Il destino dell’anima e il Natale, risposta al materialismo


 
 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

In un precedente articolo ho mostrato che le facoltà dell’anima umana non sono un epifenomeno e in un altro che esse segnano una discontinuità rispetto a quelle animali. Oggi mi interrogherò sul destino dell’anima umana.

A Roma, in Castel Sant’Angelo, nell’urna che raccoglie le ceneri di Adriano, della moglie e del figlio, un epitaffio scritto dallo stesso imperatore poco prima di morire inizia così:

 

“Animula vagula, blandula, “Piccola anima vagante e delicata,
hospes comesque corporis, compagna e ospite del corpo,
quae nunc abibis in loca ora partirai verso luoghi
pallidula, rigida, nudula, pallidi, freddi e spogli,
nec, ut soles, dabis iocos…” ove non avrai più i soliti giochi…”

 

La radice latina  ula, presente tre volte nel primo verso e risuonante altre due nel quarto, interpreta poeticamente l’enigmatica lievità dell’anima degli uomini, ma allo stesso tempo le facoltà sublimi di cui essa sola è sacrario in un Universo per il resto muto! Ma in che cosa consiste il destino dell’anima umana? Essa morirà col corpo o gli potrà in qualche forma sopravvivere?

Cominciamo col chiederci: se è evidente che il legame tra l’anima ed il corpo è inestricabile, come si può solo ritenere razionale l’ipotesi della continuità esistenziale della prima alla morte del secondo? A quest’obiezione dei materialisti di ogni epoca, io non saprei meglio dire delle parole usate da Cicerone duemila anni fa: “Numerosissimi sono coloro che […] impongono alle anime la pena di morte […]. Eppure non esiste altro motivo perché a loro sembri incredibile l’immortalità dell’anima, se non il fatto che non riescono a intendere e a raffigurarsi col pensiero la natura dell’anima priva del corpo. Come se invece, dell’anima dentro il corpo, fossero in grado di comprendere la natura, la forma, le dimensioni, la collocazione! […] Per me invece è diverso: quando penso alla natura dell’anima, trovo che sia molto più difficile, molto più oscuro raffigurarmi l’idea dell’anima dentro il corpo, in una sede ad essa così estranea, che non immaginarla, una volta uscita dal corpo, nella libertà del cielo, quasi finalmente fosse giunta nella sua vera casa” (“Tuscolanae disputationes”).

I greci ci hanno insegnato che la questione è sensata, ma indecidibile dalla sola ragione. Significativamente, il più razionalista ed enciclopedico di loro – Aristotele –, fu prudente sull’argomento: “Se rimanga qualcosa dopo [la morte del] l’individuo, è una questione ancora da esaminare. In alcuni casi, nulla impedisce che qualcosa rimanga: per esempio, l’anima può essere una cosa di questo genere, non tutta, ma solo la parte intellettuale; perché è forse impossibile che tutta l’anima sussista anche dopo” (“Metafisica”). La questione rimarrà sempre aperta sul piano empirico perché: “Nessuno viene di là che ci dica la condizione dei morti, che ci riferisca i loro bisogni, che tranquillizzi il nostro cuore, finché giungiamo anche noi a quel luogo dove sono andati essi… Vedi, non c’è chi porta con sé i proprio beni, vedi, non torna chi se n’è andato”, si legge nel “Canto dell’arpista” contenuto in un antichissimo papiro trovato nella tomba del faraone Antef. Con tutto ciò, la risposta sulla struttura dell’anima è aperta, come aperto ai due corni di un aut aut radicale sta il suo destino, oggi come 4.000 anni fa. Seneca scrisse: “La morte? o fine o passaggio”, condensando così le due concezioni opposte: la materialistica, secondo cui la morte è la fine di tutto, e la spiritualistica, per la quale la morte è passaggio ad altra vita.

Il fatto è che la questione della morte non è una tra le tante, ma la domanda delle domande, tanto che i greci demandarono la risposta alla regina delle scienze, la filosofia, che concepirono anche come “melete thanatou” (Platone, Epicuro), ossia come esercizio per imparare a morire. Non sapendo della Creazione, essi non avevano un dio cui chiedere polemicamente conto della morte riservata all’uomo, come invece poteva protestare l’ebreo Giobbe: “In pochi palmi, [o Dio], hai misurato i miei giorni e la mia esistenza davanti a te è un nulla. Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra l’uomo che passa; solo un soffio che si agita… Allontana da me i tuoi colpi: sono distrutto sotto il peso della tua mano” (“Libro di Giobbe”). Alla fine, l’esercizio ellenico si risolse in tecniche consolatorie contro l’angoscia della morte. Con due opposte ricette. Muovendo dall’idea di Democrito che l’anima, come il corpo, è un aggregato di atomi e quindi destinata come quello alla dissoluzione, Epicuro scrisse con baldanza: “Abituiamoci a pensare che nulla per noi è la morte, poiché gioia e dolore risiedono nella sensazione; la morte invece è privazione della sensazione. […] Stolto è colui che dice di temere la morte, perché non proverà dolore quando essa si sarà presentata, ma intanto si avvelena la vita nell’attenderla! La morte non è nulla per noi, dal momento che quando noi siamo, la morte non c’è, e quando c’è la morte, noi non siamo più” (“Epistola a Meneceo”).

Sul versante filosofico opposto, la preparazione alla buona morte avviene nell’umile speranza che essa può essere la porta che apre all’anima del giusto il ritorno alla casa, donde quella s’era involata quando, alla nascita, si era congiunta al corpo: una casa dove ritroverà la libertà e la comunione con le anime di tutti i giusti della terra. Nella testimonianza di Platone, Socrate prima di morire arringa i suoi giudici ingiusti e consola i suoi discepoli affranti con queste parole: “Se vere sono le cose che si dicono, la morte è come fare un viaggio, che da qui porta verso un altro luogo, dove ci sono tutti quanti i morti: qual beneficio mai, signori giudici, potrebbe darsi superiore a questo? Se infatti, giunto all’Ade e ormai affrancato da voi qua che vi dite giudici, trovassi là dei giudici veri, proprio coloro di cui si racconta – Minosse, Radamanto, Eaco, Trittolemo e gli altri semidei che nella loro vita furono giusti – sarebbe poca cosa questo viaggio? E, ancora, a quale prezzo uno di voi non sarebbe disposto a frequentare Orfeo e Museo, Esiodo ed Omero? Quanto a me, vorrei essere morto molte, mille volte” (“Apologia di Socrate”).

Molto diverso, perché sapeva di avere un Signore Cui affidare la sua anima, poteva essere l’atteggiamento dell’ebreo: egli godeva del privilegio di un Dio, che Si era rivelato parlando direttamente ai suoi patriarchi, ad Abramo e a Mosè. Il credente si sa nulla, meno di polvere, ed affida la propria resurrezione all’imperscrutabile volontà del suo Creatore: “Ma di nuovo vivranno i tuoi morti, [Signore], risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere, perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre” (Isaia).

Con il cristianesimo, la rivelazione di Dio fa un salto a causa degli accadimenti dell’incarnazione del Figlio, della Sua morte e risurrezione in anima e corpo. Il messaggio diretto di Dio, nel quale si comunica la salvezza per tutti gli uomini, attraverso la risurrezione congiunta del corpo e dell’anima, irrompe nella storia. San Paolo non parla come un filosofo che argomenta, ma come un testimone oculare che in un tribunale riferisce sotto giuramento ciò che ha udito e visto: “Vi ho trasmesso dunque quello che anch’io ho ricevuto: che Cristo morì per i nostri peccati, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Pietro e quindi ai Dodici. In seguito, apparve a più di 500 fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me, che sono un aborto. […] Se Cristo non fosse risuscitato, allora vana sarebbe la nostra predicazione e vana sarebbe la vostra fede. […] Ora, invece, la verità è che Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (prima Lettera ai Corinti). Con il cristianesimo, insomma, la questione filosofica indecidibile dell’immortalità dell’anima è superata e risolta in senso positivo dal fatto storico della risurrezione in anima e corpo di Gesù e dall’immanenza ontologica di Dio che si è avverata storicamente duemila anni fa nell’Incarnazione e che si ripete ogni giorno nell’Eucaristia. L’immanenza, come si sa, è la presenza della divinità nella Natura ed è il concetto metafisicamente opposto alla trascendenza, che è lo stare della divinità fuori dell’Universo e dello spazio-tempo. Ebraismo ed islam hanno di Dio la concezione di un essere assolutamente trascendente, la cui presenza nel mondo avviene solo, misteriosamente, nella parola ai profeti e nei riti liturgici. Nel cristianesimo ciò non basta: Dio si fa uomo nella figura storica di Gesù. In Cristo, “Dio si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio”, scrisse il teologo Sant’Atanasio (“Sull’incarnazione del Verbo”). Nel Natale i cristiani celebrano l’immanenza di Dio, la Sua Incarnazione.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui”: dopo il Natale, l’immanenza tra uomo e Dio si ripete ogni giorno nell’Eucaristia. “Rimanere” non è un incontro fugace, ma un dimorare eterno, un modo di essere. L’uomo esiste in Cristo e Cristo nell’uomo. Al di fuori di Cristo manca il fondamento dell’essere: “Senza di lui è il nulla” (Giovanni). Resta il vuoto, l’effimero, il nichilismo: la morte di tutto, appunto. Più ci penso, più la cosa mi sembra inimmaginabile: dal punto di vista logico trovo una sola spiegazione, che Dio è Amore, un amore infinito.

72 commenti a Il destino dell’anima e il Natale, risposta al materialismo

  • Ugo La Serra ha detto:

    Veramente non c’è evidenza alcuna che l’anima esista, né informazione verificabile alcuna di come essa sia fatta.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      La questione dell’esistenza dell’anima è stata trattata nel mio primo articolo della serie, cui faccio riferimento all’inizio. Quindi preferisco non replicare al Suo intervento, La Serra, perché l’argomento è OT in questo articolo, che ha per oggetto l’immortalità dell’anima e quindi pre-assume la tesi del primo.

  • Eigub Etted ha detto:

    Che cos’è l’ anima, e come la si può percepire ?

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Alle Sue domande, Etted, ho risposto nel mio primo articolo della serie, cui faccio riferimento all’inizio. Quindi il Suo intervento è OT in questo articolo, che ha per oggetto l’immortalità dell’anima e quindi pre-assume la tesi del primo.

  • Vincenzo ha detto:

    Una breve nota all’affermazione di Epicuro riportata nell’articolo, in base alla quale ” La morte non è nulla x noi, dal momento che quando noi siamo, la morte non c’è, e quando c’è la morte, noi non siamo più”. Questa affermazione ad una prima lettura sembra convincente, razionale ed improntata ad una concezione della vita realista e disincantata. In realtà tale convinzione si rivela in molti casi come illusoria e consolatoria. Infatti tutto fila liscio nel caso (possibile, ma improbabile) in cui il singolo non debba sopportare la morte di qualche altra persona a cui sia legato da vincoli affettivi, ma nel caso in cui si debba patire la mancanza di un congiunto, soprattutto se morto in giovane età, il dolore della perdita è dirompente, e ben poco ha da dire allora il buon Epicuro. Quanto da me qui affermato è frutto della mia esperienza personale.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Ti ringrazio, Vincenzo. La tua è una riflessione illuminante ed ineccepibile: se la filosofia è (anche) esercizio alla morte, la filosofia materialistica non ha soluzioni da offrire a chi sopravvive alla morte dei propri cari.

    • GT ha detto:

      Vincenzo il brutto della morte è che non scende ad affrontarsi! Ti logora dall’interno verso l’esterno! E’ ingannevole, meschina e cattiva…

  • Antonio72 ha detto:

    Professore, secondo me è stato anche troppo generoso con Aristotele. Alla fin dei conti Aristotele non era altro ciò che definiamo oggi un funzionalista, anche se la sua metafisica fu determinante per la successiva sintesi con quella platonica operata da Tommaso D’Aquino. Ma ha anche contribuito ad altre metafisiche, niente affatto cristiane. Saluti.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Aristotele è stato ambiguo, Antonio, sul destino dell’anima. Ed io ho riportato tra virgolette esattamente le sue parole: da queste è legittimo estrapolare una visione materialista come una spiritualista, e da quest’ultima una (averroista) che non preserva l’individualità ed una (tomista) che la preserva. Ecc., ecc.
      Io condivido, come ho spiegato, la posizione sospensiva di Aristotele, perché condivido la posizione che l’immortalità (e a maggior ragione l’individualità) dell’anima siano questioni filosoficamente indecidibili, cui solo la fede può supplire. Tu non sei d’accordo?

      • Antonio72 ha detto:

        Sono d’accordo che senza la sintesi con la filosofia platonica dualistica, che calza con l’idea di un uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio (e che dunque partecipa dell’intelletto divino), la metafisica aristotelica abbia ben poco di cristiano (soprattutto per la pesante critica alla prima). Tranne forse l’idea di un dio trascendente, immobile, immutabile ed indifferente alle sorti dell’uomo e del mondo. Saluti.

  • GT ha detto:

    L’anima umana non esiste… è da illusi crederci!
    Queste “paganate” non fanno parte del messaggio di Cristo…

    • Daniele Borri ha detto:

      What???

    • Emanuele ha detto:

      “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna.” (Mt 10,28)

      …e il primo passo che mi è venuto in mente, ma ce ne sono molti altri.

  • cabellen ha detto:

    Interessante questa rassegna filosofico-teologica, professor Masiero, ma è del tutto chiaro che l’unica verità accertata è quella di Epicuro: noi siamo alternativi alla morte e non possiamo essere compresenti ad essa, così come non siamo stati compresenti a tutta la vicenda dell’universo che ha preceduto la nostra nascita. Una debolissima speranza potrebbe agganciarsi agli sviluppi scientifici che riguardano lo spazio-tempo intrecciato, gli universi multipli, la ciclicità … ma non sembra che tutto questo possa cambiare lo status di irripetibile unicità dell’esistenza umana individuale.

    Di “animula vagula blandula” preferisco questa traduzione che chiude la versione italiana delle “Memorie di Adriano” di M.Yourcenar:
    “Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti”.

    • Antonio72 ha detto:

      Noi chi? Il fatto è che non solo non sappiamo niente della morte ma nemmeno della vita. E se ci pensi ciò è del tutto coerente essendo due facce della stessa medaglia. In questo senso non abbiamo alcuna verità accertata.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Sono d’accordo con Lei, cabellen, che nessuno di noi c’era prima della sua nascita: questo mi pare ovvio. Anche se ci sono teorie del multiverso che dicono il contrario, ma mi sembra che nemmeno Lei le prenda sul serio…
      Sono anche d’accordo con Lei che non esiste una verità accertata (io, per precisione, preferisco dire: empirica) sulla sopravvivenza dell’anima al corpo.
      A differenza di Lei, invece, io ho fede: solo questo mi fa sperare nella resurrezione del corpo e dell’anima. Che cos’è la fede? Questo merita forse un altro articolo!
      Grazie del Suo intervento e Buon Natale!

      • Falena Verde ha detto:

        Perdoni l’intrusione (OT), ma da quanto mi risulta la teoria del multiverso si limita ad ammettere l’esistenza di “copie” di noi, ma non afferma che quella copia siamo proprio noi.
        Un esempio: in questo momento io ho 23 anni ma potrebbe benissimo esistere, sempre in questo momento, un altro universo dove c’è la mia copia a 8 anni. Io, però, non sono lui, non sto vivendo quel che sta vivendo lui, l’ho già vissuto.
        Insomma, da quanto ho capito, prima di noi c’erano delle copie. E delle copie potrebbero esserci negli altri universi. Però io, quando muoio, muoio, non ritorno in un altro universo, non ricomincio a vivere.
        Sto dicendo sciocchezze?

        • Giorgio Masiero ha detto:

          Non si preoccupi, ogni modello del multiverso dice molte più sciocchezze! Ci ritornerò in un futuro articolo…

          • Falena Verde ha detto:

            Ehm.. Non ho capito (mi perdoni), ma intende dire che ho detto delle cose sbagliate (sebbene le teorie sul multiverso contengano “molte più sciocchezze”)?
            Attendo comunque con ansia il suo prossimo articolo e la ringrazio per la pronta risposta 🙂

        • Antonio72 ha detto:

          No Falena Verde, non è proprio così. Da come l’ho capita parte tutto dal paradosso del gatto vivo-morto di Schrodinger. La racconto un po’ in stile narrativo. All’inizio di tutto c’è l’atomo. E l’atomo è indeterminato in quanto a posizione ed altro. E siccome tutte le cose esistenti nella realtà hanno una posizione ben definita si può dire che l’atomo è irreale oppure è pressappoco dappertutto. Un bel giorno, in un certo istante, l’atomo pensa bene di rivelarsi al mondo (che chiamo mondo uno) e uccide il gatto. Nel mondo uno il gatto è quindi morto perchè l’atomo si è rilevato in un modo piuttosto che nell’altro. Quindi, in un certo senso, l’atomo ha scelto casualmente di venire al mondo uno. Secondo questa intepretazione esiste solo il mondo uno e tutte le altre possibilità dell’atomo (tutte le posizioni varie) semplicemente scompaiono nel nulla, collassano. Questa è l’interpretazione ufficiale. Ma viene uno scienziato che ci racconta un’altra storia. E’ vero che nel mondo uno l’atomo si rivela così, uccidendo il gatto. Ma allo stesso tempo l’atomo si rivela anche cosà lasciando vivere il gatto. Solo che quest’ultimo gatto non appartiene più al mondo uno, ma al mondo due. Entrambi i mondi sono derivati dal mondo zero nel quale l’atomo era indeterminato, indeciso. Quindi il mondo zero si è ramificato in due mondi distinti: in uno il gatto è morto mentre nell’altro è vivo. Ma poi il gatto (nel mondo due) ha fame e va a caccia di topi. L’atomo che fa fiutare al povero topolino la presenza del gatto è ancora indeterminato, sempre nel mondo uno. Allora succede che il mondo uno si ramifica un’altra volta: nel mondo 1.1 l’atomo decide di graziare il topo, che scappa dalle fauci del felino; nel mondo 1.2 invece il gatto si pappa il topo. Abbiamo quindi altri due mondi ramificati che fanno la differenza di un gatto con la pancia piena e del suo alter ego rimasto a dieta. E così via, e la ramificazione è continua, tanto che potrebbero esistere nelle ramificazioni vicine alla nostra centinaia di nostri cloni che, più o meno, se la spassano. Ovviamente in questa teoria il dibattito del libero arbitrio perde il suo senso. Saluti.

          • Antonio72 ha detto:

            PS
            Anzi diciamo meglio che è tutta una follia!

            • Falena Verde ha detto:

              Ti ringrazio per la spiegazione. Non avevo capito che ad ogni “indeterminatezza”, per alcuni scienziati, si sviluppassero più universi. In tal caso io avrei più ramificazioni, giusto? Dal mio embrione si sarebbero originate numerose Falene, tra cui Falena1 (di questo mondo) e Falena2 (di un altro). Però, dopo la ramificazione, io e Falena2 saremmo due persone diverse, con anime diverse. O, almeno, così la vedo.
              La frase sul libero arbitrio non l’ho capita 🙂
              Ti ringrazio molto.

              • Antonio72 ha detto:

                Sì, infatti è così, siete due persone diverse anche se molto simili; ma l’embrione non c’entra nulla. Come l’universo si ramifica in diverse Falena adulte, si può ramificare in diversi embrioni Falena. Lo sviluppo del cespuglietto multiuniversale non c’entra nulla con lo sviluppo ontogenetico dell’uomo, o anche filogenetico. L’uomo, un sasso, una montagna, ecc.. tutta la materia verrebbe scissa in più ramificazioni, ivi compresa la mente, che per un materialista (come lo era quello scienziato) proviene dalla materia. Il discorso sul libero arbitrio lo semplifico così. Mettiamo che Falena deve decidere se bere il latte o il caffè. Allora, secondo la teoria dei multiversi, potrebbe esistere una Falena che beve il latte in un mondo, ma anche una Falena che beve il caffè in un mondo ramificato. In definitiva Falena non può decidere che entrambe le azioni, ovvero la libertà umana perde di senso.

      • Penultimo ha detto:

        Mhà secondo lei gli atomi che costituiscono il mio cervello è mi fanno dire:

        “Io sono Io”

        non dovrebbero essere gli stessi atomi che rientrati in un qualsiasi ciclo biogeochimico dovrebbero dire “Io sono Io”?,ma dunque come è possibile che l’io siano solo atomi se è assurdo affermare che gli alberi o l’erba siano uomini?

        La morte al livello solamente e puramente materiale non sussisterebbe,infatti gli atomi del mio corpo,rientrano nel ciclo della materia.

        “L’io sono io non” lo sò in ogni caso se l’anima è materia secondo una visione Epicurea.Dovrei poter diventare uno stelo d’erba e affermare “io sono io” oppure l’anima non è materiale.motivo per cui esclude le dottrine della metempsicosi e affini.X)

        La morte dunque è più che il deperimento,sarebbe il caso definirla mutamento,visti i vari cicli della materia,dove va “l’io sono io”?

        P.S manco Goedel credeva che l’io fosse un’epifenomeno del cervello.

    • cabellen ha detto:

      Ricambio gli auguri di Buon Natale.
      Nel libro “anelli nell’io”, D.Hofstadter – l’autore di “Godel Escher e Bach” – rievoca tra l’altro la dolorosa vicenda personale che gli occorse nel 1992, quando perse per un tumore al cervello la giovane moglie (aveva 43 anni). Hofstadter racconta il proprio tentativo di trattenere qualcosa della personalità della moglie, riconoscendo in sé e nei propri figli un’immagine mentale che non aveva più il supporto fisico principale in cui risiedeva come auto-coscienza, ma che poteva ancora generare un riflesso di sé in altri sistemi nervosi. Mi ha colpito questo tentativo – da parte di un uomo vitale e intelligente – di redimere e forse lenire il dolore.

      • Antonio72 ha detto:

        @cabellen
        Non me la ricordo questa parte, e a dire il vero non ho capito cosa significhi, d’altronde come buona parte del libro, soprattutto la parte matematica di Goedel (è pane per i denti del prof. Masiero, non certo dei miei). E’ un mio grosso limite: devo rileggere più volte per capirci qualcosa di certi libri, solo che poi va a finire che rileggo più volte sempre altro. L’immagine che più mi è rimasta impressa, a parte il gioco con la telecamera, sono le lattine di birra e lo sciacquone guasto che carica in continuazione. Ecco il mio livello di comprensione degli anelli nell’io di Hofstadter. Mi consolo perchè so che anche Leopardi si chiedeva quali fossero le grandi scoperte di Kant (“Credo che niuno le sappia, nemmeno i suoi discepoli”). D’altronde ho notato che quando si tratta di metafisica l’incomprensione è totale, tanto che quasi viene il dubbio che esistano due specie umane distinte: noi credenti e voi atei. Non ti auguro buon Natale perchè magari ci sentiamo prima, visto che sono certo che non credi nella profezia maya.

        • cabellen ha detto:

          In effetti non ricordo bene quella parte di Hofstadter, e probabilmente non l’ho descritta adeguatamente. Ricordo di aver pensato che fosse un tentativo “laico” di cogliere qualcosa di simile alla sopravvivenza dopo la morte.
          Riguardo a scienza e metafisica, la mia esperienza è probabilmente simmetrica alla tua: siccome ho sempre avuto l’impressione di non capire nulla di filosofia, mi sono confortato nel leggere (in autori come Odifreddi o Russell) che molta parte della filosofia è viziata da fraintendimenti linguistici, confusioni logiche ed eccessi idealistici.

          P.S. complimenti per le cose molto assennate che hai scritto nel thread sul filosofo Scruton e la sessualità. Ho notato che qui dentro sei considerato quasi un dissidente. Un saluto pre-natalizio.

          • Antonio72 ha detto:

            Ti ringrazio cabellen. Ciò dimostra che la ricerca di qualcosa che vada al di là del nostro naso (prendila com’è: un’altra metafora “poetica”; stasera è così) non è una follia fuori dal mondo, ma è intimamente radicata nell’animo umano, o almeno a ciò che ne resta oggi.
            Cmq una critica te la faccio. L’accostamento tra Odifreddi e Russell mi pare ardito e offensivo per il grande matematico. Scegli te quali dei due meriti questo appellativo. Buon pre-Natale, se ancora si può dire nel vostro gergo la parola Natale al posto di sole invitto o luna calante, sempre che non nevichi. Ciao.

  • Michele Forastiere ha detto:

    Questa tua stupenda riflessione sul destino dell’anima, Giorgio, mi ha fatto venire in mente qualcosa che ho letto di recente qui su UCCR. Si tratta della storia del neurochirurgo Eben Alexander (https://www.uccronline.it/2012/11/22/christof-koch-il-volo-mancato-di-un-riduzionista-romantico/). Ho acquistato e letto subito il libro in cui egli racconta l’esperienza vissuta mentre era in coma, col cervello semi-distrutto dalla meningite batterica. Ecco, in casi di questo genere tendo ad essere molto cauto: tuttavia – nonostante ci siano dei punti che non mi convincono del tutto – devo ammettere che il racconto è, umanamente, davvero toccante e sicuramente da non prendere alla leggera. Come non ricordare allora, in tale contesto, l’altro famoso passo di San Paolo (2 Cor 12): “Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare.”?
    Un caro saluto!

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Grazie, Michele. Queste esperienze straordinarie, come quelle di santi, mistici e veggenti sono personali ed irreplicabili. In quanto tali, mentre sfuggono al controllo scientifico, rafforzano il credente nella fede, che dal punto di vista razionale significa “fiducia nei testimoni”.

  • Vronskij ha detto:

    Non preoccupatevi per ognuno verrà la sua ora (della verificazione scientifica di esistenza dell’altro mondo), anzi qualcuno, se è troppo curioso, può avvicinare l’ora sparandosi una pallottola alla tempia. Il problema è se le cose devono essere capito dal vivo, e non dopo la putrefazione della carogna.

    Idealmente e originalmente la morte è un passaggio, una nascita in un altro dimensione o ambiente (mondo spirituale), simile come il nascituro passa dall’acqua del grembo materno, nell’aria del grembo di madre natura. Idealmente e originalmente la morte è una festa, come è una festa la nascita di un bambino, è ci sono esempi (di riti antichi e moderni) che il morto viene accompagnato in modo festoso (canti, musica, gioia ecc). La paura della morte e il pianto è segno di un fallimento, a parte la legittima tristezza positiva della separazione (noi siamo tristi anche quando salutiamo qualcuno che amiamo nel stazione del treno, che va lontano, in America per esempio), segno infallibile di una missione incompiuta, di una vita vissuta miserabilmente, che continuerà a essere miserabile dovunque persona vada.

    Mi dispiace ma atei e religiosi saranno delusi dopo il processo della putrefazione: i primi perché si troveranno stupiti in un ambiente che hanno negato, e i secondi che non hanno capito che lì troveranno nient’altro che quello che hanno portato (quello che hanno vissuto “sulla terra”). Non ce niente gratis, soltanto i bambini pensano che i regali crescano nell’albero del Natale. Per questa ragione immensa importanza della vita sulla terra, come preparazione, un training spirituale di sapere e potere respirare vero amore, nello stesso modo come i bambino sviluppa in modo sano i polmoni nel grembo materno, dove i polmoni non servono, ma serviranno nel primo momento dopo la nascita (non per caso uscita dall’utero è simile con il tunnel con la luce nel fondo, testimoniata da molto veggenti, morte cliniche, religioni antichi ecc).

    Tutte le discussioni su incertezze sull’al di la e sicurezze della sua nonesistenza sono balle religiosofilosofiche, perché tutti nella parte più profonda dell’essere lo sano che sonno immortali, la morte è inaccettabile. Gesù è ancora incompreso anche quando ha detto “lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”, che originariamente ha il senso: “lasciate che i down seppelliscano i loro down”.

    • Antonio72 ha detto:

      Vronskij: sei in vena di poesia stasera, come il prof. Masiero?

      • Vronskij ha detto:

        Antonio72, per te, e per quelli che discutono in Rai per la capolinea dell’autobus di questo mondo, ho un altro detto che calza meglio:

        “Lasciate che i diversamente abili seppelliscano i loro perversamente abili”.

        • Antonio72 ha detto:

          Vronskij,
          veramente la metafora del capolinea è mia, non di Ruini. Ho seguito l’andazzo poetico del blog.

          • Vronskij ha detto:

            E’ questo il problema che i discorsi dei altri sono poesia, invece le poesie del soggetto disputante (IO degustibustante disgustante), e della propria denominazione religiosa, sono la logica assoluta. Poi l’andazzo poetico del blog segue per forza andazzo poetico dell’autobus Fiat-Italia con autista Vasco Rossi, il profeta moderno, che canta insieme con i passeggeri dei studi televisivi di Rai:

            Tu che sei la (nel al di là)
            Vieni qua (nel al di qua)
            Facciamo una siringa
            Che ci porterà nella stringa (del multiversingasonga)
            Eccetera eccetera …

            Wanrod vuole la mia posizione religiosa. Nell’autobus sono anche io Wanrod, e dove posso andare, soltanto che sto in piedi, sto viaggiando senza biglietto, attento al controllore.

            • Wanrod ha detto:

              Domandavo visto che ti vedo molto sicuro di quello che sostieni, e parli per metafore che mi interessano, anche se ora leggendo velocemente non comprendo appieno.
              Domandavo anche perchè da come parli, non sembri nè non credente nè credente, perciò mi sentirei ancora più incuriosito, giusto per capirci di più.
              Alla fine, o sei molto scemo e prendi in giro gli utenti, oppure sei intelligente e perspicace, non so quale delle due sia, da dietro lo schermo di un computer non posso capire di più.
              Magari tu conosci la risposta…

              • Vronskij ha detto:

                Vedi Wanrod, mi sembra che tu sei novizio in questo blog, invece io ho un po di storia, e le mie frasi apparentemente senza senso per te, forse hanno senso per persone che hanno seguito il mio percorso durante diversi dibatti, come è successo con professor Masiero, e purtroppo diversi litigi, anche banali, come con Antonio72.

                Io non posso essere credente e non credente nello stesso tempo, perché è impossibile e senza senso. Pero, è possibile che può essere una terza visione sintesi che da senso tutte due visioni in conflitto, dimostrando che sono complementari. Nel caso in questione vedi attentamente la mia frase:

                “Mi dispiace ma atei e religiosi saranno delusi dopo il processo della putrefazione: i primi perché si troveranno stupiti in un ambiente che hanno negato, e i secondi che non hanno capito che lì troveranno nient’altro che quello che hanno portato (quello che hanno vissuto “sulla terra”)”.

                Con altre parole i atei sbagliano quando negano al di là, ma hanno ragione che i cieli sono vuoti, nel senso che i religiosi lì troveranno nient’altro che quello che hanno portato (quello che hanno vissuto “sulla terra”). Spiego ancora, nel mondo spirituale ogni evento è creazione del soggetto, nel senso che se tu pensi una persona o un paesaggio, la persona o il paesaggio automaticamente diventano reali. Illustrazione migliore per idea si trova nel film “Al di la dei sogni”. Invece i religiosi pensano che troveranno pronto il paradiso in quanto credenti, o secondo un giudizio che fa Dio, mistero, san Pietro con “chiavi in mano”, e che ne so io quante fantasie simili.

                Se hai ancora una domanda, e se non hai paura che ti sto prendendo in giro, puoi farla. Nessun problema per rispondere.

                • Wanrod ha detto:

                  Grazie per la precisazione.
                  In effetti sono novizio di questo blog e non posso sapere chi commenta seriamente e chi invece viene solo a disturbare.

                  Mi incuriosisce il tuo modo di esprimerti (in positivo) e per questo avrei più di una domanda, ma credo che intanto mi basti sentire la tua opinione su questo.

                  Hai detto che nelle realtà spirituali ogni evento è creazione del soggetto.
                  Ora, ipotizzando che sia corretta la tua ipotesi e che lo sia anche l’ipotesi che ognuno sia dotato di un’anima immortale, come mai dici che nelle realtà spirituali sia gli atei che i religiosi saranno delusi?
                  Se un soggetto ateo ipotizza il nulla dopo la morte, allora nella realtà spirituale a cui lui accederà, vi sarà appunto il nulla.
                  Se un soggetto cattolico ipotizza il paradiso e l’inferno dopo la morte, quell’evento sarà appunto creato nella realtà spirituale.
                  In entrambi i casi, troveranno ciò che prima di morire avranno creduto di trovare…è vero oppure ho sbagliato a capire io?
                  E che ne pensi delle ipotesi di quelle religioni che non ipotizzano un paradiso ma per esempio una reincarnazione (buddhismo, induismo, sikhismo, etc)

                  Grazie per il tuo tempo,

                  • Vronskij ha detto:

                    Wanrod
                    “Se un soggetto ateo ipotizza il nulla dopo la morte …”
                    Con la parola “ipotizza” casca asino, perché dietro ad ogni ipotesi ce una situazione spirituale, una esperienza vissuta (cose che ho già dette in questo blog, e non accettate). Con altre parole l’ateo fondamentalmente è un espressione di anima, lui non ipotizza il nulla, lui vuole il nulla sia, è un arrabbiato, appunto è il Caino per eccellenza. Mi spiego meglio e brevemente, l’ateo non trova il nulla ipotetico, ma trova il nulla nel senso di una rabbia desertico contro Dio, con altre parole trova quel sentimento che ha vissuto. E’ lo stesso anche per religioso, anche se che ha fatto ipotesi su Gesù e su paradiso, se ha vissuto ipocritamente, arrogante ecc, nella terra finirà nella cerchia dei ipocriti ecc. Un paragone banale: se sei vissuto da barbone in Italia, se vai in America, non cambia niente, barbone sarai. In certi casi ce gente che non si rende conte neanche che è morto.

                    Attento alle parole, ho usato la parola creazione (“nel mondo spirituale ogni evento è creazione del soggetto”), si crea principalmente con sentimenti, il mondo spirituale è il regno dei sentimenti, di amore, si respira amore, aria è amore. La parola “pensi” (nel senso che se tu pensi una persona o un paesaggio, la persona o il paesaggio automaticamente diventano reali) non nel senso del pensiero astratto, ma dal pensiero del desiderio per una persona o per un paesaggio. Vedi il film “Al di là dei sogni”, vale la pena, anche se un film un po zuccherato. Esiste anche una buona letteratura per la questione, di testimonianze di veggenti, ma è un po specializzata nascosta sotto montagne di rifiuti New Age.

                    Non usare i luoghi comuni per altre religioni non conosciute bene. Immagine del paradiso e inferno è onnipresente in ogni religione, anche se ipotizzata in modo diverso. Per esempio il buddismo ha la Nirvana.

                    Lo stesso anche per la questione del reincarnazione, ma non posso dire di più in questa sede senza spiegare altre cose prima. Va un po troppo lunga in internet.

            • Antonio72 ha detto:

              Vronskij, ma non si può fare nemmeno una precisazione con te? Volevo solo prendermi tutto per me il demerito di quella metafora, perchè è così.
              Mia colpa, mia massima colpa. Spero che questo non m’impedirà di vedere (o meglio rivedere) almeno un barlume di luce in fondo al tunnel. Il tunnel a fondo cieco non è infatti auspicabile per nessuno.

              • Antonio72 ha detto:

                Spero proprio che non esista un aldilà siffatto. Sai, spesso la sera digerisco male, e vengo preso da brutti sogni. Se dovessero veramente concretizzarsi i miei sogni, povero me! Hai presente il film La sfera con Dustin Hoffman? C’è questa sfera perfetta sul fondo dell’oceano fatta di un materiale che appare metallico, anche se è permeabile e liquido, cioè ci puoi ficcare dentro un braccio senza problemi. Allora siccome credono che sia opera di alieni, costruiscono una base sottomarina e ci mandano dei ricercatori, fior di cervelloni e scienziati, tra cui Dustin Hoffman che è un fine psicologo, e poi un biologo, un fisico, un matematico, ecc.. Ma poi si viene a scoprire che quelli tra di loro che di nascosto sono entrati nella sfera acquistano un potere particolare ed inquietante: portano all’esistenza il contenuto dei propri sogni. E questi cervelloni, la crema dei cervelli di tutta l’umanità, lo sai cosa sognano? Piovre giganti, milioni di meduse velenose, serpentelli d’acqua ecc.. Così questi cervelloni si vedono costretti a combattere contro gli stessi propri sogni cervellotici. Ahah, se non l’hai visto, guardalo, è uno spasso. C’è anche una giovane attrice bionda famosa, di cui ora mi sfugge il nome.

                • Vronskij ha detto:

                  Nooooo, che sfortuna che non ricordi il nome di quella bella bionda?! Spero che si chiama Beatrice e ci mostra il suo utero come normalmente nei film moderni; è proprio quella che si vuole per indagare sognando al di là quando digeriamo male la mortadella.

                  Buona notte Antonio, sogni d’oro figlio mio, sogni biondi con tunnel nero, lungo lungo cammina cammina, e non si vede mai la luce. Allora si che hai trovata la felicità eterna.

    • Titti ha detto:

      “Tanta gente è convinta che ci sia nell’aldilà
      Qualche cosa… e chissà?!
      Quanta gente comunque ci sarà che si
      accontenterà!!!” “C’è chi dice no!” Vasco Rossi

    • Wanrod ha detto:

      Posso domandare, solo per pura curiosità, qual è la tua posizione religiosa?

  • Antonio72 ha detto:

    Stasera ho visto un dibattito in tv tra il cardinale Ruini e Sgarbi. E’ bastata la sola presenza di Ruini per rendere il folle e bestiale polemista televisivo un essere umano, quasi mite.
    Secondo Ruini il problema del male è razionalmente irrisolvibile qualora il capolinea di questo mondo rappresenti il capolinea di tutto.

  • Giuseppe ha detto:

    Io l’articolo sull’esistenza dell’anima l’ho letto, e francamente non dimostra niente.

    • Nadia ha detto:

      Dove sta secondo te la differenza tra un gatto vivo e un gatto morto, Giuseppe?

      • Matyt ha detto:

        Esiste una circostanza, almeno possibile in via teorica, nella quale lei può dimostrare in modo empirico che la differenza tra un gatto vivo e uno morto sia la presenza dell’anima?

        No.

        Ergo, il problema, dal nostro punto di vista (quello “umano, troppo umano”, per citare Nietzsche) sta proprio qui.
        Masiero evidenzia in modo ineccepibile (come al solito, peraltro…)

        Ora, entrambe le risposte sono perfettamente lecite, nella misura in cui vengono scelte in base a criteri (il vissuto personale, la “predisposizione” verso una certa forma mentis…) per loro stessa natura non condivisibili.

        Scrive Masiero che per lui la “morte di tutto” è inimmaginabile.
        Forse la differenza tra il mio agnosticismo “teista” e il suo profondo (e consapevole…) cattolicesimo sta li.
        Io accetto, in un certo senso, la Fine del reale, il mio possibile non esistere, Masiero no.

        • Giorgio Masiero ha detto:

          Magari, Matyt, fossi così fermo nella mia fede! Invece, sono pieno di dubbi, in continuo bilico tra l’essere e il non essere. Il card. Martini diceva che in ciascuno di noi coesistono due persone, una credente ed una non credente, che s’interrogano in continuazione.
          Alla fine, penso che prevalga in me la fede perché ho fiducia nella ragione umana, e questa mi porta all’evidenza di Dio, il cui concetto mi porta necessariamente al regno eterno dell’Amore.

          • Lucio ha detto:

            “Alla fine, penso che prevalga in me la fede perché ho fiducia nella ragione umana, e questa mi porta all’evidenza di Dio”.
            Si professore, credo che questa sua conclusione sia giusta: la fede non puo’ essere mai separata dalla ragione; e questa ci porta a credere in Dio. Ma il motivo di fondo per cui si crede in Dio risiede nella Sua azione di grazia, nel Suo aiuto soprannaturale. E questo fatto mi sembra illustrato con grande chiarezza nei seguenti passi del catechismo della Chiesa Cattolica.
            http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p1s1c3a1_it.htm

            Ci sono persone come me e come lei che riescono a dare credito alla naturale spinta verso la fede che e’ presente dentro ogni uomo. Altre persone invece, come l’ amico Matyt, non riescono a farlo (o non vogliono farlo) per motivi che non riusciro’ mai a comprendere pienamente. Questo e’ davvero un grande mistero……
            Grazie per il suo bellissimo articolo!

      • Giuseppe ha detto:

        Se un gatto è vivo non è morto, se è morto non è vivo.

        • Nadia ha detto:

          A parte che secondo l’interpretazione standard della meccanica quantistica ed anche secondo certi modelli di multiverso, quello che tu dici non è vero “per tutti gli osservatori”, la mia domanda era diversa, Giuseppe: che cosa ha un gatto vivo che non ha un gatto morto? o per te, i due corpi sono indistinguibili?

          • Giuseppe ha detto:

            A parte il fatto che prima di parlare a vanvera di meccanica quantistica, bisognerebbe sapere almeno cos’è uno spazio di Hilbert o un vettore di stato, e poi, ripeto: un gatto vivo non è un gatto morto, mentre un gatto morto non è un gatto vivo.

            • Giorgio Masiero ha detto:

              Mi dispiace, Giuseppe, di non averla convinta nel primo articolo che l’anima è un’evidenza. Quale passaggio Le è risultato oscuro?

    • Penultimo ha detto:

      Bhè interessante perchè?

      Si perchè si dice che non dimostra niente,però indubbiamente bisogna spiegare perchè non dimostra ninete.

      Per me se l’anima non esistesse o fosse pura materia (e per materia intendo atomi),ogni mio pensiero dovrebbe venire dagli impulsi del cervello.

      In quanti sanno che fenomeni come “l’intelligenza” (spesso nella filosofia attribuita all’anima),non dipensono dalle dimensioni materiali del cervello?

      Ovvero se l’intelligenza dipende dal cervello (materialmente),all’aumentare delle dimensioni del cervello o all’aumentare della velocità degli impulsi dovrei essere più intelligente,secondo un rapporto direttamente proporzionale:Più il mio cervello è sviluppato più dovrei essere intelligente.

      La balena e molti animali hanno un cervello con volume molto più sviluppato dell’essere umano,perchè non sono intelligenti come l’essere umano?

      o

      L’intelligenza non dipende dalle dimensioni materiali del cervello.Ma se non dipende dalle dimensioni materiali del cervello,come mai è una propietà della sola materia secondo il monismo?

      Tutti paradossi che per esempio portano Goedel al dualismo piuttosto che al monismo.

      D’altro cannto si proprnde sempre di più sull’interazionismo,infatti noto che si parla di HofSTadter.
      ——————–
      ESPOSIZIONE DEI POSTULATI IPOTETICI PORTANTI IA

      Il modello computazionale della mente.
      Una fondamentale ipotesi nel campo di ricerca dell’I.A e rappresentata dal cosiddetto modello computazionale della mente,messo a punto da Margareth Boden ed esposto nel libro:Artificial Intelligence and natural Man pubblicata nel 1979,e da Duglas Hofstadter,il quale ha esposto il risultato di varie ricerche su questa tematica (la più nota come vderemo in seguito e quella della “scremabilità del pensiero”),in un testo noto quale,Goedel Escher Bach (1979)

      Mettiamo subito in risalto le tre linee guida dell’ipotesi del modello computazionale della mente

      1)La prima è la convinzione che l’essenza dei fenomeni mentali,in particolare dell’intelligenza e del pensiero,consista nella capacità di un organismo di recepire informazioni dall’ambiente esterno,di elaborarla secondo i propri algoritmi,schemi o modelli autonomamente e infine fornire delle risposte autonome all’ambiente stesso. Questa idea esprime cosa si intende nell’I.A per comportamento razionale,ovvero la razionalità e qui intesa solo come risposta adattativa all’ambiente.

      2)La seconda è basata sulla convinzione che l’elaborazione delle informazioni effettuata dall’organismo possa essere espressa in forma computazionale,possa cioè essere vista come l’effettuazione di un calcolo di simboli in base a delle regole esplicitamente formulate. Questo secondo assioma è il più caratterizzante dell’I.A,poiché è proprio su di essa che si regge l’obiettivo di realizzare effettivamente un comportamento intelligente attraverso il computer. Queste macchine,infatti possiedono capacità computazionali indiscutibili. Vedremo in seguito se tali presunte capacità computazionali sono tuttavia minabili,e dunque non proprio indiscutibili, attraverso le capacità computazionali umane come l’hacking e il cracking,che in realtà uniscono la creatività umana alle stesse capacità computazionali della macchina,negli exploit informatici per prendere controllo di un sistema.

      3)La terza idea guida afferma che “un sistema di elaborazione intelligente” è costituito nella sua forma astratta,da molteplici sottoinsiemi sviluppati tra loro,ciascuno con proprie caratteristiche di coerenza,funzionalità e espressività. Per esempio un computer è composto ai livelli più bassi dai componenti e dai chip elettronici (l’hardware),e da dei livelli più alti da messaggi in linguaggio quasi naturale che ci invia,ai livelli intermedi dai diversi strati di programmi di elaborazione o software (per esempio il sistema operativo,il linguaggio ambiente,l’applicazione specifica) che consentono di trasformare il livello più basso,cioè i diversi stati elettrici dei componenti elettronici,nel livello più alto,cioè nelle risposte a noi comprensibili che ci invia.

      APPROFONDIMENTO DELLE TRE IPOTESI SECONDO HOFSTADTER

      L’analogia fra computer e mente umana

      Se si prescinde dal substrato fisico che opera la computazione (elettronico nei computer, biologico-neurale nel cervello), il funzionamento dei computer e quello del cervello umano sembrano avere caratteristiche simili. Ai livelli più bassi sono vincolati da leggi fisico-chimiche e più in generale, ai livelli più alti, da capacità di calcolo, adattabilità, conoscenza, intelligenza. D’altra parte, i livelli intermedi sono numerosi e sono caratterizzati da un’ enorme complessità. Ciò genera una grande difficoltà per gli studiosi che si propongono di analizzare e di raffigurare questi sistemi: si pensi all’enorme complessità composta dalle reti neuronali del cervello, sia alla complicatezza delle varie istruzioni e codici del software. Il parallelismo tra i due sistemi può essere molto utile, secondo l’IA, non solo per fornirci un modello, seppure ipotetico è congetturale, di come funziona il nostro cervello, ma soprattutto per spiegarci come fenomeni mentali che riteniamo più elevati, astratti, e in fondo più liberi flessibili, possono in ultima analisi essere fondati su meccanismi computazionali elementari incorporati nella fisicità della materia.Scrive Hofstadter

      […] Ogni aspetto del pensiero può essere visto come una descrizione ad alto livello di un sistema che, a basso livello, è governato da regole semplici, addirittura formali. Il “sistema” naturalmente e il cervello […] L’immagine è quella di un sistema formale, soggiacente in un “sistema non formale” cioè un sistema che, dimenticando nomi, commette errori spaventosi giocando a scacchi e così via. Questo è ciò che si vede dall’esterno: che suo livello non formale, palese, di software. D’altra parte esiste un livello formale, nascosto, di hardware (substrato). Si tratta di un meccanismo enormemente complesso che compie transizioni da stato a stato secondo regole inerenti la sua struttura e indipendenza dei segnali d’ingresso che lo sollecitano.[…]

      Ogni aspetto del pensiero umano, che ci appare come un’attività non soggiacente a regole rigide formalizzate ma al contrario si caratterizza da creatività, ironia, intuizione, può essere nondimeno visto come la descrizione ad alto livello di un sistema che, viceversa, a basso livello, è governato da regole semplici, addirittura formali meccaniche: è questa l’ipotesi tutt’oggi non dimostrata che proviene dall’IA. Il modello computazionale, quindi, proprio perché stabilisce un collegamento tra fenomeni mentali,sia flessibili che liberi, e il sistema computazione meccanico e rigido, attraverso i legami d’ interpretazione reciproca che stabilisce tra i vari livelli, svincolandosi dal modello dualistico cartesiano e approdando nel modello monista.

      Hofstadter e “la scrematura” delle funzioni del pensiero.

      Naturalmente, la distanza tra gli attuali computer e il cervello umano non è breve è non è da credere che le differenze siano modeste o poco significative. I ricercatori coinvolti nell’IA sono convinti dell’enorme complessità del cervello e della relativa semplicità degli attuali computer e vendono tra i due sistemi ancora delle differenze abissali. Se però risultasse che realmente che i due sistemi sono basati su meccanismi di tipo computazionale, allora bisognerebbe ammettere che in qualche modo anche i computer pensano, e sono in un certo senso effettivamente intelligenti già oggi.
      Le ricerche dell’IA non si propongono attualmente di imitare l’intelligenza naturale tutta insieme costruendo, in un colpo solo, una macchina simile all’uomo, ma più realisticamente puntano individuare blocchi o parti di intelligenza o singole capacità mentali come per esempio il linguaggio, riconoscimento delle forme, la capacità diagnostica, la capacità di dimostrare nuovi teoremi, e cercano di realizzarle per mezzo di calcolatori elettronici. Douglas Hofstadter indica questa possibilità come <>. Si tratta dell’ipotesi che alcune capacità tipiche della nostra mente (come vedere, riconoscere oggetti, usare il linguaggio naturale, estrarre regole da successioni di eventi) possono essere estratte o “scremate” dal loro substrato celebrale e realizzate con altri mezzi, come per esempio un calcolatore dotato di linguaggi formali e algoritmi di calcolo “logico”, costruiti proprio sulla base dell’osservazione delle capacità umane.

      […]Ci rimangono due problemi fondamentali in questo tentativo di decifrare come avvengano nel cervello i processi del pensiero. Uno è quello di spiegare come il quadro brulicante delle scariche neuroniche a basso livello produca il quadro brulicante dell’attivazione di simboli ad alto livello. L’altro è quello di spiegare il quadro brulicante dell’attivazione di simboli ad alto livello in termini specifici, cioè di costruire una teoria che non faccia cenno degli eventi neuronici che avvengono ad alto livello. Se quest’ultimo problema è insolubile allora è possibile realizzare anche l’intelligenza in circuiti di tipo diverso dal cervello. Si dimostrerebbe allora che l’intelligenza è una proprietà che può essere nettamente separata dall’ hardware in cui risiede: in altre parole, l’intelligenza sarebbe una proprietà del software. Ciò significherebbe che la coscienza e l’intelligenza sono in realtà fenomeni di alto livello, i quali dipendono dai livelli inferiori e tuttavia sono separabili da quei livelli.[…]

      Notiamo nel testo di Hofstadter la distinzione scariche neuroniche e simboli: le scariche neuroniche sono reti o moduli di neuroni attiva in seguito al passaggio di segnali elettrochimici, i simboli sono queste stesse reti in quanto ciascuna è vista come rappresentazione di un concetto o di un aspetto della realtà.

      Le caratteristiche dell’IA:l’integrazione tra i livelli del sistema.

      Secondo l’ipotesi computazionale, il sistema nel suo insieme, cioè il complesso di tutti gli strati di cui è composto per adempiere al suo scopo di elaborazione, e cioè per mostrare effettivamente intelligenza, deve avere alcuni requisiti fondamentali.

      1) il primo requisito consiste nell’integrazione tra tutti i livelli del sistema: i diversi sistemi devono essere strettamente collegati tra loro secondo una precisa gerarchia (o stratificazione), in modo tale che ogni elemento di livello inferiore abbia una precisa corrispondenza nel livello immediatamente superiore, in modo tale cioè che tutto ciò che avviene in un livello abbia una qualche corrispondenza negli altri livelli.
      In tal modo il sistema possiede o vive, in un certo senso, una storia unica (o vita o successione di eventi) che tuttavia è leggibile diversamente a seconda dello strato che si sta osservando.
      Esempio: in un computer se è sto usando un programma di scrittura è dato un tasto, ciò provoca probabilmente la comparsa sul video di quel carattere (livello più alto), ma provoca anche la contemporanea modifica dello stato elettrico di alcune celle di memoria (livello più basso) e la modifica di alcuni registri di programma (livelli intermedi).

      2) il secondo requisito è che esistano criteri di interpretazione di un’evento nei vari livelli del sistema: come nell’esempio precedente della battitura di un tasto, è necessario che il sistema sia in grado di interpretare ogni evento in modo appropriato a ciascun livello. Così, deve esistere un criterio con cui interpretare il livello più basso-gli stati elettrici delle varie celle di memoria-come una lettera o un numero- nel livello immediatamente superiore del linguaggio-macchina; cosa che avviene in effetti per vari sistemi di codifica, quali per esempio il codice ASCII.
      Considerando insieme i due requisiti esposti, si può osservare come l’interpretabilità di ciascun livello negli altri faccia sì che un identico evento o fenomeno assuma un diverso significato a seconda dello stato in cui viene osservato. In particolare, poiché come abbiamo visto, i diversi strati sono gerarchizzati, in quelle che si trovano più in basso gli eventi avranno una connotazione più materializzata e più fisica, mentre in quelli più alti aumenterà il grado di astrazione e il significato simbolico.

      Il concetto di macchina logica

      Terzo requisito fondamentale per l’IA è che almeno uno dei livelli più bassi possa essere considerato come una “macchina logica”, cioè come un meccanismo in grado di eseguire delle deduzioni logiche o computazioni a partire da insiemi di simboli o assiomi elementari. Si ha una macchina logica nel momento in cui esista un sistema di simboli che può essere considerato come un linguaggio formale con il quale si possono rappresentare delle affermazioni su un certo universo o ambito, e quando esistano regole precise le cui le modificazioni dei simboli obbediscono e che possono essere considerate come le regole di deduzione del sistema formale. Nell’esempio del computer sono in genere gli strati più bassi del software che possono essere considerati come la “macchina logica”: risiedono infatti nelle codifiche di base le capacità elementari su cui sono costruiti, per mezzo di assemblaggi successivi, i vari linguaggi e le applicazioni di uso corrente nell’informatica. Traiamo da Hofstadter ultimo passaggio su questo tema:

      […]Il cervello comincia ad apparire come un sistema formale molto particolare, perché può darsi che al suo livello più basso, il livello neuronico, le cui regole operano e cambiano stato, non esista alcuna interpretazione degli elementi primitivi (scariche neuroniche o forse eventi di livello ancora più basso). Tuttavia al livello più alto emerge un’interpretazione significativa: una corrispondenza tra le grandi “nuvole” di attività neuronica che abbiamo chiamato simboli del mondo reale. Nel cervello gli eventi al livello neuronico non si presentano ad essere interpretati nel mondo reale: semplicemente non limitano alcunché. Servono solo come substrato che ha la funzione di sostenere livello superiore, un po’ come il transistor di un calcolatore tascabile che ha solo la funzione di sostenere la sua attività di rispecchiamento dei numeri. Ne segue che non c’è modo di scremare solo il livello più alto e farne una copia isomorfa in un programma. Se si vogliono rispecchiare i processi cerebrali che permettono la comprensione del mondo reale, allora si devono rispecchiare alcune delle cose che stanno accadendo nel livello inferiore. […]Questo non significa necessariamente che si deve percorrere tutta la strada fino a livello dello hardware, anche se potrebbe non esserci altra via.[…]

      Dunque sarebbe impossibile realizzare un programma per computer capace di funzionare come l’intelligenza umana (isomorfo), semplicemente imitando la struttura ad alto livello del pensiero umano. Ma non è nemmeno necessario imitare le strutture hardware del cervello del livello più basso.

      I limiti dell’approccio computazionale:l’esplosione combinatoria.

      I ricercatori di IA si sono inoltrati nel decennio scorso i molti problemi di tipo teorico, tra cui due sono particolarmente interessanti: il problema dell’esplosione combinatoria è quello della complessità delle situazioni reali.
      Il primo problema è legato al fatto che quando si intende individuare una condotta d’azione intelligente in un determinato ambito adottando un linguaggio formale è un sistema di computazione, si incorre ben presto in una descrizione del problema che diventa difficilmente dominabile, a causa di un fenomeno noto agli esperti come “esplosione combinatoria”. Infatti, per rappresentare le possibili azioni che si possono intraprendere in un certo ambito (per esempio in un gioco delle carte o agli scacchi) è necessario utilizzare una rappresentazione simbolica dei vari passi che possono essere effettuati da me e dagli altri attori o avversari. Tuttavia, poiché a ogni passo, o mossa, la configurazione del problema cambia e poiché a ogni mio passo l’interlocutore o avversario può scegliere a sua volta tra varie condotte,o comportamenti, è facile verificare che ben presto il numero delle possibili mosse o azioni da studiare per individuare quella più razionale cresce enormemente. Se per esempio prendiamo in considerazione il gioco degli scacchi, con l’intento di costruire, per ogni turno di gioco, l’albero dei procedimenti possibili per poter scegliere la strategia migliore, ci troviamo davanti a numeri astronomicamente grandi. Che cosa accadrebbe allora in situazioni reali più complesse del gioco degli scacchi?
      Di fronte numeri così elevati anche calcolatori più potenti si trovano in difficoltà. Il fenomeno dell’esplosione combinatoria è infatti collegato in maniera strettissima alla complessità delle situazioni reali, il che significa, solipsismo a parte, che al variare delle situazioni reali aumentano sempre di più le possibilità di combinazione, si pensi all’ora quando queste combinazioni si intrecciano pur sovente apparendo diverse. Molte ricerche sociali ed economiche contemporanee hanno in effetti dimostrato che gli esseri umani devono definire strategie di azione razionale in una situazione di totale incertezza non solo nei ciocchi, come quello degli scacchi, ma in quasi tutte le situazioni reali. Riassumendo formalmente le azioni possibili, possiamo ricondurle essenzialmente a tre principali incertezze:

      1) informazioni incomplete sull’universo in cui si deve operare
      2) l’imprecisione o inaffidabilità dei dati a disposizione
      3) limitazioni reali delle capacità di calcolo poichè il numero delle possibilità da verificare è astronomicamente grande

      tutte queste problematiche hanno messo in luce l’attuale impossibilità di verifica e dunque la conseguente incongruenza della teoria computazionista della mente. Aprendo così una nuova teoria non più basata solo sul computazionismo ma che tenta di risolvere questi problemi, si apre una nuova teoria:il connessionismo, che esporremo ma con relativa confutazione, le altre confutazioni che procederanno contro gli assiomi base dell’IA dimostreranno l’ineludibile superiorità del pensiero umano su qualsiasi macchina digitale. Paradossalmente proprio quello che sembrava un punto di debolezza e incertezza si è rivelato il più grande punto di forza del pensiero umano, infatti non è possibile che un computer possa in situazioni di incertezza operare azioni e risposte congruenti e razionali. Proprio per questo la teoria computazionista è oggi quasi del tutto abbandonata dagli stessi ricercatori dell’I.A.

      DUNQUE IL COMPUTAZIONISMO E’ GIA MINATO NON SI PUò RIPRODURRE L’IO UMANO SU UNA MACCHINA.SI E’ PASSATI QUINDI AL CONNESIONISMO,MA ANCHE QUESTO MOSTRA LACUNE ENORMI.

      • Penultimo ha detto:

        La conclusione è la seguente prendi il computer metteteli tutte le capacità di calcolo e di velocità di calcolo superiori di per sè a qualsiasi cervello naturale.Tale “Intelligenza” non è “intelligenza”,anzi stà sotto l’intelligenza il più piccolo organismo biologico.Dunque il computer “non sa quello che fà” ovvero non sà:

        perchè fa o esegue i calcoli.

        Dunque se l’intelligenza sarebbe solo capcità di calcolo logico perchè il computer e cosi “idiota” (termine sarcastico) da non sapere quello che fà pur facendolo alla lettera?X))

  • saracino ha detto:

    Secondo me l’anima è immortale perché è impossibile che qualcosa vada dall’essere al nulla. La morte è solo una trasformazione. Se con la morte c’è un passaggio della vita dall’essere al nulla, qualcosa cade nel nulla, il che è impossibile, perché ciò che è non può non essere.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Ma se tra l’essere e il nulla c’è questo muro invalicabile, come si spiega, saracino, la nostra nascita?

      • saracino ha detto:

        noi non eravamo nulla, eravamo pensiero di Dio 😉 Eravamo in modo diverso.Così è anche per l’universo: esisteva in un nulla-caos primario. Non è sbagliato dire che noi veniamo dal nulla, ma era un quasi-nulla, non un nulla assoluto.

        • Giorgio Masiero ha detto:

          “…eravamo pensieri di Dio”: sono d’accordo, saracino. Ma per credere questo è richiesta la fede, no?

    • Penultimo ha detto:

      Ma dipende un pò come nulla,noi quando pensiamo al nulla,nel senso della morte pensiamo non tanto al nulla del corpo.

      Ma al fatto che non sappiamo dove va a finire il nostro,quell’io che per sè è simile ma diverso,da quello degli altri.

      Sicuramente tale Io non è la materia perchè questa premessa è vera.

      Tutti i corpi mutano (si disgragano e si riagregano in altre forme)

      L’io non rientra nella materia i corpi si.

      Non so,dovremmo dire che se questo è vero:

      L’io diventa una stelo d’erba o un sasso.

      Ma lo stelo d’erba non sa nulla nè il sasso.

      La morte è la cessazione dell’autocognizione dell’io.

      Ma se quel “quasi nulla” è un quasi allora la materia sarebbe eterna.

      La materia è eterna?

      Si ma perchè esiste?Esiste la materia eternamente?

      Se fosse eterna perchè muta?

      Cio che è mutevole è sogetto al tempo,ma cio che è sogetto a un tempo significa che ha un tempo,dunque che non è eterno (l’eternità non ha tempo).

      • Licurgo ha detto:

        La materia può pure essere temporalmente eterna (se prima non ci fosse stato nulla ci sarebbe stato un tempo infinito in cui non c’era nulla, ma il tempo non può darsi senza mutamento nè può iniziare ad essere, altrimenti ci sarebbe un prima del tempo, che in quanto tale è sempre tempo essendo ‘prima’), ma questo non significa che a livello ontologico possa essere autosussistente.
        Proprio perchè la materia è mutevole per essenza, essa non può essere causa di se stessa nè può essere incausata. Se fosse causa di sè si darebbe l’assurdo che qualcosa che non esiste si crea, ovvero fa un’azione, se fosse incausata si darebbe l’assurdo che qualcosa che per essenza è mutevole non ha un principio fermo da cui parte il moto, ovvero in primis il passaggio dal non essere all’essere.
        Ecco perchè io direi che l’atto creativo è fuori dal tempo ma la creazione si dà nel tempo, col discorso sul tempo di cui sopra.

        • Licurgo ha detto:

          Penultimo.
          Mi scuso…per eterna, rispetto alla materia, intendevo infinita nel tempo, e non, nel senso più corretto in cui lo usa lei, fuori dal tempo.
          Così forse rendo anche più comprensibile l’intervento sopra.

    • Lucio ha detto:

      L’argomento e’ fuori dall’ oggetto della nostra discussione, ma condivido del tutto la tua indignazione! Molti giornalisti dovrebbero vergognarsi di quello che scrivono.

  • Licurgo ha detto:

    Giorgio Masiero,
    ho letto lo scambio qua sopra e mi permetto alcune piccole riflessioni, dando anche io per scontati i concetti di anima, materia e forma, potenza e atto, e tutti quelli trattati nelle precedenti riflessioni. In caso di obiezioni a questi argomenti da parte di persone nuove, proverò, nel mio piccolissimo, a rispondere ove sono valide e inedite, altrimenti dirò che sono state già trattate per non spendere troppo tempo, sperando che qualcuno tra voi sappia mettere i collegamenti o che abbia la voglia di tornare a rispondere a punti già discussi; entrambe qualità che io non possiedo.

    Veniamo al dunque.
    Aristotele direbbe che, quando ancora non eravamo, eravamo in potenza, superando così l’antinomia parmenidea. Nel superamento aristotelico, l’unica cosa che non può essere è il nulla assoluto, ma il nulla di un singolo ente, e la sua mutazione sostanziale in un altro, è pienamente concepibile, mentre la nostra mente è proprio il nulla assoluto che non riesce a concepire.
    La materia brulica di indefinite potenze: alcune si esprimeranno, cioè passeranno all’atto, altre rimarranno in potenza (i cosidetti futuribili)per non aver trovato gli opportuni agenti esterni.
    Ma noi vediamo che quando qualcosa è in atto, non va mai al nulla, ma muta.
    Allora, se il sinolo è composto di due comprincipi, materia e forma, come non va al nulla la materia una volta scissa dalla forma con la morte, così non dovrebbe andare al nulla la forma, ma mutare il suo stato e il suo modo di comprendere (non più desunto dai sensi e dai giudizi e sillogismi, ma immediatamente e pienamente intuitivo).
    Altri aristotelici potrebbero confutare a questo che la forma non può operare se non sulla materia, e dunque finita quella peculiare materia signata, cesserebbe la sua funzione.
    Ma se fosse una funzione non sarebbe un comprincipio, e dunque sarebbe una funzione riducibile alla materia, con tutti i problemi che tornerebbero al riduzionismo materialista evidenziati nel suo altro articolo.
    Un problema molto forte, ma che se viene integrata con la concezione del pensiero pensante e pensiero pensato di Dio trova un argomento a favore della sopravvivenza dell’anima: se ognuno è pensiero pensato di Dio, ed ente autocosciente nel pensiero pensato divino (Dio mi pensa come ente autocosciente altrimenti non penserebbe a me), a quella condizione sarà proprio Dio come pensiero pensante a garantire alla forma in qualche modo il ‘supporto’.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Grazie, Licurgo!
      Per me, che sono un cristiano (con la mentalità di un fisico), il “supporto” più ragionevole resta sempre il corpo: quindi resurrezione, come per Gesù, di corpo e anima.

      • Licurgo ha detto:

        Certamente Professore per un cristiano è così.
        Non entro qua sul discorso del dogma, ma credo converrà col sottoscritto che per un cristiano, fino alla Resurrezione del Corpo, si pone comunque il problema della sopravvivenza dell’anima, essendo il Paradiso, il Purgatorio e l’Inferno, condizioni dell’anima, verità di fede cristiana, o almeno credo.
        So anche che quello dei Corpi è considerato, dal pensiero teologico cattolico stesso, uno dei più grossi Misteri della fede, e come tale molto difficilmente indagabile dalla ragione, anche se, certo, per conseguenza logica, un corpo, anzi quello stesso corpo, rimane il miglior supporto pensabile…ma visto il Misero intrinseco anche per i credenti sui Nuovi Cieli e Nuovi Corpi o sulle due Gerusalemme, io mi sono fermato al solo aspetto in qualche modo, almeno per le mia facoltà,razionalizzabile, cioè quello dell’anima e della sua escatologia.

  • Giorgio Masiero ha detto:

    Il problema da Lei posto di sfasamento temporale si risolve, a mio parere, gia’ con le nostre attuali conoscenze di fisica, se si tien conto che il tempo appartiene a questo mondo, non a quello di Dio, e che non e’ assoluto, ma relativo allo stato in cui il suo misuratore si trova.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      questa risposta e’ diretta a Licurgo

      • Licurgo ha detto:

        Mi scusi, Prof., se la tedio ma vorrei capire meglio.
        E’ dunque pensabile, dal punto di vista delle conoscenze attuali, un inizio temporale della materia, e dunque un tempo senza nulla?
        A rigor di logica ‘terra terra’, a me pare di no, ma magari la fisica odierna dice altro che a me sfugge.
        Da quel poco che tento di capire dal suo intervento, mi parrebbe che, se il tempo è sempre relativo alle condizioni dell’osservatore, non sia pensabile un tempo in cui non c’era nulla, o meglio un ‘tempo prima del tempo’; forse ho capito male?