Coscienza e neuro-libertà: il contributo di Tommaso d’Aquino (II° parte)


 
di Alberto Carrara*
*biotecnologo e neuroeticista presso la “Regina Apostolorum” di Roma

 

Dopo aver considerato, nella prima parte, le evidenze neuroscientifiche a disposizione circa il problema della coscienza, dell’identità personale e del libero arbitrio,  in questa seconda parte considererò alcune conclusioni relative a tali esperimenti neuroscientifici.

È fuori discussione e bisogna riconoscere che, almeno a prima vista, i risultati sono sorprendenti. Ciò che ci si aspetterebbe è che l’area mororia della corteccia premotoria non si attivasse prima del prendere coscienza della decisione di eseguire un certo movimento. D’altra parte, però, la sequenza temporale sembra indicare che il cervello prepara il movimento prima che diventiamo coscienti di deciderlo.

In primo luogo, non c’è dubbio che questi risultati costituiscono un gran apporto alla ricerca neuroscientifica. Bisogna però far attenzione all’interpretazione scientifica dei dati concreti e reali che, in non pochi casi, giunge fino ad una vera e propria manipolazione degli stessi. Tutto ciò potrebbe confermare la credenza che sia il nostro cervello una mera macchina causale e che nello spiegare l’agire libero non sia necessaria la coscienza. «Ci troviamo in un settore della scienza moderna nel quale la rigida distinzione tra scienza e filosofia risulta artificiale o, quanto meno, è messa in crisi», come giustamente affermano José Ignacio Murillo e José Manuel Giménez-Amaya[1].

Sono molti i problemi connessi a questi esperimenti. Rimangono ancora problemi tecnici che vengono dibattuti a livello scientifico, specie quelli relativi alla mediazione dell’esperienza soggettiva, la relazione tra coscienza e tempo, la modalità di costruire gli esperimenti, etc. Inoltre, scienziati autorevoli affermano che «la comprensione di come la condotta per propria iniziativa venga codificata dai circuiti neuronali nel cervello umano resta elusiva»[2]. La neurologa e filosofa Adina Roskies è una delle personalità prominenti nel dibattito neuroetico e si occupa da anni di libero arbitrio presso il Dartmouth College ad Hanover, New Hampshire (Stati Uniti). La scienziata, nell’articolo di Kerri Smith, commenta queste evidenze scientifiche affermando che anche se la predizione sia notevole, meglio che il caso, ciò non è sufficiente ad affermare che si possa vedere nel cervello la decisione che la mente prende prima che questa ne divenga cosciente. Tutto quello che questi dati empirici suggeriscono è che vi sono fattori fisici che hanno un certo influsso nella presa di decisione. Ciò però non dovrebbe sorprendere nessuno.

Per filosofi formati in ambito scientifico, questi tipi di studi non costituiscono una buona evidenza dell’assenza di libero arbitrio. Queste sperimentazioni non sono altro che caricature della presa di decisione poichè persino la decisione apparentemente più banale e semplice di prendere un té invece di un caffé, risulta molto più complessa che decidere se premere un pulsante con una mano o con l’altra[3]. Queste critiche della Roskies rispondono al pregiudizio dello stesso Libet che affermava: «è interessante che la maggior parte delle critiche negative alle nostre scoperte e alle loro implicazioni, provengano da filosofi e da altri dotati di una esperienza insignificante nel campo della neuroscienza sperimentale del cervello» [4]. In mezzo a questo dibattito bisogna cercare di chiarire i termini in gioco: libertà umana e coscienza. Come fanno notare José Ignacio Murillo e José Manuel Giménez-Amaya, in tutti questi esperimenti «l’azione libera appare come una causa, vincolata alla coscienza, capace di modificare il mondo fisico. Detto questo, bisogna tenere in considerazione che tale definizione di libertà, anche se può rinvenirsi in qualche autore moderno, non corrisponde al concetto classico di libero arbitrio»[5].

La riflessione sulla coscienza personale e la libertà umana è una sorta di “filo rosso”, una costante che emerge continuamente lungo la storia del pensiero. Per la sua complessità, numerose sono le definizioni e le interpretazioni che si danno della coscienza. Per la neuroscienziata e premio Nobel Rita Levi Montalcini, la coscienza è «tra le proprietà più sorprendenti e affascinanti del cervello umano» che consiste proprio nell’essere consapevole (il cervello) della propria consapevolezza; per coscienza «si intende lo stato di consapevolezza della nostra esistenza come entità individuale, che implica il riconoscimento delle proprie azioni e del susseguirsi temporale e sequenziale»[6]. Nella stessa pagina la neuroscienziata sintetizza anche il rapporto tra coscienza, io (Self) e libero arbitrio quando afferma: «la coscienza collega il nostro io con le esperienze degli eventi, in quanto ci consente di comprendere la nostra esistenza come entità pensante, rendendoci responsabili delle nostre azioni»[7]. La coscienza umana sarebbe così una proprietà, una facoltà, una funzione “emergente” (tutti termini mutuati dalle diverse ridefinizioni che la Montalcini propone) del nostro organo cerebrale secondo la teoria di Gerald Edelman di derivazione della coscienza superiore (secondaria o umana) da quella primaria tipica di tutti i vertebrati superiori[8].

Per quanto concerne la coscienza bisogna distinguere alcuni paradigmi tradizionali: secondo l’accezione psicologica, essa significa l’autocoscienza o consapevolezza che l’essere umano ha di se stesso; secondo l’accezione morale, invece, significa la consapevolezza che l’uomo ha della bontà-malizia dei propri atti; infine, secondo l’accezione personalistico-creativa, essa significa una realtà complessa identificata con la parte intima della persona umana, una sorta di “luogo” interno del soggetto dal quale emergono intuizioni e in cui si formano i giudizi morali. Tommaso d’Aquino, che sintetizza una tradizione millenaria, affronta questa problematica in diverse opere, chiarendo in primo luogo che la coscienza non è né un abito, né una facoltà o potenza, ma è un atto. Infatti, la coscienza include un ordine della conoscenza a qualcosa d’appreso, è l’applicazione della synderesis aristotelica alla concretezza di un’azione[9]. Essa allora potrebbe essere definita come «l’intelligenza orientata verso le cose pratiche»[10].

Per quanto concerne, invece, la libertà, in primo luogo, bisogna specificare che l’uomo, giudicando sul proprio agire in virtù della ragione, può giudicare secondo il suo arbitrio, a differenza degli altri animali, poichè conosce la natura del fine (rationem finis) e i mezzi (quod est ad finem) e la loro relazione mutua[11]. Così l’uomo è dotato di libertà, cioè, è causa sui, essendo non soltanto causa del suo movimento, ma essendo anche causa del suo stesso giudizio in virtù del quale può decidere se desidera agire e come realizzare l’atto. La stessa conclusione si trova anche nella Summa di Teologia[12]. La radice della libertà si trova nella ragione che l’uomo possiede. Quest’ultima lo distingue dagli altri animali che agiscono seguendo il proprio giudizio che risulta determinato a un solo oggetto. Pertanto, non sono liberi. Negli animali vi è spontaneità, non libera scelta[13].

Prendendo le mosse dalla proáiresis di Aristotele, la libertà può essere definita come la proprietà specifica della volontà umana (potenza o appetito razionale) in ordine al suo atto caratteristico che è la scelta[14] e che consiste nella capacità di agire in virtù della conoscenza intellettiva di ciò che è buono, del bene, o più precisamente, del bene in quanto bene. Quest’apertura della volontà nella scelta caratterizza uno degli aspetti propri dell’essere umano. Non c’è dubbio che quest’indeterminazione avviene all’interno di un margine di determinazione, anche cerebrale, che è definito dai limiti stessi della natura umana e di ciò che l’uomo può effettivamente compiere. In definitiva, gli esperimenti neuroscientifici, dato che non coinvolgono né un fine precedentemente conosciuto, né la varietà dei mezzi per raggiungerlo (non considerano neppure perciò il loro reciproco rapporto), non sono diretti alla caratterizzazione della libertà umana. Non è in gioco una scelta libera, bensì l’esecuzione di un semplice atto privo di qualsiasi motivazione. Non è contemplata alcuna ragione di bene.

È utile, inoltre, ricordare che nell’agire umano si distingono due cose: la scelta sul da farsi, sempre in potere dell’uomo, e la gestione o esecuzione degli stessi atti, non sempre in suo potere. Per questo non si dice che l’uomo è libero delle sue azioni, ma che è libero della sua scelta, che è il giudizio sul da farsi[15]. A questo punto, se la coscienza è l’atto o «l’intelligenza orientata verso le cose pratiche»[16] e la libertà è quella proprietà specifica della volontà umana in ordine al suo atto caratteristico che è la scelta[17] e che consiste nella capacità di agire in virtù della conoscenza intellettiva di ciò che è buono, del bene, o più precisamente, del bene in quanto bene, allora mi sembra valida la definizione della Montalcini sul rapporto tra coscienza, io (Self) e libero arbitrio: «la coscienza collega il nostro io con le esperienze degli eventi, in quanto ci consente di comprendere la nostra esistenza come entità pensante, rendendoci responsabili delle nostre azioni»[18]. Tale definizione ovviamente va integrata all’interno di un contesto non riduzionistico e materialistico della persona umana. In effetti, la stessa neuroscienziata precisa che «attualmente non sia ancora possibile la comprensione della natura del meccanismo attraverso il quale gli stati interiori si trasformano nel processo della coscienza»[19].

Sembra proprio azzeccata la conclusione che José Ignacio Murillo e José Manuel Giménez-Amaya suggeriscono: «tutto ciò evidenzia, ancora una volta, che per concludere un’approssimazione sperimentale e scientifica a certi problemi, come quello relativo alla libertà, conviene conoscere ciò che le diverse correnti filosofiche hanno già detto»[20]. Le false interpretazioni dei risultati a livello di elettroencefalografia e di immagini di risonanza magnetica funzionale non sono facilmente smascherabili da un pubblico poco esperto. Perciò, al momento di interpretare i dati neuroscientifici c’è bisogno di molta prudenza ed equilibrio. Bisogna ricordare che l’esperienza umana, proprio per essere “umana”, si caratterizza per una ricchezza e una complessità senza paragoni, tant’è che può persino arrivare ad affermare liberamente che la libertà è una mera illusione.

Lo stesso Tolstoi lo riconosceva: «voi dite che io non sono libero… ma chiunque capisce che questa illogica risposta è una inconfutabile prova del mio libero arbitrio»[21].

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Note
[1] J. I. Murillo – J. M. Giménez-Amaya, Tiempo, conciencia y libertad: consideraciones en torno a los experimentos de B. Libet y colaboradores, «Acta Philosophica», 11 (2008), pp. 291-306.
[2] I. Fried (et al.), Internally Generated Preactivation of Single Neurons in Human Medial Frontal Cortex Predicts Volition, «Neuron», 69 (2011), pp. 548-562.
[3] A. Roskies, Neuroscience vs philosophy: Taking aim at free will, «Nature», 477 (2011), pp. 23-25.
[4] B. Libet, The Timing of Mental Events: Libet’s Experimental Findings and Their Implications, «Consciousness and Cognition», 11 (2002), pp. 291-299.
[5] J. I. Murillo – J. M. Giménez-Amaya, o.c., pp. 291-306.
[6] R. Levi-Montalcini, Abbi il coraggio di conoscere, Bur Rizzoli, Milano 2004, p. 25
[7] R. Levi-Montalcini, o.c
[8] G. J. Edelman, Sulla materia della mente, Adelphi, Milano 1993.
[9] S. Thomas Aquinas, S. Th. I, q.79, a.13, c.
[10] S. Bonaventura, Sent., lib. 2, dist. 39, a. 2, q. 1.
[11] S. Thomas Aquinas, Quaestiones disputatae de Veritate XXIV, a. 1
[12] S. Thomas Aquinas, S. Th. I, q.83, a. 1, c.
[13] S. Thomas Aquinas, Quaestiones disputatae de Veritate XXIV, a. 2.
[14] S. Thomas Aquinas, o.c., a. 6.
[15] S. Thomas Aquinas, Quaestiones disputatae de Veritate XXIV, a. 1, ad. 1.
[16] S. Bonaventura, Sent., lib. 2, dist. 39, a. 2, q. 1.
[17] S. Thomas Aquinas, Quaestiones disputatae de Veritate XXIV, a. 6
[18] S. Thomas Aquinas, o.c..
[19] R. Levi-Montalcini, o.c., pp. 27-28.
[20] J. I. Murillo – J. M. Giménez-Amaya, Tiempo, conciencia y libertad: consideraciones en torno a los experimentos de B. Libet y colaboradores, «Acta Philosophica», 11 (2008), pp. 291-306.
[21] L. Tolstoi, o.c., p. 366.

15 commenti a Coscienza e neuro-libertà: il contributo di Tommaso d’Aquino (II° parte)

  • Antonio72 ha detto:

    Che io sappia si deve distinguere il dibattito filosofico tra le teorie deterministe e teorie indeterministe, da quello scientifico tra posizioni compatibiliste e posizioni incompatibiliste. Se infatti nel dibattito filosofico si ammette nel caso dell’indeterminismo un potere indipendente acausale, ovvero il libero arbitrio, ciò appare alquanto difficoltoso in ambito scientifico, in cui si mira sempre a rintracciare una o più cause che determinano un evento. Allora in ambito scientifico la teoria compatibilista ammette certamente la volontà del soggetto come potere causale, ma al tempo stesso, la volontà stessa sfugge al controllo del soggetto stesso. Secondo la teoria compatibilista essa infatti è interamente determinata da una miriade di fattori metabolici, fisiologici, biologici-chimici, ma anche inconsci o socialmente determinati, non facilmente osservabili. E’ ovvio, che dalla parte opposta, la teoria incompatibilista non ammetta questa coabitazione (tra libera volontà e ferrea determinazione) e quindi a sua volta si suddivida nelle due posizioni contrapposte: determinismo (in senso forte) e libertarismo (che io sappia lo stesso Libet si dice un libertarista anche se di una libertà intesa come “veto”).
    E’ chiaro come la ricerca neuroscientifica propenda in senso epistemologico (e non ontologico) per il compatibilismo e dunque che la discussione verta sul grado di autonomia della volontà intesa da questa posizione. Così si studiano le aree cerebrali implicate nella competenza e nel comportamente morale, ma non solo, perchè si studia il comportamento umano anche dal punto di vista psicologico e sociologico. Per esempio una ricerca che mi viene in mente (ma ce ne sono veramente tante) ha dimostrato come la scelta del patner di una donna sposata sia condizionata dal suo ciclo mestruale e quindi dall’aumentato livello ormonale. Qualcuno potrebbe intenderla maliziosamente come una sorta di giustificazione “ormonale” dell’adulterio. In definitiva forse sarebbe meglio sapere qualcosa di queste ultime ricerche più che degli esperimenti di Libet, secondo me sopravvalutati nel dibattito del libero arbitrio. Saluti.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Le ricerche che avrebbero “dimostrato come la scelta del partner di una donna sia condizionata dal suo ciclo mestruale” sono spazzatura: molti di questi ricercatori non sanno il significato di correlazione in statistica, che confondono con “condizionamento”, “causa”, ecc. Non è questo lo spazio per una motivazione approfondita della mia critica, ma se t’interessa, Antonio, posso inviartela per mail.

      • Antonio72 ha detto:

        Professore, non ho detto di dare credito alle ricerche neuroscientifiche che studiano il comportamento e la morale umani, ma non per questo si dovrebbe ignorarle, o addirittura negarle, fermandosi ai datati e discussi fino alla nausea esperimenti di Libet. Si deve prendere atto che la ricerca scientifica abbia imboccato una tale strada, che spesso corre parallela allo studio di malattie degenerative come il Parkinson, le cui cure farmacologiche incidono anche sull’aspetto cognitivo e morale del paziente. E poi criticarla eventualmente. Ma se vogliamo possiamo comunque galleggiare sul piano filosofico staccandoci dalla reale ricerca scientifica. In ogni caso si potrebbe indirizzare la discussione filosofica non tanto sull’esistenza della libera volontà umana, bensì sul suo peso rispetto ai molteplici condizionamenti, interni ed esterni, la cui esistenza non si può certo negare.
        Saluti.

        • Giorgio Masiero ha detto:

          Nemmeno io ho detto che tu dessi credito a quelle ricerche. Sono solo intervenuto perché altri, leggendoti, non vi dessero credito.

          • Antonio72 ha detto:

            Bè professore, ammetterà che se da una parte è sbagliato considerare un’illusione il libero arbitrio, dall’altra parte è anche sbagliato assolutizzarlo. Tra l’altro credo che nessun neuroscienziato neghi veramente la libertà (e non la nega neanche lo stesso Libet), ed anche se lo pensasse, sarebbe costretto a rispettare la libera volontà dei soggetti e dei pazienti sottoposti a sperimentazione, in quanto persone e dunque soggetti di diritto. Allora da questo punto di vista, e dico per fortuna, questi personaggi sono del tutto innocui, pressappoco come i solipsisti: gli si girà attorno e si prosegue avanti per la propria strada. Tuttavia non è corretto pensare veramente che in una società iperinformatizzata dove chiunque viene bombardato in una settimana da una mole di informazioni che avrebbe seppellito l’uomo agricolo di un paio di generazioni fa in una vita, non si abbia una certa e determinante limitazione nell’esercizio della libertà individuale. Anche i cosiddetti individualisti di oggi cosa chiedono se non la libertà di confondersi con la massa, di ottenere tutto, ma proprio tutto, quello che gli offre il mercato? Gli individualisti d’oggi sono schiavi del mercato e non lo sanno. Anche Pendesini qua sotto lo è, evidentemente, del mercato della scienza. Perchè anche la scienza, come ho dimostrato sopra, vende i propri prodotti contando di trovare sempre qualcuno che li compra inconsapevolmente. Saluti.

            • Giorgio Masiero ha detto:

              L’uomo non ha nulla di assoluto, nemmeno il libero arbitrio, che è un margine di scelta all’interno d’un insieme di vincoli esterni ed interni, che lo rende infine responsabile morale delle sue azioni.

  • alessandro pendesini ha detto:

    Sarebbe assurdo pensare che la coscienza è un prcesso reso possibile dall’integrazione dell’attività neuronale nel nucleo dinamico rientrante ? La coscienza non puo’ essere lei stessa causale. A livello macroscopico, il mondo fisico è causalmente chiuso : solo le operazioni che si svolgono tramite la materia o energia sono causali. Quindi è l’attività del nucleo talamocorticale che è causale, e non l’esperienza fenomenale che suscita ! Circuiti cerebrali ed esperienze psicologiche non sono « cose » diverse, ma modi diversi di descrivere la stessa cosa ; con questo intendo dire che la coscienza non è una « cosa », ma bensi un processo neuronale. NB. Siamo spesso consapevoli di cio’ che facciamo quando delle azioni si svolgono, ma nella maggior parte delle volte la nostra coscienza ne viene informata qualche millisecondi dopo il fatto…E’ stato accertato che l’attività cerebrale decisionale precede effettivamente la presa di coscienza di circa mezzo secondo ! Vorrei inoltre ricordare che la divisione dei due emisferi cerebrali (callosotomia) genera due coscienze, o autocoscenze, in un solo cranio……Ma anche che la complessità di un sistema, e quindi la coscienza, dipende da cio’ che il sistema « è » e non di quello che « fa »…… E, come diceva Théodule Ribot : « Se ci ostiniamo a fare della coscienza una causa, tutto resta oscuro ; ma se si considera come la risultante di un processo nervoso (neuronale), e che lui solo è l’avvenimento essenziale, tutto diventa chiaro ». P.S. Possiamo dare torto a G.Edelman e Tononi quando affermano : « L’essere viene prima della descrizione ; la selezione prima della logica ; durante lo sviluppo del pensiero, il fare precede il capire » ?

  • alessandro pendesini ha detto:

    A proposito del libero arbitrio :

    Non dobiamo dimenticare che gran parte del nostro comportamento è determinato dall’interazione tra le parti inconsce sottocorticali del cervello e la corteccia cerebrale.
    Il dilemma del libero arbitrio, che è stato a lungo dibattuto, è legato a l’illusione della coscienza causale e a l’illusione eraclitea. Se ammettiamo che tutti gli eventi fisici hanno delle cause, dobbiamo concludere che gli stati del nucleo, che sono eventi fisici, sono determinati.
    Noi tutti ereditiamo una serie di strutture neurali, sistemi di valori, che sono essenziali per il funzionamento del nostro cervello, considerato come un sistema selezionista.
    P.S. La nostra credenza nella percezione precisa e diretta è un’illusione – un’illusione percettiva.

    Facciamo un esperimento fittizio e immaginiamo che tu disponi di :
    — 1° uno schema di un cablaggio elettrico (neurosinaptico) di tutto il tuo cervello in cui è descritto ogni collegamento tra due neuroni con la sua forza e il suo segno (+ o -), e che si ottiene anche:
    — 2° lo stato di attivazione elettrico del tuo cervello ora (cioè quali sono i neuroni eccitati, quali iperpolarizzati, e quali sono a riposo), e
    — 3° l’eccitazione neuronale corrispondente alla percezione della situazione in cui ti troverai fra una frazione di secondo.
    Con questi tre tipi di informazioni sei in grado di sapere esattamente quali neuroni sono finalmente attivi dopo il trattamento (dopo una frazione di secondo) della futura situazione. Allora sai che cosa intendi fare, dire, pensare. Se questo avviene -inconsciamente- in anticipo, -qualche millisecondo prima- significa che le tue “decisioni” dipendono esclusivamente dal cablaggio, e dello stato d’attivazione dei nuclei interessati risultante dalla situazione vissuta. Da questo non vedo nessuna tipo di libera volontà e/o nessun libero arbitrio !!!

  • Mattia ha detto:

    Vi sono esperti che, oltre a dibattere sull’argomento senza dar nulla per scontato, affermano senza problemi che sappiamo ancora poco riguardo certi meccanismi. Affermano altressì che, seppur alcune scelte possano esser influenzate se non determinate addirittura da altri fattori inconsci e/o esterni, manteniamo comunque un NOSTRO grado di decisione e controllo (giusto per citarne uno, Antonio Damasio). Insomma il dibattito è tutt’altro che risolto…

    Poi però arriva gente come Pendesini con la pretesa di aver svelato tutto recitando come un mantra sempre le stesse storielle, tutte le sante volte. Evidentemente non è ben chiara la differenza tra ricerca ed interpretazione dei dati e…propaganda.

    PS: per la cronaca, gli esperimenti di “split brain” non è vero che creano “due coscienze” come se vi fossero “due sè”, lo stesso Gazzaniga lo dice chiaro, che, seppur si crea qualcosa di SIMILE a due coscienze, non è che la persona “si sdoppia”. Questo è un esempio appunto di interpretazione arbitraria e faziosa.
    Riguardo poi al fatto che non tutti gli stimoli che il cervello riceve ed elabora raggiungano il grado “cosciente” mi pare anche normale perchè se dovessimo ragionare coscientemente su OGNI stimolo durante la giornata e la veglia “impazziremmo”. Ma questo è un esempio meraviglioso di come il nostro cervello sia un organo sorprendentemente complesso che difficilmente (personalmente) riesco a considerare frutto del mero caso.

    • alessandro pendesini ha detto:

      @Mattia
      Ritengo sia un errore confondere « personalita » con « coscienza » ! I pazienti che hanno subito una callosotomia (split-brain) si comportano come se avessero due coscienze autonome separate ! una per ogni emisfero PUR AVENDO UNA SOLA PERSONALITA ! I correlati neurali della coscienza (NCC) devono dunque esistere in modo indipendente nelle due metà del cervello. In questi casi capita ad esempio che la mano sinistra bottona la camicia, e la destra la sbottona….la mano destra toglie il cappello e la sinistra lo rimette, la mano destra abbassa il pantalone e quella sinistra lo rimette (sic!) ecc…Queste NON sono barzellette o racconti da mitomani ! ma fatti accaduti e ben documentati !!! In un cervello intatto, per contro, la concorrenza si estende tra i due emisferi dalla quale risulta una coalizione vincente.
      P.S. : Quasi 7 miliardi di persone sono convintissime che i colori che noi percepiamo (salvo i daltonici o gente affetta di patologie visive) esistono veramente nella natura ; purtroppo (quasi) 7 miliardi di persone SI SBAGLIANO ! Questo esempio, che non è unico, dovrebbe farci riflettere su quello che noi riteniamo indiscutibilmente da sempre « reale » o « vero » per non dire « assoluto »……Bien à vous

    • Lucio ha detto:

      Ottimo intervento Mattia!

  • Lucio ha detto:

    Grazie per questo bellissimo articolo prof. Carrara! Da profano sono portato dire che e’ una assurdita’ logica il pensare che possa esistere una intelligenza funzionale che non abbia a monte una intelligenza cosciente. Proprio per questo, ma non solo, ritengo che il voler concludere dagli esperimenti di Libet che non possa esistere il libero arbitrio sia molto azzardato. La dinamica dell’ esperimento, cosi’ come e’ riportata nella prima parte del suo articolo, mi pare che implichi una possibilita’ di scelta abbastanza banale, del tutto inadatta a rappresentare la complessita’ della psiche umana. Ritengo inoltre che la rilevazione della attivazione delle aree cerebrali fatte tramite la neuroimaging o com mezzi simili (che sono sensibili solo a livello macroscopico) non dica abbastanza su cosa possa davvero succedere nelle suddette aree cerebrali (si attivano per compiere un unica funzione oppure possono compiere piu’ funzioni secondo una complessita’ che ancora non comprendiamo?). Il fatto poi che si possano indurre visioni, alterazioni della coscienza (o addirittura esperienze mistiche) semplicemente agendo in maniera artificiale su determinate aree cerebrali, oppure che questi sintomi siano riscontrabili anche in soggetti con alterazioni anatomiche cerebrali, mi pare che non possa per nulla provare l’illusorieta’ della coscienza e delle nostre esperienze religiose. Questa generalizzazione mi appare del tutto arbitraria: con adeguati stimoli elettrici si puo’, ad esempio, costringere una persona a contrarre un arto anche senza la sua volonta’, ma da questo fenomeno non si puo’ certo dedurre che la sua volonta’ sia illusoria. Oppure, somministrando ad una persona delle sostanze allucinogene, gli si potrebbe anche provocare la visione di un angelo; ma un esperimento del genere sarebbe forse in grado di farci concludere che la visione di un angelo possa essere sempre un fenomeno illusorio?
    Credo che le neuroscienze, in realta’, ci stiano facendo scoprire dei fenomeni inaspettati e meravigliosi circa il funzionamento del nostro cervello. E che questi fenomeni, con il tempo ed un analisi priva di interpretazioni riduzionistiche, non faranno che confermare che nella nostra natura esiste un qualcosa di irriducibile alla pura dimensione animale.
    Per concludere vorrei porre una domanda al Prof. Carrara: tutti noi, normalmente, respiriamo in maniera inconsapevole, senza l’intervento della nostra volonta’ e della nostra attenzione. Possiamo pero’ anche decidere di regolare il nostro repiro in maniera volontaria. Si puo’ considerare questo fenomeno, in qualche misura, come un esempio di come si interfacciano la nostra mente e in nostro cervello?

  • Lucio ha detto:

    Circa questi argomenti vorrei segnalare un libro che ritengo interessante ed equilibrato: “Filosofia delle neuroscienze” di Michele Farisco, edizioni Messaggero Padova.

  • enrico ha detto:

    Qualcuno potrebbe spiegarmi i dati collegati a questi esperimenti.
    Si tratta, da quanto ho compreso, di compiere l’azione di premere un pulsante.
    Da quanto ho compreso si attiva prima un sito collegato all’azione da compiere rispetto ad uno colegato alla presa di coscienza dell’azione che verrà svolta.

  • enrico ha detto:

    Se questo è l’esperimento, non coinvolge una scelta di ordine morale.
    Preso per buono questo esempio, anche costruire il pulsante, o determinare come svolgere questo esperimento sono azioni che si attivano prima che io abbia la coscienza di compierle?