Spirituali ma non religiosi: peggiore salute psicofisica
- Ultimissime
- 15 Gen 2013
A volte può capitare di ascoltare persone che si definiscono credenti (“qualcosa ci deve essere”), ma “la Chiesa, la messa, i preti, i comandamenti… non credo servano a niente!”. Questo modo di pensare molto diffuso, in particolare tra gli adolescenti, rimanda alla distinzione tra spiritualità e religione in senso proprio.
La prima sarebbe un insieme di idee o concetti, tendenzialmente astratti e fumosi e con generiche coloriture emotive, mentre la religione sarebbe un apparato esteriore fatto di ruoli, relazioni, azioni, istituzioni che sono – tendenzialmente – giudicati superflui e inutili. Una vera vita religiosa ha ovviamente un nucleo spirituale-personale. Ma un tale modo di pensare, se dicotomizzato, è ovviamente dannoso per un duplice motivo: innanzitutto rischia di creare una religiosità fai-da-te, comoda, non particolarmente impegnativa, che risulta in definitiva sterile nel rendere migliore il mondo e la vita delle persone; in secondo luogo, perde di vista la vera natura della persona umana, che non è una monade intellettuale o sentimentale, ma l’unione inscindibile – secondo la dottrina cristiana – di spirito (la relazione con Dio), anima (la relazione con i propri stati mentali) e corpo (la relazione con gli altri nel mondo).
Tramite seri e rigorosi studi scientifici si può indagare quali sono gli effetti concreti di una religiosità fine a se stessa. E’ di aiuto la recente (novembre 2012) ricerca dello psichiatra britannico Michael King (qui il riassunto dello studio), che come evidenza la recensione della Duke University, è il più ampio studio fino ad ora compiuto circa la salute mentale di coloro che si definiscono spirituali ma non religiosi. L’intervista ha coinvolto un campione di 7.403 inglesi, suddivisi poi tra non credenti, religiosi, spirituali ma non religiosi. Rispetto agli altri, i religiosi mostrano in particolare meno problemi di droga (-27%) e alcol (-19%), e questo risultato non dice nulla di nuovo, ben conoscendo gli effetti positivi della religione sulla salute (vedi Handbook of Religion and Health).
Il risultato interessante riguarda gli spirituali non religiosi, che stanno peggio non solo dei religiosi, ma anche dei non credenti: rispetto a questi, gli “spiritualisti” sono più propensi a usare droghe (+24%) e a esserne dipendenti (+77%), ad avere disturbi alimentari (+46%), disturbi d’ansia (+50%), fobie specifiche (+72%), nevrosi (+37%) e a ricorrere a psicofarmaci (+40%).
Va precisato che lo studio non fornisce indicazioni causali: gli spiritualisti stanno peggio, o chi sta peggio tende a diventare spiritualista? In ogni caso, considerazioni simili permettono di far capire che “c’è qualcosa che non va” a coloro che vogliono credere a modo loro. E solo il passo compiuto verso una comunità, con tutto ciò che comporta, permette di compiere un vero avanzamento esistenziale.
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7 commenti a Spirituali ma non religiosi: peggiore salute psicofisica
Ora non entro nel merito della ricerca ma se penso a delle persone veramente felici che ho conosciuto le uniche che mi vengono in mente sono dei missionari.
“Quello che sorprende gli altri non è tanto quello che facciamo ma il vedere che siamo felici di farlo e sorridiamo facendolo”. Madre Teresa di Calcutta
La spiritualità sta alla religiosità come un sentiero boschivo stà ad un percorso pedonale in ambito urbano. Nel primo caso le probabilità di perdersi sono molto maggiori… se non altro perchè la naturalità potrebbe modificarne la morfologica ad ogni curva.
Beh…andiamoci piano con questi paragoni.
Per me un sentiero boschivo è incomparabilmente superiore ad un percorso pedonale urbano.
Questione di punti di vista. La città è il mio peggiore incubo, se posso la evito. Sono erede del villan Bertoldo: la fanga, le zolle, i sassi e le piante non mi danno pensiero alcuno (nell’accezione di preoccupazione), le città, invero, mi danno senso di soffocamento e voglia di fuggire lontano; piuttosto, preferisco il deserto: ci trovo più vita e più occasioni.
A prescindere da discorsi di religione, eh?!
(Alcune volte l’anno vado a dormire in un eremo abbandonato, in un sepolcreto altomedioevale.. IX – XII sec. Vi si rifugiò anche Adelaide di Borgogna. Bello: senza corrente senza televisione, con le lanterne a carburo, raggiungibile solo con impervia mulattiera. Alla facciaccia del progresso.) Scusate l’OT. Mea culpa.
Beh, forse era un esempio infelice sul piano estetico, ma era chiaro ciò che beppina volesse dire.
Nel merito, ma tralasciando le statistiche, devo dire che ho conosciuto molte persone che non si riconoscevano in nessuna religione e, non pretentendo neanche di fondarne una propria, affermavano di avere una propria spiritualità. Non posso fare a meno di apprezzare l’atteggiamento di chi così facendo esprime un rifiuto di istituzionalizzare una cosa così personale. Però faccio fatica sempre a capire che cosa realmente sia questo “spirito” cui fanno riferimento. Perché mentre ad esempio un cattolico ha una nozione ben chiara di cosa sia lo Spirito, queste persone spesso non sanno neanche di quel che parlano.
Caro Giulio,
lei dice: “Non posso fare a meno di apprezzare l’atteggiamento di chi così facendo esprime un rifiuto di istituzionalizzare una cosa così personale”
Non mi pare che ciò sia un bene in assoluto. Prima di tutto, infatti, la religione (non solo quella Cristiana) è aggregazione e comunità. Spesso, questi nuovi spiritualismi nascondono un atteggiamento di chiusura. Infatti, invece di trovarsi insieme a pregare o meditare, si finisce per crearsi una specie di religione fai-da-te unica e non condivisibile.
Quando le persone si chiudono in loro stesse c’è sempre il rischio che si sfoci nell’egoismo e nell’auto-compiacimento (sono buono perché amo i gatti, sono una brava persona perché credo che anche le piante abbiano un’anima, etc.). Spesso poi certe persone arrivano ad odiare o quantomeno a considerare inferiori chi non la pensa come loro.
Infine vorrei aggiungere che la tanto odiata istituzione della Chiesa è nata con i primi apostoli, anzi con Gesù stesso. Infatti, si legge nel Vangelo che il seguito di Gesù aveva una cassa e che qualcuno la amministrava (Giuda, in modo fraudolento); che prima della moltiplicazione dei pani i discepoli si organizzarono per andarlo a comprare (ma non avevano soldi), poi si occuparono della distribuzione e della raccolta degli avanzi; che per l’ultima cena si organizzano dividendosi i compiti; etc.
Negli Atti degli Apostoli si legge poi come fosse organizzata la prima Chiesa, con precisi compiti che spettavano agli Apostoli (i sacramenti e la predicazione) ed agli altri seguaci (provvedere ai bisognosi). Infatti, come ordinato da Gesù, subito i primi Cristiani si sentirono in dovere di provvedere ai poveri, agli orfani, ai malati, etc. Gli apostoli, benché ritenevano la venuta finale del Signore imminente, non si ritirarono ad una vita ascetica, ma si adoperarono da subito per aiutare chi aveva bisogno,
L’attuale struttura della Chiesa serve ancora oggi per i tre motivi principali: diffondere il Vangelo, amministrare i sacramenti, provvedere ai bisognosi. Ovviamente tutto ciò non sarebbe fattibile lasciando tutto all’iniziativa personale, senza dotarsi di regole e procedure… si rischierebbe solo l’anarchia. Ovviamente, quando le strutture diventano complesse si rischia facilmente di imbarcare persone corrotte e malvage che infangano il nome della Chiesa… ma se Gesù steso non riusci a trovare dodici persone oneste, figuriamoci cosa possiamo fare noi oggi…
Concordo su quanto dice, per quanto possa concordare chi non crede in Dio. Forse non mi sono espresso bene: volevo solo dire che apprezzo chi, pur avendo una sua propria spiritualità, non pretenda di fondare una nuova religione e fare proseliti.
Mi scusi, avevo frainteso…