Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino (V° parte): la metafisica nella “Critica della ragion pura”


 

di Luca Ferrara*
*dottorando in scienze filosofiche

 

Nel primo articolo abbiamo posto le premesse per un possibile confronto tra Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino, nel secondo articolo abbiamo introdotto le due quaestiones dell’Aquinate, all’interno della seconda sono contenute le celebri “cinque vie” per la dimostrazione di Dio, nel terzo articolo abbiamo esposto le cinque dimostrazioni dell’esistenza di Dio formulate da San Tommaso, mentre nel quarto articolo abbiamo visto la concezione dell’esistenza di Dio nell’Illuminismo. Ora valuteremo il pensiero metafisico all’interno del pensiero kantiano.

L’opera di Kant, pur essendo influenzata da diversi motivi teoretici, assume una particolare curvatura speculativa ben riconoscibile fin dagli scritti giovanili. Senza dubbio l’autore tedesco vissuto in un periodo (1724-1804) in cui massima era l’influenza culturale e politica dell’illuminismo ha avvertito la necessità di misurarsi parimenti con alcuni dei maggiori filosofi del Settecento, sia tedesco come Wolff, Baumgarten, Crusius, sia francese e inglese, come Rousseau e Hume. Se si dovesse prendere come direttrice delle nostre ricerche la questione dell’esistenza di Dio per indagare il pensiero kantiano, essa assorbirebbe non solo un numero notevole di pagine, ma anche una mole di tempo quantificabile in alcuni decenni.

Il problema dell’esistenza di Dio è riscontrabile nell’intera produzione kantiana: negli Scritti del periodo precritico, come in quelli del periodo critico. Kant è un autore che ha messo al centro dei suoi interessi speculativi e pratici la metafisica. Ognuna delle sue opere potrebbe essere considerata un momento significativo di un’articolazione progressiva finalizzata alla formulazione di un sapere metafisico, ragion per cui la ricerca su questo tema va circoscritta. Noi affronteremo il problema dell’esistenza di Dio nella seconda edizione della “Critica della ragion pura”, dove la dimensione speculativa e la maturità teoretica raggiungono la massima espressione, e dove riscontrabile parzialmente una critica alle argomentazioni tomiste presenti nella “Summa”.

Kant, nel corso del suo sviluppo intellettuale tiene conto di molti degli autori citati nel paragrafo precedente, in particolare la sua speculazione, nella prima “Critica”, viene ad articolarsi in un confronto serrato con le posizioni di Wolff, Baumgarten e Hume. Il filosofo accetta la partizione della metafisica in due parti, proposta da Wolff e seguita da Baumgarten. La prima parte viene denominata methaphysica generalis o ontologia, la quale ha il compito di studiare le proprietà generali degli enti; mentre la seconda parte denominata methaphysica specialis, articolata a sua volta in tre parti: psicologia (studio dell’anima), cosmologia (scienza del mondo) , teologia (scienza di Dio). Kant fa propria questa partizione, ma attribuisce un significato del tutto nuovo a questa divisione. L’ontologia non è più considerata scienza dell’ente, ma, alla luce delle ricerche svolte nella “Critica della ragion pura”, è un teoria delle condizioni dell’ente; mentre la metafisica speciale, sebbene tratti di oggetti che cadono fuori dall’esperienza umana, rappresentano l’anelito perenne della ragione all’assoluto.

Vediamo ora come si articola la celebre opera kantiana e a quali problemi tenta di rispondere. La “Critica della ragion pura” consta di due parti: Dottrina trascendentale degli elementi e Dottrina trascendentale del metodo. La prima parte della prima Critica corrisponde alle due partizioni in cui si viene ad articolare la metafisica wolffiana (metafisica generale e metafisica speciale). A sua volta la Dottrina trascendentale degli elementi, preceduta da due Prefazioni (alla prima e alla seconda edizione della “Critica della ragion pura”) e da un’Introduzione, si articola in due sezioni: Estetica trascendentale e Logica trascendentale. La prima studia le forme a priori dell’intuizione, la seconda, che a sua volta si articola in altre due parti (Analitica trascendentale e Dialettica trascendentale) studia nella prima le funzioni dell’intelletto e nella seconda le idee della ragione. L’opera kantiana ha una quadruplice valenza: logica, epistemologica, gnoseologica e ontologica. Tali istanze si riassumono nel tentativo dell’autore di dimostrare la possibilità dei giudizi sintetici a priori, tramite un’analisi (critica significa, seguendo l’etimo greco, distinguere, discernere) accurata della ragione nelle sue conoscenze pure (prive di qualsiasi commistione con l’esperienza). Secondo Kant si danno due tipologie di giudizi: analitici e sintetici. Nei primi la connessione tra soggetto e predicato fa leva sul principio di non contraddizione, tramite cui è possibile riscontrare che il predicato è contenuto a priori già nella nozione di soggetto. Kant porta un esempio, poi divenuto celebre: i corpi sono estesi. Il concetto del predicato — “estesi” —, (“sono” viene considerato “copula”) è incluso nella nozione del soggetto; mentre il filosofo porta come esempio di giudizio sintetico “i corpi sono pesanti”, dove la nozione di pesantezza è riscontrabile tramite l’esperienza, ragion per cui si viene ad aggiungere al soggetto, e da questi non è deducibile a priori, perciò il filosofo li definisce sintetici a posteriori. Kant afferma che vi è una terza tipologia di giudizi — i sintetici a priori — i quali non rientrano nelle due tipologie precedenti, ma sono propri della metafisica e della scienza.

Questa partizione triplice dei giudizi stabilita da Kant rompeva con la tradizione precedente, infatti sia Hume che Leibniz avevano sostenuto la possibilità di ridurre il nostro sapere a due classi di giudizi. Per il filosofo di Lipsia le proposizioni potevano essere formulate come verità di fatto, il cui contrario era sempre possibile, oppure come verità di ragione il cui contrario era sempre impossibile. Le prime erano verità sintetiche, a cui la mente umana perveniva, tramite il prinicipio di ragione sufficiente, nel corso dell’esperienza; mentre la mente, nelle seconde, seguendo il principio di non contraddizione e il principio di identità, perveniva tramite un ragionamento, il cui valore era necessario e universale. Il filosofo scozzese considerava che le modalità nelle quali era possibile fissare la nostra conoscenza fossero o relazioni fra idee o materie di fatto. Le prime avevano un valore ideale, una necessità che era loro intrinseca (non a caso riguardavano la matematica); mentre le seconde riguardavano il campo delle nostre conoscenze empiriche. Sia Leibniz che Hume, adoperando questa duplice distinzione, sembravano porre uno iato tra reale e ideale; il tentativo operato del criticismo kantiano con la formulazione di una terza tipologia di giudizi (i sintetici a priori), si prodigava al fine di ridurre, se non eliminare questo solco tra l’ambito empirico-fattuale e l’ambito metafisico-logico.

Secondo Kant i giudizi sintetici a priori sono propri della matematica (aritmetica e geometria), della fisica e della metafisica. Nei giudizi sintetici a priori non solo il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al soggetto, ma lo aggiunge in modo a priori (universale e necessario). In aritmetica — Kant porta il celebre esempio “7+5=12”— il predicato viene aggiunto al soggetto tramite una procedura a priori che è ascrivibile al forma del senso interno: il tempo. La proposizione considerata non è analitica, perché il predicato viene aggiunto nel tempo. Il tempo costituisce l’essenza del numero, ma il tempo non è nella cosa stessa, nel numero, ma ad esso bisogna pervenire per comprendere la produzione dei numeri e per fare operazioni tra loro. Il tempo mi fornisce un numero infinito di quantità pure, ma come sono connesse tra loro? Secondo il filosofo tramite una delle dodici categorie dell’intelletto. Le categorie sono funzioni dell’intelletto, e tramite esse l’intelletto pensa e conosce. Quando sono usate per sintetizzare una molteplicità empirica (le sensazioni) o pura (i numeri le linee i punti, etc…), ordinate tramite le due forme dell’intuizione (spazio e tempo) esse sono responsabili del processo conoscitivo. L’Analitica trascendentale studia nella sua prima parte (Analitica dei concetti) la relazione tra categorie e giudizio e categorie e intelletto, decretando il loro numero in modo a priori e la loro applicabilità all’esperienza, pur non derivando dal mondo empirico. Ma come è possibile che non essendo generate dall’esperienza possono venire applicate all’esperienza? L’oggetto deve conformarsi alla struttura trascendentale del soggetto altrimenti non sarebbe per noi. Come siano gli oggetti in sé nessuno lo può sapere. Le categorie schematizzate (cioè temporalizzate) forniscono conoscenza, mentre prive di riferimento all’esperienza possono generare o un’illusione trascendentale, collocando la ragione nella spiacevole situazione di trovarsi a dover affrontare un problema che lei stessa ha generato e che lei stessa deve risolvere: questi problemi sono quelli della metafisica speciale, considerati da Kant nella Dialettica trascendentale.

La Dialettica trascendentale studia la logica della parvenza. Tale parvenza si configura come un’illusione necessaria, prodotta dalla ragione stessa, nel tentativo di oltrepassare i limiti dell’esperienza. Ma cosa può fare la filosofia trascendentale per evitare che le presunte conoscenze metafisiche protraggano il loro inganno? Indagando l’origine delle presunte conoscenze metafisiche. La perenne situazione conflittuale in cui viene a trovarsi la ragione umana è generata dal tentativo di accedere ad un campo di conoscenze incondizionate (assolute), ma la ragione non si può opporre a questa tensione versa l’incondizionato, in quanto le è connaturata. L’unico modo tramite cui la ragione può evitare di cadere in contraddizione con se stessa è la possibilità di indagare la sua struttura, sicché perviene ad un dominio di conoscenze che si configurano metafisiche, nella misura in cui non riconducibili al dato empirico, ma alla struttura della ragione umana che è meta-temporale. Il filosofo tedesco riprende, come dicevamo sopra, la bipartizione wolffiana della metafisica, dando a tale suddivisione un significato totalmente diverso. La prima parte della metafisica o ontologia, per Kant non è più una teoria dell’ente come per Wolff, ma una teoria delle condizioni dell’ente (a questa parte corrisponde, nella “Critica della ragion pura”, l’Estetica trascendentale e l’Analitica trascendentale, prima parte della Logica trascendentale). La seconda parte della metafisica o metafisica speciale secondo la definizione wolffiana è tripartita in tre ambiti: psicologia razionale; cosmologia razionale; teologia naturale. A questi tre ambiti corrispondono nella Dialettica trascendentale (seconda parte della Logica trascendentale) tre idee della ragione: anima, mondo e Dio.

Kant intende, con il termine “idea”, per un verso un concetto necessario della ragione, come un modello, un archetipo a cui essa sempre tende, per un altro intende il contenuto, l’oggetto di quest’idea a cui non è possibile trovare un corrispettivo empirico. Il filosofo tedesco adopera il termine “idea” con una duplice accezione. In primo luogo, l’idea viene intesa in un significato platonizzante, come ciò di cui non si può pensare il massimo, in quanto l’idea è la totalità delle condizioni del condizionato. In secondo luogo, l’idea viene considerata nel suo contenuto, per ciò che rappresenta, nella misura in cui la ragione tenta di farne oggetto di conoscenza, ipotizzando la possibilità di fare esperienza della totalità delle condizioni del condizionato, ma ciò è contraddittorio perché travalica i limiti dell’esperienza. Se l’intelletto procede sintetizzando una molteplicità di dati ordinati dagli gli a priori di spazio e tempo tramite le categorie, la ragione procede sintetizzando giudizi tramite sillogismi. Ad ogni idea, poi, corrisponde una modalità di formare sillogismi.

Nel prossimo articolo ci soffermeremo sulla terza idea (l’idea di Dio) che riguarda il nostro lavoro di confronto tra Kant e Tommaso, pertanto rimandiamo il lettore curioso o lo studioso attento che vogliano approfondire le prime due idee (anima e mondo) della Dialettica trascendentale ai diversi commentari della “Critica della ragion pura”.

0

Notizie Correlate

88 commenti a Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino (V° parte): la metafisica nella “Critica della ragion pura”

  • Leon ha detto:

    Bellissimi questi articoli sono davvero interessanti.

    +1
  • Jacques de Molay ha detto:

    [Semi-OT]Qualche tempo fa su questo sito mi sono imbattuto in un video in cui verrebbe confutata la prima prova di S. Tommaso. Secondo voi il ragionamento proposto nel video fila? Può dirsi la prima via confutata?

    0
    • Luca ha detto:

      Non mi pare. In ogni caso ogni movimento dipende dai movimenti precedenti di tutto ciò che circonda l’oggetto e/o dell’oggetto stesso, anche nei movimenti del mare, anche in quelli dei pianeti, ecc ecc, andando indietro fino ad arrivare al primo movimento

      0
      • Jacques de Molay ha detto:

        Da quel pochissimo che so -e come fa notare Francesco qui sotto- il movimento andrebbe inteso non tanto quanto “moto dei corpi”, ma come “mutamento”

        +1
    • Francesco Santoni ha detto:

      La confutazione non è valida semplicemente perché assume che Tommaso dica: “ciò che muove è in movimento”. In realtà Tommaso dice dal momento che il movimento è passaggio dalla potenza all’atto, c’è bisogno che ci sia una causa che sia già in ATTO. Questa confusione tra moto e atto denota come non si sia affatto compresa la prova di Tommaso (e la fisica aristotelica che vi sta dietro), e pertanto la confutazione non vale nulla.

      +1
      • Jacques de Molay ha detto:

        Grazie Francesco, approfitto per farti una domanda, dato che so che tu sei ferrato sul pensiero dell’Aquinate. Ascoltando una videolezione del prof. Berti sulle prove dell’esistenza di Dio nella filosofia classica, in quella dedicata a S. Tommaso per l’appunto, ad un certo punto viene citato Anthony Kenny, il quale era addirittura un sacerdote cattolico che, in seguito all’essersi convinto che le vie di Tommaso non sono valide, ha perso la fede(!). Il prof. Berti cita il libro “The five ways” di Kenny e dichiara che chiunque voglia dimostrare vere le prove di Tommaso debba scontrarsi con le confutazioni proposte in questo testo. Domanda: l’hai letto o conosci quantomeno le argomentazioni di Kenny (vengono accennate brevemenmte nel video)? Cosa ne pensi?

        0
  • Lucio ha detto:

    Personalmente, pur senza saperne abbastanza, azzardo un giudizio: concordo con chi sostiene che le categorie Kantiane abbiano aperto ad un soggettivismo negativo. A mio avviso solo se si ammette che:
    1) Dio abbia creato il mondo dotandolo di un riflesso della sua bellezza e della sua intelligenza
    2) che l’uomo (e quindi anche la sua mente) sia fatto ad immagine e somiglianza di Dio
    si puo’ giungere a dire che anche per noi e’ possibile una conoscenza del mondo che vada oltre le apparenze.
    Se invece si analizza il mondo partendo solo dalla ragione, mettendo volutamente da parte la non dimostrabile “Ipotesi Dio” allora le cose si complicano notevolmente.
    Sarei curioso di sapere come Kant valuterebbe il potere predittivo della matematica, che ha condotto i fisici a tante scoperte straordinarie (per ultima quella del Bosone di Higgs).

    0
    • luca ferrara ha detto:

      Scusami, ma non mi è chiara la prima parte dell’ipotesi che azzardi. MI sembra che tu dica che le categorie dell’intelletto sono negative ammettendo il punto 1 e il punto 2?
      Per quanto riguarda la tua curiosità – il potere predittivo della matematica – Kant se lo spiegava già all’epoca affermando che la mente umana è fatta in modo tale da conoscere solo se adopera le intuizioni e le categorie per ordinare la molteplicità delle sensazioni offerte dai sensi. Infatti, nella Critica della ragion pura, Afferma Kant che l’intelletto è legislatore della natura per tale ragione, perché immette, nello svolgere l’indagine sulla natura, elementi ad essa estranea, riconducibili solo all’intelletto(nessuno ha visto un’equazione nell’atto di volare, ma grazie ad essa gli arei volano). Si potrebbe dire in modo molto banale che la matematica(ma anche la fisica, i principi generali) è lo strumento, sviluppato dall’uomo, per conoscere la natura, per interagire con essa. Spero di essere stato chiaro

      0
      • Carmine ha detto:

        Grazie prof. Ferrara per questi articoli..è stato un piacevole rinfrescarsi la memoria dei miei studi passati! Quasi quasi seguirò lo stimolo ad andarli a riprendere e a “mettermi sotto” nuovamente 🙂

        0
      • Lucio ha detto:

        Ciao Luca, grazie per la tua risposta e per i tuoi articoli. Trovo che tu riesca a trattare argomenti difficili e delicati in modo da renderli comprensibili anche ai non addetti ai lavori come me!
        Venendo alla tua domanda chiarisco che non considero le categorie dell’ intelletto negative. Credo che siano positive e che lo siano proprio perche’ il nostro intelletto e il mondo in cui viviamo riflettono (in modo limitato ed imperfetto) l’intelligenza di Dio.
        Per quanto riguarda il tuo chiarimento circa il pensiero di Kant sul potere predittivo della matematica devo dire che la affermazione del filosofo tedesco da te riportata “l’intelletto è legislatore della natura per tale ragione, perché immette, nello svolgere l’indagine sulla natura, elementi ad essa estranea, riconducibili solo all’intelletto” non mi convince. Personalmente mi riconosco molto di piu’ nella posizione realistica di Tommaso d’Aquino (di cui qui ho trovato una efficace spiegazione: http://digilander.libero.it/avemaria78/tommaso/termini/realismo.htm
        Trovo che Kant sia un filosofo geniale, davvero notevole, ma personalmente non lo amo molto: la sua sintesi tra la filosofia empirista e quella razionalista (correnti che trovo gia’ criticabili di per se) non mi convince e trovo che la seguente riflessione (tratta dal sito culturanuova.net) riesca ad esprimere bene i dubbi che anch’io condivido: Di tale rivoluzione copernicana (Kantiana) si possono dare diverse interpretazioni. Si può vederla come accettazione del limite della conoscenza umana, che filtrando inevitabilmente gli oggetti attraverso le proprie strutture risulta incapace di cogliere la realtà in sé, ossia la verità assoluta (=sciolta da, non relativa ai condizionamenti limitanti del soggetto); in questo senso Kant sarebbe il filosofo della finitezza, l’ultimo dei moderni; così egli viene per lo più interpretato da parte di filosofi “del limite”, come gli esistenzialisti (in Italia ad esempio Abbagnano ha sostenuto questa linea). Ovvero si può considerare la “rivoluzione copernicana” come espressione del potere, in qualche modo creativo, del soggetto e della ragione: ciò che importa in quest’altra prospettiva non è il fatto che le cose-in-sè restino sempre al-di-là, importa piuttosto che il fenomeno conosciuto sia essenzialmente determinato, plasmato dal soggetto; il soggetto pertanto non ha più un ruolo passivo, non si limita a registrare un dato, ma attivamente forgia questo dato, conferendogli le sue forme a-priori. La parte del leone insomma non la fa la cosa-in-sè, che si limita a fornire al fenomeno una informe e malleabile materia, ma il soggetto conoscente, che organizza e struttura tale materia dentro le proprie forme (le “intuizioni pure” e le “categorie”). In questo senso Kant sarebbe il filosofo non già della finitezza e del limite, ma della (tendenziale) infinitezza, del potere creativo del soggetto, e dunque non l’ultimo dei moderni, ma il primo dei contemporanei, in quanto antesignano dell’idealismo.

        È chiaro che se fosse vera la prima linea interpretativa la filosofia di Kant sarebbe meno inaccettabile dal punto di vista del realismo, potendosi considerare come sofferta e dolorosa rassegnazione all’impossibilità di accedere a un assoluto di verità, di cui pure egli riconosce una inestirpabile nostalgia; mentre se fosse vera la seconda non si potrebbe che bollare l’impresa kantiana quale espressione di un superbo e prometeico antropocentrismo, dimentico della concretezza del dramma umano. In realtà convivono in Kant, non senza contraddizione, entrambi questi aspetti: una residua onestà nel riconoscere che il desiderio che anima la ragione è conoscere la realtà in sé, la verità assoluta, che è oltre il fenomeno scientificamente indagabile; ma anche la preconcetta e trionfante esultanza di aver “liberato” l’umanità dal giogo di una sottomissione all’oggettivo (e qui la dice lunga la sua posizione, di saccente disprezzo, nei confronti della Chiesa e di Cristo). Il fatto è che a Kant sfuggiva come fosse contraddittorio aspirare alla verità (assoluta) senza piegarsi alla Verità (del Mistero): un assoluto senza l’Assoluto, tale sembra essere il segreto (e paradossale) voto dell’asceta laico di Königsberg.
        Naturalmente, e penso sia chiaro, sono qui per imparare. Ti saro’ quindi grato per le competenti osservazioni che tu vorrai eventualmente muovermi.

        0
        • luca ferrara ha detto:

          Grazie Lucio dell’attenzione che rivolgi al mio articolo…Procediamo con ordine
          Secondo Kant le categorie dell’intelletto sono 12, queste categorie sono dedotte dalle 12 forme di giudizio, sono metastoriche, sono comuni a tutti gli uomini. Ogni uomo che vuole formulare un giudizio scientifico (matematico, fisico, logico o metafisico) non può non adoperarle, ragion per cui sono a priori(universali e necessarie). Non sono forme conoscitive proporzionali alla mente divina, non riflettono in modo imperfetto la mente divina(ho letto per due volte la Critica della ragion pura, e non ho trovato questa espressione), perchè la mente divina, secondo Kant intuisce e, quando intuisce, crea. Per quanto riguarda la matematica la questione è lunga e complessa e risale ai Pitagorici e a Platone: i numeri esprimono le cose, perchè le cose sono fatte, scritte in lingua matematica o i numeri sono un costruzione della mente.

          Secondo Abbagnano e Pietro Chiodi, due filosofi esistenzialisti, la filosofia di Kant è una filosofia del limite perchè non può accedere all’in sè, all’assoluto: l’uomo, non potendo non utilizzare quegli strumenti conoscitivi che lo connotano come ente razionale finito, è vincolato all’esperienza. Utilizzare le categorie per dimostrare l’esitenza dell’anima conduce la ragione in contraddizione con se medesima. Le categorie possono venir adoperate in due modi: o come forme del pensare o come funzioni del conoscere (solo nel secondo senso secondo Kant hanno un uso valido). Le categorie sono funzioni del conoscere quando unificano un molteplice empirico (le sensazioni). La metafisica non è un sapere scientifico, perchè adopera le categorie solo come forme del pensare. Kant è il primo filosofo che distingue pensare e conoscere in modo netto. L’oggettività del conoscere, come del pensare, è data dal fatto che non possiamo non utilizzare quegli strumenti conoscitivi. Nessun uomo può pensare senza le categorie, ma queste categorie sono uguali per tutti gli uomini, da ciò deriva la possibilità della comunicazione.

          Diciamo che la prima linea interpretativa della rivoluzione copernicana, la quale fa leva sulla natura e sull’uso delle 12 categorie, è quella che prevale tra gli studiosi della Crp, la seconda linea interpretativa, sostanzialmente di matrice romantica, ottocentesca è stata sconfessata dalla storiografia novecentesca(vedi Cassirer, Storia della filosofia moderna), Kant parla di costruzione e non di creazione.

          Infine non va dimenticato che per Kant l’accesso all’incondizionato è possibile in sede pratica(per agire moralmente non posso non accettare, porre l’esistenza di Dio o dell’anima)e in sede estetica: la finalità della natura mi rimanda ad altro. Allora non è un caso che il pensiero cattolico quando cerca una sponda speculativa nel mondo laico in età moderna l’ha trovata in Kant. Kant si piegava al Mistero, perchè considerava l’umano nel suo darsi concreto…
          Grazie e complimenti per la tua competenza

          0
          • Lucio ha detto:

            Grazie a te Luca! Nell’ attesa del tuo prossimo articolo cerchero’ di approfondire la mia conoscenza della filosofia di Kant!

            0
  • Luigi Pavone ha detto:

    Io ho armeggiato un po’ con la terza via concludendone che oggi — con gli strumenti della logica modale — non può non risultare erronea. Sulla prima invece la distinzione di Santoni, secondo la quale Tommaso non assume che ciò che muove è in movimento ma soltanto in atto, è incomprensibile. Facciamo l’esempio del filosofo. Il fuoco riscalda, poniamo, questa matita. Ecco, in questo caso si richiede non solo che il fuoco sia in atto, ma si richiede anche che sia in movimento, non rispetto al caldo ma rispetto al suo essere movente: in altre parole il fuoco passa dalla potenza di essere riscaldante la matita al suo essere riscaldante la matita in atto. Insomma, Tommaso può non assumere esplicitamente che il movente sia in movimento, ma ciò è richiesto dalla natura dell’argomento.

    In secondo luogo, la dimostrazione che il mosso non può essere movente di sé stesso non sembra funzionare. Tommaso riconduce la dimostrazione all’evidenza che uno stesso oggetto non può essere qualcosa insieme (nello stesso tempo et.) in potenza e in atto. Ma il salto concettuale è evidente. Tommaso assume erroneamente che ciò che muove rispetto a una proprietà deve possedere quella proprietà. Questo è falso. E’ vero che per riscaldare il fuoco deve essere caldo, ma questo è del tutto accidentale rispetto alla struttura del divenire. Per esempio, per spezzare una matita non occorre che io stesso sia spezzato.

    0
    • Francesco Santoni ha detto:

      Pavone Pavone… mai studiato Aristotele? Mai sentito parlare di motore immobile? Ma prima ancora, mai sentita inoltre la definizione aristotelica del movimento? Il moto è “l’atto di essere in potenza in quanto potenza”. Leggi il terzo libro della Fisica. E poi non è affatto vero che “Tommaso assume erroneamente che ciò che muove rispetto a una proprietà deve possedere quella proprietà”. Mai sentito parlare della classica distinzione tomista tra agente univoco ed agente analogo? Posso consigliarti di approfondire un po’ i tuoi studi prima di avventurarti nella critica a Tommaso? Benché il moto sia un atto, l’atto è un concetto molto più ampio, che Tommaso, con la sua fondamentale dottrina metafisica dell’actus essendi, amplia ancora di più rispetto ad Aristotele. Ti consiglierei un testo fondamentale: P. Tomas Tyn O.P., Metafisica della sostanza. Partecipazione. Analogia entis. Le tue critiche a Tommaso in realtà ricalcano perfettamente quello che normalmente si legge sui manuali di filosofia, ma Tommaso era ben altro, e purtroppo i moderni lo conoscono pochissimo fidandosi, erroneamente, dei manuali. Edward Feser insiste molto su questo punto, per esempio qui: http://edwardfeser.blogspot.it/2011/07/so-you-think-you-understand.html Ma se hai la pazienza di scorrere il suo blog troverai molti altri post che spiegano tutti gli errori che i manuali commettono nel presentare Tommaso.

      0
    • Francesco Santoni ha detto:

      Comunque ci vuole tempo. Io ci ho messo qualche anno a capire Tommaso perché comunque siamo profondamente influenzati dalla filosofia moderna. Ci vuole un bel po’ a far piazza pulita di tutti i pregiudizi ed arrivare a capire cosa Tommaso realmente sostenesse. E sia chiaro che leggere le cinque vie nella Somma Teologica non basta affatto a comprenderle, figuriamoci a criticarle… Ricordiamoci che la Somma era intesa ad essere un manuale, quindi una sintesi; e non era nemmeno un’opera di metafisica, ma di teologia, quindi rivolta a studenti che già avevano completato gli studi di filosofia, ed avevano già quindi tutti gli strumenti per comprendere le cinque vie; quelle di Tommaso infatti sono appunto “vie”, guidano Dio, le vie sono schemi di dimostrazione, che devono appunto essere ampliati e completati. Nella Somma Contro i Gentili la questione dell’esistenza di Dio è già trattata con più approfondimento. Ma dobbiamo anche sapere che Tommaso non ci ha lasciato un’opera sistematica di metafisica, pertanto la sua dottrina va estrapolata dall’intero corpus tomistico. E si deve anche ricordare che la questione dell’esistenza di Dio non era particolarmente pressante per Tommaso, ecco perché non ci ha lasciato una trattazione sistematica in merito.

      0
      • Lucio ha detto:

        Complimenti Franesco: io non sono di certo un esperto, ma credo che il tuo intervento abbia colto in modo molto corretto il senso in cui debbano essere intese le cinque vie proposte da Tommaso d’ Aquino.

        0
    • Francesco Santoni ha detto:

      Del resto Pavone la tua obiezione (“per spezzare una matita non occorre che io stesso sia spezzato”) è estremamente ovvia, quindi non credi che un pensatore come Tommaso l’avrebbe notata subito? Pensi davvero possa essere così facile demolire il tomismo?

      0
    • Licurgo ha detto:

      Per moto si intende il mutamento; ovviamente anche il moto fisico è un mutamento.

      Signor Pavone,
      certamente il fuoco deve passare dalla potenza all’atto per essere riscaldante (altrimenti sarebbe atto puro, e non una causa efficiente quale è), ma nel momento in cui riscalda il legno, quel fuoco è perfettamente in atto rispetto a quel moto-mutamento (cioè dall’ardere senza il legno vicino, all’incendiare un legno), nè deve avere alcuna proprietà comune all’ente verso il quale fa da agente esterno (il legno bruciato non è fuoco ma legno caldo e poi cenere; in questo caso il suo esempio è puramente accidentale).
      E il mutamento dell’agente esterno-fuoco, da essere in potenza riscaldante il legno al suo esserlo in atto, dipende, come per ogni causa efficiente, da un ulteriore agente esterno, in questo caso la mano dell’uomo (o un animale accidentalmente o quel che preferisce lei)che lo avvicina al legno. E di nuovo di qui si va alla catena delle cause (riguardo questo esempio: la mano dell’uomo a sua volta è mossa dal cervello dell’uomo, che passa dalla potenza all’atto di essere tramite l’unione di spermatozoo e ovulo e questi a sua volta sono generati da un coito…) fino alla necessità di introdurre un atto puro che garantisca tutti i passaggi dalla potenza all’atto e delle cause efficienti vista l’impossibilità di una regressione all’infinito (se non c’è un primo motore immobile nessun ente può avere la garanzia del mutamento iniziale).
      Nessuna causa efficiente nell’aristotelismo tomismo da il moto a se stessa, ma è sempre un agente esterno, o una pluralità di agenti esterni (a seconda se la potenza è prossima o remota), a fornire il mutamento indagato.

      0
      • Licurgo ha detto:

        Ovviamente ‘questi sono generati da un coito’ è un’espressione malriuscita (giacchè un brutto mal di denti mi sta procurando insonnia mi scuserà per la scarsa concentrazione): questo incontro è generato da un coito, mentre a sua volta sia lo spermatozoo che l’ovulo hanno cause fisiche sempre stando alle cause efficienti, che sono necessariamente agenti esterni.
        Il fuoco riscaldante all’inizio era ovviamente riferito al legno.
        Ma Tommaso dice proprio che nulla passa dalla potenza all’atto se non tramite agenti esterni già in atto rispetto a quello specifico mutamento; mai in potenza ed atto insieme: prima di essere agenti esterni lo erano in potenza, diventano agenti esterni in atto sempre tramite altri agenti esterni rispetto a quel moto e così via e dunque la necessità della causa incausata, motore immobile e atto puro (che è lo stesso ente visto da prospettive diverse).

        0
      • Luigi Pavone ha detto:

        Signor Licurgo, l’ora è tarda ma cercherò di riprendere il discorso. Conosciamo tutti il testo della canzone di Branduardi, Alla fiera dell’est (http://www.youtube.com/watch?v=IaeRmVy9fwI), il punto è se la catena delle cause — relativamente al movimento — sia una verità empirica o una verità di ragione, concettuale. Tommaso tenta di farne una verità concettuale argomentando che se noi ponessimo un ente che è causa del suo movimento cadremmo in contraddizione dal momento che di quell’ente affermeremmo che è sia in potenza sia in atto relativamente a qualche significato. Questo tentativo è a mio avviso insostenibile.

        0
        • Licurgo ha detto:

          L’atto puro, o, appunto motore immobile o causa incausata (perchè sono attributi intercambiabili, ma ora sarebbe lunga e qua non interessa) non è causa del suo mutamento, ma non muta proprio (per questo non può essere materiale e nello spaziotempo e dunque è necessità esplicativa, dunque ente di ragione anzichè empirico come le altre cause efficienti contingenti). Ciò che da lui è mosso, cioè tutto il resto, è quel che muta, altrimenti essa non sarebbe la causa incausata che viene introdotta per spiegare il contingente, ma lo sarebbe un’altra, cioè quella che risponde alle carateristiche dell’immutabilità, ma a questo punto, la causa ‘intermedia, dovendo essere un ente di ragione, non ha più senso di essere ma il motore immobile sarebbe la causa incausata che abbiamo introdotto come seconda.

          0
          • Licurgo ha detto:

            Ora anche io provo a coricarmi nonostante il mal di denti. Certamente tornerò domani mattina a vedere se avrà fatto a tempo a rispondermi , visto che dormo male.
            La ringrazio della pazienza e per adesso le auguro una buonanotte.

            0
    • Fabrizio Ede ha detto:

      Tommaso non assume “erroneamente che ciò che muove rispetto a una proprietà deve possedere quella proprietà” dato che ragiona in termini ontologici.
      L’esitenza o atto di essere non è una proprietà come non lo à l’essere in potenza.
      Quello che ne concludi paga questo difetto

      0
      • Luigi Pavone ha detto:

        E questo che c’entra? Neanche per Kant l’esistenza è una proprietà, e non lo è per molti filosofi contemporanei, come Russell, Quine e altri.

        Attenzione però, quando Kant, Russell, Quine, affermano che l’esistenza non è una proprietà non intendono affermare che l’esistenza non sia un proprietà tout court, ma intendono negare che sia una proprietà del prim’ordine!

        Ma questo — ripeto — c’entra come il cavolo a merenda.

        0
  • Luigi Pavone ha detto:

    Santoni, il discorso di Tommaso è questo: il concetto di ente sensibile in moto causa del proprio movimento è un concetto contraddittorio in quanto implica che quell’ente sia qualcosa in potenza e in atto nello stesso tempo e secondo lo stesso riferimento (cioè secondo lo stesso significato, in buona sostanza). Questo non è sostenibile.

    Sì, ho sentito parlare di motore immobile. Tuttavia, ciò che muove, nella misura in cui può non muovere, o c’è almeno un istante in cui non muove o non ha mosso (ciò è sempre vero degli enti sensibili, da cui la dimostrazione di Tommaso prende le mosse), passa dalla potenza di essere movente all’atto di esserlo.

    E’ bene leggere, conoscere Tommaso. Mi fa piacere che tu coltivi questa passione.

    Sulla terza via il discorso è molto più complicato.

    0
    • Licurgo ha detto:

      Le ho risposto sopra signor Pavone. Non implica che sia in potenza ed in atto insieme, ma che sia in atto rispetto a quel moto; cosa diversa è che anch’esso sia necessitante di passare dalla potenza all’atto attraverso uno o più agenti esterni.

      0
    • Alcor vega ha detto:

      “ho sentito parlare di motore immobile ” e di grazia sè ne ha solo sentito parlare…come diavolo fà a parlare di errori nel Tomismo???????

      0
  • Luigi Pavone ha detto:

    @Licurgo
    Certo che il motore immobile è immobile – lo dice la parola stessa! Se poi sia esso un concetto filosoficamente sostenibile è un’altra cosa, su cui non voglio addentrarmi. La questione che ho sollevato riguarda la contraddittorietà che Tommaso vede nel concetto di ente sensibile che muove da sé stesso. Egli dice che un tale concetto implica l’identificazione della potenza e dell’atto, nel senso che di quell’ente finiremmo col dire che è in potenza e in atto la stessa cosa – ciò è evidentemente contraddittorio. Il suo tentativo è quello di fare della circostanza empirica che gli enti sensibile ricevono il movimento da altri enti una verità concettuale. Cercherò di essere più chiaro con uno schema. Spero di essere chiaro per Lei. Non nutro invece speranze per Santoni che alla filosofia sta come il gatto all’acqua.

    Innanzitutto diciamo qual è la contraddizione a cui secondo Tommaso si riduce la nozione di ente sensibile che muove da sé stesso. Prendiamo un significato qualunque, per esempio “vecchio”. Ora, non si dà mai il caso che un ente sia vecchio in potenza e in atto, poiché essere vecchio in potenza significa (o meglio, implica) non esserlo in atto, e viceversa: essere vecchio in atto significa (o meglio implica) non esserlo in potenza. Tommaso dice che se poniamo un ente sensibile che muove sé stesso finiamo col dire di quell’ente che è in potenza e in atto qualcosa. Per dimostrarlo fa l’esempio del fuoco che riscalda un corpo. Ciò che riscalda deve essere caldo in atto, il legno non può essere causa del suo stesso movimento verso il calore, perché altrimenti sarebbe in potenza e in atto rispetto al caldo, sarebbe cioè contraddittoriamente caldo e freddo. Il punto è che, innanzitutto, non si forniscono dimostrazioni mediante esempi, in secondo luogo l’esempio non è paradigmatico di ogni movimento, in quanto esistono movimenti (e questo Tommaso lo sa bene) in cui il movente non è in atto il fine del movimento stesso. Per esempio, ciò che spezza non necessariamente è spezzato. Relativamente a questi altri movimenti la contraddizione della identificazione della potenza e dell’atto – per come ho tentato di esporla – viene meno, con essa venendo meno il tentativo di fare di una verità empirica osservabile una verità concettuale.

    0
    • Luigi Pavone ha detto:

      ps. mi auguro che nel frattempo il suo mal di denti sia passato 🙂

      0
    • Licurgo ha detto:

      No, Pavone, mentre nell’atto puro la potenza non è proprio presente, l’ente sensibile non muove mai da sè dalla potenza all’atto ma, come ho detto, è sempre mosso da uno o più agenti esterni.
      Non capisco come possa sfuggirle una cosa così semplice, anche dopo gli altri commenti come quello sulla potenza prossima o remota, ed è chiaro che partendo da questa malcomprensione il suo esempio non vale più.
      Gli stessi enti viventi che hanno uno sviluppo interno dall’infanzia alla morte, detto entelechia, hanno comunque bisogno per venire all’esistenza di altri agenti esterni (ovvero altri enti viventi) che siano in atto rispetto a quel mutamento (cioè che siano già esistenti).
      Anche la morte ha sempre il concorso di cause esterne, evidenti per morti violente o morti per agenti patogeni, ma presenti anche nelle morti per vecchiaia, giacchè il metabolismo, con cui il fisico si usura, per attivarsi necessita sempre di cause esterne (cibo e acqua), e il tempo è un altro agente esterno che usura l’organismo.
      Dunque, in tutti i casi per passare dalla potenza all’atto c’è bisogno di uno o più agenti esterni già in atto, nessun ente muove da sè dalla potenza all’atto contrariamente a quanto lei sostiene.
      Ultima sua obiezione: l’atto puro è certo difficilmente comprensibile alla nostra mente finita e necessitante di mutamento e causazione per esistere, ma spiega molto bene il problema che possiamo capire e da cui siamo partit: l’origine della realtà materiale.
      Tutte le altre teorie cosmologiche (la materia che si crea da sè, l’universo increato e perenne) presentano invece, come abbiamo discusso altre volte, contraddizioni interne tali da non spiegare con sufficienza il problema del cosmo da cui si partiva.
      Dunque non sono teorie equipollenti per cui non vale il principio di Occam spesso da alcuni citato a sproposito per queste situazioni.

      0
      • Licurgo ha detto:

        Caro Pavone, va temporaneamente meglio grazie ad un agente esterno…ovvero un analgesico!
        La ringrazio per la sensibilità.

        0
      • Luigi Pavone ha detto:

        Arridaglie. Licurgo, io non ho messo in discussione che ciò che è in movimento sia mosso da altro. Ho messo in discussione che sia una verità concettuale, o meglio ho messo in discussione il modo in cui Tommaso la presenta come una verità concettuale.

        Per esempio, affermare che non è una verità concettuale che questa superficie sia bianca non significa negare che questa superficie sia bianca.

        0
        • Licurgo ha detto:

          Dunque lei mette in discussione l’induzione.
          Senza induzione è impossibile fare filosofia perchè non si può passare dal particolare all’universale, dunque nulla può essere affermato, nè il vero nè il falso.
          A questo punto mi deve dire come lei si spiega l’universo senza induzione.

          0
          • Licurgo ha detto:

            Nel momento in cui lei troverà un movimento che non sia causato da altro, compresa un’altra parte del corpo nei viventi (la gamba è mossa dal cervello), l’argomento tomista cadrà.
            Non faccia riferimento alla MQ, perchè in questo caso c’è il grosso limite strutturale dell’osservatore che, osservando, muta l’ambiente (cosa che non avviene nel macro); fatto sta che i solidi risultanti dalle particelle rispondono alla costante del mutamento mosso da altro.

            0
            • Licurgo ha detto:

              Mi scusi ancora, ma quando dice che questa superficie è bianca non è verità concettuale sbaglia i termini, perchè parliamo di pura e semplice esperienza empirica del particolare, mentre il concetto (differente dall’imago mentis) è passaggio dal particolare all’universale.
              Invece, dire, basandomi sul principio di non contraddizione (che è assioma della nostra mente) applicato all’osservazione di un muro bianco, che nessuna superficie completamente bianca possa essere contemporaneamente completamente nera, ad esempio, è un passaggio dalla constatazione empirica ad un induzione universale

              0
          • Luigi Pavone ha detto:

            No, Licurgo, non metto in discussione il metodo induttivo. Ciò che dico è che il modo in cui Tommaso cerca di fare di una verità sensibile una verità concettuale sembra fallire.

            0
            • Licurgo ha detto:

              E dove sembra fallire, di grazia?
              Le ho risposto a tutte le obiezioni (che, diciamola sinceramente, sono dovute ad una conoscenza molto superficiale dell’aquinate); se ne ha di nuove è un conto, altrimenti lei può pensare ciò che vuole, ma io posso pensare che lei lo pensa senza argomenti e un po’ a mo’ di impressione.

              0
    • Francesco Santoni ha detto:

      Io starò pure alla filosofia come il gatto all’acqua, ma certo non ho la presunzione di criticare filosofi che non conosco, soprattutto con critiche così ovvie, che un pensatore come Tommaso aveva abbastanza acume da porsi da solo se mai esse fossero state veramente pertinenti.

      In realtà come dicevo le tue critiche a Tommaso non sono affatto originali, ma sono semplicemente quello che si trova nei manuali moderni, i quali però, è noto agli specialisti, fraintendono, semplificano e distorcono enormemente il pensiero di Tommaso.

      Tu dici che non si forniscono dimostrazioni con gli esempi. Qui commetti un grosso errore, che Aristotele ti avrebbe rimproverato. Non esiste dimostrazione di tutto, è impossibile, perché si andrebbe all’infinito. Chiedere la dimostrazione di tutto, ti direbbe Aristotele, è tipico della persona poco saggia. I principi più generali, quali appunto l’atto e la potenza, non sono oggetto di dimostrazione, ma possono essere colti solo per analogia tramite esempi. Che cos’è l’atto? Se io rispondessi la fattualità, la realizzazione, la concretizzazione di una potenza, non avrei risposto, perché poi dovrei definire tutti questi termini, i quali però non significano altro che l’atto. E che cos’è la potenza? E’ ciò che può ricevere un determinato atto… ma anche questa risposta non soddisfa. Come cogliere allora i concetti di atto e potenza? Con un esempio dal quale poi il nostro intelletto è in grado di astrarre un concetto: il fuoco è caldo in atto, e l’acqua è calda in potenza, e può ricevere l’atto di esser calda dal fuoco. Oppure si possono fare altri esempi come il seme e la pianta, il bambino ed il vecchio ecc. Dall’analogia tra tutti questi esempi si coglie il concetto di potenza ed atto. Questa è la cosiddetta analogia di proporzionalità secondo la classica distinzione del Gaetano, che è l’unica vera analogia secondo Aristotele. Si chiama di proporzionalità perché non implica una somiglianza di perfezioni (cioè una proporzione): l’atto del fuoco non è l’atto della pianta; ma indica una somiglianza di rapporti tra perfezioni diverse (quindi una proporzionalità). Il fuoco sta all’acqua come la luce del sole sta all’aria. Da questa proporzionalità si coglie il concetto di atto, e così per tutti i principi più generali. Ovviamente più esempi facciamo e più avremo chiaro il concetto che cogliamo per analogia. In questo consiste l’esperienza. Il razionalismo moderno rifiuta l’analogia, ma finisce così per sprofondare nello scetticismo, nell’agnosticismo, perché chiaramente non ha altro modo di cogliere i principi, che di certo non possono essere oggetto di dimostrazione, perché la dimostrazione stessa richiede a sua volta dei principi. E questa è anche la vera essenza del realismo aristotelico, che rifiuta categoricamente di dedurre il reale dai principi, ma piuttosto è la continua ricerca e scoperta dell’implicazione dei principi nel reale stesso.
      Come Tommaso (in realtà Aristotele) deduce i principi del movimento? Con terminologia moderna (kantiana) si potrebbe effettivamente dire che partendo dall’osservazione di movimenti particolari, egli vada a cercare le condizioni a priori, le condizione della possibilità del movimento stesso, che quindi sono del tutto generali. Una deduzione trascendentale che però, realisticamente, è deduzione delle condizioni a priori dell’essere dell’ente, e non del presentarsi dell’ente al soggetto conoscente.

      E tutto questo valga solo come inizio. Adesso ho da lavorare, se ho tempo più tardi entro più nello specifico sul problema della matita. Ma confido che Licurgo saprà rispondere.

      0
      • Luigi Pavone ha detto:

        In primis, affermare che non si forniscono dimostrazioni con gli esempi non significa affermare che esiste una dimostrazione per tutto. Chi lo ha mai sostenuto? In secundis, la genealogia cognitiva dei concetti di atto e potenza non è pertinente, oltre ad essere affetta da un certo approccio moderno alle questioni che affronta Tommaso.

        Se questo è l’inizio, non oso immaginare la fine.

        0
        • Francesco Santoni ha detto:

          Intanto io ti ho mostrato qual è il vero valore degli esempi, che tu disconoscevi. Poi non puoi dire che le genalogia cognitiva dei concetti di atto e potenza non sia pertinente, perché in realtà sei stato proprio tu criticare la pretesa di Tommaso di ottenere una verità concettuale a partire dall’empirico. Infine ho utilizzato una terminologia moderna per esser più comprensibile ai moderni, Tommaso ovviamente ne usa un’altra, ma ciò non significa che quanto espresso non sia valido. In realtà, e questo personalmente l’ho appreso dal Maritain, il problema gnoseologico era ampiamente presente sia in Aristotele che in Tommaso. Solo che i moderni, da Cartesio in poi, con il contributo fondamentale di Kant, sono abituati a trattarlo in astratto, mentre negli antichi le questioni gnoseologiche si trovano sparse all’interno dei trattati di metafisica, cosmologia, teologia, psicologia ecc., perché realisticamente il problema del conoscere va di pari passo con la conoscenza stessa: per sapere cosa sia il conoscere è necessario avere un oggetto da conoscere. Nella Somma Teologica, quando serve, vengono trattate molte questioni gnoseologiche. Come dice Severino, cambiarà il linguaggio ed il metodo, ma gira gira i problemi della filosofia di tutti i tempi sono sempre gli stessi, e quello che ho detto io su Tommaso è perfettamente consistente con il suo pensiero anche se, come ho detto, l’ho espresso con un linguaggio moderno.

          0
          • Luigi Pavone ha detto:

            Qui si tratta di fare l’autopsia a un albero e tu disegni i lineamenti della foresta?!

            0
            • Francesco Santoni ha detto:

              Ma è proprio qui il punto. Vuoi una spiegazione rapida? Già c’è pronta, è quella di Tommaso. Però a te non sta bene. Perchè? Perché ti muovi in un paradigma diverso. Io non sono nato su un pianeta dove tutti sono tomisti, e come ti dicevo ci ho messo qualche anno a capire Tommaso, perché lo leggevo attraverso lo schermo del pensiero moderno. Se io, per fare un esempio che mi riguarda direttamente, spiegassi ad un altro fisico che, in un certo dispositivo elettronico, per l’iniezione di carica è determinante l’effetto tunnel quantistico, quello mi capirebbe subito; ma se questa stessa cosa dovessi spiegarla ad un fisico del 1800 sarei costretto a spiegare la meccanica quantistica a partire dai primi principi. Come dovrei allora reagire se mentre sto spiegando quello mi replicasse: “Qui si tratta di fare l’autopsia a un albero e tu disegni i lineamenti della foresta?!”. Un paradigma fornisce un armamentario concettuale utilizzabile da tutti: Tommaso risolveva le questioni in poche battute perché consapevolmente utilizzava strumenti concettuali appositi di cui tutti conoscevano il funzionamento. Per noi moderni non è più così facile, quindi sì, se vogliamo capire Tommaso, siamo costretti ad esplorare tutta la foresta del suo pensiero. E questo è quello che io ho fatto, e continuo a fare, negli ultimi anni. Io ero agnostico qualche anno fa, humeano convinto. Grazie a Tommaso e la sua metafisica sono diventato teista, ma è chiaro che non mi è bastato leggere un articolo nella Summa per cambiare: Tommaso mi ha indicato le cinque vie, ma io ho dovuto esplorarle e seguirle passo passo. Ora tu sei libero di fare quello che ti pare, ma se non sei disposto a seguire un approccio di ampio respiro è segno che Tommaso tu non VUOI capirlo, e allora è inutile discutere.

              0
      • Licurgo ha detto:

        Anche io fra un po’ dovrò staccare, ma sulla matita è una suggestione del nostro Luigi: mai Tommaso dice che l’agente esterno deve avere le caratteristiche dell’ente su cui agisce, ma che deve avere quelle necessarie ad essere agente esterno di quel moto, che non vuol minimamente dire essere uguale all’altro ente (un motore muove una ruota senza avere caratteristiche uguali a quelle della ruota).

        0
        • Luigi Pavone ha detto:

          Certo che mai lo dice. Non lo pensa proprio.

          0
          • Licurgo ha detto:

            Dunque, glielo ha messo in bocca lei.

            0
            • Luigi Pavone ha detto:

              Ho reso esplicito ciò che la dimostrazione di Tommaso della contraddittorietà dell’ente sensibile che muove da sé stesso implica. Quella dimostrazione implica che ogni movimento abbia la struttura esemplificata dall’esempio del fuoco, e cioè che il movente sia in atto ciò a cui il mosso tende nel movimento, perché se non è in atto ciò a cui il mosso tende, allora non c’è identificazione della potenza e dell’atto nel mosso nella misura in cui lo pensassimo causa del suo stesso movimento.

              Non mi fate rimpiangere A-theos=A-ethos per favore! 😀

              0
              • Licurgo ha detto:

                L’ente sensibile per Tommaso non muove da se stesso, le ho già spiegato perchè. Forse dovrebbe rifletterci un attimo.

                0
                • Luigi Pavone ha detto:

                  Ecco, allora mi tocca rimpiangerlo! 😀

                  0
                • Licurgo ha detto:

                  Scusi mi è partito.
                  La critica all’induzione, con cui lei tenta in ultimo di criticare l’assunto che ogni cosa riceve l’esistenza, dunque il mutamento, da altre, non vale per il solo fuoco ma per tutti gli esempi di mutamento che lei può vedere. E finchè non ne trova un altro l’induzione vale; ma vedrà che se ha capito il ragionamento le risulterà già inconcepibile alla mente a priori, dunque in quanto evidenza razionale non necessitante di esempi concreti che la comprovino, che possa esistere un ente che va al contrario dell’esperienza osservabile, perchè nulla può darsi l’esistenza da sè, dal momento che se non esiste non può fare nulla.

                  0
            • Leon ha detto:

              “Dunque, glielo ha messo in bocca lei.”

              X))

              0
  • Pino ha detto:

    Luca mi scusi, io sono un ignorante, perchè non fa una sintesi digeribile del pensiero di Kant comprensibile anche ad uno come me? Sinceramente non capisco perchè questi argomenti non possano essere spiegati in modo semplice e chiaro in modo tale che li possano comprendere anche i non iniziati.

    0
    • luca ferrara ha detto:

      Non è facile…In primo luogo dovrei spiegare molti concetti-chiave della filosofia a voce,cosa che non ho fatto altrimenti l’articolo necessitava del quadruplo delle pagine( del resto la filosofia nella forma scritta come insegna Platone perde molto). IN secondo luogo è la complessità del tema: il confronto tra due giganti del pensiero, sui quali già ho operato una semplificazione per metterli a confronto…
      E infine la redazione non mi ha chiesto una sintesi del pensiero di kant cosa che sarei disposto a fare, ma che ha poco senso visto gli ottimi manuali di filosofia presenti nel panorama editoriale italiano. SU Kant le consiglio il classico Abbagnano (precedente Fornero), se le risulta difficile provi con il Questionario di filosofia di Giovannini, edizione Sandron. Comunque per qualsiasi dubbio sono a sua disposizione…

      0
  • G.T. ha detto:

    “…non metto in discussione il metodo induttivo. Ciò che dico è che il modo in cui Tommaso cerca di fare di una verità sensibile una verità concettuale sembra fallire.”
    Anche fosse… (mi pare proprio assurdo francamente) potremmo dire che la verità sensibile è riscontrabile da tutti, quindi universale nelle sua essenza generale, nel suo core; ma conosciuta ai più nel suo aspetto intrinsecamente razionale, che poi è la vera scoperta di ogni uomo, trovarLo.

    0
    • Luigi Pavone ha detto:

      G.T. non è così. Tommaso intende fare dell’alterità del movente una necessità ontologica proprio per estendere la tesi dell’alterità del movente oltre l’ambito del movimento fisico.

      0
      • Licurgo ha detto:

        E io ripeto che se un ente potesse darsi il mutamento da solo ne deriverebbe che potrebbe darsi l’esistenza da solo. Se deve darsi l’esistenza vuol dire che non sta ancora esistendo. Bene, cio che non esiste non può far nulla (altrimenti già esisterebbe) dunque nemmeno può darsi l’esistenza.

        0
        • Francesco Santoni ha detto:

          Solo un ente composto può muovere se stesso, muovendo una parte rispetto all’altra.

          0
          • Licurgo ha detto:

            Abbiamo già visto che è un errore.
            Sono le parti che muovono il corpo. E il cervello da alla gamba l’impulso di muoversi.
            Altrimenti potremmo dire che la macchina muove se stessa perchè il motore muove la ruota.

            0
            • Licurgo ha detto:

              Le ho anche inoltre già spiegato che l’ente composto per esistere e sviluppare l’entelechia ha continuamente bisogno di agenti esterni.
              Provi a stare senz’acqua, cibo e aria poi mi dice.
              Capisco che voglia ormai dar contro a Tommaso, ma il rumore di unghie sugli specchi si sente fin qua (a meno che lei non abbia letto bene il discorso o non lo abbia capito).

              0
              • Licurgo ha detto:

                E, per finire, le domando retoricamente di nuovo: può un ente composto darsi l’esistenza da sè?

                0
                • Licurgo ha detto:

                  @ Santoni.

                  Mi scusi tanto mi pareva che fosse un’ obiezione di Pavone.
                  Però, fuor di galateo, la sua osservazione è secondo me imprecisa: dal punto di vista del moto si tratta sempre di suddivisioni in parti diverse, visto che la gamba muove il tronco e il cervello muove la gamba. Il fatto che sia un ente composto (ovvero un individuo) dal punto di vista del moto è ininfluente, e temo che potrebbe generare ulteriori confusioni in un Pavone che mi pare già molto confuso di suo sulle basi stesse dell’aristotelismo

                  Detto questo, il mutamento inizia sempre con il pervenire all’esistenza, e la necessità logica dell’agente esterno (e se è necessità logica non è pura osservazione come direbbe Pavone) è proprio che ciò che non esiste non può darsi l’esistenza.

                  Mi scusi la maleducazione, ma qua con tutti questi interventi di palo in frasca si richia di ingaburgliarci, e a me è appena successo.

                  0
                • Francesco Santoni ha detto:

                  Ma io non sto dando contro a Tommaso, l’ho difeso per tutta le discussione… ho solo fatto una precisazione specificando l’unico caso in cui un ente possa muoversi da sé, ovvero muovendo una parte rispetto all’altra, come nel caso di tutti gli animali.

                  Ovvio che un ente non possa darsi l’esistenza da sé, però non dobbiamo confondere gli argomenti. La via ex motu arriva a dimostrare l’esistenza di un motore immobile, che però non è affatto detto che sia unico (ed infatti Aristotele ammette l’esistenza di diversi motori). Per concludere invece all’unicità di Dio, concepito come Atto Puro, in cui Essenza ed Essere coincidono (ipsum esse per se subsistens), bisogna mettere insieme ed approfondire gli argomenti di tutte le vie. In genere si pensa che la dimostrazione tomista dell’esistenza di Dio si concluda con le cinque vie, ma esse in realtà portano solo a concludere che ci deve essere qualche motore immobile, qualche ente necessario ecc. Serve poi ulteriore speculazione per arrivare al Dio Unico, Onnipotente, Onnisciente, Infinito, Perfettissimo; speculazione che Tommaso nella Summa Teologica espone nelle successive questioni del Trattato sull’essenza di Dio, il quale comprende altre 24 questioni dopo quella in cui si espongono sinteticamente le cinque vie. Ed il problema è trattato in modo ancora più approfondito nella Somma Contro i Gentili. Insomma chi pensa di comprendere Tommaso semplicemente leggendosi le cinque vie, non ha capito nulla del suo pensiero.

                  0
                  • Luigi Pavone ha detto:

                    Che le cose stiano come tu le esponi non lo metto in discussione, d’altra parte a me non piace leggere (e tanto meno capire) i filosofi. A me piacciono i gialli e la fantascienza.

                    Però resta da capire qual è la contraddizione nella posizione di un ente (perfino un ente semplice) che muove sé stesso. Tommaso fa un certo discorso a tal riguardi che secondo me è sbagliato, perché la nozione di ente (perfino semplice )che muove sé stesso non implica l’identificazione della potenza e dell’atto.

                    0
                  • Licurgo ha detto:

                    Santoni.

                    Dicendo che dava contro Tommaso, ero convinto che fosse Pavone, per questo ho risposto così.
                    Su Aristotele il discorso è quantomai complesso, nel senso che -se non ricordo male- quando nella Fisica parla dei motori immobili ne individua una cinquantina circa (non ricordo bene il numero, ma erano tanti quanti le categorie del moto), ma quando parla nella Metafisica di Atto Puro ne parla, se non ricordo male, sempre al singolare usando il termine theos.
                    Ovvio che poi Tommaso sviluppa enormemente gli accenni che Aristotele fa dell’atto puro, ma è da capire se Aristotele, pagano politeista, pensasse ad una serie di motori immobili per il moto fisico e ad un atto puro che sia superiore ad essi (contando anche che Aristotele, come tutti i greci, non pensava alla creazione ex nihilo).

                    Fuori di questa questione, l’obiezione di Santoni è questa: dire che ogni ente riceve il mutamento da un agente esterno è constatazione fenomenica che indebitamente -e, secondo Pavone, al fine di garantire l’esistenza del primo motore- Tommaso (e, relativamente a questa questione noi possiamo dire, anche Aristotele) trasforma in necessità di ragione.
                    Invece, dicendo che un ente può darsi il mutamento da solo ne deriva che dovrebbe poter darsi l’esistenza da solo mentre non esiste, che è un assurdo logico che in quanto tale non richiede alcuna empiria.
                    Dunque, l’agente esterno è una necessità di ragione.
                    Questo era quel che volevo dire, rivolgendole di nuovo le mie scuse.

                    0
                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Come fa a parlare così tanto con un mal di denti in corso? 😀

                      “dicendo che un ente può darsi il mutamento da solo ne deriva che dovrebbe poter darsi l’esistenza da solo mentre non esiste”

                      Dunque, se lei ha una dimostrazione per ciò che dice la prenderemo in analisi, se invece non l’ha, non sarebbe meglio evitare di fomentare l’idea malsana che la filosofia è quella disciplina in cui ci si alza la mattina e si dice quel che si vuole, meglio se stucchevole.

                      0
                    • Licurgo ha detto:

                      Se, come lei dice essere il salto indebito di Tommaso, sostenere che un ente per ricevere il moto (ovvero il mutamento) necessita di un agente esterno sia una constatazione empirica indebitamente elevata al rango di verità di ragione, ne deriverebbe che, essendo il pervenire all’atto di esistere dalla potenza dell’esistere il primo mutamento di un ente, esso dovrebbe darsi l’esistenza da solo.
                      Dunque, sviluppando le implicazioni della sua affermazione…lo ha detto lei implicitamente.

                      0
                    • Licurgo ha detto:

                      Pavone.

                      Perderò ancora un po’ di tempo cercando di fornirle alcuni strumenti concettuali, partendo dal suo ultimo assunto

                      Lei sostiene che qualcosa, una volta creato, potrebbe darsi il mutamento da sè.
                      Gli angeli -forme pure- sono creati, dunque hanno il primo mutamento, ma non si danno nello spaziotempo, dunque una volta creati (e creati fuori dal tempo, dunque non c’è un tempo creativo) non mutano più.
                      Ecco perchè dicevo che nè nel mondo materiale, nè in quello spirituale può darsi ciò che dice lei (qualcosa di creato che si fornisce da solo il successivo mutamento): nel mondo materiale ciò che è creato continua a mutare nel tempo e attraverso agenti esterni che, se si parla di organismi vivi, agiscono continuamente per dare l’entelechia; nel mondo spirituale perchè oltre all’atto creativo non c’è più mutamento…dunque in nessuno dei due casi un ente creato si procura alcn mutamento da solo, che era ciò che sosteneva lei, senza nemmeno specificare a quale ordine di realtà si riferisce.
                      Dunque qualcosa che viene creato e poi si procura il moto da solo non è proprio nè della materia nè dello spirito, e quindi non vi è contraddizione alcuna nel pensiero aristotelico (perchè non è mica farina del mio saccco, ma è farina del sacco aristotelico).
                      Sul rapporto materia e forma nel sinolo (che è il problema successivo che lei pone), è troppo complesso parlarne ora anche perchè non ci interessa nemmeno e complica le cose; d’altronde potrebbe studiarselo da solo o chiedere anzichè stare a confutare ciò che non ha ben studiato e dunque non conosce.

                      0
                  • Licurgo ha detto:

                    Pavone.

                    Non sapevo che per scrivere si usassero i denti, e poi, grazie agli agenti esterni è passato.

                    Io non devo dimostrare nulla: è lei che, affermando che l’agente esterno non è una necessità di ragione, cade nell’assurdo logico appena mostrato.
                    Sta a lei smentirlo, ovvero dimostrare che ciò che non esiste può darsi l’esistenza da solo. Se non può farlo (e la logica dice che non può farlo) ne deriva che l’agente esterno è necessità di ragione e dunque la sua tesi è confutata.

                    E’ lei che sta dicendo quel che le salta in mente o le piace, io sto solo portando le contraddizoni che le sue affermazioni, ove sviluppate, contengono.

                    0
                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Mi scusi Licurgo, ma l’affermazione seguente

                      “Dicendo che un ente può darsi il mutamento da solo ne deriva che dovrebbe poter darsi l’esistenza da solo mentre non esiste”

                      è mia o sua? Se è sua la dimostri cortesemente.

                      0
                    • Licurgo ha detto:

                      Se, come lei dice essere il salto indebito di Tommaso, sostenere che un ente per ricevere il moto (ovvero il mutamento) necessita di un agente esterno sia una constatazione empirica indebitamente elevata al rango di verità di ragione, ne deriverebbe che, essendo il pervenire all’atto di esistere dalla potenza dell’esistere il primo mutamento di un ente, esso dovrebbe darsi l’esistenza da solo.
                      Dunque, sviluppando le implicazioni della sua affermazione…lo ha detto lei implicitamente.

                      0
                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Ma che sta blaterando Licurgo?! Se il venire all’esistenza è un tipo di movimento, ci saprebbe dire chi è il mosso e chi è il movente?

                      Anche sotto l’ipotesi che il venire all’esistenza sia un tipo di movimento, questo vorrebbe soltanto dire che l’ente contingente ha una causa esterna, ma non esclude che una volta esistente possa muoversi in virtù di sé stesso.

                      0
                    • Licurgo ha detto:

                      Pavone.

                      Mi scusi ma lei o non legge, o non ha le basi o entrambe le cose.
                      Il mosso, nella fattispecie che propone, è l’ente che deve venire all’esistenza, il movente i genitori che lo generano (l’agente esterno può anche essere una molteplicità, già detto) o, nel caso del passaggio seme/pianta, l’aria l’acqua e le cure umane.
                      Le ho anche già spiegato che gli organismi viventi, per mantenere lo sviluppo interno, hanno continua necessità di agenti esterni; provi ad andare avanti senza cibo, acqua o aria e vedrà se ha bisogno degli agenti esterni…

                      Io credo che lei abbia qualche problema non su Tommaso, ma sui fondamentali dello stesso Aristotele, visto che sono cose lampanti.

                      0
                    • Luigi Pavone ha detto:

                      “Il mosso è l’ente che deve venire all’esistenza”

                      Come fa a muoversi un non-ente o un non ancora ente?

                      Poi le ripeto che anche sotto l’ipotesi che il venire all’esistenza sia un tipo di movimento, questo vorrebbe soltanto dire che l’ente contingente ha una causa esterna, ma non esclude che una volta esistente possa muoversi in virtù di sé stesso. In altre parole l’esistenza di un movimento autonomo da parte di un ente sensibile non implica che quell’ente si sia autocreato, cioè è possibile pensare che Dio crei un ente dotato della capacità di muoversi senza l’intervento di enti ad esso esterno.

                      0
                    • Licurgo ha detto:

                      Allora, Pavone, il moto in filosofia -evidentemente al terzo giorno ancora non lo ha capito- è il mutamento, di cui il moto fisico è solo una delle tante declinazioni, come le è stato ampiamente detto.
                      Sulla necessità degli agenti esterni per mantenere la vita di un organismo, ovvero il mutamento perchè vivere significa metabolizzare e svilupparsi nel tempo (e il tempo altro non è che la misura del mutamento) le ho risposto appena sopra e non i torno. Vada avanti qualche giorno senza mangiare, bere e introdurre ossigeno e si accorgerà della necessità degli agenti esterni più di mille parole.
                      E, se ha un minimo di acume o di onestà intellettuale, si accorgerà che ciò che ancora esiste solo in potenza, per esistere in atto (ovvero il primo mutamento) ha bisogno che i genitori lo generino.
                      Un ente che esiste in potenza (dunque un potenziale ente…per capirci: un seme di pero è in potenza un pero, non potrà mai però farlo da solo ma attraverso sole e acqua; ma, essendo un pero in potenza mai potrebbe venire da un pero un astronave o un cavallo, perchè è impossibile anche in potenza) non può che venire in atto tramite un (o più) agente esterno già esistente (dunque in atto per quel moto), mai da solo, e questa è un’evidenza razionale che come tale è intuitiva alla mente.
                      Un pezzo di legno grezzo non potrà mai diventare un legno lavorato se non lo lavora qualcuno.

                      Evidentemente aveva ragione chi all’inizio diceva che lei non capisce che il moto significa il mutamento, e si vede che non lo ha capito; altrimenti le resterebbe palese che un ente ancora non esistente non possa darsi l’esistenza da solo. Nel caso in cui dice l’ente è l’ente in potenza che entra in atto.

                      0
                    • Licurgo ha detto:

                      Appunto, il non-ancora-ente non può darsi il mutamento verso l’ente ma gli può essere dato solo da un ente esterno (o più) già esistente (o già esistenti).
                      Ovvio che si considera, dal momento che si parla di un ente, la sua realizzazione in atto e da lì si considera a ritroso la potenza.
                      Il fatto che lei usa ‘muoversi’, anzichè ‘essere mosso’ (ovvero essere portato all’esistenza) è rivelatore della sua scarsa propensione all’argomento.

                      0
                    • Licurgo ha detto:

                      In ultimo, caro Pavone, come ben saprà la filosofia deve partire dalla realtà e non da qualche romanzo fantasy da lei partorito.
                      La materia si da nello spaziotempo e attraverso il mutamento, che siano le mutazioni sostanziali o quello interno dell’entelechia e per indurre il mutamento ci vuole l’agente esterno.
                      Lei pur di aver ragione ipotizza che Dio possa creare un ente che, ricevuta da lui l’esistenza, muti senza agenti esterni.
                      Tutto questo non può avvenire per come è strutturata la materia, nè per le forme pure, giacchè, essendo esse immateriali, sono create ma non mutano proprio.
                      Quindi non si sa di che si parla: ecco dove si arriva quando si vuole aver ragione.
                      Un realista, come Tommaso, nemmeno prenderebbe in considerazione una fantasia, ma voglio prenderla sul serio.
                      Anche ammettendo che possa esistere un mondo materiale che muta senza l’agente esterno (però se così fosse non sarebbe materiale, giacchè la materia funziona col mutamento lo spazio il tempo e le cause seconde o agenti esterni… e come visto neppure spirituale), l’esistenza la riceverebbe da Dio, quindi mancherebbero le cause seconde (gli agenti esterni) ma non l’atto creativo, ovvero il mutamento primo e fondamentale, il passaggio dalla potenza all’atto dell’esistenza tramite l’agente esterno, che in questo caso sarebbe direttamente Dio.
                      Dunque, anche parlando di nulla (perchè le sue fantasie a livello razionale-filosofico sono il nulla) la causa efficiente non sarebbe eliminata, perchè essa sarebbe la causa prima stessa, cioè Dio.

                      0
                    • Luigi Pavone ha detto:

                      “Tutto questo non può avvenire per come è strutturata la materia, nè per le forme pure, giacchè, essendo esse immateriali, sono create ma non mutano proprio”

                      Lei si contraddice un poche righe. Prima dice che il passaggio all’esistenza sia una forma di mutamento da parte dell’ente che viene all’essere, poi dice che le forme, pur essendo create — e quindi a suo dire soggette a mutamento — non mutano in ragione della loro immaterialità. Incredibile. Comunque, affinché qualcuno non prenda per vero ciò che lei dice, per via del suo atteggiarsi ad esperto, occorre precisare, di passaggio, che la ragione per la quale le forme non mutano non è l’immaterialità. L’immaterialità non implica l’immobilità. Si può essere immateriale e ciononostante mutare. In Tommaso, per esempio, le forme sussistenti, possono mutare pur non essendo materiali.

                      0
                    • Licurgo ha detto:

                      Scusi Pavone, avevo sopravvalutato la sua conoscenza.
                      Le forme pure, di cui ho parlato, già in Aristotele e poi in Tommaso sono nè più nè meno che gli angeli, che, in quanto pura forma e fuori dallo spaziotempo non mutano.
                      Gli altri mutamenti di cui parla non riguardano le forma ma il sinolo, di cui la forma è principio assieme alla materia.
                      Le consiglio di studiare di più prima di intervenire su ciò che non conosce.

                      0
  • Leon ha detto:

    Whooo X) è partità la guerra tra humiani e aristotelici.

    “Tempi uguali non significa tempi diversi.Tempi diversi non significa tempi uguali.”Il principio di contraddizione vale solo per tempi “del medesimo istante”,io posso camminare e non camminare in tempi diversi.

    Atto è potenza nell’ente avvengono in tempi uguali o in tempi diversi?Contemporaneamente significa nello stesso tempo,non mi sembra che una cosa sia contemporaneamente atto e potenza,vero condiviso, infatti viene prima l’atto della potenza,”prima” e dopo,dunque non nello stesso tempo, come dice sia Aristotele sia D’Aquino.

    Ma dell’ente si può dire in molti modi,tranne i sofismi,non sono stati confutati nè l’Aquinate nè Aristotele, ma la propria deffinizione di ente, giustamente tale deffinizione di ente è contraddittoria,ma è la propria deffinizione di ente.

    0
  • Licurgo ha detto:

    Pavone (scrivo aqui perchè nel discorso me lo mette fuori posizione).

    Perderò ancora un po’ di tempo cercando di fornirle alcuni strumenti concettuali, partendo dal suo ultimo assunto

    Lei sostiene che qualcosa, una volta creato, potrebbe darsi il mutamento da sè.
    Gli angeli -forme pure- sono creati, dunque hanno il primo mutamento, ma non si danno nello spaziotempo, dunque una volta creati (e creati fuori dal tempo, dunque non c’è un tempo creativo) non mutano più.
    Ecco perchè dicevo che nè nel mondo materiale, nè in quello spirituale può darsi ciò che dice lei (qualcosa di creato che si fornisce da solo il successivo mutamento): nel mondo materiale ciò che è creato continua a mutare nel tempo e attraverso agenti esterni che, se si parla di organismi vivi, agiscono continuamente per dare l’entelechia; nel mondo spirituale perchè oltre all’atto creativo non c’è più mutamento…dunque in nessuno dei due casi un ente creato si procura alcn mutamento da solo, che era ciò che sosteneva lei, senza nemmeno specificare a quale ordine di realtà si riferisce.
    Dunque qualcosa che viene creato e poi si procura il moto da solo non è proprio nè della materia nè dello spirito, e quindi non vi è contraddizione alcuna nel pensiero aristotelico (perchè non è mica farina del mio saccco, ma è farina del sacco aristotelico).
    Sul rapporto materia e forma nel sinolo (che è il problema successivo che lei pone), è troppo complesso parlarne ora anche perchè non ci interessa nemmeno e complica le cose; d’altronde potrebbe studiarselo da solo o chiedere anzichè stare a confutare ciò che non ha ben studiato e dunque non conosce.

    0
    • Luigi Pavone ha detto:

      Grazie Licurgo. In effetti sono un po’ arrugginito con la filosofia.

      0
    • Francesco Santoni ha detto:

      Licurgo, qui devo farti una precisazione. Secondo la dottrina tomista gli angeli sono forme pure, pertanto non hanno moto nello spazio e sono incorruttibili. Ma sono esseri intelligenti, che pertanto ricevono le forme intelligibili (direttamente da Dio, secondo la dottrina di Tommaso, che in questo caso coincide con la teoria agostiniana dell’illuminazione, perché non avendo gli angeli organi di senso, che sono materiali, non potrebbero astrarre le forme intelligibili dai fantasmi, ovvero le immagini che la facoltà sensitiva presenta all’intelletto). Ora il ricevere le forme intellegibili è comunque un mutamento, e pertanto, dal momento che il tempo non esiste in sé, bensì è la misura del moto, anche gli angeli hanno un loro tempo interno definito da quello che noi oggi siamo abituati a chiamare “flusso di coscienza”.

      0
      • Licurgo ha detto:

        Sì, Francesco (ti do del tu anche io a questo punto), hai perfettamente ragione.
        Però, essendo l’angelo pura forma e dunque non necessitante dell’esperienza sensibile, la recezione delle forme intellegibili è stata sempre compresa dal sottoscritto come immedesimabile nell’atto creativo, per questo non mi trovo molto concorde, a primo impatto, con quel che dici riguardo il flusso di coscienza, nel senso che io ho sempre capito la presenza delle forme intellegibili in un tuttuno con il pervenire all’esistenza della forma pura stessa, e dunque senza che in essi vi sia altro mutamento fuori del pervenire all’esistenza.
        Ma posso benissimo aver preso un granchio: vedrò di ripassare la materia, e la ringrazio della precisazione, sempre istruttiva per migliorare le proprie conoscenze

        0
        • Francesco Santoni ha detto:

          Riguardo a darsi del tu in realtà io non ci ho neanche pensato, è stato del tutto spontaneo, semplicemente perché in rete è comune darsi del tu sempre e comunque. Credo che tale usanza nasca dal fatto che inizialmente la rete era esclusiva dei soli smanettoni, che pertanto essendo tutti di un certo ambiente, nelle comunicazioni non usavano tante formalità. Poi la cosa è rimasta anche dopo la popolarizzazione di internet.

          Sull’intelletto potenziale degli angeli credo che questo passo invece sia chiaro:

          Iª q. 58 a. 1 co.
          Come fa osservare il Filosofo, l’intelletto può essere in potenza in due maniere: primo, “avanti di apprendere o di scoprire”, cioè prima di avere l’abito della scienza; secondo, quando “pur avendo l’abito della scienza, uno non se ne serve”. Nel primo modo 1’intelletto dell’angelo non è mai in potenza rispetto a quelle cose che la sua cognizione naturale può raggiungere. Infatti come i corpi superiori, ossia quelli celesti, non hanno alcuna potenzialità nell’ordine dell’essere che non sia colmata dall’atto; così le intelligenze celesti, ossia gli angeli, non hanno alcuna potenzialità di ordine conoscitivo che non sia perfettamente colmata dalle specie intelligibili ad essi connaturali. – Tuttavia niente impedisce che il loro intelletto sia in potenza rispetto alle cose che vengono ad essi rivelate da Dio: poiché, analogamente, anche i corpi celesti sono talora in potenza rispetto alla illuminazione del sole.
          Nel secondo modo l’intelletto angelico può essere in potenza rispetto alle cose che raggiunge con la sua cognizione naturale: l’angelo infatti non considera sempre attualmente tutte le cose che conosce con la sua cognizione naturale. – Rispetto invece alla cognizione del Verbo, e di tutto ciò che vede nel Verbo, non è mai in potenza: perché egli sempre attualmente ha fisso lo sguardo sul Verbo e su quanto vede in lui. La beatitudine degli angeli consiste infatti in questa visione: e la beatitudine non consiste in un abito, ma in un atto, come insegna il Filosofo.

          0
          • Licurgo ha detto:

            Francesco.

            Guarda, il mio dare del lei è solo un’abitudine; non pretendo che lo si dia a me, e anzi mi impegnerò a dare del tu anche io, visto che ho capito che in rete si usa così.

            Grazie del passo: credo vi sia poco da aggiungere e ne farò tesoro.

            Ovviamente, per non tornare nei vecchi discorsi, come hai detto tu, il fatto che gli angeli abbiano mutamento ulteriore al passaggio dalla potenza all’atto dell’esistenza non rende vera la teoria di Luigi sul darsi il mutamento da sè, visto che le forme intelegibili vengono ricevute direttamente da Dio: dunque anche qua c’è un agente esterno, che è direttamente la causa prima, visto che, come hai detto bene sopra, le cause seconde valgono solo per il mondo materiale, sia perchè ci sono le leggi di natura sia perchè gli enti materiali devono apprendere dall’esperienza, e l’esperienza è immersa nella materia e nelle sue leggi.
            Ti ringrazio tanto.

            0
            • Francesco Santoni ha detto:

              Comunque la soluzione all’obiezione di Pavone a me pare chiara. Lui dice che un ente che muova se stesso non implica l’identificazione di potenza ed atto. Ma è proprio questo il punto: se in un ente si possono distinguere potenza ed atto allora tale ente non è semplice, ed il suo moto non sarà altro che il moto della parte in potenza, mossa dalla parte in atto, e quindi il muoversi da sé è sempre un muoversi secondo una parte e non secondo tutto se stesso. Anche l’angelo appunto non è veramente semplice. E’ semplice relativamente al fatto di non essere composto di materia e forma. Tuttavia l’essenza dell’angelo è distinta dall’atto d’essere; pur essendo una forma sussistente, tale forma è finita, determinata, non esaurisce le infinite perfezioni dell’atto d’essere, e quindi può sempre esser soggetta ad ulteriori attuazioni, ovvero al mutamento, che in questo caso è puramente intellettuale ovvero spirituale.

              0
  • Licurgo ha detto:

    Caro Luigi, dopo tutta la diatriba io dico che ciò che le manca è una base solida dei classici e ciò che ha di troppo è un certo pregiudizio verso il tomismo.
    Ma ha un notevole acume intellettuale e si vede dalle obiezioni, che sono comunque obiezioni molto intelligenti.
    Per cui, a mio modesto parere, il filosofo in potenza (tanto per scherzare su questi argomenti) c’è indubbiamente.

    0
  • Leon ha detto:

    E impossibile che la materia particolare si dia l’essere da sè.

    Sarebbe come affermare che “un’individuo si è datto l’essere da solo senza bisogno dei genitori.”E’ necessario un agente esterno affinche ci sia un individuo.Oppure, bisogna amettere che ogni “individuo esista senza i genitori”.O ancora amettere che ,a un livello più moderno,che una molecola (agregato di parti) non necessità dello stesso agregato di parti (gli atomi parti singole) perchè sia molecola (agregato di parti) è impossibile.E’ contradditorio,infatti sono necessarie le parti particolari per avere “l’agregato di parti”.L’agregato di parti è dipendente dalle singole parti dunque senza le singole parti non può sussistere l’agregato di parti,in quanto significherebbe come le ha detto Licurgo,far partire dal nulla l’agregato,”sarebbe come a dire che un’uomo si materializzasse bambino” dal nulla,il che può essere essere possibile idealmente solo nel pensiero.Posso in un pensiero tramite l’imaginazione e non la ragione,imaginare un bambino e materializzarlo in una idea,ma la mia imagginazione non è valida empiricamente proprio,non ha riscontri.Posso pensarlo ma non posso percepirlo in natura.

    "3... Né vale il ricorrere al processo in infinito delle cause producenti, con dire che tutti gli enti esistenti non hanno avuto già principio, ma sono stati prodotti dalla materia eterna, dipendendo l'uno dall'altro per una infinita serie di cause. Non vale, dico; perché essendo tutti questi enti dipendenti l'uno dall'altro, come vuol supporsi, per necessità dee ammettersi un primo principio indipendente, dal quale abbiano avuta la loro origine; altrimenti bisognerebbe dire che tutti questi enti da una parte sono dipendenti, giacché l'uno dipende dall'altro; ed all'incontro ch'essi, aggregatamente presi, sieno indipendenti, sicché da niun primo principio abbian ricevuta la loro origine. Oltreché la materia in niun modo ha potuto essere stata eterna e senza principio, perché non essendo stata questa materia che un aggregato d'oggetti materiali particolari che non hanno potuto aver l'essere da sé, tutti han dovuto riceverlo da un principio superiore e indipendente dalla materia.
    4. Replicano; ma non corre l'argomento dal distributivo al collettivo, cioè dalle parti al tutto; p. e., dicono: ogni pietra di questo palagio è piccola, ma non perciò può dirsi che questo palagio ancora è picciolo. Ma si risponde che tal argomento dalle parti al tutto allora non vale, quando si parla de' predicati accidentali dell'oggetto, come circa la quantità delle parti, grandi e piccole; ma ben vale quando si parla de' predicati essenziali appartenenti alla natura della cosa che astraggono dalla distribuzione o collezione delle parti. Sicché ben vale il dire: ciascuna pietra è materiale, dunque tutto il palagio è materiale ancora: ciascun uomo è ragionevole, dunque tutto il genere umano è ragionevole. Se dunque ciascuna causa circa la produzione degli enti è dipendente, tutta la loro serie anche è dipendente. Che sieno poi infinite queste supposte produzioni degli enti materiali, niente importa di più, perché la loro infinità è ad esse estrinseca, e non muta la loro natura d'esser tutte dipendenti; onde, se non si desse la prima cagione, da cui abbiano ricevuta la loro nascita, niuna d'esse esisterebbe..." (S.Alfonso Maria de Liguori,allievo di Vico)

    0