppie omosessuali ed eterosessuali.

 

  • Nel febbraio 2005 su Psychological Reports sono stati analizzati i dati dell’Illinois child services dal 1997 al 2002, mostrando che gli omosessuali praticanti erano proporzionalmente più inclini ad abusare sessualmente dei bambini a loro affidati o adottati rispetto ai genitori eterosessuali.

 

  • Nel dicembre 2003 uno studio su Psychological Reports ha mostrato che nel campione selezionato la maggioranza di vittime di abusi sessuali aveva genitori omosessuali, arrivando a concludere che tali dati dovrebbero «mettere in discussione l’attuale politica favorevole all’adozione e all’affidamento a genitori omosessuali»

 

  • Nel 2002 su Regent Law Review University George Rekers e Mark Kilgus hanno recensito 35 dei migliori studi disponibili sulla genitorialità omosessuale pubblicati su riviste accademiche, arrivando alla conclusione che «tranne pochissime eccezioni, gli studi esistenti sulla genitorialità omosessuale sono metodologicamente errati e devono essere considerati non più di un lavoro-pilota esplorativo che suggerisce indicazioni per studi di ricerca rigorosi» (p. 345). Questi studi sull’omogenitorialità, hanno proseguito, «sono metodologicamente difettosi, fuorvianti, distorti, e forme di propaganda a sfondo politico che irresponsabilmente affermano conclusioni che non sono scientificamente giustificate» (p. 375)

 

  • Nel giugno 2002 i sociologi Kristin Anderson Moore, Susan M. Jekielek e Carol Emig, attraverso il loro studio, hanno dimostrato che esiste un ampio corpus di ricerche che indicano come i bambini si sviluppano meglio quando crescono con entrambi i genitori biologici, all’interno di un matrimonio. Hanno affermato in particolare: «non è semplicemente la presenza di due genitori, ma è la presenza di due genitori biologici che sembra sostenere lo sviluppo dei bambini».

 

  • Nel febbraio 2002 su Psychological Reports uno studio ha rilevato che su 57 bambini cresciuti con genitori omosessuali, 48 presentavano una o più problematiche di vario tipo attribuibili al genitore omosessuale. Inoltre, il 27% delle figlie e il 20% dei figli erano a loro volta omosessuali

 

  • Nel gennaio 2001 su Marriage Law Project alcuni ricercatori hanno valutato 49 studi sull’omogenitorialità evidenziando almeno un difetto fatale in tutti. Come risultato, essi concludono che nessuna generalizzazione può attendibilmente essere basata su tali ricerca e che l’affermazione che non vi sia alcuna differenza tra l’omogenitorialità e la genitorialità eterosessuale è priva di qualsiasi fondamento scientifico

 

  • Nel 2001 i sociologi Judith Stacey e Timothy J. Biblarz della University of Southern California hanno pubblicato su American Sociological Review una revisione di 21 studi precedenti sui figli di genitori omosessuali constatando che la ricerca non ha trovato differenze sistematiche tra i bambini allevati da una madre e padre e da quelli allevati da genitori dello stesso sesso. Tuttavia hanno mostrato che le madri lesbiche hanno avuto un effetto femminilizzante sui loro figli e un effetto mascolinizzante sulle loro figlie, tanto che essi riferiscono: «le ragazze adolescenti e i giovani adulti allevati da madri lesbiche sembrano essere stati più sessualmente avventurosi e meno casti, in altre parole, ancora una volta, i bambini (soprattutto le ragazze) allevati da lesbiche sembrano discostarsi dalla norma tradizionale basata sul genere, mentre i bambini cresciuti da madri eterosessuali appaiono conforme ad essa».

    Inoltre hanno rilevato più alti tassi di omosessualità tra i bambini cresciuti in famiglie omosessuali: «Riconosciamo i pericoli politici nel far notare che gli studi recenti indicano una maggiore percentuale di figli di genitori omosessuali che sono inclini a impegnarsi in attività omosessuali» (Stacy, J. & Biblarz, TJ (2001). Does sexual orientation of parents matter? American Sociological Review, 66 (2), pp. 159-183). Anche loro hanno anche osservato che in diverse occasioni tali ricerche offrivano risultati che venivano distorti dalla loro interpretazione in base alle inclinazioni degli studiosi. Hanno quindi concluso che le «pressioni ideologiche vincolano lo sviluppo intellettuale in questo settore». Tutto questo è avvenuto per «non attirare le ire degli attivisti omosessuali o incoraggiare la retorica anti-gay»

 

  • Nel 2000 uno studio realizzato da R.N. Williams ha osservato che figli di genitori lesbiche avevano significativamente più probabilità di essere impegnati in relazioni omosessuali e minore autostima di quelli cresciuti in famiglie eterosessuali. Williams ha scoperto inoltre che diverse omissioni sono state fatte da altri ricercatori che hanno condotto la ricerca in queste aree (Williams, R. N. (2000). A critique of the research on same-sex parenting, in D.C. Dollahite, ed., Strengthening Our Families, Salt Lake City, Utah: Bookcraft, p.352-355.)

 

  • Nel 1999 su “American Psychologist”, rivista dell’American Psychological Association (APA), è apparso l’articolo intitolato Deconstructing the Essential Father firmato da due sostenitori delle istanze Lgbt, Louise Silverstein e Carl Auerbach, in cui si sostiene che né le madri né i padri sono essenziali per lo sviluppo del bambino e che la genitorialità responsabile può verificarsi all’interno di una varietà di strutture famigliari. I due autori sostengono le loro posizioni dall’osservazione del comportamento animale, in particolare dalle scimmie americane chiamate uistitì, concludendo che i bambini, come gli animali, non hanno bisogno di madri e padri, ma solo di operatori sanitari che si prendano cura di loro.
    Sorprendentemente non c’è alcun riconoscimento delle differenze incolmabili tra gli esseri umani e gli animali, inoltre loro stessi scrivono: «Riconosciamo che la lettura della nostra letteratura scientifica sostiene
    la nostra agenda politica
    . Il nostro obiettivo è quello di generare nell’opinione pubblica iniziative che supportino gli uomini nel loro ruolo paterno, senza discriminare le donne e le coppie dello stesso sesso. Siamo interessati anche a favorire politiche pubbliche che supportano la legittimità di diverse strutture familiari, piuttosto che privilegiare i due genitori eterosessuali»
    . Gli autori hanno anche dichiarato: «Ci rendiamo conto che alcune delle ricerche che citiamo per sostenere il nostro punto di vista si sono rivelate scorrette». In altre parole, i due attivisti non si mostrano preoccupati per ciò che è meglio per i bambini (il migliore interesse del bambino non è mai stato menzionato nell’articolo), né sono preoccupati del fatto che le loro fonti non sono supportate dalla scienza.

 

  • Nel 1999 su Violence and Victims è stata messa a confronto la vittimizzazione violenta subita tra gli uomini e le donne con una storia di convivenza dello stesso sesso e le loro controparti con una storia di matrimonio eterosessuale. Lo studio ha trovato che gli intervistati omosessuali, rispetto a quelli eterosessuali avevano significatamene più probabilità di: (a) essere stati violentati come minori e adulti, (b) essere fisicamente aggrediti da bambini, (c) essere fisicamente aggrediti da adulti dai loro partner. Lo studio, si conclude, «conferma che la violenza domestica è più diffusa tra coppie gay rispetto a coppie eterosessuali». L’alto tasso di violenza domestica nelle coppie omosessuali, rilevata statisticamente, è un dato da tenere in considerazione circa la loro possibilità di adozione di bambini.

 

  • Nel 1999 sul Journal of Marriage and Family, lo studio Paternal Involvement and Children’s Behavior Problems di Paul R. Amato & Fernando Rivera ha verificato che i padri riescono a offrire un un contributo unico per il comportamento dei propri figli. L’influenza positiva della presenza della madre e del padre è stata confermata, è risultata indipendentemente e significativamente associata ai problemi di comportamento dei bambini. In particolare l’influenza paterna gioca un ruolo importante nel mantenere nel figlio bassi livelli di delinquenza e criminalità e abbassando le probabilità che la figlia adolescente possa entrare in stato di gravidanza. Questi risultati sono stati confermanti anche dopo aver controllato per il coinvolgimento della madre.

 

  • Nel marzo 1999 David Popenoe, professore emerito di Sociologia presso la Rutgers University, ha pubblicato il libro Life without Father (Harvard University Press 1999) mostrando come madri e padri svolgono ruoli diversi nella vita dei loro figli: «attraverso il loro gioco, così come nelle altre attività dei figli, i padri tendono a sottolineare competizione, sfida, iniziativa, l’assunzione di rischi e di indipendenza, mentre le madri, al contrario, forniscono sicurezza emotiva e personale». I genitori inoltre disciplinano i loro figli in modo diverso: «Mentre le madri forniscono una grande flessibilità e simpatia nella loro disciplina, i padri offrono prevedibilità e coerenza». Ed ancora: «Entrambe le dimensioni sono fondamentali per una efficiente, equilibrata educazione dei figli, in tre decenni di attività come scienziato sociale sono a conoscenza di dati in cui il peso delle prove è così decisamente schiacciante: nel complesso, per i bambini, le famiglie con due genitori eterosessuali sono preferibili alle altre forme di relazioni» (p. 176)

 

  • Nel 1997 sul Journal of Sex Research sono stati analizzati i profili di 2.583 omosessuali, scoprendo che il campo modale dei partner sessuali andava dal 101 al 500. Inoltre, il 10,2-15,7% ha avuto tra i 501 e i 1000 partner, un ulteriore 10,2-15,7% ha riferito di aver avuto più di 1000 partner vita sessuale. L’altissimo tasso di numero di partner, conseguente all’instabilità delle relazioni omosessuali, è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1997 su Violence and Victims è stato analizzato un campione di 283 gay e lesbiche, i quali hanno riferito le loro esperienze sia come vittime che come autori di violenza nella loro relazione. I risultati generali indicano che il 47,5% delle lesbiche e il 29,7% dei gay è stato vittima di un partner dello stesso sesso. L’alto tasso di violenza domestica nelle coppie omosessuali, rilevato statisticamente, è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1997 su University of Illinois Law Review Lynn D. Wardle si è occupato dell’uso improprio di studi di scienze sociali a confronto tra gli effetti della genitorialità omosessuale alla genitorialità eterosessuale, affermando: «collettivamente, gli studi di scienze sociali che pretendono di dimostrare che i bambini cresciuti da genitori che si impegnano in comportamenti omosessuali non sono soggetti a un rischio significativamente maggiore sono metodologicamente e analiticamente viziati, e cadono al di sotto degli standard di affidabilità necessari per sostenere tali conclusioni» (p. 852). Questi studi sull’omogenitorialità hanno ignorato gli effetti potenziali significativi dei figli di gay, tra cui un maggiore sviluppo dell’orientamento omosessuale nei bambini e svantaggi emotivi e cognitivi causati dalla mancanza di genitori di sesso opposto, e una precaria sicurezza economica (p. 833-920)

 

  • Nell’ottobre 1997 sul Journal of Child Psychology and Psychiatry sono stati mostrati i risultati di uno studio che ha confrontato trenta famiglie con genitori lesbiche e 42 famiglie con una madre single eterosessuale e con 41 famiglie formate dai genitori eterosessuali. I risultati hanno mostrano che i bambini cresciuti in famiglie senza padre fin dall’infanzia hanno vissuto con maggior intensità e interazione il rapporto con la madre, anche se sono stati percepiti meno cognitivamente e fisicamente competenti rispetto ai loro coetanei con un padre presente in famiglia

 

  • Nel 1996 sul Journal of Gay & Lesbian Social Services è stato analizzato un campione di 288 soggetti gay e lesbiche, rilevando una elevata incidenza di storie personali segnate dall’abuso nella loro relazione omosessuale. Il tasso di violenza, rilevato statisticamente, che contraddistingue le relazioni omosessuali è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1996 nello studio di S. Sarantokas intitolato “Children In Three Contexts: Family, Education, and Social Development”, pubblciato su Children Australia, si conclude che: «Nel complesso, lo studio ha dimostrato che i figli di coppie sposate hanno più probabilità di fare bene a scuola a livello accademico e sociale rispetto ai figli di coppie conviventi e omosessuali» (pp. 742-743)

 

  • Nel gennaio 1996 in uno studio scientifico su Developmental Psychology i ricercatori Tasker e Golombok, anche se hanno cercato di affermare il contrario, hanno rivelato attraverso i loro risutlati una connessione tra l’essere cresciuto in una famiglia lesbica e l’essere omosessuali, infatti nessuno dei bambini provenienti da famiglie eterosessuali aveva avuto una relazione lesbica o gay, al contrario, cinque (29%) delle diciassette figlie e uno (13%) degli otto figli cresciuti in famiglie omosessuali hanno riferito di avere avuto almeno una relazione dello stesso sesso. Lo studio ha presentato altre piccole manipolazioni interpretative

 

  • Nel 1995 su Developmental Psychology è stato fatto notare che il 9,3% di un gruppo di 75 figli di 55 padri gay o bisessuali sono omosessuali a loro volta, dato che è notevolmente superiore alla prevalenza di maschi omosessuali nella popolazione generale.

 

  • Nel 1994 su Archives of Sexual Behavior ci si è concentrati sugli episodi di attività sessuale non consensuale tra 930 uomini omosessuali attivi in Inghilterra e Galles. Il 27,6% di essi ha riferito di essere stato aggredito sessualmente da altri uomini, un terzo è stato costretto ad attività sessuali da altri uomini con i quali aveva avuto o stava avendo un rapporto sentimentale. Il tasso di violenza domestica, rilevato statisticamente, che contraddistingue le relazioni omosessuali è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1994 in una ricerca sul Journal of Divorce & marriage sono stati analizzati i dati di letteratura pubblicati sulla genitorialità omosessuale e dei suoi effetti sui bambini. Scrivono i ricercatori: «Ogni studio è stato valutato secondo gli standard accettati di ricerca scientifica. La scoperta più impressionante è stata che tutti gli studi mancavano di validità esterna, e non un singolo studio rappresentava la sub-popolazione di genitori omosessuali. Solo tre studi hanno soddisfatto gli standard minimi di validità interna, mentre gli undici restanti presentati hanno mostrato minacce mortali alla validità interna. La conclusione che non vi sono differenze significative nei bambini allevati da madri lesbiche rispetto a madri eterosessuali non è supportata dalla ricerca scientifica». Hanno inoltre aggiunto: «Un altro limite reciproco di molti degli studi è stato quello già identificato da Rees (1979), vale a dire, il desiderio politico e giuridico “di presentare una felice e ben regolata famiglia lesbica al mondo”» (p. 116)

 

  • Nel 1994 la Harvard University Press ha pubblicato un ampio studio dei ricercatori Sara McLanahan e Garry Sandefur sui bambini cresciuti senza un genitore. La loro conclusione è stata: «i bambini che crescono in famiglie con un solo genitore biologico hanno uno sviluppo peggiore, in media, rispetto ai bambini cresciuti in famiglie con entrambi i genitori biologici, indipendentemente dal fatto che la madre residente si sia risposata»

 

  • Nel dicembre 1994 sul Journal of Interpersonal Violence sono stati analizzati i rapporti intimi tra omosessuali, concludendo che la “violenza lesbica” non è un fenomeno raro. Quasi tutti gli intervistati (circa 300 soggetti) sonno stati vittima di uno o più atti di aggressione verbale da parte del loro partner durante l’anno precedente, e il 31% ha riferito uno o più abuso fisico subito, mentre il 12% ha dichiarato di essere stata vittima di un grave abusi fisici. Il tasso di violenza domestica, rilevato statisticamente, che contraddistingue le relazioni omosessuali è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1993 su Families and Society sono stati sintetizzati i lavori Erik Erikson, uno dei più apprezzati psicologi dello sviluppo in tutto il mondo, notando che le madri e i padri amano in modo diverso e non sono affatto intercambiabili. Inoltre, gli adolescenti che hanno rapporti affettuosi con i loro padri presentano migliori abilità sociali, maggiore fiducia, e sono più sicuri nelle loro competenze.

 

  • Nel 1993 sul New Directions for Child and Adolescent Development lo studio intitolato “Distinctive role of the father in adolescent separation-individuation” di Shmuel Shulman e Moshe M. Klein, ha analizzato il rapporto tra il padre e l’adolescente, valorizzando il suo ruolo come unico e insostituibile. Hanno concluso: «i padri, più delle madri, trasmettono la sensazione agli adolescenti di poter contare su se stessi, così padri possono fornire un “ambiente facilitante” per il conseguimento, da parte dell’adolescente, della differenziazione dalla famiglia e del consolidamento dell’indipendenza» (pp. 41-53).

 

  • Nel 1992 sul Journal of Sex & Marital Therapy gli studiosi Freund K, Watson RJ hanno pubblicato lo studio “The proportions of heterosexual and homosexual pedophiles among sex offenders against children: an exploratory study”, analizzando i profili degli autori di pedofilia, da cui è emerso -seppur senza generalizzare- che la percentuale di pedofili veri tra le persone con uno sviluppo omosessuale è maggiore rispetto a persone che si sviluppano eterosessualmente. In particolare hanno rilevato che il rapporto tra vittime femmine e maschio era di circa 2:1, anche se il rapporto tra uomini eterosessuali e omosessuali è di circa 20:1. I due ricercatori hanno concluso affermando che i loro risultati «supportano l’idea che uno sviluppo omosessuale spesso non si traduce in androphilia [desiderio sessuale per gli uomini] ma in pedofilia [desiderio omosessuale di ragazzi]. Questo, ovviamente, non dovrebbe essere inteso come dire che gli androphiles possano avere una maggiore propensione ad offendere i bambini di quanto non facciano gli uomini gynephiles [interessati alle donne]» (p. 41).

 

  • Ne 1991 sul Journal of Social Service Research uno studio ha valutato la violenza domestica tra coppie omosessuali e eterosessuali concludendo che l’abuso tra partner lesbiche si verifica maggiormente (55%) rispetto ai rapporti eterosessuali (37 al 55%). Il tasso di violenza domestica, rilevato statisticamente, che contraddistingue le relazioni omosessuali è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

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