Perché mente e coscienza non sono un epifenomeno


 

di Giorgio Masiero*
*fisico

 

È quasi impossibile trovare oggi in un articolo di biologia termini come “mente” o “coscienza”, al cui posto leggeremo: neuroni, proteine, sinapsi e così via…, donde d’improvviso – con un salto dalla prosa scientifica alla poesia immaginifica – la mente è spiegata come “ciliegina sulla torta” (E. Boncinelli) o “fischio della locomotiva” (A.G. Cairn-Smith). Il termine ufficiale usato dal conformismo riduzionista è “epifenomeno” (un’invenzione del “mastino di Darwin”, T.H. Huxley), che significa “fenomeno derivante da un altro”: siccome però nel mondo tutti i fenomeni derivano da altri (proprio nello studio delle loro concatenazioni causali consistono le scienze) e “poiché là dove mancano i concetti, s’offre, al momento giusto, una parola” (J.W. von Goethe, “Faust”), il termine serve solo, secondo il diavolo, a celare la mancanza d’ogni concetto a riguardo di cosa sia la mente.

La paroletta di Huxley non è tanto un’ovvietà, ma uno sproposito, perché la mente non è un fenomeno. Fenomeno (dal greco “fàinomai” = mostrarsi) è tutto ciò che ci appare davanti, manifestamente: l’alternarsi del giorno e della notte, le fasi della luna, l’evaporare dell’acqua all’aria e l’abbronzarsi della pelle al sole, lo sbocciare dei fiori a primavera e la caduta delle foglie in autunno, ecc. È un fatto però, che di nessuno la mente ci appare. La mente piuttosto è il tribunale recondito davanti a cui tutti i fenomeni compaiono: i fenomeni sono gli oggetti delle apparizioni, la mente è il soggetto invisibile che li vede e giudica. Tanto è potente e allo stesso tempo misteriosa la caratteristica dell’uomo da far dire ad Euripide: “La mente in ciascuno di noi è un dio”.

La coscienza pure non è un fenomeno, ma consiste nel flusso degli stati vissuti da un Io. Neanche nell’intimità dell’amore appare all’amante la coscienza dell’amata– che cosa le frulli per la testa, le passi nel cuore o ella provi nei sensi –, e l’uno si deve accontentare (dei fenomeni esteriori) delle parole e dei gesti dell’altro. Nello stato detto “autocoscienza” la coscienza appare a sé, non come oggetto esterno, ma ancora come un particolare stato vissuto dall’Io. C’è dell’altro che questi super-semplificatori mostrano d’ignorare. Per loro, le neuroscienze spiegano la mente come un fenomeno della struttura biologica e dell’organizzazione fisiologica del sistema nervoso centrale; i livelli biologici e fisiologici si spiegheranno, “molto presto” annunciano da cent’anni, con reazioni chimiche; e queste, si sa, si spiegano già in fisica con le interazioni delle cortecce elettroniche degli atomi.

La fisica però non si ferma agli atomi e ai quark, ma tira in ballo anche i campi quantistici e l’osservatore. Ogni sistema atomico, infatti, vi è descritto con una distribuzione (questo è un campo) di tutti i valori delle grandezze fisiche e solo l’esecuzione di una prova ne determina i valori attuali – l’autostato, che è relato alla coscienza (collettivamente elaborata) del team controllante l’apparato sperimentale –. Un evento fisico è inseparabile dal campo quantistico in cui è immerso e dall’interferenza dell’osservatore intelligente che, approntandone la preparazione ed osservandone l’evoluzione, lo fa iniziare in un autostato e precipitare infine in un altro. “Non è possibile una formulazione coerente della meccanica quantistica che non faccia riferimento alla coscienza” (E. Wigner, Nobel 1963 per la fisica). Così la mente, declassata dal semplicismo riduzionista a fenomeno secondario delle attività cerebrali, è promossa dalla scienza fondamentale a statuto primario di tutti i fenomeni. Il loro tribunale, appunto. Come avanziamo, allora, nello studio della mente se non con un’introspezione di come l’Io di ognuno appare a Sé?

Che cos’è il mio Io? Qual è il mio nocciolo duro, se c’è, al netto del mio corpo? Sfoglio un album di vecchie foto in bianco e nero e mi vedo a 6 anni nella bottega di papà, che ora non c’è più, in uno scatto fatto da Callisto, il postino di paese; a 7 anni, con la mia bellissima mamma, sul cui viso oggi è scolpito il disincanto: posiamo sorridenti lungo un viale alberato per la gioia di Fai, un eccentrico personaggio locale; ecc., ecc. Non conosco parole per descrivere il flusso nostalgico di tenerissimi ricordi che mi avvolge, stringendomi il cuore, arrossandomi il viso ed inumidendomi gli occhi. Riconosco a fatica vaghi lineamenti di me in quelle foto ingiallite e mi chiedo ancora: in che cosa consiste la sostanza dell’Io, che permea ogni fibra del mio corpo? Essa certo non coincide con i 10^27 atomi di turno che lo compongono: al mio corpo sono affezionato anche nei difetti perché è comunque parte di me, ma non posso identificare una parte di me col mio Io intero. So bene che l’Io dipende in tutto dal corpo, a cominciare dalla sua stessa esistenza. Però, se un organo non vitale mi venisse a mancare, o uno vitale diverso dal cervello mi fosse trapiantato da un donatore, non per ciò ammetterei che non sono più io, anche se non mi riconoscerei identico a prima.

E il cervello? in che rapporto sta con l’Io? Il confronto tra un uomo ed un computer forse mi aiuterà a procedere. Tutto il mio corpo è hardware, compreso il cervello che svolge i due ruoli che nel calcolatore hanno il disco per la conservazione dei dati ed il processore per la loro elaborazione. E cosa corrisponde in me al software, senza cui un computer è più inutile di un ferro vecchio? Il software è una sequenza di operazioni matematiche (infine, un numero), che indica al processore come elaborare i dati salvati nel disco o inseriti dall’esterno. Esso è memorizzato nel disco, o nel cloud che è comunque un server da qualche parte. D’acchito mi verrebbe d’identificare la componente volitiva dell’Io con un software, perché è l’Io che ordina al cervello come elaborare le informazioni conservate nella memoria o che gli stanno provenendo dai sensi. Proseguendo nell’analogia dovrei riconoscere che, come il software d’un pc sta in un disco, così la mia Volontà è basata nell’encefalo. Ma il paragone è miserrimo, perché ogni software è un puro numero: non vive, né sa di essere; non pensa; è stato scritto dall’Io d’un programmatore umano e nelle stesse circostanze ripete le operazioni che gli sono inscritte. Il mio Io, invece, respira la vita; pensa; pensa di pensare; non è stato programmato (da alcun super-Io) e sa di godere di arbitrio libero, pur se condizionato dal corpo e dall’ambiente. L’Io è vivente, cogitante, autocosciente e dotato di una volontà che avverte l’imperativo morale altro da Sé, mentre nessun software è l’ombra di ciò! La parola che si usa da sempre per denotare l’insieme di quelle facoltà è: anima (dal sanscrito “atman” = soffio vitale). Ecco il nucleo del mio Io dal concepimento: è l’unità indissolubile di un corpo e di un’anima.

Nei primi anni di vita la Volontà della mia anima era scandita esclusivamente dall’istinto alla soddisfazione dei bisogni del corpo, ma col tempo l’interscambio tra il suo mondo interno ed il mondo esterno (il latte materno, l’educazione familiare, il contesto sociale, ecc.) l’ha forgiata in scelte, fatte inizialmente su valori e sensi parziali, che con gli anni sono cresciuti ad una matura, integrale Weltanschauung. Il mio Io è cresciuto sulla spinta di questa Volontà ed oggi gli appartengono la memoria delle cose apprese e delle esperienze fatte ed il bene e il male derivati anche per mia responsabilità alle persone che ho influenzato. Le mie decisioni hanno concorso a costruire l’Universo attuale al posto d’infiniti altri universi potenziali: chi può sapere che cosa di buono il mondo ha perso per i miei errori ed omissioni, e perdonarmi per essi? Ora, durante questa mia auto-analisi, pensiamo che un neuroscienziato abbia osservato con un sistema di sonde tutti i campi e le reazioni chimico-fisiche del mio corpo e dalle loro misure abbia calcolato con un modello matematico i pensieri della mia anima. Ammessa l’omologia della teoria impiegata – ma se ogni traduzione da una lingua all’altra è infedele in significato e stilemi; se la descrizione data dal mio stesso racconto è stata carente, può un numero, qual è la risposta d’un apparato osservativo, rappresentare isomorficamente una catena di pensieri ed emozioni? –, in ogni caso la fisica misurata sul mio corpo non è la stessa cosa dei pensieri vissuti dalla mia anima: ciò che ho vissuto pensando quei pensieri appartiene al mio Io interno ed è altro ontologicamente dalle grandezze fisiche osservate dall’Io (a me esterno) del neurologo.

L’alterità tra stati psichici e grandezze fisiche vale nei due versi e, come vieta il cortocircuito del riduzionismo materialistico, così nega quello inverso del riduzionismo idealistico contemporaneo – della filosofia analitica e del neopositivismo, per intenderci – secondo cui gli oggetti fisici “hanno lo stesso fondamento degli dèi di Omero” (W.V. Quine, filosofo ad Harvard), essendo solo i costrutti mentali delle percezioni dimostratisi più utili in ogni epoca, al punto che “noi sappiamo, per dimostrazione, che la Luna non è più là quando non la osserviamo” (N.D. Mermin, fisico alla Cornell). Resta la terza via del buon senso, un realismo che prende atto dell’esistenza sia di oggetti fisici che di stati dell’anima, e della loro alterità irriducibile fatta salva la loro coesistenza nell’essere umano. Io so anche che il mio Soggetto interno è intravisto come oggetto esterno dagli altri Io (quelli delle persone con cui entro in relazione), e viceversa: la coesistenza e l’ambiguità ontologica falsificano il dualismo cartesiano, secondo cui l’alterità implica una radicale separazione (che infine, per il ruolo guida assegnato alla “res cogitans” sulla “res extensa”, si traduce in monismo spiritualistico). Come potrebbe la mia Volontà ordinare al deltoide di sollevare il braccio, se l’anima ed il muscolo appartenessero a mondi disgiunti? Forse inserendo un ponte tra i due, cioè con un terzo mondo, e così via all’infinito?! “Il corpo non è unito in modo accidentale all’anima, perché il più profondo essere dell’anima è lo stesso essere del corpo, e dunque un essere comune ad entrambi” (Tommaso d’Aquino, “Quaestio disputata de anima”). Insomma la realtà di questo mondo è una, una sola, ma è molto diversa da come ce la raccontano i riduzionisti delle due scuole; e la sua trama è molto, molto più complessa di quanto speculino oggi anche i fisici più creativi.

Chi prima delle equazioni di Maxwell (1861) e degli esperimenti di Hertz (1886) avrebbe immaginato la realtà dei campi, quando per i materialisti di allora tutto era solo atomi e moto? Chi prima della sintesi di Einstein (1915), quando spazio e tempo erano universalmente considerati contenitori inerti dei fenomeni (due “forme a priori” della mente, per gli idealisti di allora), avrebbe pensato lo spazio-tempo come una struttura dinamica reale, che ordina alla materia come muoversi ed è da essa ordinata come incurvarsi? Quando ho scritto che l’auto-interazione del campo di Higgs crea il bosone omonimo, un lettore mi ha obiettato: “Ma di che è fatto il campo, se non delle medesime particelle? […] è come se Lei ci dicesse che un oceano interagendo con se stesso determina le molecole di cui è costituito”, testimoniando la persistenza anche in ambienti colti (e religiosi) di un pregiudizio materialistico e meccanicistico, di cui la fisica s’è liberata 150 anni fa. Quando si prenderà atto che l’evidenza dell’esistenza di un oggetto non è data in fisica dalla sua osservabilità (qualcuno ha mai “visto” un quark top?), ma coincide con l’efficacia delle sue proprietà matematiche a predire regolarità di Natura altrimenti giudicate accidentali?

A sciogliere il problema del sinolo dell’Io, di questa unità tanto oggettivamente materiale se vista da fuori quanto soggettivamente mentale se vissuta da dentro, non saranno né la biologia molecolare, né le neuroscienze, e neanche la fisica ultima dell’altisonante “Teoria del Tutto”…, che poi è la geometria delle stringhe e del multiverso, ovvero una cinematica di cordicelle e tamburini vibranti in uno spazio (“bulk”) a 10-11 dimensioni: questo esercizio è condannato fin dall’inizio a fallire il bersaglio, perché carica la complessità dell’essere non sulla struttura matematica degli oggetti (ipoteticamente fondanti il “Tutto” comprensivo della mente), bensì sulla topologia super-dimensionale del bulk che ne ospita i giochi. No, per tentare la scalata alla montagna dell’Io – alla sua parete fenomenica, almeno – ci occorrerà una scoperta altrettanto eversiva di quelle del campo elettromagnetico e della relatività, e più probabilmente un cambio del paradigma epistemologico che superi la “vecchia”, a ciò visibilmente impotente, rivoluzione scientifica.

81 commenti a Perché mente e coscienza non sono un epifenomeno

  • G.T. ha detto:

    Preciso una cosa al dibattito fra ethos e Pavone. Rifacendomi al primo che diceva che l’anima è un concetto nato non per spiegare la mente ma per spiegare l’uomo.
    Vorrei fargli notare che Aristotele credeva che il cervello servisse per pompare il sangue. A quel tempo non sapeva ci fosse il cervello e che cosa facesse. Il concetto di anima è un concetto filosofico non cristiano nato per arrivare laddove non ci arrivò la scienza.

    • Francesco Santoni ha detto:

      Non mi pare affatto vero che Aristotele avesse conoscenze anatomistiche così superficiali ed infondate. Ma mi documenterò…

      • G.T. ha detto:

        “Contrariamente ad Ippocrate, per Aristotele, il cervello, composto di acqua e pertanto freddo, non può essere la sede delle sensazioni, che risiedono nel cuore; lo stesso ragionamento vale per il pensiero, il cui corretto funzionamento dipende da un organo sufficientemente irrorato e caldo, come il fegato, mentre il cervello ha la funzione di raffreddare il cuore. La concezione del cuore come sede dell’intelletto è durata a lungo ed è legata all’osservazione immediata che la rabbia, il dolore e la gioia hanno ripercussioni immediate sul battito cardiaco; di questa concezione sono ancora attualmente presenti segni nel linguaggio comune (ho il cuore spezzato, lo ho fatto di cuore ecc.)”
        http://www.anisn.it/matita_ipertesti/visione/aristotele.htm

        • Francesco Santoni ha detto:

          Vorrei avere un riferimento ai testi aristotelici, perché è noto che spesso ad Aristotele si attribuiscono teorie non direttamente sue, ma di qualche aristotelico successivo. Comunque eventualmente per Aristotele il cervello serve a raffreddare il sangue e non a pomparlo. Tommaso comunque dice (Iª q. 91 a. 3 ad 3 ) che le “potenze interiori” si svolgono nel cervello, e mi pare difficile che possa dire qualcosa di radicalmente contrario ad Aristotele. Con facoltà interiori che sono nel cervello poi credo che intendesse l’immaginazione, che è legata alla sensibilità e quindi alla materia, perché l’intelletto invece, propriamente parlando secondo la teoria tomista, non ha un suo organo corporeo.

          • G.T. ha detto:

            Guarda i vari trattati sull’anatomia.
            Quel che è certo che in qualunque parte cerchi troverai considerazioni simili sul cervello fatte da Aristotele
            Spirito è stato creato per spiegare la mente.

      • G.T. ha detto:

        L’anima non esiste.

        • Francesco Santoni ha detto:

          Ma non eri cattolico tu?

          • G.T. ha detto:

            Cattolico, religione derivazione dell’Ebraismo. Anima non contemplata in quest’ultima.
            È un concetto filosofico creato dai Greci, pagani che cercavano di spiegare tutto con la rationem.

            • Francesco Santoni ha detto:

              Allora in questo caso ti invito a leggere il Catechismo: http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p1s2c1p6_it.htm
              Paragrafi da 362 a 368. Tra l’altro la Chiesa ha accolto la dottrina dell’anima come forma del corpo, quindi la teoria di Tommaso ripresa da Aristotele.

              • G.T. ha detto:

                La Chiesa si è espressa condividendo la tesi… non adottando essa e facendo un dogma.

                • Francesco Santoni ha detto:

                  Come si può condividere una tesi senza adottarla?

                  In realtà, come spiega ad esempio qui il teologo Giovanni Cavalcoli http://www.lamadredellachiesa.it/corpo-e-anima-di-padre-giovanni-cavalcoli/ la dottrina sull’anima non è di fede rivelata, ma è comunque di fede definita, e quindi da tenersi in modo definitivo da tutti i fedeli cattolici. Del resto nella Humani generis, Pio XII ricordava che l’unico punto da tenere fermo nelle discussioni sull’evoluzionismo è che le anime spirituali sono create immediatamente da Dio.

                  Cito ancora il Catechismo 382: “L’uomo è «unità di anima e di corpo». La dottrina della fede afferma che l’anima spirituale e immortale è creata direttamente da Dio.”

                  • G.T. ha detto:

                    Non ci capiamo Santoni. Io non credo al concetto greco di anima. Credo nelle virtù morali oggettive superiori al corpo.

                    • Francesco Santoni ha detto:

                      In realtà ci sono almeno due concetti greci di anima. Uno è quello platonico che vede l’anima come una sostanza completa perfettamente indipendente dal corpo. L’altro è quello aristotelico dell’anima come forma. Quest’ultimo, come vedi nel catechismo, è stato accolto nella dottrina, ed è un dogma di fede.

                      Ti faccio poi notare che questa tua pretesa de-ellenizzazione del Cristianesimo è stata già tentata in ambito protestante, ed il risultato è stato lo svuotamento del Cristianesimo.
                      http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/83303

                    • G.T. ha detto:

                      Non ci prendiamo in giro, Gesù credeva nella moralità.
                      Non c’è nessuna idea di anima nelle sue parole.
                      Non voglio protestantizzare alcunché, ma dobbiamo essere fermi nel proseguire la sua opera.

                    • Francesco Santoni ha detto:

                      Gesù è venuto a dire la verità. Ma tutto ciò che è vero, chiunque lo dica (pure i greci) viene dallo Spirito Santo.

                      Ora la Chiesa sull’anima ha una dottrina dogmaticamente definita e te l’ho mostrato. Tu sei liberissimo di non accettarla, però prendi atto che quanto tu dici non è compatibile con l’insegnamento della Chiesa. Non posso convincerti io ad accettare una dottrina che non ti piace…

                    • G.T. ha detto:

                      Io credo nel Vangelo.
                      Mi rammarico come persone coltissime si perdono in spiegazioni dettate da una comunità, seppur universale, piuttosto che a Cristo, il quale era un ebreo, la cui religione non contempla l’anima.
                      Qualche volta è meglio pensare con la propria testa.
                      Cerco di seguire Dio tu non so…

                    • Francesco Santoni ha detto:

                      Ma Cristo ha fondato la Chiesa. E alla Chiesa ha dato il compito di ammaestrare le genti. E la Chiesa insegna una ben precisa dottrina sull’anima. Allora come ti poni tu di fronte a questo? Con le tue posizioni non ti senti un po’ estraneo alla Chiesa?

                    • G.T. ha detto:

                      Sono all’interno della Chiesa di Cristo, questo non mi esime dall’esprimere critiche alla sua Chiesa terrena, costituita da persona. Non credo al concetto di anima, poiché è basato su una falsa credenza anatomica e da lì prosperarono molteplici versioni. Rimanendo sostanzialmente conservato fin ad oggi in forma religiosa.
                      Io credo nei Vangeli del Cristo e in esso non vi è alcuna traccia, essendo di cultura ebraica. Mi rifaccio quindi all’ebraismo.
                      Credo nelle virtù morali prescritte da Cristo e alla nostra parvenza in esse dopo la morte, ma non sotto forma di spirito. Credo inoltre nella sacralità del corpo e aspetto la Resurrezione dei Corpi come Evento finale.

                    • Francesco Santoni ha detto:

                      GT, io la tua posizione la capisco benissimo. Però mi tocca ancora farti notare che essa non è conforme alla dottrina cattolica su questioni essenziali.

                      Dici di seguire il Vangelo e solo quello? D’accordo fai quello che vuoi. Ti invito solo a prendere atto dell’irreconciliabilità delle tue posizioni con il Magistero e la Tradizione.

                    • G.T. ha detto:

                      Kosmo credete ancora a Wikipedia?
                      Gli Ebrei non credevano all’anima, anche perché la loro religione è stata sempre chiusa quindi impossibile un’apertura all’ellenismo.

                    • G.T. ha detto:

                      Può darsi. Io non cerco il consenso degli uomini, voglio avvicinarmi a Dio.
                      E’ illogica, antistorica e anti-tradizionale la posizione della Chiesa in questo caso.

                    • Francesco Santoni ha detto:

                      “impossibile un’apertura all’ellenismo”

                      Se pensi questo degli Ebrei, allora dovresti fare almeno la conoscenza di Filone di Alessandria e di Mosè Maimonide.

                    • G.T. ha detto:

                      Pensa al fatto che essi si chiudevano a riccio e non si integravano con le altre società. L’etnia era un criterio etico se vogliamo di appartenenza. Il loro nazionalismo.

                    • Kosmo ha detto:

                      mai visto un tizio così confuso.

      • G.T. ha detto:

        Cristo ci porta già in mezzo a lui…

      • G.T. ha detto:

        Siamo fatti di carne, aspettiamo di essere trasformati da Dio

  • Giancarlo ha detto:

    Sono un ignorante e faccio fatica a seguirla. Professore, glielo debbo confessare: avrò capito, tra il si ed il no, il 10% di quello che ha scritto. Però, glielo giuro, mi sono commosso. Grazie.

    • Giovanni Pastormerlo ha detto:

      Si forse questo genere di articoli dovrebbe essere pensato non soltanto per lettori esperti, ma dovrebbe poter rivolgersi a tutti con parole e analogie più semplici. Altrimenti il 60% degli italiani che non hanno approfondite competenze scientifiche rimane inevitabilmente tagliato fuori.

      Segnalo questo articolo sulla stessa tematica molto interessante: http://thegodguy.wordpress.com/2011/08/16/is-human-consciousness-an-epiphenomenon/

    • Giorgio Masiero ha detto:

      La ringrazio, Giancarlo: non c’è nulla per me, insegnante, che mi dia più soddisfazione di trasmettere ai miei studenti lo stupore che provo di fronte al reale e alla capacità della mente di capirlo almeno in parte, e della gioia che posso leggere nei loro occhi quando hanno capito.
      L’argomento è difficile e in un articolo l’autore deve stare in equilibrio tra l’esigenza di rendersi comprensibile al lettore medio e quella, altrettanto importante per me, di non rendere banali tema e spiegazioni. Ho fatto del mio meglio, ma certamente si può fare meglio ancora.

      • Leon ha detto:

        “Così la mente, declassata dal semplicismo riduzionista a fenomeno secondario delle attività cerebrali, è promossa dalla scienza fondamentale a statuto primario di tutti i fenomeni.”

        Sarei curioso di chiedere ai risuzionista qual’è l’esatto impulso celebrale che giudica le rappresentazioni empiriche,specie quando sogno,infatti nel sogno giudichiamo delle imagini che scorrono,ma in realtà è lo STESSO pensiero lo stesso mentale scisso in 2,la cosa mi ha sempre incuriosito,in un sogno infatti vi è una parte che è reale, o tale sembra a chi sogna,ma che è sempre RAPPRESENTAZIONE ,e una parte separata che agisce con i criteri da lei indicati,giudica, pensa, si noti bene NEL MEDESIMO PENSIERO (L’Io giudica all’interno della sua stessa rappresentazione).E quale sarebbe il motivo per cui visto che l’io è solo materiale riesce a configurare imagini composte che non sono empiriche (nel sogno non traggo imagini dai 5 sensi in maniera immediata) e perfino a giudicarle,si percepisce per esempio la paura e la gioia,all’interno dello stesso pensiero.Delle volte sembra che non ci sia una res cogitans ma due.Un po come la teoria dei tre mondi di Popper.

        Comunque grazie per l’articolo.

  • luigi portioli ha detto:

    mi piacerebbe avere una sua opinione sul libro “natura incompleta” di T. Deacon ( accluso al n° di settembre di “Le Scienze”) che suggerisce un ipotesi teleologica nei processi che conducono a vita e coscienza. Una teleologia che però”sale dal basso” e non scende dall’alto. Deacon concorda anche che vi sia la necessità di una innovazione/rottura epistemologica che lui paragona a quella dello “zero” nei numeri naturali. Un paragone appropriato visto che le sue idee si fondano su ciò che è ASSENTE nel determinare le dinamiche che portano al vivente/cosciente. Il tutto senza “omunculus” e senza violare il II principio..
    Chissà se funziona..

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Non ho letto il libro di Deacon, ma non concordo del tutto con il suo pensiero così come riportato da Le Scienze.
      Occorre secondo me separare il problema della vita e della speciazione, da quello del salto antropologico intervenuto con la comparsa della mente nell’uomo.
      Sul problema dell’origine della vita e della speciazione, penso che già la scienza attuale – col suo metodo – possa fare passi in avanti, tanto prima quanto prima si libererà delle favole darwiniane. Sulle possibili linee di questa “nuova biologia scientifica” interverrò a breve su UCCR.
      Il problema della mente umana e più in generale della specificità antropologica è invece, secondo me, molto molto più complesso, non affrontabile da “questa” scienza, così come la conosciamo da Galileo in poi. Il perché ho cercato di spiegarlo in questo articolo. Grazie dell’attenzione.

    • Nemmeno io l’ho ancora letto, ma se conosci l’inglese in rete ci sono due recensioni eccellenti: una – breve e piuttosto critica – del filosofo della mente Jerry Fodor

      http://emergence.org/Fodor-Deacon-LRB.pdf

      e una, più positiva, di Raymond Tallis

      http://online.wsj.com/article/SB10001424052970204618704576642991109496396.html

  • Enzo Pennetta ha detto:

    Giorgio,
    questo tuo articolo si rivolge all’intelletto ma, come si evince dal commento di Giancarlo, raggiunge anche la nostra più autentica umanità, è la restituzione della verità sull’uomo negata da due secoli di scientismo riduzionista.
    Continuare ad affrontare le mente in termini di epifenomeno è come continuare ad affrontare la biologia in termini di eventi del tutto casuali: sono vicoli ciechi in cui è stata condotta la scienza da chi afferma di difenderla e promuoverla.
    Grazie.

  • Antonio72 ha detto:

    Grazie prof. Masiero per l’articolo.
    Ne approfitto sulla discussione dell’anima. Secondo la teologia di Tommaso “la moltiplicazione delle anime è secondo la moltiplicazione dei corpi” in quanto il principio di individuazione è dato dalla materia determinata (signata).
    Per questa ragione lo zigote deve essere privo di anima razionale.

    • G.T. ha detto:

      L’anima è il corpo stesso, non ci sono due realtà ma una complemento.

    • Falena-Verde ha detto:

      Una domanda: quando il feto comincia ad avere un’anima?

      • G.T. ha detto:

        Non c’è né per il feto né per le persone formate.

      • Antonio72 ha detto:

        Non lo so. Ma è certo che lo zigote non può averla (l’anima razionale, partecipata dunque dall’intelletto divino).
        Secondo Tommaso dopo 40 giorni il concepimento.

        • G.T. ha detto:

          Concetti non ebraici.

          • Alcor vega ha detto:

            scusa G.T. ma non è così il concetto di anima è presente anche nella Bibbia e non è vero che Gesù non nè parla (almeno sè abbiamo ben chiari i concetti della Bibbia )sè parli di concetti non Ebraici ma guarda che dipende quali di questi concetti ebraici intendi

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Grazie a te, Antonio. Mi hai aiutato nell’articolo sia con la citazione di Cairn-Smith (che ho appreso da te), sia con la tua ingenuità del confronto tra il campo di Higgs ed un oceano d’acqua!

    • Antonio: le conoscenze scientifiche di Tommaso erano ancora primitive. Sea vesse saputo ciò che sappiamo oggi, avrebbe inevitabilmente concluso che lo zigote è umano (e che quindi ha un’anima).

      Per saperne di più vedi http://www.patrickleebioethics.com/AQUINA~4.htm

      Per G.T.: è assolutamente falso che l’ebraismo non avesse un concetto di anima – o meglio spirito – immortale (vedi qui). In ogni caso, il Nuovo Testamento afferma chiaramente l’esistenza di una parte immateriale ed incorruttibile dell’uomo, che gli argomenti aristotelico-tomisti confermano in pieno.

      • Edit: Non ho scritto bene l’HTML. Il secondo riferimento portava a http://www.tektonics.org/qt/sleepy.html

      • Antonio72 ha detto:

        Sostenere che la teologia di Tommaso debba essere ribaltata perchè aveva conoscenze scientifiche primitive è pericoloso in quanto allora si potrebbe ammettere che in futuro qualche scoperta scientifica possa addirittura confutare l’esistenza di Dio o dell’anima immortale.
        Cmq anche con le conoscenze scientifiche attuali (forse ti riferisci al DNA) posso dimostrare che Tommaso ha ragione ugualmente. Sono a disposizione.

        • Leonardo ha detto:

          Ribltata?

          Mi pare una modifica irrilevante.

          • Leonardo ha detto:

            Ah, già, te di Tommaso hai letto solo quella frase.
            Scusa.

          • Antonio72 ha detto:

            Non è per niente irrilevante, anzi è essenziale!
            L’embriologia di Tommaso è cristallina e non ammette l’esistenza dell’anima razionale al concepimento (ad eccezione di Cristo) per la semplice ragione, come ho già spiegato, che la materia deve presentare una “perfecta dispositio corporis” per accoglierla, cosa che evidentemente non si può dire dello zigote. Il principio di individuazione dell’essenza umana è infatti la materia ma non può essere di certo il DNA, il quale può paragonarsi metaforicamente ad una ricetta di una torta e non alla torta e nemmeno ai suoi ingredienti. Inoltre vi è il caso dei gemelli monozigoti a dimostrare che il DNA non conferisce alcuna individualità alla materia.
            Coloro che credono nell’animazione immediata, ovvero nell’infusione dell’anima razionale creata direttamente da Dio, sono costretti ad ammettere che al concepimento e quindi con lo zigote, l’anima razionale debba esplicarsi inizialmente con l’anima vegetativa, poi quella sensitiva ed infine l’anima completa razionale che le comprende tutte.
            Ma è molto più razionale e coerente la tesi di Tommaso il quale afferma che l’infusione dell’anima razionale, creata direttamente da Dio, avviene nell’istante in cui l’essenza umana, intesa esclusivamente come un sinolo di forma e materia, possa costituire già un “animale razionale”. Altrimenti si deve sostenere che la creazione divina mediante l’infusione dell’anima razionale debba essere subordinata al movimento della materia, ovvero che in parole povere Dio non crea direttamente un essere razionale, ma informa con l’anima razionale una materia non segnata in attesa che questa si perfezioni. E questa è evidentemente una farsa della creazione, una commedia grottesca dell’atto divino.
            Inoltre non ha senso definire un “animale razionale” un composto di anima razionale e di materia non segnata, in quanto l’essenza umana è intesa esclusivamente nel sinolo di forma e materia. In ogni caso quindi lo zigote non può dirsi “animale razionale”, ma solo “animale”.

  • Fabrizio Ede ha detto:

    Caro Giorgio,
    il riduzionismo si dovrebbe arrestare di fronte ad una constatazione semplicissima: l’attribuzione di qualcosa come “mio” : i miei pensieri, i miei stati emotivi.
    Come spiegare la mia memoria, l’autocoscienza, questa mia mano senza che esista un soggetto a cui ineriscano – specificamente, formalmente diverso (noumenon)?

    Eppure – schizofrenicamente – a quel mero fascio di fenomeni che si vorrebbe che fossimo si attribuisce una titolarità quando si concede volentieri l’essere centro di imputazione di diritti e doveri …

    ciao

    • Francesco Santoni ha detto:

      Condivido questo intervento, ma bisogna fare anche molta attenzione alle conseguenze che si cavano da questo ragionamento.

      Fabrizio Ede dice esattamente quanto già aveva capito Kant. Kant aveva compreso come l’empirismo humeano fosse incoerente, e come non fosse possibile ridurre tutto a dei meri fasci di percezioni. La conoscenza è possibile se e soltanto se tutte queste percezioni possono essere riferite “a me”, riferite all'”io penso”, che è ciò che dà unità sintetica ai fasci di rappresentazioni, ed è quindi condizione a priori di ogni possibile conoscenza, e per questo definito da Kant anche “appercezione trascendentale”.

      Ma attenzione, perché l’approccio kantiano ha un difetto. L'”io penso” non è l’io di Tizio, né di Caio, né di nessun’altro. L’io trascendentale non è l’io empirico. Dall’unità della coscienza non c’è alcun modo per riconoscere noi stessi e gli altri come sostanze particolari. Gli sviluppi dell’idealismo porteranno a ricondurre tutto il reale entro l’unità sintetica dello Spirito Assoluto. La consistenza ontologica dell’individuo, del particolare, non verrà più riconosciuta. Sul piano della storia e delle società umane, questo si tradurrà nella teorizzazione dello stato etico, premessa ai totalitarimi del XX secolo.

      Marx ed Engels, ribaltando l’idealismo assoluto di Hegel, con il loro materialismo dialettico ateisticamente ricondurranno tutta la realtà alla sola materia e alla dinamica del suo sviluppo interno. La storia dell’uomo non sarà altro che storia dei rapporti tra le forze produttive. Tutto ciò che comunemente siamo abituati a considerare perfetta espressione dell’umanità, l’arte, la filosofia, la religione, non diventerà altro che sovrastruttura.

      Tutto questo, piaccia o non piaccia, trova in Kant, anche se ovviamente non solo in lui, un punto di snodo fondamentale. Ecco perché dobbiamo fare attenzione a Kant, per il quale tra l’altro è difficile non avere grandissima ammirazione. Kant era un genio, nessuno può permettersi di negarlo, ed era anche animato da ottime intenzioni. Purtroppo però egli commise dei gravi errori, e forse è proprio per la genialità con cui trasse tutte le conseguenze che l’esito che oggi abbiamo sotto gli occhi è così desolante.

      Avremmo potuto evitare tutto questo? Io, a costo di sembrare ripetitivo nel mio continuo riferimento a Tommaso d’Aquino, dico di sì. Se non avessimo dimenticato la dottrina tomista dell’intelletto e dell’intenzionalità, soggetto conoscente ed oggetto conosciuto non si sarebbero confusi; anima e corpo, materia e spirito, sarebbero restati opportunamente distinti; l’idealismo non sarebbe neanche nato, non ce ne sarebbe stata ragione; i materialismi sarebbero restati dove Platone ed Aristotele li avevano ricacciati: nell’ambito delle illusioni.

      • Lucio ha detto:

        Non possiedo di certo la tua conoscenza della filosofia ma, per quanto ne so, condivido la tua critica verso il pensiero di Kant.
        Al riguardo trovo molto interessante questo articolo: http://www.disf.org/Voci/1.asp
        Ciao!

        • Francesco Santoni ha detto:

          Lucio, io cerco solo di condividere quel poco che io stesso sono riuscito a capire. Ovviamente la critica a Kant qui sopra non è farina del mio sacco, bensì è il risultato degli studi e delle analisi sulla modernità di pensatori di ben altro rilievo, come Etienne Gilson, Cornelio Fabro, Jacques Maritain e Augusto Del Noce.

          • Lucio ha detto:

            Certo, chi non farebbe riferimento ai filosofi che hai citato?
            Il tuo livello di conoscenza della filosofia, comunque, in particolare di quella di Tommaso D’Aquino, mi sembra notevole.
            Ciao!

      • Fabrizio Ede ha detto:

        Grazie per la tua riflessione.
        Credo però che il problema che metti in luce non sia analiticamente rilevabile nel ragionamento che ho proposto, essendo invece un problema che può afferire i presupposti che possono stare a fondamento del ragionamento stesso.
        Intendo dire che il difetto kantiano , ossia il fenomenismo ereditato dall’impianto del cogito cartesiano – seppur riformulato in termini trascendentali per recuperare quella sana unità di pensiero ed essere che la dottrina dell’intenzionalità affermava già egregiament – non è necessario per affermare quanto sopra
        (CFR Sofia Vanni Rovighi Elementi di Filosofia Vol III, citando il card Mercier, non ricordo la pagg)

        • Francesco Santoni ha detto:

          No certo, sono consapevole che da quanto dicevi non ne conseguano necessariamente tutte le conclusioni tratte da Kant. Penso piuttosto che tu nello scrivere avessi in mente il noto detto tomista “hic homo intelligit”.

          Però hai usato una terminologia che rimanda a idee, diciamo, pericolose, quindi io ho solo messo le mani avanti. Hai parlato di “fasci di percezioni” (Hume) e poi di “noumeno” (Kant), ed infine il tuo ragionamento mi ha fatto tornare alla mente il seguente passo della Critica della ragion pura:

          “Infatti le molteplici rappresentazioni che son date in una certa intuizione, non potrebbero tutte insieme esser mie rappresentazioni se tutte assieme non appartenessero ad una sola autocoscienza; ossia in quanto rappresentazioni mie (benché non sia consapevole di esse come tali), debbono necessariamente esser conformi alla condizione sotto la quale soltanto possono raccogliersi in un’autocoscienza universale; diversamente non mi potrebbero appartenere. Da questa congiunzione originaria è possibile ricavare molte conseguenze”

          Quali conseguenze ne abbia cavato Kant lo sappiamo. Il mio discorso quindi era soprattutto un invito alla prudenza e non tanto una critica diretta al tuo post.

      • Luigi Pavone ha detto:

        L’idea di ricondurre il totalitarismo e lo Stato etico all’Io trascendentale mi sembra una forzatura, anche perché i totalitarismi di stampo marxista poco hanno a che fare con l’Io kantiano e l’idealismo. Ciò che Marx mutua da Hegel è la logica dialettica, ma in un’ottica anti-idealistica, in cui l’io pensante è l’io empirico, particolare: hic homo intelligit vale anche per Marx. Il polpettone cartesio-idealismo-ateismo-totalitarismo etc. è indigeribile.

        • Francesco Santoni ha detto:

          Purtroppo ho sempre la solita sensazione che tu faccia finta di fraintendere e che ti diverta solo a provocare.

          Se io avessi messo tutto insieme, cartesio-idealismo-ateismo-totalitarismo, avrei davvero fatto un polpettone. Ma in realtà non è affatto ciò che ho descritto. Quello che invece ho descritto, seppur in estrema sintesi, è un sviluppo, dove i diversi momenti speculativi si susseguono e non si mescolano l’uno all’altro. Ho detto che Marx era idealista? No, non l’ho detto. Ho detto piuttosto che Marx ribalta l’idealismo in chiave materialistica. E da dove viene l’idealismo? Non nasce esso dal tentativo di superare la scissione kantiana tra fenomeno e noumeno? E Kant? Senza Cartesio e Hume, Kant avrebbe scritto la Critica della ragion pura? Non credo proprio.

          Io non metto affatto tutto insieme come tu mi rimproveri di fare. Io sostengo invece, in base alla lezione di pensatori che valgono molto più di me e te, che Kant sia un momento di snodo fondamentale da cui parte una serie di sviluppi i quali si sono rivelati uno più fallimentare e dannoso dell’altro.

          Non ti piace forse la mia prosa? Ti lascio allora uno paio di passi di Maritain:

          ” L’invasione delle filosofie idealiste in una civiltà è da considerare come un sintomo di invecchiamento. È propriamente la sclerosi dell’intelligenza.
          L’idealismo aggredisce la vita propria dell’intelligenza, la misconosce radicalmente mentre pretende di esaltarla. Nello stesso tempo e proprio per questo lo ritroviamo alla radice di tutti i mali di cui soffre oggi lo spirito.

          Se il pensiero non è in contatto che con sé stesso e con sé solo, se è assurdo concepire, come si dice, un al di fuori per il pensiero, ne segue che la nostra ragione non può attingere le cose stesse, né, a fortiori, gli oggetti sopra-sensibili: ecco il dogma agnostico; ne consegue ugualmente che essa non può riconoscere un ordine di realtà chiamato naturale, distinto da un altro ordine di realtà chiamato soprannaturale, né una verità prima sussistente fuori da questa stessa ragione umana e che dal di fuori le comunichi una vita e delle certezze che non si trovino già in lei: ecco la formula metafisica del naturalismo; ne consegue infine che la nostra ragione esige di godere in ciascuno di noi di una perfetta autonomia e ci impone come primo dovere di « realizzare la nostra personalità » escludendo ogni magistero propriamente detto, e più generalmente ogni rapporto di dipendenza riguardo ad altro, ecco sotto il suo aspetto più radicale il principio dell’assoluta autárkeia dell’individuo. È così che l’idealismo, che potremmo chiamare il sistematico misconoscimento dell’altro in quanto altro, falsa la nozione stessa della conoscenza, la nozione stessa dei rapporti dell’uomo con Dio, la nozione stessa della personalità.”

          ” La rivoluzione kantiana è stata una catastrofe storica per la civiltà occidentale. Ciò che noi constatiamo, al suo punto d’arrivo, è l’abdicazione dello spirito. Rinunciando al luogo suo proprio e alla sua vera patria, l’intelligenza ferita si ripiega sul concreto sentito, come se il fatto singolo, iscritto in un documento, o su un apparecchio registratore, le desse infine quella sicurezza che essa non si aspetta più dalla contemplazione dell’essere. Ahimè, il fatto stesso, allorché l’intelligenza rifiuta di usare la propria luce per coglierlo e giudicarlo, si sottrae e si liquefa davanti a lei, poiché essa insegue allora un bene che è il bene proprio del senso, e che essa non raggiungerà mai, dato che essa stessa non sarà mai sensazione. Consegnandosi alla legge della materia e alla sua deludente infinità, l’intelligenza intraprende una mortale avventura, che non ha a che vedere con la scienza positiva, certo, ma con quella pusillanimità orgogliosa, scientista o storicista, comunque si voglia chiamarla, che propone alla ragione, come suo fine supremo, di procurarsi il sapere dispensandosi dal pensare, di esaurire materialmente il dettaglio sensibile, e di contare, secondo l’espressione di san Tommaso, quot lapilli iaceant in flumine. Questa fascinazione del positivo è stato il male che ha raggiunto un grande numero di intelletti nel secolo di Comte e di Renan.

          Altrove, là dove l’intelligenza non si dimetteva davanti al fatto bruto, era davanti alle potenze appetitive che abdicava: Rousseau, Kant, Fichte, Schopenhauer, con il loro primato del sentimento o della volontà, furono i grandi antenati di quelle dottrine che ai nostri giorni deprimono il pensiero al livello infraumano del pragmatismo, o che lo torcono e lo violentano per fargli cercare il vero ripudiando le leggi dell’intelligenza.

          L’anti-intellettualismo, nel caso in cui conserva qualche vigore metafisico, non conduce soltanto a quella obliqua accettazione dell’assurdo che è la fede nel Divenire puro, ma costringe anche ad affermare pienamente che al cuore delle cose c’è l’irrazionale, il discordante, il male. E con ciò esso procura ancora, a suo modo, il grande affrancamento moderno dello spirito, il grande rifiuto dell’essere. E tuttavia, anche nei pessimisti più affrancati, permane un’ultima servitù. Quale servitù? Chiediamolo a Nietzsche: essi credono ancora alla verità, e per tale riguardo non sono più liberi di quanto lo siano quei « fantasmi di uomini liberi », devoti della pseudo-scienza, di cui Nietzsche vedeva il modello in David Strauss, e che qualificava come Filistei della cultura e rachitici dello spirito. Credere alla verità è l’ultima delle servitù. « Dobbiamo cercare una buona volta », scriveva, « di revocare in dubbio il valore della verità », « a questo riguardo vi è una lacuna in tutte le filosofie»”. – Jacques Maritain – Riflessioni sull’intelligenza e la sua vita propria

          • Luigi Pavone ha detto:

            La tendenza a polpetizzare tutto ciò che non è incluso o in sintonia con la dottrina della chiesa cattolica è una tendenza che attreversa purtroppo anche certa neoscolastica. Questa sì che è sintono di fiacchezza intellettuale.

            • Francesco Santoni ha detto:

              Augusto Del Noce non era certo un neoscolastico, eppure anche la sua analisi dell’ateismo moderno ne riconosce in Cartesio il momento iniziale, per poi proseguire con Kant, l’idealismo fino al marxismo. E di quest’ultimo Del Noce previde che sarebbe decaduto nel radicalismo di massa, cosa poi effettivamente accaduta. Vista la previsione azzeccata, forse questa analisi della storia del pensiero, che tu vorresti liquidare con qualche battuta, meriterebbe una più attenta considerazione da parte tua.

  • Paolo ha detto:

    Bell’articolo professor Masiero, alla faccia dei Boncinelli!
    Se non sbaglio lo stesso Wigner in un articolo aveva scritto che alla luce della fisica quantistica era più probabile una visione solipstica del mondo piuttosto che una materialistica. D’altro canto se la fisica interviene oggi e si lacera in dibattiti sul problema mente-corpo, la filosofia ha affrontato questo problema per millenni (anche se senza i solidi argomenti e prove fornite dalla fisica moderna): lo stesso Cartesio che oggi viene comunemente bistrattato da tutti aveva intenzione non di rifondare la realtà su base razionalistica, come intendono i suoi interpreti moderni, ma di darle un fondamento mistico e -per così dire- religioso, tant’è vero che la certezza del mondo esterno, la res extensa, era giustificata dal filosofo sulla base dell’esistenza e della natura razionale di Dio, che non può ingannare i sensi e l’intelletto dell’uomo. Effettivamente fu un rovesciamento del tomismo (e quindi del realismo) che si innestava però in una visione mistica e non razionalistica del mondo. Di simile segno anche il ragionamento di George Berkeley, che oggi viene immeritatamente dimenticato e sottaciuto anche nei corsi di storia della filosofia moderna: data la sua visione idealistica e diremmo “quantistica” ante-litteram del mondo oggettuale, in cui l’essere è percezione (esse est percipi), è Dio a garantire la corrispondenza definitiva tra oggetto e sensazione, e di conseguenza la ragionevolezza del realismo. La Luna rimane al suo posto anche quando non la osserviamo perchè Dio è osservatore primo e immobile (Aristotele?) che garantisce la realtà e la fondatezza del mondo, così avrebbe forse concluso il vescovo anglicano di fronte alle scoperte della fisica quantistica, che di sicuro confutano il materialismo grottesco dei Boncinelli e delle Hack ma d’altra parte non mettono di per sè al riparo (Wigner ne è testimone) da un possibile revival dell’idealismo.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Grazie, Paolo: il tuo commento è ricco di ulteriori spunti, che meriterebbero altrettanti articoli!

  • Michele Forastiere ha detto:

    Caro Giorgio, scrivi che “per tentare la scalata alla montagna dell’Io […] ci occorrerà una scoperta altrettanto eversiva di quelle del campo elettromagnetico e della relatività, e più probabilmente un cambio del paradigma epistemologico che superi la “vecchia”, a ciò visibilmente impotente, rivoluzione scientifica” .
    Concordo in pieno!

    • Giorgio Masiero ha detto:

      Lo so, caro Michele, a molte delle cose che ho scritte ci siamo arrivati insieme! Quante volte abbiamo discusso della specificità della mente preparando quegli articoli comuni sull’effetto Ramanujan…

  • Antonio72 ha detto:

    Professore, cosa dice dell’interpretazione realista di Popper della fisica quantistica, così realista che non differisce in nulla rispetto alla fisica classica, ovvero secondo Popper l’oggettività scientifica resta inalterata mentre la coscienza umana non gioca alcun ruolo, non più di quanto lo faccia quando si conducano esperimenti classici. In parole povere butta completamente a mare l’intepretazione soggettivista di Copenaghen mentre definisce ragionevole l’obiezione al principio di indeterminazione e alla nota complementarietà di Bohr (aborrita senza reticenze dallo stesso Popper) mossa nella memoria di Einstein-Podolsky-Rosen. Insomma perchè dovremmo ritenere la MQ una teoria completa quando è evidente, almeno secondo ragione, che presenti delle lacune non indifferenti.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      I greci consideravano la vista come il senso perfetto, perché riproduce l’oggetto nella mente di chi osserva senza disturbare in alcun modo l’oggetto e senza variarne minimamente l’essenza. In fondo cosa c’è di più delicato della luce? Questo però non è vero se devo osservare la velocità o la posizione d’un elettrone. Per misurare velocità o posizione dell’elettrone, devo scagliargli contro fotoni di luce e queste sono particelle che “sempre” disturbano l’elettrone, facendogli cambiare sia la velocità che la posizione che aveva prima che lo colpissi, perché hanno energia confrontabile con quella dell’elettrone. Posso, giocando sulla frequenza dell’elettrone, diminuire l’impatto sulla velocità dell’elettrone, ma allora ne risulterà più indeterminata l’esatta posizione o viceversa.
      Quindi, anch’io sono realista. Però se Popper davvero dice quello che gli attribuisci, vuol dire che non ha capito in che cosa consiste l’operazione di misura degli oggetti atomici. Il principio d’indeterminazione di Heisenberg è valido ed insuperabile, non perché non sia valida una concezione realista, ma perché le particelle sono quanti indivisibili, le cui caratteristiche vengono inevitabilmente disturbate nel processo di misura, che è sempre un processo d’interferenza. L’interferenza c’è anche nella meccanica classica, ma si può pensare di ridurre gli errori di misura e il disturbo dell’osservatore fino a farli divenire trascurabili (per es., quando misuro la statura di una persona per fare un vestito). Il principio di Heisenberg sancisce che, a livello di particelle questa riduzione non si può fare sotto un certo limite e che questo limite, proprio per le piccole dimensioni delle particelle, diventa un’importante limitazione a priori alla nostra capacità di conoscere la realtà.
      Quanto alla completezza della MQ, occorre mettersi d’accordo sul significato di completezza. Se con la parola intendi che possa spiegare tutta la realtà, per i motivi spiegati nell’articolo io non credo che la MQ sia completa, perché secondo me la mente le sfugge ed è un a priori negli stessi postulati della MQ (Wigner). Se con la parola intendi che la MQ possa spiegare tutta la realtà “fisica”, penso ancora di no. Per vari motivi: 1) il primo t. di Goedel, che sancisce che ogni teoria assiomatica che contiene l’aritmetica (e la MQ contiene l’aritmetica ,naturalmente!) è incompleta, nel senso che contiene proposizioni vere indeducibili; 2) la MQ è incompatibile con la RG e non abbiamo ancora trovato una teoria che le assorba (teoria del tutto); 3) di ordine filosofico, e per me il più importante, occorre rendersi conto che gli “oggetti fisici”, da Galileo in poi, non coincidono con le “essenze” delle cose reali, ma con le “affezioni quantitative” (per usare il linguaggio di Galileo) delle cose reali, cioè con quelle loro proprietà che sono riducibili a un numero. In questo processo di aritmetizzazione, tutta la fisica, ed in particolare la MQ, associano ad ogni oggetto fisico una n-pla di numeri (posizione x, y, z, velocità, massa, energia, frequenza, ecc.) e cercano equazioni per stabilire come evolvono quelle n-ple col tempo. Ma un n-pla di numeri esaurisce la ricchezza fisica di un ente reale? La storia dimostra come il progresso della fisica procede con l’aritmetizzazione di proprietà che una volta si consideravano qualitative e non aritmetizzabili (per es., il colore), però questo processo non ha mai termine. L’infinita ricchezza del reale, anche del più piccolo ente di natura, produrrebbe – anche se aritmetizzabile – un’infinita stringa di numeri che mai, nemmeno la MQ, può presumere di realizzare.
      Per me, in definitiva, poiché la conoscenza è tomisticamente un adeguamento progressivo del discorso alla realtà sempre perfettibile ma mai concluso, ciò vale anche per la MQ: la sua descrizione degli oggetti fisici è perfettibile ma mai completa.

      • Antonio72 ha detto:

        Forse mi sbaglio professore, ma l’interpretazione di Copenaghen, fondata di fatto sul principio di indeterminazione di Heisenberg come anche tutta l’attuale MQ, afferma qualcosa di più della mera interferenza nella misurazione, ovvero pressapoco che la particella non ha una propria posizione e quantità di moto indipendenti dall’atto della misurazione. La vedo quindi come una sostanziale differenza ontologica (non esiste alcun elettrone con uno stato ben definito, oggettivo, prima della misurazione) più che un margine di errore sperimentale.
        Ed a questo serviva l’esperimento immaginario EPR, proprio a confutare l’interpretazione di Copenaghen incompatibile con l’esistenza di una realtà oggettiva. Inoltre nell’esperimento immaginario EPR, Einstein e gli altri davano per scontata l’esistenza di una realtà locale (e mi dica chi la possa confutare razionalmente) oltre e non ammettere la violazione delle leggi relativistiche.
        In ogni caso credo che Popper volesse confutare la complementarietà sostenuta da Bohr (applicata da lui stesso anche in ambiti extrascientifici) più che l’indeterminazione di Heisenberg, dalla quale tra l’altro è derivata. Se infatti la complementarietà è intesa come afferma Lei, ovvero l’impossibilità di determinare contemporaneamente la posizione e la quantità di moto (o altre coppie di grandezze) senza negarne la realtà fisica, ciò che l’elettrone abbia cmq una sua posizione e quantità di moto oggettive, allora l’esperimento EPR ed il conseguente acceso dibattito tra realisti e fenomenisti non avrebbe avuto ragione d’essere.
        Poco importa, almeno a livello filosofico, che il successivo teorema di Bell abbia confermato l’interpretazione di Bohr e dunque l’impossibilità di una realtà oggettiva locale. Le obiezioni EPR restano tuttora valide e ragionevoli, almeno dal punto di vista filosofico secondo Popper.

        • Leon ha detto:

          “Ovvero pressapoco che la particella non ha una propria posizione e quantità di moto indipendenti dall’atto della misurazione.”

          Si certo se la particella non è già in movimento,prima di misurarla,è irrilevante la misurazione.E necessario che un elettrone si muova in un orbitale,indipendentemente dai metodi di misura.La misurazione è magari relativa alle convinzioni di misura adotata,ma il movimento assolutamente no.

          Te la confuta di brutto x)

          • Leon ha detto:

            Paradosso:Cammino per strada,io non misuro nessun movimento,non uso la matematica,non conto i passi,ne le quantità di tempo con un orologio.Cio non implica che non mi stò muovendo o che sono fermo e in movimento contemporaneamente.Se un’individuo X mi vede anche se le sue misurazioni possono essere approssimative ma che si avicinano alla realtà in maniera incompleta,non implica che non mi stò muovendo ugualmente.Può cambiare la misura dunque nel senso che è difficilmente DETERMINABILE,ma ciò non implicherà mai che sono fermo.

          • Antonio72 ha detto:

            Leon, è ovvio che non hai compreso l’implicazione sulla realtà dell’interpretazione di Copenaghen, oppure la contesti.
            Se la particella non ha una propria posizione e quantità di moto ben definite, significa che prima della misurazione essa non è reale, se assumiamo come definizione di realtà un ente che abbia una posizione ed una quantità di moto ben definita. Non dico che il tuo ragionamento è sbagliato, anzi per me è giusto, ma solo che non corrisponde all’interpretazione di Copenaghen di cui dicevo.

        • Giorgio Masiero ha detto:

          Ti ho già obiettato in passato che l’interpretazione di Copenhagen “non è” la MQ, perché la seconda è un protocollo (di assiomi e regole di misura e controllo) scientifico, mentre la prima è una concezione filosofica riguardante i significati. E questa separazione tra protocollo scientifico e interpretazione filosofica va tenuta presente in ogni teoria della scienza moderna.
          Quindi nessuna teoria scientifica può supportare l’idealismo, né io pretendo che supporti il realismo. Popper, ed anche Einstein, fanno molta confusione filosofica se pensano che il principio di Bohr o di Heisenberg siano in contraddizione col realismo, o se pensano di confutare con un Gedanken Experiment l’idealismo. Le concezioni filosofiche non sono confutabili, a meno che non si contraddicano l-o-g-i-c-a-m-e-n-t-e.

          • Leon ha detto:

            Chi cambia il significato non lo fa mai logicamente,lo fa rettoricamente,utilizando il SOFISMA,a parte che nè Bhor nè haisemberg sono in contraddizione con il realismo,ma con il determinismo,non nel senso di causa- efetto,ma bensi dell’aprossimarsi della “determinazione “della realtà delle cause e degli efetti.Realtà che é,la terra ruota su se stessa,un sofisma è questo:poichè so difficlmente deffinire con esatezza “assoluta” la raltà (dando per implicito che sia solo la misurazzione soggettiva a determinare il moto,cosa che è facilmente confutabile) la scienza non può affermare proposizione V o F.

            Non è assolutamente vero che la terra non si muove.A prescindere dal sistema di misurazione.La scienza dunque fa aderire a cio che stà constatando un’equazione che descrive in termini numerici la realtà materiale,semplicemente da senso all’osservazione.Ovvero posso non misurararla ma constatare ugualmente che si Muove.Non implica che la terra si muova solo nel mio pensiero e nella realtà non si muova.Si muove necessariamente.Il fatto anche come dice Popper che “l’uomo puo creare”,non implica che puo farlo con materia che provenga dal suo pensiero,ma bensì che provviene OGGETTIVAMENTE dalla Natura,che poi il suo pensiero elabora.

            D’altro canto anche in Aristotele vi è differenza tra ENTI NATURALI e ENTI ARTIFICIALI.

            Tuttavia è gli ENTI ARTIFICIALI derivano da quelli naturali non il viceversa.Oppure una casa si è creata dal nulla,il che è impossibile e contradditorio.

            Sa com’è delle volte i filosofi ci provano.x)

          • Antonio72 ha detto:

            Professore, è il solito discorso. Se una teoria scientifica non si riferisce in ultima analisi alla realtà, allora non si capisce l’utilità di qualsiasi teoria scientifica.
            Le faccio una domanda: è vero che la MQ, in particolare dopo che gli esperimenti di Aspect misero in luce “la più rilevante violazione delle disuguaglianza di Bell mai ottenuta” non prevede l’esistenza di una realtà locale?
            Einstein credeva che la MQ fosse una teoria incompleta proprio perchè non voleva modificare la propria filosofia che appunto prevedeva una realtà locale.

            • Giorgio Masiero ha detto:

              Sul primo punto, Antonio, la mia risposta è questa, filosofica. Per un realista come me la scienza è un processo indefinito di adeguamento del discorso alla realtà, che dà conoscenza e “quindi” tecnologia. Per un idealista, la scienza non dà conoscenza ma solo potere all’Io e quindi l’unico criterio della scienza è la tecnologia.
              Sul secondo punto, la mia concezione è opposta ad Einstein: io non penso che la realtà (fisica, specifichiamo) sia locale.

    • Leon ha detto:

      Per la cronaca si riferisce a questo:

      Nella polemica con il determinismo, Popper contrappone all’affermazione “Anche le nuvole sono orologi” (cioè il determinismo domina ovunque) un’altra di segno opposto “Anche gli orologi sono nuvole” (di elettroni).

      K. R. Popper, Società aperta, universo aperto, Borla, Roma, 1984, pagg. 133-137

      Kreuzer: Signor Professore, occupandoci dei fondamentali problemi della realtà e del linguaggio, e cioè dei rapporti del mondo 1 col mondo 3, non dovremmo dimenticare i rapporti del mondo 3 col mondo 1: l’apertura del mondo spirituale si radica, secondo Lei, nella apertura del mondo materiale, del mondo fisico. E qui ci imbattiamo soprattutto con i problemi che furono sollevati da Heisenberg. Problemi della fisica quantistica, della indeterminazione che troviamo nel piú interno dell’atomo, e nella quale si può supporre esistere anche le radici della apertura, della libertà, della indeterminatezza dell’intero universo.

      Popper: Sí, è cosí. Ma la situazione è la seguente: io sono un avversario del determinismo, ma non a motivo delle relazioni di Heisenberg.

      Kreuzer: Su questo argomento dobbiamo essere piú chiari. Il determinismo consiste nella concezione secondo la quale il mondo è predeterminato, prestrutturato e in sé chiuso.

      Popper: Il determinismo è, sostanzialmente, la teoria per la quale tutto ciò che accade nel mondo, si svolge come in un ideale meccanismo ad orologeria. Contrariamente a ciò, io credo che gli sviluppi degli eventi nel mondo non siano predeterminati. I miei argomenti principali sono, in sostanza, le invenzioni umane. Mi pare abbastanza chiaro che nella nebulosa primitiva – bilioni di anni fa – un auto o un aereo o cose del genere non erano già predeterminate o precostituite, ma che esse sono venute nel mondo 1 fisico solo ad opera dello spirito umano.

      Kreuzer: Lei in passato si è espresso su questo argomento con una immagine molto pregnante: si tratta di vedere se tutte le nuvole sono orologi o se tutti gli orologi sono nuvole. L’opposto dell’orologio in tal senso è dunque la nuvola.

      Popper: Proprio cosí. L’opposto dell’orologio è la nuvola, che noi, palesemente, non possiamo predeterminare come l’orologio. Naturalmente questa è solo un’immagine. La prima teoria dice: se noi conoscessimo meglio le nuvole, cosí come conosciamo gli orologi, allora le potremmo determinare completamente. L’altra teoria dice: se noi spingessimo le nostre ricerche sugli orologi sempre piú a fondo, allora scopriremmo che essi sono propriamente nuvole di elettroni o nuvole di particelle elementari, che non sono completamente predeterminate e nelle quali accadono infinite cose che non sono prevedibili; che, dunque, solo la grandezza fisica dell’orologio ci aiuta a considerare un orologio come predeterminabile in una certa misura.

      Kreuzer: Dunque: tutti gli orologi sono nuvole.

      Popper: Sí. Io, al pari di Heisenberg e di altri fisici quantistici, sono dell’idea che tutti gli orologi sono nuvole.

      Kreuzer: E questo è l’indeterminismo.

      Popper: Questo è l’indeterminismo. Che, dunque, accadono cose che non sono completamente predeterminabili, e che queste cose ci lasciano in qualche modo lo spazio per intervenire nel mondo. Se il mondo fosse completamente predeterminato, allora non sarebbe possibile l’apertura nei confronti dello spirito umano. Io assumo, pertanto, che il mondo 1, il mondo della fisica, è aperto nei confronti del mondo 2, influenzabile dal mondo 2, e che a sua volta, il mondo 2 sia di nuovo aperto nei confronti del mondo 3, il quale naturalmente, a sua volta, è aperto nei confronti del mondo 2 e, attraverso questo, anche nei confronti del mondo 1. E le cose non finiscono qui. Debbo spiegare in qual maniera una siffatta presa di posizione diverga da quella dei fisici quantistici, specialmente di Heisenberg e di Bohr. Penso di essere d’accordo con loro quando affermo che tutti gli orologi sono nuvole, e quando sostengo che il mondo 1, quello fisico, può venir influenzato ad opera della nostra volontà in connessione con il nostro sapere congetturale cosí come accade nella pianificazione della costruzione di uno strumento di misura o in una misurazione. Ma nego che il mondo 1 possa venir influenzato ad opera della semplice presa di conoscenza di un risultato di una misurazione (come pretendono i seguaci di Heisenberg). E nego che la meccanica quantistica possa dire anche la pur minima cosa sulla conoscenza umana soggettiva, e cioè sul mondo 2. Quel che io (contrariamente ad Heisenberg) affermo è che: essa parla unicamente del mondo 1. E penso che il cosmo, nella sua totalità, sia influenzabile dalla nostra attività meno di quanto lo è il nostro corpo ad opera del solletico di una piuma. Anche se per mezzo del nostro grande sapere congetturale e della nostra ancor piú grande ignoranza – ci riuscisse un giorno di trasformare il nostro sole in una supernova, ebbene anche in questo caso ci sarebbe un cosmo largamente indipendente da noi. Il sottolineare questo punto è una parte importante di ciò che io chiamo realismo. L’indipendenza del cosmo da noi in Heisenberg viene perduta.

      Kreuzer: Questo punto – e io lo vedo come il punto piú importante della Sua Autobiografia – costituí una parte essenziale del grande colloquio che Lei ebbe con Albert Einstein.

      Popper: Sí. A mio avviso Einstein, almeno fino a questo colloquio, confondeva in certa misura il suo realismo e il suo determinismo e non li teneva abbastanza chiaramente separati. Quando incontrai Einstein, io cercai di convincerlo che il suo realismo e il relativo rifiuto della interpretazione di Copenhagen della teoria quantistica…

      Kreuzer: Il realismo, che lo univa a lei.

      Popper: Sí, che il suo realismo era giusto, ma che il suo determinismo è però un’altra cosa. In primo luogo, questo non e cosí importante come il realismo e in secondo luogo è possibilmente falso. E io penso che è falso, e cercai di addurre, parlando ad Einstein, le prove di questa falsità; ma, soprattutto anche del fatto che il determinismo non è poi tanto importante. La mia convinzione che il determinismo è falso, è in parte naturalmente legata con la mia persuasione che l’uomo può agire creativamente, che può immettere nel mondo qualcosa che prima non c’era: e tutto ciò, a mio avviso, non è compatibile col determinismo. Questa era la ragione principale.

      K. R. Popper, Logica della ricerca e società aperta, Antologia a cura di D. Antiseri, La Scuola, Brescia, 1989, pagg. 202-205

      Si obbiezione congruente.Realismo V Determinismo F.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      “Posso, giocando sulla frequenza del FOTONE, ecc., ecc.” va letto all’inizio della sesta riga. Scusa, Antonio.

  • Fabrizio ha detto:

    a questo proposito sono interesanti le argomentazioni del fisico nucleare indiano Amit Goswami. Vi consiglio il libro + DVD “The Quantum Activist” perchè svela scientificamente nuove visioni. Lui stesso dice “se non vi piace chiamarlo Dio, chiamatelo coscenza cosmica”…

    RECENSIONE: “Ci è stato insegnato fin da piccoli che tutto ciò che ci circonda è materia.
    Oggi mentre la scienza tradizionale rimane materialista, un considerevole numero di scienziati sta supportando e sviluppando nuovi paradigmi.
    The Quantum Activist racconta con humour e profonda intelligenza la rivoluzionaria prospettiva del fisico nucleare indiano Amit Goswami che, con un’ampiezza di pensiero paragonabile a quella di Einstein, spiega in questo viaggio di scoperta delle leggi che regolano l’universo e la vita, le possibilità di un nuovo inaspettato incontro tra Scienza e Spiritualità.
    Un invito, per l’umanità, a ripensare le proprie nozioni di esistenza e realtà.”