La matematica e la fede religiosa: un rapporto lungo trenta secoli (II° parte)


 

di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista

 
 

L’idea che un personaggio televisivo come Piergiorgio Odifreddi (un ex seminarista convertito al comunismo e all’ateismo militante, senza alcun vero merito scientifico) può far passare, è che tra matematica e religione ci sia una perfetta incomunicabilità. Di qua i numeri, da un’altra parte Dio. La storia della matematica è però lì a dirci il contrario, qui si può leggere la prima parte di questo percorso.

Sulla stessa scia di Keplero e degli altri grandi pensatori citati nella prima parte, si colloca a ben vedere tutto il pensiero matematico e in generale scientifico, per secoli e secoli, a partire dalle origini. Sempre la matematica è vista come una scoperta dell’uomo, non come una sua invenzione. Si ritiene cioè che il linguaggio matematico sia efficace, funzioni, non per caso, ma perché coglie l’oggettività di un ordine, l’esistenza di leggi universali: ordine e leggi universali che richiedono un Legislatore supremo. Un Dio “dell’ordine e non della confusione” (“God of order and not of confusion”), come ebbe a dire un altro dei più grandi matematici della storia, Isaac Newton.

Ha scritto il fisico contemporaneo Paul Davies: “Come avviene che le leggi dell’universo siano tali da favorire l’emergenza di menti a loro volta capaci di riflettere e modellare accuratamente queste stesse leggi matematiche? Come è successo che il cervello dell’uomo, che è il sistema fisico più complesso e sviluppato che conosciamo, abbia prodotto tra le sue funzioni più avanzate qualcosa come la matematica, capace di spiegare con tanto successo i sistemi più basilari della realtà fìsica? Perché la mente, che si colloca al culmine dello sviluppo, si ripiega su se stessa e si collega con il livello base dell’esistenza, cioè con l’ordine retto da leggi su cui l’universo è costruito? A mio avviso questo strano “loop” suggerisce che la mente è qualcosa che è legata ai più fondamentali aspetti della realtà fisica, sicché se vi è un significato o un fine all’esistenza fisica, allora noi, esseri coscienti, siamo di sicuro una parte profonda ed essenziale di questo fine”[6].

Eric T. Bell, autore del celebre volume “I grandi matematici”, inizia la sua narrazione partendo dai filosofi greci, per passare quasi subito a Cartesio (1596-1650) e Pascal (1623-1662). Bell ricorda, di entrambi, la fede esplicita in un Dio Creatore, e il rapporto privilegiato con il celebre matematico padre Mersenne, intorno al quale nasceva in quegli anni l’Accademia Francese di Scienze. Si potrebbero anche ricordare la dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio di Cartesio, convinto che “le verità matematiche che voi chiamate eterne sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente”, e la visione profondamente religiosa del matematico Pascal, inventore, tra le altre cose, della prima “calcolatrice”, la “pascalina”. Costui, perfettamente in linea con la teologia medievale, sosteneva da un lato che “la natura ha perfezioni per mostrare che è l’immagine di Dio, e difetti per mostrare che ne è solamente l’immagine” (Pensieri, 580), dall’altro specificava così la sua visione del rapporto tra scienza e fede: “Il Dio dei Cristiani non è un Dio solamente autore delle verità geometriche e dell’ordine degli elementi, come la pensavano i pagani e gli Epicurei. […] il Dio dei Cristiani è un Dio di amore e di consolazione, è un Dio che riempie l’anima e il cuore di cui Egli s’è impossessato, è un Dio che fa internamente sentire a ognuno la propria miseria e la Sua misericordia infinita, che si unisce con l’intimo della loro anima, che la inonda di umiltà, di gioia, di confidenza, di amore, che li rende incapaci d’avere altro fine che Lui stesso” (Pensieri, 556).

Dopo Cartesio e Pascal, nella lista dei grandi matematici della storia, Bell pone il già citato Newton, e, dopo di lui, Leibniz (1646-1717): siamo sempre di fronte ad un filosofo, metafisico, giurista, fisico e matematico, che oltre a perfezionare il calcolatore già inventato da Pascal e ad offrire un importante contributo al calcolo infinitesimale, era fermamente convinto, sino a dimostrarla a priori, dell’esistenza di Dio, visto come “soggetto di tutte le perfezioni, cioè l’essere perfettissimo”. Dopo Leibniz, che già a ventun anni aveva scritto un trattatello intitolato “Testimonianza della natura contro gli atei”, Bell ricorda il grande Leonardo Eulero (1707-1783), definito “il matematico più prolifico della storia”: siamo nell’età della nascente miscredenza, degli atei materialisti francesi, alla d’Holbach e alla Diderot. Eulero, invece, è un fervente protestante che ogni sera raduna la famiglia per leggere insieme brani della Bibbia. Leggiamo un aneddoto curioso su di lui: “Invitato dalla grande Caterina a visitare la sua corte, Diderot consacrava i suoi ozi a convertire i cortigiani all’ateismo; avvertita, l’imperatrice incaricò Eulero di mettere la museruola al frivolo filosofo. Era una missione facile, perché parlare di matematica a Diderot, era come parlargli cinese…Diderot fu avvertito che un matematico d’ingegno possedeva una dimostrazione algebrica dell’esistenza di Dio e che l’avrebbe esposta davanti a tutta la corte, se avesse desiderato ascoltarla; Diderot accettò con piacere…Eulero si avanzò verso Diderot e gli disse gravemente e con un tono di perfetta convinzione: ‘Signore, a+b alla n, fratto n, uguale a x: dunque Dio esiste: rispondete‘. Questo discorso aveva l’aria di essere sensato agli orecchi di Diderot. Umiliato dalle pazze risate che accolsero il suo silenzio imbarazzato, il povero filosofo domandò a Caterina il permesso di tornare in Francia…”. Sappiamo che Eulero si era limitato a fare un po’ di commedia, in quell’occasione, ma anche che in seguito provò a fornire “due solenni dimostrazioni dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima”[7]. Non interessa qui sapere quanto quelle dimostrazioni siano veramente efficaci, quanto notare che anche Eulero non trasse dai suoi studi matematici motivi per la miscredenza, al contrario!

Anche il grande matematico italiano Paolo Ruffini, cattolico fervente, scriveva pochi anni dopo Eulero, nel 1806, una dimostrazione matematica dell’esistenza dell’anima, mentre il matematico napoletano Vincenzo Flauti cercò di dimostrare Dio per via matematica nella sua “Teoria dei miracoli”. Imitato in questo tentativo ardito da George Boole (1818-1864), pioniere della logica matematica, nel suo “Leggi del pensiero” e da uno dei più grandi geni della matematica e della logica di tutti i tempi, Kurt Gödel (1906-1978), il quale tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del Novecento, intento com’era “ricondurre il mondo ad unità razionale”, scrisse pagine fitte di formule tese a dimostrare l’esistenza di un Dio non solo come Ente Razionale ma con gli attributi del Dio cristiano[8]. Gödel era filosoficamente un realista, credeva cioè nella matematica come scoperta (“le leggi della natura sono a priori”, non una “creazione umana”); criticava fortemente lo “spirito dei tempi” suoi, improntato al materialismo ed al meccanicismo; da battista luterano qual’era, e da matematico, professava la fede in un Dio trascendente, “nel solco di Leibnitz più che di Spinoza”; sosteneva l’irriducibilità della mente al cervello, dei processi psichici a spiegazioni solamente meccaniche, e affermava che “il cervello è un calcolatore connesso a uno spirito” individuale ed immortale; riteneva “confutabile” l’idea che il cervello umano “sia venuto nel modo darwiniano”, per cause puramente meccaniche e casuali e rifletteva sul fatto che il mondo, dal momento che “ha avuto un inizio e molto probabilmente avrà una fine nel nulla”, non si giustifica da se stesso[9].

Si potrebbe continuare a lungo, nella lista dei grandi matematici credenti, citando Carl Friedrich Gauss (1777-1855) considerato da molti “il principe dei matematici”, che fu un uomo dalla natura profondamente religiosa, abituato a leggere il Nuovo Testamento in lingua greca, convinto che “il mondo sarebbe un non senso, l’intera creazione una assurdità, senza immortalità” dell’anima e senza Dio[10]; il cecoslovacco Bernad Bolzano (1781-1848), sacerdote cattolico, che diede importanti contributi alla matematica, anticipando alcune idee di Cantor; il norvegese Niels Henrik Abel (1802-1829), figlio e nipote di ecclesiastici protestanti; il tedesco Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897), un matematico tedesco, spesso chiamato “padre dell’analisi moderna”, di cui portano il nome teoremi, teorie e oggetti matematici, figlio di un protestante convertito al cattolicesimo e cattolico anch’egli (tanto da insegnare in varie scuole cattoliche)[11]; il tedesco Bernhard Riemann (1826-1866), considerato uno dei massimi matematici di sempre, anch’egli figlio di un pastore protestante, che fu sempre spirito “religiosissimo” e devoto[12]. Oppure potremmo citare il grande Georg Cantor (1845-1918), figlio di padre luterano e di madre cattolica, grande appassionato di filosofia e teologia medievale, così simpatizzante per la Chiesa cattolica da desiderare il consenso alla autorità cattolica romana riguardo alle sue speculazioni sui numeri infiniti (speculazioni che confinavano, diciamo così, con la metafisica e la teologia).

Da: Francesco Agnoli, Scienziati dunque credenti, Cantagalli, Siena, 2012

 

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Note
[6]. Citato in Bersanelli-Gargantini, “Solo lo stupore conosce”, Rizzoli 2003
[7]. E. Bell, “I grandi matematici”, Sansoni, Firenze, 1966, p.147-148.
[8]. R. G. Timossi, “Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel. Storia critica degli argomenti ontologici”, Marietti 1820, Genova Milano, 2005.
[9]. Gabriele Lolli, “Sotto il segno di Gödel”, Il Mulino, Bologna, 2007, in particolare cap. VIII. Lolli ricorda anche quattro lettere scritte da Gödel alla madre, nel 1961, per esprimere “le sue ragioni per credere in un’altra vita”, mentre ad un amico malato, Gödel scriveva: “L’affermazione che il nostro ego consiste di molecole di proteine mi sembra una delle più ridicole mai sentite…”.
[10]. G. Waldo Dunnington, “Carl Friedrich Gauss: Titan of Science”, The Mathematical Association of America, 2004, pp. 298-311. Dunnington riporta questa frase di Gauss: “Ci sono domande le cui risposte io porrei ad un valore infinitamente più alto che quello della matematica, per esempio quelle riguardanti l’etica, o il nostro rapporto con Dio, il nostro destino ed il nostro futuro; ma la loro soluzione resta irraggiungibile sopra di noi, fuori dall’area di competenza della scienza”. Inoltre nota il biografo che il grande matematico amava moltissimo il seguente passo di James Thomson: “Padre di luce e vita! Dio Supremo!/Il Bene insegnami, insegnami Te!/Salvami da follia, vanità e vizi,/da ogni ricerca vana; nutri l’anima/di sapienza, di pace e di virtù -Sacra, carnale, eterna beatitudine!”.
[11]. Félix Klein, Róbert Hermann, “Development of mathematics in the 19th century”, Math Sci Press, 1979, p.260.
[12]. John Derbyshire, “Prime obsession: Bernhard Riemann and the greatest unsolved problem on mathematics”, J. Nenry Press, 2003: viene riportata anche la lapide posta sulla sua tomba, in cui si legge “Qui riposa in Dio Bernhard Riemann…”, e in conclusione una frase di san Paolo: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”.

36 commenti a La matematica e la fede religiosa: un rapporto lungo trenta secoli (II° parte)

  • Alcor vega ha detto:

    Fantastico!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

  • Mum ha detto:

    Chi vuole vedere Dio lo trova dove vuole e la matematica non è esente da questa regola. E’ significante però vedere come tra gli scienziati a più alto livello sono sicuramente in maggioranza coloro che si dichiarano agnostici o atei, contrariamente a quanto succede nel resto della società. Una riflessione in merito sarebbe quindi doverosa, anche perchè sembrerebbe dimostrata una correlazione tra l’uso di un metodo analitico e la riduzione della fede.

    http://www.scribd.com/doc/2430168/Leading-scientists-still-reject-God
    http://news.sciencemag.org/sciencenow/2012/04/to-keep-the-faith-dont-get-analytical.html

    • Pino ha detto:

      questa è divertentissima “sembrerebbe dimostrata una correlazione tra l’uso di un metodo analitico e la riduzione della fede” dimostrata da chi? Da Odifreddi? Certo che se dovessimo misurare la razionalità degli agnostici e degli atei da affermazioni irrazionali come la sua siamo a posto.

      • Max ha detto:

        E’ anche vero che chi non vuole vedere Dio non lo vede… 😉

        Al di la’ di questo, comunque, il rapporto tra scienziati e Fede e’ sempre cambiato nei secoli. Nel ‘600 la maggior parte degli scienziati era genuinamente credente, nel ‘700 la maggior parte no, nell’800 i credenti erano di piu’, nel ‘900 si e’ tornati in parte alla situazione di 200 anni prima. Eppure, ancora oggi, trovi credenti anche tra coloro che ricevono i premi Nobel o la medaglia Fields, per tornare a parlare di Matematica. E’ anche possibile che nel XXI secolo ci sara’ un’altra oscillazione dato che, come evidenziato da ricerche statistiche alcune delle quali riportate anche su questo sito, le nuove generazioni di scienziati sono in media piu’ religiose dei loro professori con i capelli bianchi. Un gran numero di essi, inoltre, non vede conflitti tra Fede e Scienza.

    • Leon ha detto:

      No, ancora,ma sei proprio un frate predicatore ateo.x)

      Pensa taluni si inventano anche che la chiesa non faccia entrare nel suo “mistico archivio segreto.”Si inventa il gene della religiosità ecc ecc
      Vero?Nè sai qualcosa?

      Overo non è che non vogliono vederlo, dimostrano che esiste, infatti non si spiegherebbe perchè altrimenti dovrebbero inventarsi le più svariate cavolate per dire che non esiste.

      Perchè passare tutta la vita a lottare contro qualcosa che non esiste?

      O non si è granchè furbi oppure esiste.

      Le statistiche alle Odifreddi contano poco,le disserzione di uno dei migliori logici della storia sono più che rilevanti,assieme a Frege e Aristotele.

      “Come volevasi dimostrare,Dio è necessario” (Goedel)

    • Leonardo ha detto:

      In effetti i due o al massimo tre bamboccioni citati nei due articoli sono bigotti pecoroni plagiati.

      Gente di poco conto, che non ha lasciato alcuna traccia nel mondo della scienza, mica scienziati affermati come la Hack o Piergi.

      Scusaci.
      Hai ragione te.

      • Leon ha detto:

        Cosa mai farebbe l’ateismo senza Dio?

        Sarebbero disocupati non meno dei teisti, questa regola tocca non scordarla X).

    • domenico ha detto:

      chi ha voglia può leggere questa critica al lavoro di Larson e Witham che conclude:

      “What one might conclude from the 1998 Larson and Witham study of NAS scientists is that belief in Leuba’s definition of a personal God has decreased over time among scientists. The main problem, however, is that Leuba’s questions are not well designed for investigating the religious views of scientists (or anyone else).
      The Gallup questions, which deal with views of God’s role in evolution, rather than general belief or disbelief in God, are far less ambiguous. When these questions were used (Larson and Witham 1997), the answers showed that a large proportion (40%) of prominent scientists believe in a God that is sufficiently personal or interactive with humankind that human evolution is guided or planned.
      The title of the recent Larson and Witham article in Nature, “Leading scientists still reject God” is premature without reliable data upon which to base it. ”
      http://ncse.com/rncse/18/2/do-scientists-really-reject-god

      • domenico ha detto:

        qui un articolo del NYT che spiega meglio il significato dello studio del 1997 ricordando anche che lo psicologo Leuba era un ‘devout atheist’ che guarda caso aveva previsto la diminuzione nella fede in dio negli scienziati; previsione smentita dal più recente studio:
        ” Repeating verbatim a famous survey first conducted in 1916, Edward J. Larson of the University of Georgia has found that the depth of religious faith among scientists has not budged regardless of whatever scientific and technical advances this century has wrought.”

        ma non solo:
        “… those familiar with the survey said that, given the questionnaire’s exceedingly restrictive definition of God — narrower than the standard Gallup question — and given scientists’ training to say exactly what they mean and nothing more, the 40 percent figure in fact is impressively high.”

        http://www.nytimes.com/1997/04/03/us/survey-of-scientists-finds-a-stability-of-faith-in-god.html?pagewanted=all&src=pm

    • Daphnos ha detto:

      Ma grandissimi questi!! Prima ti riempiono la testa con lo slogan della “libertà di pensiero”, loro sono atei “liberi pensatori”, poi dicono che siccome un gruppo di scienziati è ateo allora tutti dobbiamo pensarla come loro.

      Per concludere ci mancava anche quest’altro Harry Stoltile, che invoca il principio d’autorità contro i credenti. Ma in fondo, lui la cultura la possiede sul serio: per dire che esitono e sono esistiti matematici credenti bisogna avere una laurea in storia della matematica?

  • Harry Stoltile ha detto:

    e’ sempre molto divertente leggere tante scempiaggini in una sola pagina. Agnoli,spiegaci i tuoi meriti scientifici o con quali credenziali ti metti a giudicare quelli degli altri. “giornalista e scrittore “…ma anche professore di religione…o sbaglio ? ti vergogni di inserire questa esperienza nella tua biografia,visto che sei cosi informato su quella degli altri?
    quale e’ la tesi di questo articolo eh? cosa vorresti dire? Sentiamo dove vuoi andare a parare,sig. “giornalista e scrittore”.
    E vergognati se ancora ci riesci. A chi la cultura la possiede sul serio tu e i tuoi simili danno disgusto.

    • Francesco ha detto:

      Caro Harry, anzitutto non sono professore di religione e se lo fossi non me ne vergognerei..in s econdo luogo non capisco il tuo astio, e soprattutto non capisco perchè nascondi la tua incapacità di una replica intelligente con l’odio. Ho scritto alcune cose, non confutabili, molto chiare. Dimmi dove sbaglio, se non è vero… il resto, gli insulti, servono a poco… ciao

  • Licurgo ha detto:

    Una domanda per gli amici esperti in matematica.
    Avevo già letto di una sorta di prova ontologica di Godel svolta in modo matematico e ora leggo di altre argomentazioni matematiche per l’esistenza di Dio e dell’anima.
    Ora, per quel che ho sempre pensato, la matematica è la ‘lingua’ dell’universo e il fondamento del sensibile, ma, appunto, non riesco a capire come si possa dimostrare l’esistenza di enti spirituali attraverso la matematica stessa, mentre l’ho chiaro per la via filosofica, dove la ragione logico-deduttiva, partendo dal sensibile, riesce ad arrivare a concetti metafisici necessari per spiegare il sensibile stesso.
    Ovviamente, e credo lo si capisca, sono un ignorante in matematica e dunque non pretendo certo spiegazioni specialistiche approfondite che non avrei gli strumenti per capire.
    Chiedo solo, al prof. Masiero, se può e/o comunque ad altre persone competenti, se secondo loro siano valide le prove di tipo matematico su Dio e sull’anima finora sviluppate o se comunque, in linea del tutto teorica, sia possibile una dimostrazione matematica e su che base logica ciò sia pensabile.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      C’è chi pensa, Licurgo, che la matematica sia soltanto un insieme di sistemi formali in cui, a partire da certi assiomi assunti come veri, si deducono per via logica le conseguenze (teoremi). Se così fosse, nulla la matematica potrebbe stabilire di assolutamente vero, perché la verità dei teoremi dipenderebbe da quella (convenzionale) degli assiomi. Per es., la geometria euclidea (fondata sul postulato dell’unicità della parallela) sarebbe tanto “vera” quanto le geometrie non euclidee (che si fondano su postulati alternativi). Ma questo programma russelliano-hilbertiano – di riduzione della matematica alla logica e della formalizzazione delle sue branche – è stato dimostrato impossibile nel 1931 da Gödel, il quale con i suoi due famosi teoremi dimostrò 1) che ogni sistema formale che comprenda l’aritmetica è incompleto (cioè, se coerente, contiene verità indimostrabili) e 2) che la coerenza degli assiomi di un sistema formale non è mai dimostrabile dal suo interno.
      Ne consegue che ci sono problemi irrisolvibili per via algoritmica, e che tuttavia gli umani possono risolvere; che la ragione umana e la logica razionale non si riducono alla logica formale; che la logica formale non ingloba tutta la comprensione degli umani. C’è un nucleo nella matematica, costituito dall’aritmetica (attenzione: l’aritmetica con l’articolo determinativo, quindi unica), che è distinto dalla logica e sulla cui coerenza si fonda la coerenza di tutte le teorie matematiche.
      Noi non possiamo dimostrare la coerenza dell’aritmetica, sulla quale al contrario si fonda la coerenza di tutto il resto della matematica. A questo punto abbiamo due strade: o dubitare della coerenza dell’aritmetica e rinunciare a ragionare del tutto (compreso rinunciare a fare scienza); o credere alla coerenza dell’aritmetica, che è la scelta che tutti, più o meno coscientemente, facciamo. Ma credere alla coerenza dell’aritmetica senza poterla dimostrare significa, per Gödel, come per Tommaso d’Aquino, assegnare alla verità matematica un significato non solo logico, ma anche ontologico, perché solo ciò che è, per il fatto di essere è coerente. Dice testualmente Gödel: “Le proposizioni matematiche sono valide in senso assoluto, senza alcuna ipotesi ulteriore. Proposizioni siffatte devono esistere, perché altrimenti non esisterebbero nemmeno i teoremi ipotetici” [per es., delle geometrie euclidee].
      Di qui, con la formalizzazione di un argomentare che sostanzialmente ricalca la prova ontologica di Sant’Anselmo, Gödel crede di dimostrare l’esistenza di Dio. Ciò che, secondo me, dimostra è però soltanto che la ragione umana non può prescindere dalla fede nella logica e nell’aritmetica. E solo, a mio parere, aggiungendo il postulato della fede nella ragione umana (nella sua capacità di farci attingere al reale) se ne può “dedurre” la pre-esistenza all’uomo e all’Universo di un Logos.

      • Licurgo ha detto:

        Grazie professore.
        Sostanzialmente mi pare che abbiamo davanti un ragionamento filosofico, che parte dalla matematica e che usa il suo linguaggio. Ma, detta come me l’ha detta lei, mi pare esserci molta (buona ) filosofia.

      • Giorgio Masiero ha detto:

        Nella parentesi quadra, correggi: [delle geometrie NON euclidee].

        • Matyt ha detto:

          Non capisco il filo del ragionamento del suo discorso, Masiero…

          “Noi non possiamo dimostrare la coerenza dell’aritmetica, sulla quale al contrario si fonda la coerenza di tutto il resto della matematica.”

          Vero.

          “A questo punto abbiamo due strade: o dubitare della coerenza dell’aritmetica e rinunciare a ragionare del tutto (compreso rinunciare a fare scienza); o credere alla coerenza dell’aritmetica, che è la scelta che tutti, più o meno coscientemente, facciamo.”

          Vero anche questo. Resta però molto importante rendersi conto che la coerenza dell’aritmetica è indimostrabile, e quindi, a rigor logico, va postulata.

          “Ma credere alla coerenza dell’aritmetica senza poterla dimostrare significa, per Gödel, come per Tommaso d’Aquino, assegnare alla verità matematica un significato non solo logico, ma anche ontologico, perché solo ciò che è, per il fatto di essere è coerente.”

          Questo periodo invece mi rende un po’ perplesso:
          Tutti i nostri ragionamenti partono dal presupposto che l’Aritmetica sia coerente; Non possiamo dimostrarlo, quindi (in modo implicito od esplicito) lo postuliamo ogni volta che compiamo un ragionamento in termini logici.
          Praticamente, per dirla alla kantiana, facciamo un uso regolativo di un concetto fondamentalmente metafisico (la coerenza dell’Aritmetica).
          Tuttavia, come spiega Kant, proprio non possiamo pensare di esprimerci sul contenuto ontologico dell’Aritmetica: è “oltre il velo”.

          Tutto questo discorso mi fa venire in mente (chissà se qualcuno dei lettori ha idea di cosa stia parlando… :D) l’equazione della trave incastrata:
          Tutto si basa sul fatto che io postuli che la trave abbia deformazioni molto piccole: se così non fosse, non potrei svolgere in modo analitico il problema.

          • Piero ha detto:

            chissà se qualcuno dei lettori ha idea di cosa stia parlando

            Molti di piu’ di quanto tu pensi…

            • Matyt ha detto:

              Non volevo fare sarcasmo, era solo una presa di consapevolezza della specificitá della roba che ho studiato…. pensavo la faccina fosse sufficiente a mostrare il contenuto ironico dell’inciso: se così non fosse me ne scuso.

          • Leon ha detto:

            “Di conseguenza, ogni dimostrazione concernente la validità di un sistema formale deve essere fatta ricorrendo a un diverso sistema formale più Più “potente” e complesso di quello di partenza, cioè a un metalinguaggio di “grado” superiore. Dovendo fondare una teoria, dunque, è sempre necessaria una metateoria che a sua volta non può essere convalidata se non da una meta-metateoria, e così via.”

            To un regresso ab infinitum.Chissà chi lo blocca.

            Qual’è la metateoria che fonda l’aritmetica,mi sa che andate dritti alla filosofia,come d’altronde ha fatto Goedel.

            • Leon ha detto:

              A parte che oltre il velo non significa niente,infatti cosa vuol dire oltre il velo?

              Che è inconoscibile,si ma questa è una affermazione perentoria:

              “Oltre il velo”

              Perchè sarebbe oltre il velo?

              Visto che un numero ha una radice materiale “EMPIRICA” e INTELLIGIBILE “INTELLETO”.

              • Leon ha detto:

                E poi non possiamo spiegarlo perchè ?perchè infrangiamo un dogma perentorio:

                E necessaria la metafisica.

                E adesso come la mettiamo con tutti quelli che sono contro la matefasica?

          • Pino ha detto:

            “Tuttavia, come spiega Kant, proprio non possiamo pensare di esprimerci sul contenuto ontologico dell’Aritmetica: è “oltre il velo”.” e allora? anche Kant diceva ca**ate, perchè lo dovremmo prendere come verità assoluta?

          • Giorgio Masiero ha detto:

            Vediamo se riesco a spiegarmi meglio, e a spiegare meglio il pensiero di Goedel.
            Lei, Matyt, scrive: “Tutti i nostri ragionamenti partono dal presupposto che l’Aritmetica sia coerente; non possiamo dimostrarlo, quindi (in modo implicito od esplicito) lo postuliamo ogni volta che compiamo un ragionamento in termini logici”. No: non è che noi postuliamo la coerenza dell’aritmetica solo quando ragioniamo, perché noi abbiamo bisogno dell’aritmetica per vivere, semplicemente. Senza 1+1=2, 4>3, 0, ecc. noi non possiamo fare un passo. Ci pensi un po’ e mi dica, Matyt, che cosa può fare se non distingue il Sé dal resto del mondo, perché non ha il concetto di 1 e di 2. Quindi la certezza dell’aritmetica coincide con la certezza della realtà. A questo punto l’indimostrabilità della coerenza dell’aritmetica non è una sua debolezza, ma al contrario la sua forza. Dimostrare vuol dire dedurre da altro: se la coerenza dell’aritmetica fosse dimostrabile, vorrebbe dire che si poggia su qualcosa di più sicuro. Quindi l’aritmetica dipenderebbe da questa cosa più sicura. Invece la coerenza dell’aritmetica è indimostrabile e su di essa si poggia la coerenza del resto, della stessa vita. Amen (= roccia) direbbero gli Ebrei. Che cosa si può immaginare di più certo? Per questo l’Aritmetica viene prima dell’uomo ed esiste per sé.
            Dire poi, come fa Goedel, che coincide con una parte dei pensieri di Dio è un passo in più, che secondo me presuppone anche la fede nella ragione umana e nella realtà esterna. Ma forse questo per Goedel era sottinteso.

            • Pino ha detto:

              Professore le riesce a spiegarsi benissimo, il problema è se certi forumisti riescono a capire.

            • Matyt ha detto:

              Ok, ora il discorso mi sembra più chiaro…
              L’assunzione che mi convince poco, però, è questa: “Ci pensi un po’ e mi dica, Matyt, che cosa può fare se non distingue il Sé dal resto del mondo, perché non ha il concetto di 1 e di 2.”

              Il problema, da questo punto di vista, è il fatto che ci è impossibile fare esperienza della realtà in modo scollegato dall’aritmetica.
              Ma il fatto che A NOI non sia possibile farlo, non significa non possa essere fatto in modo assoluto (altrimenti, peccheremmo di antropocentrismo)
              Quindi, effettivamente, la domanda “come fa a distinguere il sé dal resto del mondo” suona un po’ come “come fa a distinguere l’essere dal non essere”: non potendo fare esperienza del non-essere (e quindi, non potendo immaginare una condizione in cui l’essere non sia), non posso creare un esperimento (anche mentale) decisivo, e quindi, Popperianamente, non lo so.
              O meglio, posso acquisirlo in modo intuitivo, ma dovrei usarlo unicamente come guida per l’osservazione.

              Ho comunque fatto un pochino di giri su internet, per schiarirmi un attimo le idee: ho trovato questo libro, che cercherò su Amazon e leggerò il prima possibile.
              http://en.wikipedia.org/wiki/Where_Mathematics_Comes_From

            • Leon ha detto:

              “Per questo l’Aritmetica viene prima dell’uomo ed esiste per sé.”

              Goedel non ha detto questo.Così espressa,sarebbe un in sè e per sè,il che significherebbe che la matematica è Dio.Goedel ha detto che si deve cercare un’altro sistema formale per giustificarne la coerenza.

              E’ assurdo, infatti se la matematica venisse prima dell’uomo,la matematica avrebbe pensato l’uomo,ma è noto il viceversa.La matematica è un’idea dell’uomo,un linguaggio.Che l’uomo codifica partendo sia da dati empirici oggettivi e sia da capacità intelletuali.

              • Leon ha detto:

                E’ noto che la matematica frà l’altro discende dalla metafisica.Euclide per esempio faceva parte della Via Regia (Socrate-Platone-Aristotele).

                Ora senza ricorrere ai concetti metafisici diventa incoerente.Perchè?

                Perche da un lato senza il mondo non puo esistere.Dall’altro senza il soggetto umano non puo esistere.

  • Gio ha detto:

    Credo che il principale motivo per cui l’interesse verso la matematica si innesti così frequentemente in uomini con una sensibilità religiosa, a volte molto spiccata, sia forse dovuto alla comune origine, rispetto all’esperienza, degli enti in questione: tanto gli enti matematici quanto l’ente divino sono per loro natura immateriali, invisibili, attingibili dall’intuizione razionale e precedenti ad ogni osservazione empirica, eppure fondativi di essa. Si tratta, nel matematico come nel credente, di cercare le tracce dell’invisibile nel visibile, di ciò che fa essere le cose come sono (e senza il quale non potrebbero essere), senza però mai risolversi compiutamente in esse, informandole ma trascendendole sempre.
    L’uomo si trova di fronte all’evidenza di un mondo del quale non avverte solo l’esistenza indubitabile, ma anche la perfetta regolarità armonica (quello che i Greci chiamavano kósmos), e si chiede, in obbedienza alla sua natura razionale, il perché sia e come sia. Ecco perché la ricerca affratella Pitagora a Leibniz, Tolomeo a Newton: perché interroga l’uomo di ogni tempo in quanto essere ragionevole, dotato da Dio di quella scintilla comune, quella ratio naturalis, che ci lega tutti. In ogni caso egli riconosce di trovarsi di fronte ad enti la cui genesi sa non derivare da sé stesso, come fossero sue “creature” – nè dalla percezione sensibile, nè dall’intuizione intellettuale, che semmai possono riconoscerne l’esistenza, ma non crearli.

  • Giorgio Masiero ha detto:

    @ Leon
    La matematica, Leon, non è un’idea dell’uomo, ma un pensiero di Dio all’atto della creazione dell’Universo. Noi viviamo infatti in un Cosmo ordinato con leggi matematiche, non nel Caos. Quindi la matematica precede l’Universo e tutto ciò in esso contenuto, compreso l’uomo. Direi che questo è un fatto scientifico, se crediamo nell’esistenza di leggi della fisica.
    Viene prima l’uomo o il sistema solare? Il sistema solare: dunque le leggi di Keplero che lo governano sono pre-esistenti all’uomo, che le ha scoperte qualche miliardo di anni dopo la nascita del sistema solare. Viene prima l’uomo o il campo di Higgs? Il campo di Higgs – che è pura matematica – risale a pochi istanti dopo il Big Bang ed ha dato la massa a tutte le particelle massive, comprese quelle che 13 miliardi di anni dopo avrebbero costituito i corpi degli uomini. “Hai disposto ogni cosa, [Signore], in misura, numero e peso” (Libro della Sapienza 11, 21), cioè con la matematica. Appunto. La matematica non è un’idea dell’uomo quanto non lo è la Luna: la Luna c’è, le sue proprietà fisiche dobbiamo scoprire; la Matematica c’è, i suoi teoremi dobbiamo scoprire. L’uomo non “inventa” la matematica, mentre sì, Shakespeare ha inventato Giulietta e Romeo, che è stata una sua bellissima idea!
    Se poi Lei, Leon, è un cristiano e crede come me al mistero rivelato della Trinità, di un Dio UNO in TRE Persone, allora la matematica diventa consustanziale a Dio, tutt’uno col Logos da tutta l’eternità. Trascendente.

    • Licurgo ha detto:

      Forse possiamo dire meglio -dal punto di vista terminologico, ma che può risolvere la diatriba- che Dio ha creato il mondo, e ha creato il mondo regolato da leggi matematiche, diverso dal dire ha creato la matemtaica in sè e per sè.
      A differenza della Luna, che è un ente e dunque esiste in sè, la matematica, che non è un ente, esiste nel mondo e la mente dell’uomo sa coglierla e formalizzarla, ovvero, per dirla con l’aristotelismo, la matematica esiste nella mente dell’uomo cum fundamento in re, perchè senza questo fondamento sarebbe impossibile la rispondenza del mondo alle leggi matematiche che noi pian piano abbiamo scoperto e scopriamo dallo studio del mondo.

      • Giorgio Masiero ha detto:

        Io non ho detto, Licurgo, che Dio “ha creato la matematica”, ma che essa è consustanziale a Lui e, in quanto tale, pre-esistente all’uomo.

        • Licurgo ha detto:

          Lo so, prof., e infatti ho parlato di precisazione esclusivamente terminologica, nel senso che anche se non lo ha detto e non lo pensa, temo che l’amico Leon l’abbia letta così, e l’esempio della Luna forse poteva alimentare l’equivoco.
          Che sia ‘consustanziale’ avrei problemi ad ammetterlo, perchè se fosse consustanziale sarebbe essa stessa Dio (come il padre e il Figlio), ma che sia il linguaggio con cui Dio organizza la creazione (e dunque creata anche essa, non generata e consustanziale) questo senza meno.

          • Licurgo ha detto:

            Dunque, sul fatto che sia precedente all’uomo, assolutamente d’accordo (lo aggiungo per non ingenerare equivoci anche io), sulla consustanzialità, come detto, ho dubbi.