Nuovo studio: il suicidio assistito genera gravi traumi nei parenti
- Ultimissime
- 29 Ott 2012
Il governo federale canadese si è recentemente pronunciato sul suicidio assistito affermando che la sua legalizzazione sminuisce il valore della vita e potrebbe portare le persone più vulnerabili a prendere provvedimenti drastici nei “momenti di debolezza”. Nel giugno 2012, invece, il Canadian Medical Association Journal ha pubblicato un editoriale chiedendo un ampio dialogo nazionale per discutere di ciò che ha descritto come “omicidio terapeutico” (interessante l’inquientate richiamo alla morte come terapia), sostenendo che il destino della legge sul suicidio assistito dovrebbe essere decisa attraverso il processo democratico, e non attraverso i giudici.
Quella del governo canadese è una presa di posizione che condividiamo, non soltanto per le motivazioni espresse ma anche per le conseguenze negative sui familiari e amici del suicida. Un’esperienza traumatica che può lasciare profondi segni nella psiche, come ha affermato uno studio dell’Università di Zurigo pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica European Psychiatry.
Stando alla ricerca un familiare su quattro dopo una simile esperienza è caduto in depressione o ha sviluppato un disturbo post-traumatico da stress, per cui si è resa necessaria una terapia medica. Questi disturbi, ha spiegato la psicologa Birgit Wagner responsabile dello studio, appaiono con maggior frequenza in relazione ai suicidi assistiti rispetto ai casi di morte naturale, nei quali soltanto il 5% dei familiari sviluppano un disturbo posttraumatico e soltanto lo 0,7% una depressione.
Secondo un altro studio, pubblicato qualche anno fa sul Journal of the Royal Society of Medicine, la depressione gioca un ampio ruolo anche nella decisione ad intraprendere la strada del suicidio assistito, confermando così le preoccupazioni del governo canadese. Il desiderio di morte precoce, è stato attestato, si correla infatti con disturbi depressivi. Riconoscere e trattare la depressione, si conclude nello studio, potrebbe migliorare la vita delle persone affette dalla malattia terminale e così ridurre il desiderio di morte precoce, per via naturale o per suicidio.
Infine, una serie di filosofi si sono espressi su “Avvenire” nel settembre scorso sul suicido assistito. Particolare l’intervento di Silvano Petrosino, docente di semiotica all’Università Cattolica, il quale ha ricordato il pensiero dell’agnostico sociologo e antropologo Emile Durkheim, per il quale la società è lesa dall’atto del suicidio, e poiché «la persona umana è e deve essere considerata come cosa sacra, qualsiasi attentato contro di essa deve essere proscritto».
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105 commenti a Nuovo studio: il suicidio assistito genera gravi traumi nei parenti
Non servirebbe un pool di scienziati per capirlo: sempre suicidio è, ed è inutile comportarsi contro la Coscienza e l’Intelletto come Pinocchio col “grillo parlante”.
« Il suicidio assistito genera gravi traumi nei parenti » :
Dire « gravi traumi » a me sembra esagerato, direi piuttosto eventuali sentimenti di colpa dei parenti! E’ infatti cio’ che a volte capita : il dubbio di avere preso la buona decisione, che potrebbe degenerare in disturbi post-traumatici e causare notevoli disagi psichici, depressioni e non solo, fonte di malessere che si puo’ trascinare per lunghi anni….
Per queste ragioni ritengo che l’eutanasia possa essere un’alternativa ad una intensa sofferenza, cioè quando per il paziente immerso in un profondo malessere psicosomatico irreversibile, vivere non ha più nessun significato ! Ritengo che la soluzione a questa delicata problematicha incombe principalmente ai medici, ovviamente col consenso del paziente, evitando d’implicare una qualsiasi responsabilità decisionale ai membri della famiglia. Sempre rispettando il testamento biologico del paziente nel caso abbia perso le facoltà cognitive decisionali. E’ comunque il paziente, e lui solo, -con relativa assistenza medica- che deve decidere in casi estremi e irreversibili, come finire dignitosamente la sua vita ! Bien à vous
Ti invito a restare ai risultati dello studio evitando il “secondo me”. La depressione con ricovero medico è un grave trauma.
Interessante che tu daresti l’eutanasia a chi vive un “malessere psicosomatico”. Siamo passati dal far suicidare i malati terminali a chi ha disturbi psicologici.
L’alternativa alla sofferenza non è la morte, altrimenti bisognerebbe tagliare il braccio quando fa male il gomito. L’alternativa alla sofferenza fisica è lenire la sofferenza fisica: si chiama “medicina”.
@Fabio Moraldi
Dolore fisico + dolore psicologico (inevitabile !!!!) = DOLORE PSICOSOMATICO !
Ma puo’ credere esattamente il contrario se lo desidera ! Veda Lei….
Dolore fisico? Mai sentito parlare di medicina palliativa?
Dolore psicologico? Mai sentito parlare di terapie contro la depressione? Se sono legati, inoltre, la sparizione del primo aiuta a far sparire il secondo.
Piuttosto che curare lei eliminerebbe il problema?
Una sola frase: mentre sono molto problematico riguardo all’aborto, sono convinto che ognuno sia padrone della propria vita, e che il vero egoismo sia quello di chi vuole imporre la sofferenza ad un malato per le proprie convinzioni religiose e/o morali.
Padrone fino a che punto?
Vogliamo costruire una Società senza alcun limite?
Non è forse importante capire che la nostra volontà è dominata dagli stati d’animi?
Non bisogna santificare la volontà del singolo, sarebbe un ostacolo all’oggettività, principio fondante della Scienza .
Qui la scienza non c’entra proprio nulla.
C’entra eccome.
Poiché la scienza medica viene così subordinata alla volontà del singolo, il quale a sua volta è depresso. Qui si impedisce di fare medicina!
Non usare la medicina quando ti fa comodo, e poi quando il medico dice “clinicamente morto” all’improvviso la medicina non va più bene, e bisogna mantenere in vita ad oltranza.
“bisogna mantenere in vita ad oltranza”
Spiace vedere che esiste ancora questa leggenda che i cattolici sarebbero favorevoli all’accanimento terapeutico.
Mons. Greccia è stato chiaro recentemente: “L’accanimento terapeutico non solo è sconsigliato ma direi anzi che è proibito, come è proibita l’eutanasia. Così come non si può togliere la vita, allo stesso modo non la si può prolungare artificialmente”: http://www.corriere.it/cronache/12_settembre_02/vecchi-io-come-carlo-maria-direi-no-a-terapie_35f934ac-f4c7-11e1-9f30-3ee01883d8dd.shtml
Sicuramente, pero’, c’entra la morale naturale. E questa di fa capire che la vita e’ un bene indisponibile:
“Spesso si sente ribadire che la vita corporea è un bene indisponibile. Ma cosa significa? E perché? Esistono dei beni di cui la persona umana può disporre nell’esercizio della sua libertà ed esistono dei beni di cui la stessa persona non può disporre.
A proposito di questi ultimi, pur essendo beni propri della persona, al punto che si chiamano anche beni personalissimi, ognuno di noi non ne può disporre per il semplice fatto che, se ne disponessimo, non potremmo poi più disporre degli altri beni disponibili e né potremmo disporre della stessa libertà.
Scendendo nei particolari, il primo bene indisponibile è la mia vita fisica, cioè il mio atto di esserci, il mio esistere. Che sia un bene indisponibile lo illustro ricorrendo a due considerazioni. Prima: il mio esistere è indisponibile, perché è la condizione per poter compiere atti e gesti di libertà. Perciò è ovvio ricordare che, se disponessi del mio esistere privandomi di esso, mi precluderei qualsiasi esercizio futuro della libertà. Seconda: perché io, pur godendo dell’esistenza, sperimento di non esser venuto all’esistenza di mia iniziativa, ma piuttosto sperimento che l’ho ricevuta senza un mio intervento e che mi potrebbe essere tolta in qualsiasi istante, sebbene la volontà mia o altrui si opponga. In altri termini io non sono la causa efficiente del mio esserci, perché se lo fossi dovrei essere prima ancora di esistere.
Perciò devo ammettere di dipendere nell’essere e che il mio esistere è un bene che supera la mia capacità di realizzazione. Ora mentre posso disporre di quei beni che rientrano nelle mie capacità, cioè di quei beni alla cui esistenza io concorro come causa efficiente (come ad esempio la proprietà di oggetti o le prestazioni professionali), non posso eticamente disporre di quei beni che eccedono le mie capacità. Ed è proprio questo il caso del mio esserci. È vero che di fatto posso suicidarmi, cioè disporre della mia esistenza. Ma che ciò sia fisicamente possibile non significa che sia eticamente sostenibile, che sia corrispondente alla dignità umana. Anzi, se disponessi del mio esserci mediante il suicidio, andrei al di là di quelle che sono le mie competenze e cadrei nella più tragica delle contraddizioni perché eserciterei la mia libertà a danno di me stesso. Che il mio esistere sia un bene indisponibile lo posso solo mostrare, ma non dimostrare in modo apodittico, perché si tratta di un principio fondante e non di un giudizio che è la conclusione di un ragionamento. Come nelle scienze gli assiomi non si dimostrano, ma si mostrano e si accettano per progredire nella ricerca e nelle conoscenze scientifiche e come in logica il principio di identità e di non contraddizione si mostra, ma non si dimostra, perché è il fondamento di qualsiasi dimostrazione, così uno dei principi della vita umana buona e, quindi, della civilizzazione umana è «l’esistenza fisica umana è un bene indisponibile». Su questo principio si è costruita la civiltà umana e la pacifica convivenza. Da questo principio si è sviluppata la convinzione della pari dignità e dell’uguaglianza tra gli esseri umani, perché dire che l’esistenza fisica umana è un bene indisponibile significa dire che essa non ha un prezzo, non è misurabile in termini monetari, ma ha un valore mai riducibile in termini quantitativi, ha appunto una dignità eccelsa. Se si sostenesse il contrario, cioè che la vita fisica è un bene disponibile, non solo rinunceremmo a un principio che ha forgiato la nostra civilizzazione, ma negheremmo la pari dignità tra gli esseri umani e il principio di uguaglianza, valori questi non confessionali, ma palesemente laici”.
Mi piacerebbe avere il tempo di rispondere alla sua profondissima argomentazione. Purtroppo non ne ho li tempo materiale 🙁
Comunque complimenti.
Giulio,
Tengo solo a precisare che questa riflessione non e’ mia. L’ho tratta da un sito cattolico e riportata qui perche’ mi sembra che illustri in modo chiaro e sintetico la concezione della vita umana come bene indisponibile.
Non sono per nulla d’accordo sul fatto che i principi morali basilari, come quello del valore positivo della vita, siano principi primi assoluti e apodittici (sono eventualmente solo dei principi primi dell’etica).
Se non esistesse Dio, perché mai fare il contrario di qualcosa che si riconoscesse pure come un bene, dovrebbe essere sbagliato?
E’ ora di finirla con la concezione di un’etica non subordinabile alla metafisica! Si tratta di un paradigma moderno, anzi modernistico, che distrugge nelle fondamenta la possibilità di veri e reali “preambula fidei”, senza i quali si cade in un fideismo assoluto di tipo protestantico (oltre a tradire la filosofia migliore: quella aristoteilico-tomistica).
Ciao a-theos=a-ethos,
Io non mi sogno nemmeno di tradire i principi della filosofia tomistica. E quindi non indendo neanche negare la validita’ della razionalita’ come “preambula fidei”. Ho letto attentamente l’enciclica “Fides et ratio” e mi ritrovo pienamente con quanto vi e’ sostenuto. Non sono comunque un profondo conoscitore della filosofia come te.
A me non pare di avere proposto una riflessione in contrasto con la dottrina cattolica, ma se tu vorrai mostrarmi in modo meno ermetico dove credi che io abbia sbagliato te ne saro’ grato!
Per quanto riguarda la tua domanda credo che se non esistesse Dio non si potrebbe per nulla parlare di bene e di male in maniera oggettiva.
A questo riguardo mi pare che proprio Tommaso d’Aquino abbia scritto che, quando Dio ci ha donato le tavole della legge, Abbia voluto con esse ripresentarci quella morale naturale che la nostra natura, ferita dal peccato originale, non riesce piu’ a seguire e a riconoscere con chiarezza.
Scusa Lucio per il tono del precedente post, ma sono anni che combatto in ambienti accademici vaticani (e cattolici in genere) dove il “dogma” attualmente di moda (in realtà con una sua storia a partire circa degli anni ’60 del secolo scorso) è quello dell’AUTONOMIA dell’etica dalla metafisica e in particolare dalla teologia razionale, cioè da Dio. Cosa che San Tommaso non si è mai sognato di dire (anzi!), anche se molti tomisti attuali vorrebbero farglielo dire. Ed il punto fondamentale è proprio quello di dimostrare che se Dio non esistesse, la vita umana non avrebbe senso e di conseguenza nessuna morale sarebbe razionalmente fondabile (sto finendo di scrivere un volumetto su questo argomento).
Ciao
@a-théos=a-éthos
Concordo !
Infatti non c’è bisogno di essere credenti o atei per sapere che rubare, violentare o stuprare bambini, sfruttare la miseria e/o onestà umana ecc… è amorale !
Quello che sostengo è che è necessario non essere atei per poter dare ragione di una qualsiasi morale. Un ateo può anche pensare che l’omicidio sia sbagliato, ma non può razionalmente dimostrarlo (nemmeno a se stesso).
Come fa a fondare razionalmente la sua morale uno che crede che la morale sia un’illusione emersa casualmente dall’evoluzione? L’ateismo implica per forza l’amoralità, non esiste un bene e un male ma tutto è relativo.
L’argomento più forte, a mio avviso, va posto in questi termini: se tutto deriva dal caso, ciò significa che, a parte maggiori o minori probabilità sul piano puramente meccanico riguardanti gli avvenimenti “originari” (Big Bang o qualsiasi altra cosa), non vi è altra “ragione” che differenzi l’esistenza delle attuali leggi di natura (da cui è deducibile l’etica), dall’esistenza di totalmente altre leggi (e dunque di totalmente altre etiche possibili). E allora, se tutto, compreso l’etica, dipende da associazioni casuali di atomi, perché mai l’uomo, che non agisce a caso, ma a ragion veduta, dovrebbe accettare come moralmente cogenti regole derivate dal puro caso?
Dovresti scrivere alla redazione UCCR e proporre qualche articolo su questo, è molto interessante!
Sei così tanto “padrone” della tua vita che infatti:
a) non te la sei data da solo;
b) quando verrà il momento, non sarai in grado di aumentarla neanche di un miliardesimo di secondo.
In questi casi il vero “egoismo” è quello di chi non sopporta di “vedere la sofferenza”, perché è una categoria esclusa dal bon ton dei salotti dell’intellighenzia laicista. Forse perché quella sofferenza pone a tutti domande scomode. Meglio metterci una pietra (tombale) sopra.
Se sei padrone della tua vita, perché non puoi girare senza casco in motorino? Nel diritto non esiste l’autodeterminazione radicale quando si parla di fine vita: http://www.avvenire.it/Dossier/fine%20vita/interviste/Pagine/il%20giurista_201103080746575470000_201103080751000900000.aspx
Ihhhhhhh mamma mia, ancora con questo fatto del motorino?! Se tu ti costruisci una pista nel tuo giardino ci puoi viaggiare anche senza casco. Il casco è obbligatorio nelle strade pubbliche, così come è obbligatorio dare la precedenza a destra. Nella tua ipotetica pista privata puoi mettere la regola di dare precedenza a sinistra e di passare con il rosso, nessuno ti può dire niente. Se la ragione del casco fosse quella che non sei padrone della tua vita, allora l’obbligo del casco dovrebbe essere vigente anche nella tua pista privata, ma così non è!!!!!!!
E perché?
intendevo la domanda riferita alla tua affermazione: Il casco è obbligatorio nelle strade pubbliche
Ma Pavone non sa spiegare il perché. Se lo facesse dovrebbe ammettere la fine della bufala dell’autodeterminazione, quindi non risponderà mai se non affermando che è per evitare gli infortuni che poi vanno a pesare sull’economia dello Stato. Come se schiantarsi a 90 km/h con la moto senza casco ti facesse “solamente” infortunare e non ti spedirebbe direttamente all’altro mondo…
ho capito la domanda. Se la giustificazione del casco obbligatorio fosse la negazione del diritto di autodeterminazione — come è stato chiamato –, allora l’obbligo dovrebbe estendersi anche in strade non pubbliche (per esempio una pista privata). Così non è, dunque la giustificazione non è la negazione di quel principio. Ciò è sufficiente relativamente al senso della discussione. Poi si può chiedere, a titolo opzionale, quali sono le ragioni che motivano il casco. A mio parere l’obbligo del casco è equiparabile ad una norma del codice stradale, come mantenere la destra, fermarsi ai semafori etc. sono norme che presuppongono un contesto sociale e responsabilità nei confronti di altri. In caso di incidente, dimuinire i danni può comportare una maggiore efficacia nell’azione di soccorso, per esempio, o roba del genere. In ogni caso non è la negazione del principio di autodeterminazione (il controesempio della pista privata lo esclude).
Certo che Pavone, sei proprio particolare…
Alla fine non hai risposto alla domanda, ti sei limitato a girare intorno, hai detto cosa SECONDO TE non è il motivo ma… il motivo, mica l’hai detto.
Siam tutti fessi? No caro, le tue incertezze, i tuoi forse, i tuoi secondo me non ci bastano. Noi abbiam bisogno di cose concrete, di dati assoluti. Siam Cattolici, mica ateisti, ricordatelo sempre. Siam mossi dalla Verità.
Il tuo contreoesempio non esclude nulla, dice solo che nel privato puoi fare quello che vuoi, nessuno può controllarti, esattamente come se uno volesse suicidarsi, chi ti può fermare?
Una volta che sei su strade pubbliche però, stop, alt, fermati, indossa il casco PER FORZA, ti impongo di proteggerti, la tua vita è più importante di quello che te stesso credi, allo stesso modo di come, in un ospedale, una struttura pubblica, tu non puoi chiedere il suicidio.
Io aspetto ancora, nel frattempo, la motivazione giuridica dell’utilizzo del casco, visto che sei CERTO che non riguarda l’autodeterminazione…
Prego.
A te la parola Pavone.
Allora non lo è evidentemente neanche il suicidio, assistito o meno. Altrimenti il suicidio sarebbe un reato, ed un eventuale suicida mancato sarebbe messo agli arresti. Cosa che non è. Dunque si deve dire che nel caso del suicidio assistito ciò che non può essere ammessa, in quanto non lecita, è proprio e solo l’assistenza.
Per usare la metafora del casco, ci si può spaccare la testa cadendo, quando questo atto non fuoriesca dalla sfera personalissima ed intima (spesso nessuno sa del gesto del suicida, tantomeno i parenti stretti). Nel caso del suicidio è dunque il salto, direi ontologico, tra il diritto privato di autodeterminazione (per es. il salto nel vuoto) ed il suo riconoscimento pubblico, che non è possibile. Esistono solo due alternative:
1) La società non riconosce mai il suicidio e quindi il presunto o mancato suicida viene trattato psichiatricamente e farmacologicamente
2) La società riconosce il suicidio, ma solo in alcuni casi trattati pubblicamente secondo la legge, ovvero seguendo rigidi protocolli medici (in Olanda pressappoco funziona così, se non mi sbaglio).
Esisteranno dunque suicidi di serie A e di serie B, ma in ogni caso quelli delle serie minori saranno confortati dal fatto che tutti partecipano ad un campionato di suicidi. Allora, almeno secondo me, nel caso di legalizzazione del suicidio assistito, l’impennata statistica di qualsiasi atto suicidiario diverrà inevitabile. Mal comune, mezzo gaudio.
Infatti, ma vallo a fare capire a Raffa, Leonardo et al. Dovremmo anche impedire di fumare, perché nuoce gravemente alla salute, dovremmo arrestare il suicida etc.
Sì, sono d’accordo. Ma questa rappresenta solo la superficie del problema. La vera domanda è: perchè l’uomo è l’unico animale sulla Terra a pensare al suicidio e talvolta ad attuarlo?
E forse la risposta più immediata è che l’uomo è l’unico animale che pensa. Allora il suicidio non è altro che un prodotto, o un sottoprodotto, del pensiero. Ma allora paradossalmente ci si dovrebbe chiedere come mai si verifichino così pochi suicidi. Forse perchè gli uomini che pensano sono pochi. Dostoevskij ha un’altra spiegazione: la consapevolezza del dolore. Il romanziere russo nota come sia il pensiero del dolore di un masso di venti tonnellate pericolante che cade sulla testa a scoraggiare gli uomini. Pensiero del tutto irragionevole visto che si presume razionalmente una fine immediata senza dolore. Tuttavia irragionevolmente permane, ed impedisce all’uomo che ci pensa il compimento del gesto estremo. Ora, invece dall’altra parte, abbiamo in certi casi dei malati terminali che dicono di subire sofferenze insopportabili.
Ma queste sofferenze sono reali o un prodotto della stessa mente umana? Come può essere che la natura abbia predisposto un organismo
biologico a sopportare sofferenze oltre i suoi limiti intrinsechi, senza causarne la soppressione? Non è che è proprio la razionalità umana, ovvero l’entità più innaturale che si conosca, a centuplicare dolori esistenti (o addirittura ad inventarsene di nuovi) che in natura sarebbero compatibili con i meccanismi di difesa biologici?
Cioè stai dicendo che l’essere umano non è un animale come tutti gli altri, ma è qualcosa di più?
Interessante.
Addirittura l’uomo come entita innaturale…
Pazzesco, sembra che tu suggerisca un intervento quasi divino…
Approfindisci, prego, sarà interessante vedere come te la cavi ora.
L’uomo non è l’unico animale che pensa. Non penso che filosofare ci aiuti a capire il perché l’uomo a volte (rarissime volte) si suicida. Per capire come stanno le cose occorre affidarci alla scienza.
Tieni anche conto che il suicidio non è una prerogativa umana e che alcune patologie psichiche a volte causa di suicidio, come la depressione, sono condivise anche da altri animali, come i primati.
Pavone che non rispondi a domande puntuali.
@Luigi
Non sarà l’unico, come dici, ma non puoi negare che abbia più grilli per la testa di qualunque primate. Cmq, guarda caso, è la specie filogeneticamente più vicina all’uomo a soffrire in questo senso. Forse mi sono spiegato male. E’ proprio perchè esistono la filosofia e la scienza che l’uomo pensa a suicidarsi più dello scimpanzè, il quale molto probabilmente viene portato a questo estremo ed innaturale gesto proprio dall’uomo. Lo dimostra per esempio il dibattito sul testamento biologico per gli stati vegetativi, ovvero l’innaturale stato causato dal progresso medico-scientifico. Ho letto che in passato fecero esperimenti scientifici barbari sui cuccioli di scimpanzè o forse di babbuino, non ricordo. Per provare che l’affettività materna, le cosiddette coccole, sono indispensabili per lo sviluppo psicofisico dell’uomo, presero questi cuccioli e li ingabbiarono dandogli tutto il necessario per la sopravvivenza, impedendogli ovvimente qualunque contatto fisico con la madre o altri. Pare che qualche individuo scimmiesco si sia fracassato la testa contro le sbarre. D’altronde, se non mi sbaglio, molti filosofi antichi si suicidarono, anche in strani modi. Per non parlare dell’instabilità mentale di molti intellettuali e filosofi, o si potrebbe anche dire follia.
PS
Oggigiorno lo stato depressivo non si nega a nessuno, soprattutto ad attrici, cantanti e la gente di spettacolo in genere.
@Antonio72
Quindi, tu dici che l’uomo è frutto dell’intervento divino sulla natura, l’uomo è figlio di Dio.
Tu lo dici.
Non trovi che l’uomo, proprio per questa sua essenza di figlio di Dio, debba essere trattato con riguardo e che la sua vita ha un valore infinito?
Non è quindi corretto preservarla, per quanto possibile, evitando suicidi assisiti e altre forme di violenza?
La sacralità della vita umana si fonda nel suo essere generata ad immagine e somiglianza di Dio. Se ammetti questa parternità divina come si può accettare l’eutanasia?
@Leonardo
L’eternità pertiene all’anima immortale, non alla materia corruttibile in cui si incarna.
Se Dio avesse voluto che l’uomo non scegliesse mai l’opzione suicidiaria avrebbe fatto in modo che le sofferenze psico-fisiche di un essere finito, qual è l’uomo, fossero limitate e cmq compatibili con la propria finitudine. Cosa che evidentemente non è, in quanto alcune atroci sofferenze sono in grado di schiantare la fragilità psicofisica umana, soprattutto degli individui di natura più sensibile. La questione che da una schiacciante sofferenza terrena debbano conseguire le pene dell’inferno, è materia esclusiva della misericordia divina.
PS
Ovviamente, come dimostrano quei versi del Petrarca che ho riportato di recente, la consapevolezza del dolore che scoraggia l’uomo a suicidarsi si può prolungare oltre la vita terrena, e rintracciare nelle pene dell’inferno che il credente si aspetta di dover subire nell’aldilà.
Io mi aspetto il paradiso, non per altro, ma confido nel perdono.
Non sono certo mosso dalla paura, quanto dalla riconoscenza di essere amato.
Ma capisco che la tua idea di credente sia molto distante dalla realtà.
Mi riferivo a Petrarca. Ma sai leggere?
Significa che Leonardo è migliore del Poeta.
No caro, hai detto “come dimostrano”, generalizzando ed estendendo il caso particolare a verità per tutti.
Rispondi sopra, Pavone.
Potrei prenderla per maleducazione o per incapacità la tua non risposta ad una cortese domanda.
@Pavone
Anche tu, alla pari di Antonio72, non hai capito nulla.
Il fumo di sigaretta non è così nocivo come schiantarsi con la moto senza casco. Lo Stato tenta di dissuadere con scritte e prevenzione, ma sceglie di accettare il fumo di sigaretta (in Australia fra poco ai giovani nati dopo il 1990 sarà vietato). Tuttavia impedisce l’uso di droghe, giudicate giustamente ben più dannose.
Spero sia chiara la questione, casomai fattela spiegare da Antonio72, magari in due ci riuscite
Il fumo di sigaretta non è così nocivo? Ma se il cancro al polmone è tra le prime cause di morte, dopo malattie cardiovascolari, e si stimano circa novantamila decessi causati dal fumo eccessivo, a fronte delle poche migliaia di vittime stradali, inclusi automobolisti e camionisti. Che le droghe siano più dannose del fumo è statisticamente falso. Anzi la sigaretta è come una droga perchè contiene sostanze che inducono alla dipendenza. Questo è un fatto accertato negli USA dove sono andati sotto processo le stesse multinazionali del tabacco.
“dal fumo eccessivo.”
Ti sei risposto da solo.
Ammetti che si possa fumare in modo non eccessivo, e tutelarsi nonostante
si fumi.
Esistono dei suicidi non eccessivi? O dei suicidi eccessivi?
Prego, esponga…
Esistono i tentati suicidi. Molti si suicidano dopo averci provato più volte.
Il fumo eccessivo accelera statisticamente il rischio di morte rispetto a quello più moderato. Non è che il fumo meno eccessivo faccia bene o addirittura tuteli la salute. Ma dove l’hai sentita questa fola?
Antonio72 perché paragoni il fumo di sigaretta al girare senza casco? Non capisci che sono due livelli di gravità differenti?
In un giorno girando senza casco si può morire, in un giorno di fumo di sigaretta sicuramente non si muore. Per questo lo Stato vieta di mettere in pericolo la vita girando senza casco e fa campagna preventiva contro il fumo, valutando razionalmente i due diversi gradi di messa in pericolo della vita.
Art. 580 Istigazione o aiuto al suicidio
Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, e’ punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, e’ punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta e’ minore degli anni quattordici o comunque e’ priva della capacita’ d’intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all’omicidio.
Come già detto da altre parti.
Primo: l’istigazione al suicidio sta al suicidio come lo sfruttamento della prostituzione sta alla prostituzione.
Secondo: se lo Stato decidesse di legalizzare il suicidio assistito, esso sarebbe regolamentato dalla legislazione specifica, e chi operasse al di fuori di questi limiti normativi sarebbe ugualmente accusabile di istigazione al suicidio.
Stessa cosa potrebbe avvenire qualora lo Stato decidesse di legalizzare la prostituzione: non è che allora sarebbe ammessa la tratta delle schiave.
Perchè dire ad un paziente “guarda che la tua vita da malato inguaribile non ha dignità, ormai.
Non ha senso vivere così, pensaci, guarda, con una punturina la facciamo finita con tutto questo d0lore inutile.
Fidati di me, mica ti sto istigando. Certo che io al tuo posto non ci penserei due volte, sei storpio, chi ti vuole?
Tua moglie probabilmente sarà a spassarsela con qualcuno, qualcuno sano… che senso ha prolungare una vita indegna? Ma ti sei visto? Dai…
Ma sei libero di scegliere.
Comunque la puntura dura poco, neh, zac, e via ogni pensiero, libero.
Scegli pure te però, senza pressioni, figurati.” è uno scenario implausibile?
Mah…
Mi pare una chiara istigazione al suicidio. Certo, sarebbe legale. Ma sarebbe giusto?
@Antonio72
Ovviamente, alla pari di Pavone, non hai capito nulla.
Ognuno si può suicidare come crede, altra cosa affermare che lo Stato riconosca il suicidio o non protegga la vita dei cittadini anche contro la loro volontà. Per questo lo Stato ti obbliga a mettere il casco, per questo non ti aiuta a suicidarti.
Spero sia chiara la questione, casomai fattela spiegare da Pavone, magari in due ci riuscite.
Sei tu che non ha capito nulla. L’obbligo del casco, delle cinture di sicurezza ed altri dispositivi di protezione, serve allo Stato per contenere gli enormi costi sanitari causati dagli incidenti automobilistici, nonchè a contenere i costi che sostengono le compagnie assicurative. Sveglia!
Lo Stato non aiuta a suicidarsi in quanto l’istigazione al suicidio è un reato, mentre non risulta che lo sia il tentato suicidio. Qualora lo Stato decida di legalizzare il suicidio assistito, allora si arrogherebbe il diritto di assistere il suicidio a chi lo richiede e qualora la domanda risponda ai rigidi protocolli prescritti dallo stesso Stato. Ma nessun altro, oltre lo Stato, potrebbe arrogarsi un diritto del genere, come per esempio il ricorso alla violenza è appannaggio della sola autorità di polizia, quale organo dello Stato. Dunque nessuna contraddizione per lo Stato di diritto.
La pista privata di Pavone sarebbe illegale.
Se qualcuno si infortunasse l’assicurazione domestica non lo risarcirebbe nemmeno di un centesimo.
Esattamente come il malcapitato senza casco su strada.
Antonio72 è davvero duro, per lo meno Pavone ha gettato la spugna.
Schiantarsi in moto senza casco significa morire, non infortunarsi. Lo Stato ti obbliga a proteggere la tua vita, come infatti dice la pubblicità di prevenzione: “salva la tua vita, allaccia le cinture”.
Lo Stato non uccide i suoi cittadini e protegge la loro vita, anche contro la loro volontà. La cultura pro-death, di cui tu sei un attivo esponente italiano, dovrà trovare altre strade.
Pavone, vediamo di ragionare almeno una volta. La tua pista privata dovrebbe rispettare delle regole ben precise per salvaguardare la vita dei piloti, altrimenti non potresti mai realizzarla. Allo stesso modo lo Stato ti vieta di costruire una casa tua, privata, in cui ci abiti solo tu, se non è a norma dal punto di vista della sicurezza.
Lo Stato non può impedirti di suicidarti, ma appena può protegge la tua vita anche da te stesso. Si veda la legge sul casco, sulle cinture di sicurezza, sull’obbligo del caschetto nei cantieri, sul divieto di entrata in acqua con bandiera rossa (pena multa e eventuale arresto), e così via.
La tua obiezione decade quindi, anche perché non hai saputo dire quale sarebbe il motivo per cui è obbligatorio usare il casco in moto. Non tirare fuori la storia dell’evitare l’infortunio, la pubblicità di prevenzione parla proprio di “salvare la vita”.
L’autodeterminazione non esiste sul fine vita, mettetevelo in testa.
Pavone, due ore dopo la tua risposta, ricade pacifico e sereno nelle stessissime cose che tu gli hai obiettato.
Mah… fa uso della propria “autodeterminazione” per restasere ignorante, credo.
A volte credo che sia inutile rispondere per lui, io ormai rispondo per gli altri che leggono, confidando in una loro maggior capacità critica.
Il livello di una discussione con Pavone è impressionantemente basso, checchè uno si sforzi, Pavone sembra non leggere nemmeno le risposte che gli vengono date…
Liberissimo Pavone di abbassare il livello della discussione se crede, ma sono sicuro che potrebbe fare di più.
Fortunatamente per ora non ha ancora liquidato la questione dicendo che anche noi, come i miracolati di Lourdes, siamo tutti vittime di alterazioni mentali causate da patologie: https://www.uccronline.it/2012/10/27/piergiorgio-odifreddi-in-difficolta-di-fronte-ai-miracoli-di-lourdes/#comment-93529
1) Argomento del tutto sciocco quello che parte dall’assunzione che le leggi positive siano sempre improntate ad un uso corretto della logica e al rispetto della verità. Dovrebbe essere così, ma non lo è più da secoli, ormai… E dunque, mentre in certi casi è corretto fare notare la sopravvivenza delle legge naturale nel diritto positivo (ecco perché è giusto farti notare che norme come quelle che impongono il casco, sottintendono la presenza di un principio che nega l’autodeterminazione assoluta), non è invece lecito presupporre che ogni legge positiva attuale riposi su basi logiche o veritative.
E a questo proposito.
1.1) Tutto da verificare che la legge consenta di fare quello che si vuole nell’ambito privato; scommetto che se su una pista da cross privata qualcuno si ammazzasse senza avere indossato il casco, la magistratura aprirebbe subito un’inchiesta per accertare le responsabilità di chi era preposto alla “sicurezza”.
1.2) Anche se fosse vero quello che sostieni, ciò dimostrerebbe solo che la legge positiva non è più consapevole del principio proprio della legge naturale da cui dovrebbe derivare.
Con la logica non si muove un passo. Occorre anche l’osservazione. Allora ti invito ad osservare che tutti i casi in cui si negherebbe il principio di autodeterminazione presuppongono un contesto sociale. Non puoi non mettere le cinture in strade pubbliche, ma puoi farlo nella tua pista privata; non puoi oltrepassare la bandierina negli stabilimenti balneari ma puoi farlo nella tua vasca da bagno; NON GIÀ PERCHÉ IL DIRITTO POSITIVO NON È COERENTE FINO IN FONDO, O NON È LOGICO, MA PERCHÉ UNA DIFFERENZA È DATA TRA LA DIMENSIONE PUBBLICA E QUELLA PRIVATA. Mi ricordi una barzelletta dello scienziato che nel suo taccuino annotava le reazioni di un grillo a cui estirpava le zambette di giorno in giorno:
primo giorno: ho tolto la prima zambetta al grillo, gli grido di saltare e il grillo salta
secondo giorno: ho tolto la seconda zambetta al grillo, gli grido di saltare e il grillo salta
…
ennesimo giorno: ho tolto l’ultima zambetta al grillo, gli grido di saltare, ma il grillo è diventato sordo
La battuta è buona, ma si applica al tuo discorso, non al mio: hai mai considerato che il pubblico è distinto dal privato (ammesso che sia positivamente lecito fare quello che si vuole nell’ambito privato, cosa che dubito fortemente: non siamo negli U.S.A.) semplicemente perché è fisicamente impossibile mettere un carabiniere a controllare ogni casa privata, affinché nessuno possa suicidarsi? Non troppo tempo fa il suicidio era un reato, eccome! E giustamente!
Così come era un reato l’adulterio, anche se non, ovviamente, non c’era nessuno che stesse a controllare nascosto sotto il letto…
No si applica al tuo discorso 😀
Condivido pienamente il logico e intelligente commento di a-theòs=a-éthos che ringrazio molto.
L’obiezione di Pavone non regge. Innanzitutto perché è falso che nel privato si possa fare quel che si vuole. Ogni cosa deve essere a norma per garantire la sicurezza di chi ci abita, anche se lui vuole vivere in modo insicuro. Nel proprio giardino non c’è un livello di pericolo tale da dover imporre l’uso del casco per girare in bicicletta, così come viene permesso il fumo di sigaretta. In pista però c’è l’obbligo, così come è obbligatorio tenersi alla larga dalla droga.
Il suicidio dovrebbe essere reato? No, non sarei d’accordo su questo.
La sicurezza delle abitazioni private è un fatto sociale, perché significa la sicurezza delle abitazioni confinanti e la sicurezza dei tuoi eventuali ospiti. Non c’è dubbio, tutti i casi in cui si negherebbe il principio di autodeterminazione sono casi che presuppongono un contesto sociale e obblighi nei confronti del prossimo. Questa è la verità. Anche da un punto di vista storico, spero che a-theos non voglia sostenere che l’adulterio non è più reato per via della impossibilità pratica di mettere i carabinieri sotto i letti.
No, anche una casa in aperta campagna, isolata dalle altre e abitata da una persona sola non può violare le norme di sicurezza. Se la ringhiera del balcone è troppo bassa è fuori norma e in caso di controlli rischi grosso (lo so per esperienza personale).
Indipendentemente dalla tua capacità di fare amicizia e avere ospiti in casa, lo Stato previene sempre ogni situazione in cui la tua vita sia in pericolo. Anche contro la tua volontà.
Nella Costituzione non esiste alcun diritto all’autodeterminazione: http://www.avvenire.it/Dossier/fine%20vita/interviste/Pagine/il%20giurista_201103080746575470000_201103080751000900000.aspx
Dai, cerchiamo di non menare il can per l’aia fino a domattina. Il punto teorico è chiaro: per un cattolico o un filosofo tomista l’autodeterminazione è sempre in relazione alla verità, dunque nessuno ha il diritto di farsi del male, perché la verità è che siamo stati creati per un fine (la visione beatifica di Dio-Amore), che è incompatibile con un’autodeterminazione soggettivistica assoluta da parte dell’uomo.
Per te invece, che sei un luciferino liberale, il principio dell’autodeterminazione tendenzialmente ha solo i limiti derivanti o dallo stesso soggetto detentore del potere di autodeterminazione, o dalle leggi positive dello stato (che però possono tranquillamente essere criminali, come nel caso dell’aborto, del divorzio, ecc.).
Direi che abbiamo in comune almeno un aggettivo. Anch’io penso che i limiti dell’autodeterminazione siano dati dalla verità, e anch’io penso che nessuno di noi abbia il diritto morale di farsi del male, da ciò non segue però legittimare sanzioni da parte delle autorità statali relativamente ad azioni immorali. Segue ciò soltanto se uno è un clericale. A questo punto è chiaro qual è l’aggettivo che abbiamo in comune.
Moreover, la differenza tra il clericale e il tomista è che per il tomista la linea di demarcazione che separa il diritto positivo da quello naturale è di principio, mentre per il clericale è una linea tracciata da esigenze di opportunità, e dunque movibile nella direzione di inglobare la morale nel diritto. Almeno in questo tu sei meno tomista di me.
Certo che per San Tommaso la distinzione tra diritto naturale e leggi positive è una distinzione teorica, ma tu fraintendi a cosa si applichi, perché per San Tommaso tutto il decalogo non è altro che una traduzione, ad usum delphini (cioè ad uso dell’umanità decaduta nel peccato originale), della legge naturale, che, a sua volta, trova e deve trovare SEMPRE una traduzione in termini positivi.
Naturalmente si tratta di una “traduzione” che rispetta i limiti del “contenitore” in cui viene travasata e, poiché il diritto positivo si occupa esclusivamente di ciò che ha avuto o può avere una traduzione in azioni esterne (a differenza dell’etica, che si occupa anche delle pure azioni interne, come le pure intenzioni o l’atto di fede), l’unico caso a cui il diritto positivo non può ontologicamente e non deve essere esteso è quello della libertà interiore: Socrate può anche essere condannato a morte, ma il suo pensiero e la sua libertà interiore ne restano intonsi.
In altre parole, l’autodeterminazione è intangibile di fatto e di diritto, solo quando è pura decisione interiore; in tutti gli altri casi, cioè in tutti i casi in cui l’azione interiore sia traducibile in atti esterni, aventi possibile influenza negativa su terzi, il diritto positivo può intervenire.
Ed è allora solo una questione di confini che cambiano per opportunità secondo i tempi, i luoghi e le culture. Tanto è vero che se oggigiorno, ad esempio, è permessa la libertà religiosa (e anzi è considerata un diritto), e dunque ad un padre è lecito allevare i propri figli secondo i precetti morali di una qualsiasi religione (ma vedete che già con l’Islam ciò sempre più porta e porterà a contraddizioni legislative, ad es. la poligamia), la stessa cosa non vale per ogni possibile ideologia, tanto è vero che se un padre venisse scoperto nell’educare i propri figli al nazismo, pur se ciò avvenisse nello stretto “privato”, la patria potestà gli verrebbe senz’altro tolta…
Per essere sinteticamente ancora più chiari: la distinzione teorica (di principio) tra morale e leggi positive è data dalla distinzione ontologica tra atti puramente spirituali (puramente interiori) e atti+azioni esteriori. Il resto, cioè l’ambito di ciò che effettivamente viene positivamente legiferato, dipende da questioni di opportunità (situazione storico-culturale, luoghi e momenti storici).
Ciò naturalmente vale anche per i casi di azioni ricadenti sul soggetto stesso che le compie (come il suicidio), perché, per un diritto positivo conforme alla legge naturale (che riconosce l’esistenza di Dio Creatore come base di se stessa), non siamo i “padroni” della nostra vita, ma, usando un termine civilistico, ne siamo solo i “conduttori”.
Lascia perdere poi termini come “clericale”, che sono solo retorici.
Caspita, anche per te le ore piccole diventano sempre più grandi ;-))
Mi spieghi poi in base a quale principio etico (e dunque appartenente alla legge naturale) o, per lo meno, in base a quale criterio razionalmente (cioè in relazione alla verità ontologica), se è moralmente illecito farsi del male, ciò non possa mai trovare legittima traduzione nei termini del diritto positivo? Perché mai a tuo parere, ad esempio, un ufficiale pubblico non dovrebbe mai avere il diritto di intervenire per impedire un suicidio, se esso è moralmente illecito?
razionalmente dimostrabile
Non sei d’accordo? Strano. Ti posso chiedere perché?
Nei casi di cui parlo, la natura avrebbe deciso da un pezzo per la fine, ed è l’uomo che interviene prolungandola, spesso in un modo che violenta la nostra stessa natura.
La vita è un principio fondante della nostra Società, negare ciò significherebbe disconoscere la nostra umanità
Giulio, la penso come te, la trovo una forzatura contro la natura o Dio, che dir si voglia
Simpatico paragonare Dio alla natura…il panteismo alla ribalta.
Mi permetto di interpretare Titti: non voleva paragonare Dio e la natura, ma solo tener gentilmente conto del fatto che si rivolge ad una platea mista, di credenti e non credenti.
Ti ricordo che siamo tutti contro l’accanimento terapeutico, evitiamo il giochino “chi è contro l’eutanasia è a favore dell’accanimento terapeutico”, che assomiglia molto a “chi è contro il matrimonio omosessuale si oppone all’esistenza degli omosessuali”.
Se vogliamo parlare di giochini, allora evitiamo post come questo e quello che l’ha preceduto.
Cercare di andare contro l’eutanasia perché causerebbe traumi nei parenti è come cercare di difendere l’aborto perché un figlio con un handicap grave genererebbe gravi traumi nei genitori. E’ un “giochino” retorico e stupido.
Non è un giochino stupido da parte nostra, ma la risposta al tentativo pietoso e disonensto di quelli che la pensano come te. Quante volte hai infatti sentito avanzare, ad esempio dai pro-aborto, che l’aborto è un toccasana per la salute fisico-psicologica delle donne? Ebbene è falso, esattamente come è falso che l’eutanasia sia un bene e faccia bene A CHIUNQUE.
I motivi per andare contro l’eutanasia sono tantissimi, ogni volta si parla di qualcosa di diverso (dunque è sempre evidentemente un’obiezione parziale se vogliamo vederla).
Questo studio mostra che sbaglia chi intende suicidarsi per alleggerire la vita dei suoi parenti, perché molto probabilmente la aggraverebbe.
Giulio, ogni terapia è contronatura, allora.
I miei occhiali sono contronatura, qualunque aspirina, qualunque spazzolino da denti.
Non credo sia un buon metro di giudizio il “contronatura”.
E ti ricordo la posizione della Chiesa sull’accanimento terapeutico, che è contrario e sfavorevole.
Quindi se i tuoi casi limite sono inclusi in questa casistica non ti preoccupare, nessun allungamento inutile e forzato, senza benefici immediati nè possibilità di miglioramenti futuri viene perpetrato.
Qui però si parla di gente che chiede forzatamente di morire, cioè che si trova con un quadro clinico non drastico e ben lontane dal morire naturalmente.
Sono due situazioni ben diverse, non cadere nell’errore, che la Chiesa NON fa, di non distinguerle.
Altrimenti creiamo confusione, quando invece, su temi tanto delicati, è bene pesare ogni parola ed essere concretamente chiari e lucidi.
“Giulio, ogni terapia è contronatura, allora.”
Certo che lo è! La medicina è il frutto del potere che l’uomo ha acquistato sulla natura, un potere sempre crescente, anche se pur sempre limitato. Per questo non capisco per quale motivo tale potere dovrebbe essere considerato buono solo quando lo si utilizza, dovrebbe essere una scelta dell’uomo quella di utilizzare o meno gli strumenti che lui stesso ha inventato per prolungare la sua esistenza.
Per quanto riguarda la posizione della Chiesa sull’accanimento terapeutico, lo so benissimo. Il problema è cosa si intenda per accanimento terapeutico. Per me casi come quello della Englaro sono evidentissimi casi di accanimento terapeutico, per voi no. Qui sta il punto.
accanimento terapeutico è insistere con le terapie (da qui il nome terapeutico) anche quando queste non producono più nessun effetto (da qui l’appellativo accanimento). Quaresima, ti facevo più informato, strano che tu non sappia il significato dei termini. Dimostri poi la tua scarsa cultura quando parli di Eluana che non era sottoposta ad alcun trattamento terapeutico, e quindi non poteva rientrare nei casi si accanimento, in quanto non ci si può “accanire” contro qualcosa che non si fa. Anche tu sei caduto nel tranello laicista. Se poi vogliamo far rientrare come “accanimento terapeutico” anche i casi di depressione per giustificare l’eutanasia, beh allora non parlo più.
Pino, la ringrazio per la sua solita correttezza dialettica: “ti facevo più informato”, “strano che tu non sappia”, “la tua scarsa cultura”, “anche tu sei caduto nel tranello”.
Ma se io comincio una frase dicendo “il problema è cosa si intenda per accanimento terapeutico”, mi pare implicito che io proponga una mia definizione dell’ambito di ciò che è da considerarsi accanimento terapeutico. Se poi la mia definizione cozza con l’etimo, vorrà dire che, per farla contento, mi inventerò un altra parola!
Quaresima, la definizione di accanimento terapeutico non è mia, non possiamo inventarcene una perchè ci fa comodo ed è in linea con il nostro modo di pensare. L’accanimento terapeutico si ha solo quando si insiste con trattamenti medici che non producono più alcun effetto sul paziente, quindi questi trattamenti sono vietati. Non esiste un problema interpretativo su cosa sia, basta informarsi in modo corretto.
Nella gran maggior parte dei casi, la dialettica tra idee diverse corrisponde al diverso significato che si danno alle stesse parole. Un altro esempio perfetto, per esempio, è il termine “vita” riferito alla tematica dell’aborto, che ci ha visti impegnati la settimana scorsa.
nel momento in cui si confonde ciò che è oggettivo con il proprio pensiero soggettivo allora tutto è possibile, la realtà diventa finzione e la finzione realtà. E’ proprio quello che sta accadendo al pensiero occidentale, in preda ad un delirio di soggettivismo ed onnipotenza che porterà la società alla sua disintegrazione. Tu sei un perfetto esempio di questo modo di ragionare.
Dare da mangiare e bere è accanimento terapeutico? Semplicemente ridicolo.
Sì, se lo fai con un tubo infilato nella pancia ad una persona ridotta da venti anni in stato vegetativo.
ecco come la cattiva informazione riesce a fare presa. Eluana era alimentata con il sondino per una questione di praticità. Prima era alimentata normalmente, poi le suore che la accudivano dissero alla madre che la assisteva che il sondino era più pratico. Del resto esistono persone che lavorano e conducono una vita normale che si alimentano con questa modalità. Dobbiamo eliminare anche per loro questo riprovevole accanimento terapeutico? Ultima osservazione: Eluana non era malata, era handicappata.
Non secondo il parere del Consiglio Nazionale di Bioetica, che giustamente parla di “sostentamento ordinario di base”: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_907_allegato.pdf
Ti ricordo che parlare di stato vegetativo è ormai un modo anacronistico di esprimersi, non esiste nessun stato “vegetale” o “perenne”. Anche questi pazienti hanno residui di coscienza, possono imparare e addirittura comunicare (a Bergamo hanno inventato un casco chiamato “Elu1” che lo permette a 89 euro).
Ipse Dixit
Non l’ho detto io. L’ha detto il Consiglio Nazionale di Bioetica.
In stato vegetativo si può apprendere: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/09/090920204457.htm
Da ripensare il concetto di stato vegetativo perché il cervello non è mai del tutto spento: http://www.molecularlab.it/insideneuroscience/?p=592
Rilevato comportamento volontario negli stati vegetativi: https://www.uccronline.it/2011/11/29/studio-canadese-rilevato-comportamento-volontario-negli-stati-vegetativi/
Gli stati vegetativi possono comunicare: http://www.amicidieluana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3&Itemid=2
E così via…
Aridaje. Ipse Dixit. Ipse = Consiglio Nazionale di Bioetica.
Giulio Quaresima: “Sì, se lo fai con un tubo infilato nella pancia ad una persona ridotta da venti anni in stato vegetativo”.
Ora c’è da scegliere: ha più autorità in merito Quaresima o il Consiglio Nazionale di bioetica?
Allora fai digiuno “ad vitam” visto che sei in accanimento terapeutico. Non mangiare però eh se no rimani in vita “troppo a lungo”.
L’articolo parla di suicidio assistito, mi pare che di carne al fuoco ce ne sia già molta, rimando ogni altro commento in merito all’accanimento terapeutico al prossimo articolo in merito, non per scortesia, ti reputo un interlocutore più che degno, ma per non svagare troppo.
Su questo hai ragione.
questo tipo di attività umana si chiama medicina. Ottant’anni fa la gente moriva per una semplice infezione, non c’erano gli antibiotici, per una polmonite si andava all’altro mondo, non parliamo poi di patologie più gravi oggi guaribili con qualche iniezione o pastiglia. Quaresima, mi meravoglio di te, hai un pensiero antiscientifico, auspichi per caso un ritorno all’età della pietra?