L’irriducibilità dell’uomo alla macchina


 
 

di Giorgio Masiero*
*fisico e docente universitario

 
 

Ogni 4 anni, al Congresso Internazionale dei Matematici, è assegnata la medaglia Fields ai giovani ricercatori qualificatisi per le scoperte più rilevanti. Il premio è soprattutto onorifico, a meno che la scoperta non rientri tra i “7 problemi del Millennio” del Clay Institute: allora ai 15.000 dollari canadesi della medaglia Fields si aggiunge il premio Clay di 1.000.000 di dollari USA. L’ultimo congresso si è svolto nel 2010 a Hyderabad ed ha assegnato solo medaglie Fields; nel precedente di Madrid invece, al russo Grigori Perelman era toccato anche il premio Clay per la dimostrazione della congettura di Poincaré, una questione che resisteva da un secolo agli assalti della ragione. La descrizione del problema e degli altri 6 ancora irrisolti si può trovare nel sito del Clay. A sorpresa Perelman non si mosse dalla sua San Pietroburgo per ritirare i premi, limitandosi a dire agli esterrefatti cronisti: “Ho risolto il problema, tanto mi basta”. Mostrava così la gioia perfetta di chi, col solo uso della mente, in anni di riflessioni dedicate a coniugare l’intuizione all’inferenza in vista d’un obiettivo, era riuscito a scalare difficoltà logiche inimmaginabili.

I moderni computer, implementati dei software adeguati, possono per la loro velocità di calcolo risolvere problemi complessi, che richiederebbero tempi astronomici al calcolo umano, ma hanno gravi limiti. Quali sono? Da che cosa traiamo indicazioni sui loro ambiti? L’unico giudice dei limiti dell’algoritmo e del processore è la ragione umana! Forse un giorno saranno dimostrati tutti i problemi del Clay; o forse no: per alcuni la dimostrazione potrebbe essere preclusa ad ogni tecnica. I due teoremi d’incompletezza di Gödel (1931) impattano proprio la capacità dell’algoritmo di dimostrare proposizioni matematiche e di costruire teorie scientifiche coerenti. Stando al primo teorema esistono in aritmetica, e quindi in tutta la matematica (di cui l’aritmetica costituisce il nucleo) e in tutte le scienze naturali (di cui la matematica è il linguaggio), enunciati veri che non si possono dimostrare per via algoritmica. Non è una questione di completezza degli assiomi, né di capacità di memoria, né di velocità elaborativa: semplicemente non esiste la procedura! Un esempio di questione matematica indecidibile fu trovato una cinquantina d’anni fa, con uno spettacolare teorema che procurò all’americano Paul Cohen la medaglia Fields nel 1966: è l’ipotesi del continuo di Cantor. Una delle prime domande su cui conto di avere risposta nell’altro mondo la riguarda: esistono infiniti intermedi tra i numeri naturali ed i reali?

La presenza di limiti all’algoritmo, tuttavia, ci è anche utile in questo mondo. Tornando alla lista Clay, leggiamo tra i 6 problemi irrisolti la sigla P vs NP. Essa sta ad indicare una questione cruciale in molti problemi d’ottimizzazione industriale, per es. nel process scheduling. Un problema è classificato tra quelli P (polinomiali) se è risolvibile in tempi ragionevoli da un calcolatore, magari dotato di velocità del processore e di capacità della RAM superiori a quelle odierne; rientra invece tra quelli NP (non polinomiali) se può essere risolto soltanto in modo bruto attraverso l’immissione ed il controllo di tutte le combinazioni e se richiede allo scopo un dispendio di risorse superiori all’età e all’energia dell’Universo. Non pensare, caro lettore, che i problemi NP riguardino chissà quali situazioni astratte: prova, se ci riesci, a calcolare il tragitto più corto per visitare in un unico giro 10 amici, abitanti in 10 località sparse della tua regione; o quello per la distribuzione giornaliera di un centinaio di pacchi di uno spedizioniere locale. Insomma un problema NP, anche se risolubile in teoria (da una “macchina di Turing”), non lo è in pratica: è oltre il limite fisico della tecnica…, a meno che con qualche scorciatoia matematica non sia traducibile in un problema di tipo P. La sfida posta dal Clay consiste proprio in ciò: i problemi NP sono sempre riducibili a problemi P?

Ricordate i numeri primi? Sono quelli divisibili solo per 1 e per se stessi: 2, 3, 5, 7, 11,… Anche se sembra ripetersi indefinitamente la stranezza di trovare ogni tanto due primi attaccati, detti “gemelli” (…, 107, 109, …, 599, 601, …, 821, 823, …), avanzando si diradano in media sempre più, ma sono infiniti (teorema di Euclide, III sec. a.C.): ciò significa che ne esistono di grandi quanto si vuole, anche da mille o un milione di cifre. La scomposizione poi è l’operazione che fattorizza un numero non primo (“composto”) nei suoi fattori primi, per es. 60 = 2 × 2 × 3 × 5. Se il numero composto non è troppo grande, la scomposizione è facile: se è pari si divide per 2, poi si prova per 3, poi per 5, ecc. Quando il numero è molto grande si ricorre ai calcolatori. Oggi, con sofisticati algoritmi che utilizzano recenti scoperte matematiche sulla distribuzione dei numeri primi (alcune, bellissime, hanno procurato nel 2006 una medaglia Fields all’australiano Terence Tao), un normale pc ci può dire in tempi ragionevoli se un dato numero di qualche centinaio di cifre è primo o no, e ci può anche trovare un nuovo primo di tali dimensioni. Non esiste tuttavia nessun software per nessun computer (sia pure il super-computer di Standard & Poor, o il K computer di Kobe da 8 milioni di miliardi di istruzioni al secondo, né quello 1.000 volte più veloce di cui si disporrà tra 10 anni) che sappia scomporre in tempi fisici il prodotto di due numeri primi di alcune centinaia di cifre.

Questa almeno è la situazione allo stato delle nostre conoscenze matematiche, dove la scomposizione resiste come problema NP. Sui tempi ultramondani della fattorizzazione di grossi numeri si fonda gran parte della crittografia per la sicurezza di internet (scambio dati riservati, transazioni bancarie, privacy, reti di trasporto, infrastrutture energetiche, comandi militari, ecc.). Così, quasi per una legge del contrappasso, quella finitudine dell’algoritmo che in apparenza ne denota negativamente i tratti applicativi, si trasforma nella capacità di dare sicurezza alle transazioni mondiali. Una tecnica onnipotente implicherebbe software capaci di fattorizzare tutti i numeri e di scardinare ogni crittografia; quindi sicurezza nulla ed impossibilità di transazioni riservate via internet; quindi, in definitiva, l’annullamento di ogni utilità del web, ridotto a veicolo di spam. Invece una tecnologia performante limitata consente una sicurezza che seppur finita resta performante: una sicurezza accettabile, pur se labile come ogni cosa di questo mondo, minacciata sempre da un hacker che trovi, forse domani, forse tra qualche anno, la via per districare il problema NP della scomposizione e tradurlo in uno di tipo P.

Morale. Giorni fa, prima di ritirare l’auto dal parcheggio a pagamento, sono passato alla cassa automatica e, trovatomi senza spiccioli, ho usato la mia carta di credito con chip e pin “ultrasicura, di ultima generazione” (secondo lo slogan della banca emittente): inseritala nello slot dedicato, ho digitato il pin sulla tastiera ed atteso la restituzione della carta. Tardando questa ad uscire, ho premuto il tasto “Annulla operazione” e l’ho estratta manualmente. Apparso comunque il messaggio di “Transazione eseguita”, me ne sono uscito tranquillamente dal parcheggio. A tarda serata però, un sms mi avvertiva che un acquisto di 1.659 € era appena stato eseguito in un negozio di confine con la mia card. Me l’avevano clonata! Realizzai allora che a rallentarne l’uscita dallo slot era stato uno skimmer fraudolentemente applicatovi per clonare il badge… e che la zingarella aggirantesi intorno alla cassa, apparentemente impegnata a richiedere un obolo ai passanti, era lì allo scopo di controllare il campo e di carpire dal moto delle dita il pin ai malcapitati. Le carte di credito usano sì teoremi che le rendono, allo stato delle nostre conoscenze matematiche, inattaccabili dai calcolatori, ma c’è una peculiarità della ragione umana che coniuga le più moderne tecnologie con le più ataviche doti d’intuizione e destrezza: quest’arte può battere sempre ogni impossibilità di cui è prigioniera la macchina. “Datemi una definizione d’intelligenza ed io vi dimostrerò che i calcolatori possono essere intelligenti”, preconizzava troppo ottimisticamente il britannico Alan Turing, del quale abbiamo festeggiato il 23 giugno scorso il centenario della nascita. Ebbene, non è l’intuizione una componente tra le più importanti, se non la prima, dell’intelligenza umana? e l’algoritmo non è alternativo all’intuizione, nella definizione fondante della computer science che tu, Alan, ne hai dato nel tuo memorabile scritto del 1936? Ricordi, lettore, il Dustin Hoffman di Rain man? Il personaggio mostra meglio di ogni disquisizione che l’autismo, anche quando fa prodigi nel calcolo, non coincide con l’intelligenza. A questa distinzione si deve se nessun adepto dell’Intelligenza Artificiale sa (anche vagamente solo immaginare come) scrivere un programma che dimostri per es. la proprietà commutativa della moltiplicazione, senza ricorrere al quinto assioma di Peano.

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93 commenti a L’irriducibilità dell’uomo alla macchina

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  1. Piero ha detto

    Grandissimo Alan Turing!!!
    Se non siamo finiti (ancora) sotto il giogo tedesco e’ anche per merito suo!

  2. Andrea ha detto

    Ohh finalmente si rilegge Giorgio!
    (commento spassionato prima di leggere l’articolo)

  3. Piero ha detto

    Mi scusi prof.
    Datemi una definizione d’intelligenza ed io vi dimostrerò che i calcolatori possono essere intelligenti

    Devo dire che questa citazione e’ la prima volta che la sento.
    Puo’ cortesemente dirmi dove l’ha presa?
    Ho qualche dubbio: a me sembra che l’elaborazione del Test di Turing serva proprio per far notare quanto indietro sia la macchina rispetto all’uomo.
    Forse all’epoca si fantasticava un po’ troppo su dove sarebbero potute arrivare le macchine attuali (del 2000), un po’ come si fantasticavano citta’ sulla luna negli anni ’70. O forse Turing era stato un po’ troppo ottimista sul fatto che un giorno una macchina avrebbe potuto passare il test….

    • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Piero

      E’ la tesi che permea ogni riga del suo articolo del 1950 “Computing machinery and intelligence” e in cui descrive l’esperimento (futuro) che poi prenderà il nome di test di Turing. In questo articolo, Turing rifiuta ogni affermazione che esistano aspetti dell’intelligenza umana distinti, in qualche modo misterioso, dalle facoltà di una Macchina di Turing e superiori. Da questo articolo (e dai suoi sogni) è nata l’Intelligenza Artificiale, per come si è sviluppata in 60 anni di ricerche. Oggi, questa tesi è chiama il “sogno di Turing”: per alcuni un ideale, per altri un incubo. Per me, più prosaicamente, un’irrealizzabile utopia.

  4. Alèudin ha detto

    chiamatemi quando un pc scriverà una poesia ermetica sul male di vivere, di sua sponte, senza che nessun algoritmo di cui è costituito la prevedesse.

  5. Andrea ha detto

    Ricordo certe teorie dell’Epoca della “corsa allo Spazio” (anni ’50-’80, con “strascichi” fino ai ’90): robots autoreplicanti, viaggi interstellari con equipaggi criogenizzati fino alla destinazione, “intelligenze artificiali”… Il tutto mentre ci montavamo la testa perché le nostre sonde raggiungevano i 20 km/s per mezzo della propulsione gravitazionale.

    Insomma, certe cose possono avere il loro fascino… Ma eviterei di giocare col fuoco.

  6. Michele Forastiere ha detto

    Non si può che provare meraviglia e stupore per la bellezza racchiusa negli umili numeri naturali, che gradualmente continua a svelarsi alla mente umana. E’ davvero difficile immaginare tale inesauribile ricchezza come un costrutto algoritmico di una mente algoritmica , e non piuttosto come un Territorio – solo parzialmente esplorato – esistente eternamente e indipendentemente da qualsiasi mente finita.
    Grazie, Giorgio, per queste affascinanti riflessioni!

    • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Michele Forastiere

      Grazie a te, Michele, per questa tua profonda riflessione, che non può non essere condivisa da uno come me che ha dei numeri una concezione schiettamente realista. I naturalisti dichiarano che esiste solo la materia: ma come fanno a dirlo quando i fisici hanno appena dimostrato, “per via sperimentale”, che la massa nasce dalla lagrangiana di un doppietto spinoriale SU(2)?

  7. Vronskij ha detto

    Non essere cosi sicuri. L’uomo ha potenzialità infiniti, non limitati. I limiti sono storici. Anche Frankenstein è nato come sogno e incubo con un romanzo, poi tra “si, è possibile” e “no, non è possibile”, man mano siamo arrivato al progetto genoma. Dopo tutti sono buttati sull’etica.

    • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Vronskij

      Io ho parlato dei limiti dell’algoritmo, Vronskij, cioè delle macchine; non di quelli dell’uomo.

      • Vronskij ha detto in risposta a Giorgio Masiero

        Vedi che il mio commento è in plurale, diretto al commento sopra del Michele, ed anche altri tuoi simili commenti nei altri temi, per altri poco chiari (forse colpa della mia memoria). Per fare chiaro de finitamente, come lo pensi: la mente umana è limitata o illimitata (potenzialmente)?
        Le mie considerazioni sono generali, non essendo specialista non entro nei dettagli tecnici sull’IA per non dire stupidaggini. Pero vedo che tra specialisti, come dovunque, sono divisi in due parti, e non credo che metà hanno IA stupida e altra metà Intelligenza Naturale intelligente. Certe volte vede meglio quello che non partecipa nel gioco, anche se poco competente, come nei scacchi. Chi è nel gioco è preso dal SUO gioco, e dai dettagli.

        • Licurgo ha detto in risposta a Vronskij

          Forse -provo a dire la mia su un problema enormemente complesso che sicuramente non mi trova all’altezza- più che la ragione (essendo un processo di connessione e astrazione capace del concetto) ad essere limitata è la base su cui essa lavora e da cui astrae, cioè i sensi.
          I sensi sono fallaci e approssimativi, dunque nemmeno il processo di razionalizzazione può essere perfettamente infallibile ed esatto.

          • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Licurgo

            Certo i sensi sono limitati, Licurgo, ma per superare questi suoi limiti la ragione umana ha inventato la tecnica: dove non arrivano gli occhi, arriva il microscopio o il telescopio o la Tac; dove non arrivano braccia e gambe, arrivano gru, auto e aerei.
            Se la tecnica è limitata in termini di hardware e di software (perché finito è l’Universo in termini di tempo e materia-energia), limitati saranno anche i poteri infine dell’uomo. Per scoprire la particella di Higgs si è dovuto arrivare ad energie che hanno impegnato capitali di miliardi di euro. Ma quelle energie sono nulla rispetto a quelle sprigionate nel Big Bang, dai cui meccanismi iniziali siamo quindi inesorabilmente chiamati fuori. Su che cosa è fondato il prometeismo di Vronskij?!

            • Licurgo ha detto in risposta a Giorgio Masiero

              Giorgio Masiero.

              Io, nel sostenere quel che dicevo, mi sono ispirato proprio al suo -a proposito, preferisce il lei o il tu?- intervento a proposito di Heseinberg.
              Si arriva ad un limite dove la materia è impossibile da osservare perchè comunque osservandola si trasforma l’ambiente e dunque si falsa l’ossevrazione, e dunque c’è un limite costituzionale della conoscenza fenomenica, qualsiasi sia l’affinamento tecnico dello strumento.
              Con questo voglio dire che ciò che limita l’uomo nel suo intelletto è proprio la dimensione fenomenica della conoscenza umana (Kant è stato molto istruttivo), nè dico che la ragione di una creatura limitata, l’uomo, possa essere illimitata (sarebbe una contraddizione); dico invece che, dati i limiti strutturali, non è tanto la ragione il problema, ma la conoscenza fenomenica in quanto tale (comunque si affini lo strumento, perchè la materia è comunque sempre passibile di conoscenza fenomenica che è intrinsecamente limitata) conoscenza fenomenica che è approssimativa, e talvolta addirittura fallace (ma qua la tecnica può venire in aiuto ai sensi in modo radicale, mentre sull’approssimazione ce ne sarà sempre un grado per i motivi detti).
              Per cui, salvo errori miei di conoscenza sull’argomento, non condivido il prometeismo di Vronskij; semmai considero la conoscenza umana perfettibile indefinitamente ma mai, nemmeno potenzialmente, infinita.

              • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Licurgo

                “Considero la conoscenza umana perfettibile indefinitamente, ma mai, nemmeno potenzialmente, infinita”: perfetto, sono completamente d’accordo con te, Licurgo!

                • Vronskij ha detto in risposta a Giorgio Masiero

                  Professore Masiero,

                  il mio “prometeismo” non è fondato su il luogo comune “cristiano” che considera diabolico la mentalità greca pagana (pagana=atea), e in specifico fa equivalenza Prometteo=Lucifero. Non sono uguali uomo Prometeo con arcangelo Lucifero, loro sono creature essenzialmente diverse, e con potenziali diversi. Uomo è creato originariamente come figlio di Dio, invece angelo non è un figlio, è una creatura creata da Lui con funzione e un posizione diverso dall’uomo.

                  1)Il mio “prometeismo” è fondato sul fatto biblico che l’uomo originariamente è figlio di Dio (e come tale eredità tutte le qualità del Genitore), cosa è accaduto dopo (la caduta) la Bibbia lo racconta in un modo, e i testo greco in altro modo, che non sono contradditori, ma complementari. Qui non ho troppo spazio di spiegare la questione in modo esauriente, anche se so bene che i pregiudizi sono duri a morire. Appena apri la bocca ti buttano in faccia la rossa (meglio rosa) Simon Weil, anticristiano, faustiano, prometeico (come infatti mi hai chiamato anche tu).

                  2)Il mio “prometeismo” è fondato sull’ordine di Genesi di comandare tutte le cose create in terra e in cielo (simbolicamente: animali in terra, pesci in mare, uccelli nel cielo).

                  P.S.
                  E’ interessante un fatto poco conosciuto che esisteva anche la seconda parte dell’antica tragedia greca “Prometeo”, oggi persa, dove si racconta il riscatto del Prometeo dopo un pentimento, e l’uso del fuoco a scopo di bene, insomma un fine hapyy end, sentimentale, non degno per una tragedia, insulso per i spiriti “fini”, e secondo me imbarazzante per anti-pagani spinti, sentimento comprensibile ai primi tempi e in altri certi momenti storici. Dunque non per caso la sua perdita, e arrivo fino a noi soltanto della prima parte. La storia si ripeta, non per caso la maggioranza delle persone non sano che esiste anche la seconda parte di Faust di Goethe (guarda caso, un Faust pentito, che in collaborazione con angeli, fa grandi opere per l’umanità), non considerata dai studiosi, e neanche messo in scena.

                  C’è un filo conduttore che lega tutto: la perdita del testo “Prometeo II” e connotazione negativa del termine prometeismo, non considerazione (peggio della perdita) del “Faust II” e connotazione negativa del termine faustiano. Il crimine primordiale persiste nella cultura, nascosto dietro a luoghi comuni e pregiudizi.

                  • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Vronskij

                    Già, ma poi nell’Eden c’è stata la caduta, con tutto ciò che ne è conseguito…

                    • Vronskij ha detto in risposta a Giorgio Masiero

                      Giorgio, come sempre nelle nostre discussioni tu si riferisci ad un realtà limitata (lo stato caduto, che lo vedo anche io), immediatamente dopo che io ti mostro la potenzialità illimitata dell’uomo, ereditata dal Creatore, come normalmente succede con la trasmissione dell’eredità tra genitore e figlio.

                      L’uomo mantiene potenzialmente lo status originario, anche dopo la Caduta, come nostalgia e un ricordo di un Eden perduto (trovato in tutte le religioni e mitologie possibili, e principalmente nel cuore di tutti i uomini senza nessun eccezione. Tutti, chi di più, e chi dimeno). Su la base di un ricordo del status originario va avanti la storia provvidenziale, non divisa dalla “storia storia”, che in fine dei conti ha per unico scopo il ricupero dell’Eden.

                      Rispondendo in specifico alla tua magra risposta, tutto quello che è conseguito alla Caduta, (detto in modo approssimativo: questione di un momento) non è una caduta continua, ma una salita continua per arrivare allo stato originario, vuol dire c’è un progresso nella storia provvidenziale che ha uno scopo mirato, appunto che l’uomo deve realizzare la sua potenzialità, non realizzata per causa della caduta.

                      Qualcuno può crede quello che vuole, e può interpretare come vuole la scrittura, rispettare dogmi tradizionali ecc, ma alla logica (per di più provvidenziale, della Provvidenza) non c’è scampo. Se accetti come reale lo stato originario dell’uomo (Eden), e non una balla mitica scritto in un libro da primitivi con naso perforato che raccontavano storie intorno al fuoco, e se Dio non è chiamato invano Padre, allora devi accettare che l’uomo ha capacita potenziali illimitate, come il suo Genitore.

  8. Licurgo ha detto

    L’ intelligenza artificiale si basa su processi di calcolo (e in qualche modo ricalca il ragionare, che è sempre paragonare e dunque in qualche modo calcolare)ma l’intelligenza umana si domanda cosa essa sia e perchè ci sia necessità di calcolare (partendo dall’intuizione, come dice Masiero, innanzitutto dell’esistenza di me stesso come individuo), oltre ad avere dimensione del ‘bello’ (anch’essa in prima battuta intuitiva), dimensione che fonda l’arte e l’estetica e che non è un compartimento stagno scisso dal pensiero.
    E credo che in questi due elementi si trovi la peculiarità dell’intelligenza umana cosciente rispetto a quella funzionale puramente algoritmica.

      • Licurgo ha detto in risposta a Mariasole

        Gentile Mariasole, ti ringrazio per il link.
        Non so se riuscirò a vedere il film entro la chiusura del post (di solito amo vedere i film la sera, ma in queste due sarò impegnato), ma certamente lo guarderò.
        Anzi, ho approfittato per leggere qualcosa su wikipedia a proposito di questo regista (che non conoscevo) e del suo Decalogo e sembra molto interessante.
        Grazie ancora e buona giornata.

    • Andrea ha detto in risposta a Licurgo

      Non è da escludere con troppa facilità, che gli aspetti creativi ed intuitivi abbiano origini congiunte a quelli algoritmici, in questa direzione vanno le più moderne teorie formali della creatività, le uniche che, a mio avviso fino ad ora, hanno spiegato molto alcuni meccanismi della fruizione e dell’apprezzamento dell’arte.

      Per gli interessati all’argomento suggerisco di dare un’occhiata al lavoro di Jurgen Schmidhuber, che è vastissimo ma si può tranquillamente partire da questo video (molto spassoso, ma richiede conoscenza dell’inglese):

      http://www.idsia.ch/~juergen/creativity.html

      Le sue teorie sono formulate avendo ben presenti il lavori di Godel e Turing.

      per chi volesse approfondire sullo stato dell’arte dell’AI:

      http://www.idsia.ch/~juergen

      • Matyt ha detto in risposta a Andrea

        Sono decisamente d’accordo con te.
        Allo stato attuale delle cose, non abbiamo la capacità di capire se la differenza tra un computer, o un batterio (che, fondamentalmente, funziona in modo algoritmico) e noi, in termini di pensiero, sia quantitativa o qualitativa, ovvero se effettivamente noi umani siamo “diversi” dal resto del creato.
        Tuttavia, la presenza di pensiero astratto, di sentimenti, e di autocoscienza in altre specie animali, anche non appartenenti al nostro ordine (in termini di classificazione scientifica dei viventi) mi fa propendere verso una differenza di tipo esclusivamente quantitativo: ad un certo punto di complessità raggiunta, c’è una reazione a catena che fa nascere, nel nostro cervello, quello che noi chiamiamo “pensiero astratto”.
        Che questa complessità sia poi “esportabile” su altri supporti che non siano quelli biologici, poi, è un’altra questione estremamente interessante.

        Da questo punto di vista sono letture molto interessanti Io Robot di Asimov e “Ma gli androidi sognano pecore elettriche” di Dick, oltre che ad un racconto breve, sempre di Asimov, intitolato l’Ultima Domanda.

        • Andrea ha detto in risposta a Matyt

          Ciao Matyt ti ringrazio delle letture che mi ha i segnalato, sono approdato all’approfondimento dell’intelligenza artificiale in tempi abbastanza recenti provenendo da un background puramente IT, senza aver mai letto tutta l’interessante letteratura a contorno, rispetto alla quale sono un ignorante totale…

          accolgo i consigli di lettura e li metto in lista.

          Sono d’accordissimo anche sul caveat dell’esportabilità della complessità e vedo molti limiti potenziali.

      • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Andrea

        Perché, Andrea, una persona amabile e tollerante come te s’è data un nomignolo così fondamentalista?!

        • Andrea ha detto in risposta a Giorgio Masiero

          Caro Giorgio,
          il nomignolo non riflette che la percezione che altri qui hanno di me, si tratta credo della redazione, cui ho delegato il compito di cambiare il mio nome visto che altri utenti si lamentavano della presenza di diversi Andrea. Non essendo sicuro che un cambio di nome fatto da me avrebbe preservato l’ownership dei passati post ho delegato in toto alla redazione l’eventuale cambio, e se questi sono i risultati significa che così sono percepito… Ma non è un problema.

          Le etichette mi sono del tutto indifferenti, mi accontento di sapere che le persone più intelligenti in questo forum non hanno preconcetti basati sul nome dell’autore dei post 😉

          Cliccando sul mio nome potrai individuare la discussione che ha generato il cambiamento.

          • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Andrea

            In nomine omen, dicevano i latini. E la cosa vale anche oggi, come dimostra l’importanza del nome e del marchio di un’azienda. Io stesso, che nella mia vita ho assistito direttamente alla nascita di decine di start up diverse, porto il ricordo delle discussioni accese intervenute ogni volta per scegliere il giusto nome!

            • Licurgo ha detto in risposta a Giorgio Masiero

              Ciao Andrea.

              Non ho tale dimestichezza con l’inglese da capire agevolmente un video, mentre tutto ciò che è scritto lì sotto è comprensibile (mi pare che riguardi la semplificazione nell’acquisizione di conoscenza), anche se mi ci vorrebbe molto tempo e voglia per tradurre bene tutto; per cui, temendo di aver capito poco o in modo approssimativo, eviterei di pronunciarmi qui ed ora per non sprecare tempo ed energie nel commentare qualcosa che magari ho capito in modo sbagliato o impreciso.

              Potresti farcene un sunto così ne parliamo meglio?

              • Andrea ha detto in risposta a Licurgo

                Hai Ragione Licurgo inoltre il video è un sunto di un intervento ben più lungo.

                Il concetto di base è questo:

                la soluzione di problemi esistenziali di base quali evitare la fame o il freddo, presuppone da parte del cervello in fase di sviluppo (es: bambino) la capacità di capire come un ambiente inizialmente sconosciuto risponde alle proprie azioni. In virtù di questa necessità il cervello non è mai in stand by, ma conduce continui esperimenti, anche quando non ha bisogni immediati relativi a sete o fame, del tipo: ” quale feedback sensoriale ottengo se muovo i miei occhi o le mie dita o la mia lingua in questo modo”? La capacità di predire adesso effetti di potenziali azioni future, rende infatti più facile pianificare ed eseguire azioni che portano poi a stati desiderabili (quali quelli poi “spengono” i sensori di fame e sete)

                Il cervello che cresce pian piano si annoia di ciò che ben comprende, ma anche di ciò che non comprende affatto.. (es: un fischio è noioso quanto un pezzo di free-jazz), e continua la sua attività esplorativa sulla base di un criterio molto semplice:
                ” la ricerca di nuovi effetti che mostrino una “regolarità” che sia ancora inspiegata ma facilmente apprendibile”. I comportamenti via via più complessi si costruiscono su quelli acquisiti ed a seconda della qualità di input, della predisposizione a sviluppare certi tipi di connessioni neuronali il cervello diverrà quello di un operaio, di un scienziato, di un poeta o di un musicista.

                Schmidhuber sostiene che il comportamento sopra spiegato sia l’effetto di un meccanismo algoritmico molto semplice che usa il reinforcement learning, per massimizzare il “reward intrinseco” legato alla creazione o alla scoperta di nuovi pattern (ossia regolarità). La regolarità viene misurata sempre da un punto di vista algoritmico, una sequenza è regolare se è comprimibile ossia se esiste un un “programma relativamente corto che la produce” (tanto più è regolare quanto più il programma sarà corto rispetto alla sequenza stessa, mentre una sequenza irregolare richiederà un programma almeno lungo quanto essa).

                Relativamente ad un osservatore un pattern è nuovo e interessante o sorprendente se l’osservatore inizialmente non conosce la regolarità che lo sottende ma è capace di apprenderla. Il progresso nell’apprendimento può essre misurato e tradotto nella forma di un reward intrinseco legato alla compressione delle informazioni nel corso dell’apprendimento. Tale progresso è il meccanismo attraverso il quale la componente di reinforcement learning del cervello viene gratificata ed è quindi continuamente motivata a scoprire o creare nuovi dati o regolarità.

                la teoria formale della creatività prevede quindi la presenza di alcuni ingredienti:

                1) un modello adattivo del mondo, un predittore o compressore di tutti i dati sensoriali acquisiti nel corso della nostra storia
                2) un algoritmo d’apprendimento che migliora continuamente il modello ( scoprendo nuove regolarità che diventano poi nuovi criteri al cui vaglio sottoporre i nuovi dati sensoriali)
                3) Un reward intrinseco (ricompensa) che misura i miglioramenti del modello (sostanzialmente la “derivata prima” del progresso d’apprendimento)
                4) un ottimizzatore di reward o reinforcemente learner che traduce quel reward in sequenza d’azioni o comportamenti che si presume ottimizzeranno i reward futuri.

                tramite questa teoria (che ho semplificato) Schmidhuber spiega brillantemente dinamiche curiose, quali quella secondo cui

                – un pezzo musicale inizialmente sconosciuto ti piaciucchia al primo ascolto, ti piace sempre di più nei primi ascolti e poi inizia ad annoiarti, ma se non lo ascolti per un po’ poi ti riviene voglia di farlo. ( la compressione è minima all’inizio massima dopo qualche ascolto e rallenta in quelli successivi)

                – i lineamenti regolari sono generalmente associati alla bellezza (rappresentabili con minori informazioni dal cervello)

                – una battuta fa ridere ( lo svolgersi della storia è incomprimibile fino a che la soluzione finale che illustra le relazioni tra le varie parti, non permette immediatamente di comprimerla generando quindi il reward ad essa connesso)

                e così via.

                Tutta la teoria ha un supporto matematico formale e rigoroso, ovviamente, non stiamo parlando di un bontempone. I paragoni col cervello umano sono un puro modello, non vi è riscontro del fatto che il cervello funzioni realmente così, tuttavia trovo che nessun altra teoria meglio di quelle di schmidhuber (che si occupa essenzialmente di intelligenza artificiale) descriva e spieghi razionalmente alcuni comportamenti umani considerati ( a mio avviso con troppa facilità) unici nella sostanza più che nella forma (quest’ultima legata al fatto che il cervello umano è in effetti il più sviluppato tra i cervelli viventi a noi noti)
                I paragoni si basano sul fatto che questi algoritmi applicati alle reti neurali danno i risultati previsti, e nell’ipotesi che il cervello umano sia una rete neurale a sua volta l’estensione ad essa pare naturale o almeno non da escludere.

                • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                  Ci siamo, Andrea, ho capito e in parte concordo col discorso.
                  Il problema a monte però è che cosa il ‘bello’, che è concetto intuitivo e a parer mio non lo spiegano nè gli algoritmi (non credo che esista l’equazione del bello) nè le parole (al massimo c’è la tautologia che ‘è ciò che piace nell’essere visto’, che è tautologia perchè potremmo dire al contrario ciò che ci piace è il bello), ma al massimo proprio questo discorso dimostra come il bello non sia un compartimento stagno scisso dal pensiero (‘riflesso del vero’, perchè come il vero implementa l’essere e dal bello nasce sempre anche una riflessione sul vero, così come talvolta la riflessione sul vero prende la forma del bello), concetto che sostenevo, sulla scia di giganti filosofici che mi tengono, da buon nano, sulle spalle, sin dal primo intervento.

                  • Andrea ha detto in risposta a Licurgo

                    Ciao Licurgo,
                    personalmente credo che la necessità di una definizione universale di bello sia un falso problema, legato alla necessità umana di “generalizzare” a volte anche solo per “astrarre e condividere” informazioni, e poter in seguito meglio apprendere.

                    Ma sono d’accordissimo con te, effettivamente l’approccio sopra esposto non darà mai una definizione del bello, ma semplicemente una definizione del “bello per te” e del “bello per me”, a seconda del livello di soddisfazione intrinseca che deriviamo nel comprimere e nell’osservare lo stesso fenomeno, che giudicheremo “bello” in modi non rigorosamente confrontabili proprio perchè legati alla differente compressione che io e te ne facciamo (e questo direi fa abbastanza scopa con la variabilità che il concetto di bello ha per tutti noi) ed ai differenti reward che tale compressione ci genera.
                    Il bello con questo approccio diviene anche una “funzione dell’esperienza”, e non è un caso se alcune sinfonie siano giudicate belle da alcuni e orribili da altri (differenti numeri di ascolti, differenti algoritmi di compressione derivanti da esperienze differenti che li hanno sviluppati ed affinati).

                    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                      Caro Andrea, eppure per studiare qualcosa abbiamo la necessità di definirla (definire vuol dire delimitare un concetto per distinguerlo da altri in modo da sapere quel che si studia e delimitare l’oggetto di studio), a meno che, appunto, il concetto non sia intuitivo alla mente.
                      Ed è proprio quell’intuizione che ci distingue dalla macchina, che per esistere (ovvero venire inventata) e lavorare ha bisogno dell’intelligenza -e dunque dell’intuizione- dell’essere umano.

                      Sul bello…attenzione, a me può piacere un’opera e a te un’altra, ma la sensazione del ‘bello’ o ‘piacevole’è la stessa, indipendentemente dall’oggetto che consideriamo bello o piacevole che dir si voglia.

                    • Andrea ha detto in risposta a Andrea

                      “Ed è proprio quell’intuizione che ci distingue dalla macchina, che per esistere (ovvero venire inventata) e lavorare ha bisogno dell’intelligenza -e dunque dell’intuizione- dell’essere umano”

                      Diciamo che le teorie sopra elencate (che le si condivida o meno) assimilano l’intuizione al tentativo continuo del cervello di scoprire o creare nuove regolarità sulla base delle precedenti esperienze.
                      In tal senso l’intuizione generalizzata del “bello” altro non sarebbe che il riscontro del fatto che di tutte le cose che sembrano belle a me, ve ne sono molte (ma non tutte) che sembrano belle anche a te (e così via estendendo all’intera popolazione). Il che implicherebbe un’identità o similarità degli algoritmi di compressione di cui siamo dotati (il che è perfettamente in linea col fatto che, abbiamo tutti due occhi, due gambe, una bella manciata di neuroni, e viviamo tutti nello stesso ambiente)

                      Dopodichè alcuni (molti) sostengono che il cervello non sia un meccanismo nè che lo sia tantomeno la vita, questo è in effetti un problema molto più vasto, sul quale la mia posizione è ormai arcinota.
                      Su questo problema si innesta poi l’ulteriore questione dello spiegare l’origine del “meccanismo”, e qui la mia posizione è orientata alla visione che meglio di “permette di comprimere” le informazioni che su questo argomento ho fin qui derivato dalla mia esperienza, dai dialoghi, dallo studio etc etc. E questo ovviamente non è necessariamente uguale per tutti gli altri (per fortuna, altrimenti sai che noia 😉

                    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                      Sì, Andrea, torneremmo ai massimi discorsi e non è il caso, visto che, almeno per quel che mi riguarda, abbiamo detto tutto il dicibile.
                      Rimane sempre il problema che, seppure una cosa per me è bella e per te no, intuitivamente abbiamo il medesimo concetto di bello, e questo, essendo un’intuizione uniforme nella sostanza anche se diversa negli oggetti, diventa un problema difficilmente resolubile, almeno credo, in termini algoritmici.

                    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                      Dico difficlmente, perchè finora mi hai mostrato a cosa serva il bello in termini algoritmici ma non che cosa esso sia.

                    • Andrea ha detto in risposta a Andrea

                      hai ragione l’unica definizione di bello che posso dare è proprio la seguente (non è poetica ma questo è irrilevante, la poesia sta nell’esperienza del bello, ossia nel piacere che ci deriva dal reward che riceviamo nello sperimentare il “bello” stesso)

                      Bello = il nome che l’uomo da a tutto ciò di cui il suo cervello può derivare una rappresentazione massimamente comprimibile nelle varie sfumature (forma esteriore, insieme di suoni etc etc) “godendo” di una ricompensa intrinseca nel processo di affinamento progressivo degli algoritmi di compressione (che sarebbe poi stesso il motivo per cui l’uomo ricerca inconsciamente il bello stesso).

                    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                      Eppure, quando pensi al bello, sai benissimo cosa sia, anche senza definirlo (e anche in questo caso la tua definizione, come ogni definizione, è sfuggente in quanto indica più a cosa serva il bello che cosa esso sia, e infatti ti ci vuole una perifrasi)…ecco perchè parlo di concetto intuitivo, perchè ognuno sa cos’è immediatamente anche se non riesce a definirlo con termini logico-filosfodici e/o algoritmici.

                    • Andrea ha detto in risposta a Andrea

                      Quando definisco qualunque cosa uso delle parole, la cui definizione è basata su altre parole.
                      Quando mi chiedi “Cosa sia il bello”, sapresti definire cos’è il “cosa”? senza ricorrere ad una perifrasi?

                    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                      Intendo perifrasi, avendolo dato per scontato, non più frasi ma più frasi per tornare a dire a cosa serva il bello, ma non cosa sia…per quello dico che è concetto intuitivo e che dunque non può essere soggetto nè a definizione logico-filosofica nè algoritmica
                      Viceversa, ad esempio, un piatto di pasta posso dire cosa sia (grano duro opportunamente lavorato ecc…) e a cosa possa servirmi (a nutrirmi e ad assumere carboidrati in particolare).

                      Ci sentiamo fra qualche ora.

                    • Andrea ha detto in risposta a Andrea

                      “grano duro opportunamente lavorato ecc…”

                      ora ho capito meglio grazie,

                      immagino tuttavia che concorderai con me sul fatto che la domanda “cosa sia il grano” sia più che legittima e condurrà riscorsivamente a semplificazioni che ci porteranno a dover concludere che non sappiamo definire cosa sia la materia con accuratezza maggiore rispetto a quella con cui sappiamo definire cosa sia il “definirla bella”.

                      Non vorrei che dessimo per scontato che una definizione che possiamo sottintendere sia automaticamente da ritenersi qualitativamente migliore, semplicemente anche nel caso della materia diamo intuitivamente per scontato il sapere cosa essa sia.

                      Se dovessimo chiederci i perchè dei perchè relativi a materia o sue qualità (bellezza, bruttezza etc) questa attività si fagociterebbe il 99% del nostro tempo.

                    • Andrea ha detto in risposta a Andrea

                      .. ma forse un filosofo se la cava con il 98% … è che io non sono pratico 😉

                    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                      Faccio in tempo a risponderti ora.

                      E’ vero che non possiamo definire la materia al 100% ma solo con larga approssimazione (l’ho sostenuto io stesso varie volte), tuttavia la definizione di pasta è possibile approssimativamente e soprattutto è perfettamente calzante con l’ordine di comprensione concettuale e linguistica che io ho attualmente della materia e che probabilmente non avrò mai totale nemmeno in un futuro.
                      Il concetto di bello è invece secondo me indefinibile per sua natura, se non come ciò che piace e procura diletto, ma ciò che piace sarà ciò che è bello…quindi si tratta di un concetto che nulla ha a che vedere col grado di comprensione della materia e dunque con l’algoritmo che invece, come mi hai mostrato tu, può indicarne l’utilità cognitiva, cosa su cui concordo non considerando io l’estetica come qualcosa di scisso o addirittura contraddittorio alla ragione e alla conoscenza, ma come la sua applicazione in un ambito specifico, che non è quello logico/filosofico o scientifico/matematico ma estetico, ovvero applicato alla categoria del bello su cui tanto stiamo discutendo.

                      Ci sentiamo più tardi, stavolta davvero.

                    • Andrea ha detto in risposta a Andrea

                      Quindi ritieni che la Categoria del Bello, esista indipendentemente dai giudizi di bellezza dati dagli uomini?

                    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                      Come tutti gli universali esistono come astrazione della mente ma con fondamento nell’oggetto (altrimenti sarebbe impossibile categorizzare).

                    • Andrea ha detto in risposta a Andrea

                      Il che se ho capito bene equivale a dire che una struttura ordinata che l’uomo riconosce come bella (se vogliamo anche proprio in funzione del suo grado di “ordine”, era ordinata ancora prima che l’uomo la guardasse.

                      Se questa è l’accezione che intendevi mi sa che siamo proprio d’accordo.

                      Ordine e materia paiono essere fortemente correlati, l’universo ha un suo ordine legato alla disciplina delle leggi fisiche che lo regolano (che sono l’interpretazione “bella” che facciamo di qualcosa che ovviamente esiste anche senza di noi)

                    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                      Andrea.

                      Più o meno sono d’accordo, tranne che il bello derivi sempre e solo dal riconoscimento dell’ordine, nel senso che quello è peculiare della ragione in quanto tale, mentre il bello è fondamentalmente un sentimento che la realtà produce in noi, non una proposizione analitica o sintetica, per cui oltre al riconoscimento dell’ordine c’è qualcos’altro, altrimenti il bello sarebbe la stessissima cosa del riconoscere una proposizione vera da una falsa.
                      E’questo un problema più generale del concetto in quanto tale: i concetti non esistono come realtà autonome, le realtà autonome sono gli enti in quanto tali e il concetto è un astrazione della mente, ma se non ci fosse un elemento comune (la tanto famosa e per alcuni ‘fumosa’ sostanza) non sarebbe possibile astrarre alcun concetto generale…è il famoso problema degli universali che da tanto tempo divide i filosofi: c’è la scuola nominalista per cui gli universali (=i concetti generali) sono solo un flatus vocis del soggetto, la scuola platonica per cui i concetti hanno reale ed autonoma esistenza nell’iperuranio, e la scuola aristotelica (o realista, di cui Tommaso D’Aquino fu il massimo esponente) che sostiene quel che ho appena detto.
                      E, il sentimento del bello, quando viene concettualizzato, è un universale come il vero, il giusto, il bene ecc….

                    • Andrea ha detto in risposta a Andrea

                      Ecco è sull’universalità che non concordo molto, sempre che i nostri concetti d’universalità coincidano

                      “E, il sentimento del bello, quando viene concettualizzato, è un universale come il vero, il giusto, il bene ecc….”

                      io direi che essendo gli uomini esseri (organismi, creature o meccanismi che dir si voglia) strutturalmente molto simili tra loro mi pare assolutamente logico che i loro concetti di bene vero e giusto siano simili, e che il sentimenti che la realtà produce siano per essi simili, in quanto astrazioni effettuate a sostanziale parità di ambiente e capacità d’astrarre, ma questo non dona necessariamente universalità al concetto, a meno che non si ritenga necessario che l’uomo sia tutto ciò che di interessante ci sia nell’universo. (potrebbe essere benissimo così ma non credo che l’uomo sia titolato a dire che è necessario che sia così, per il solo fatto che si trova nella posizione d’essere appunto uomo)

                    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

                      Andrea,

                      in sede filosofica per ‘universale’ si intende un concetto comune ed identico in tutti gli uomini (non c’entra l’universo in senso scientifico, per quello lo avevo messo vicino a generali tra parentesi, in modo da rendere il signioficato); che poi l’universale sia proprietà sostanziale dell’ente o prodotto di cause fisiche del cervello del soggetto, è altra questione, che abbiamo già trattato e che di per sè ora non c’entra in ordine al problema di cui trattavamo ricapitolando: perchè in certo modo la bellezza, come ogni concetto, sia secondo me presente anche nell’ente, per me nell’elemento sostanziale ma ora anche qua sarebbe diatriba secolare che non è il caso di imitare noi dilettantescamente io e te su un blog e in off topic, e di come il bello non possa esclusivamente essere ridotto al riconoscimento dell’ordine altrimenti non si distinguerebbe in alcun modo dal vero filosofico, mentre sono diversi anche se non disgiunti, come abbiamo detto) non c’entra nulla; semplicemente davo per scontato il significato tecnico del termine ‘universale’ che infatti avevo equiparato a generale, ma almeno capiamo di che parliamo semmai capitasse di usare nuovamente questo concetto la prossima volta

            • Andrea ha detto in risposta a Giorgio Masiero

              Si i nomi hanno importanza, e io stesso conosco agenzie che fanno questo di mestiere (scelta di nomi avendo in input una mission o un modello di business), direi che finchè non vendo niente il nome non sarà un problema …

  9. Paolo ha detto

    Illuminante come sempre, Giorgio. Non conoscevo quell’aforisma di Turing, ma da esso appare chiaro che Turing non conosceva a sua volta (e questo è più grave) la definizione che Aristotele dava dell’intelletto agente: “separato, impassibile e senza mescolanza, perchè la sua sostanza è l’atto stesso”, in altre parole luce di Dio nella mente dell’uomo. Tutto il contrario insomma della ragione intesa come sistema algoritmico, che è comune agli uomini, alle macchine e -dicono certi naturalisti- persino agli animali.

  10. Brain ha detto

    Articolo interessante. Per dare un completamento della storia umana di Alan Turing c’è da ricordare che il geniale matematico diede anche un contributo fondamentale alla decriptazione dell’ “enigma” delle trasmissioni in codice utilizzato dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale ma nel 1952 fu arrestato in quanto omosessuale, cosa illegale nel Regno Unito a quel tempo. Per questo gli fu impedito di continuare a lavorare per i servizi segreti britannici e fu costretto a sottoporsi a iniezioni di ormoni e alla castrazione chimica per “curarlo” dalla sua omosessualità (queste erano a quei tempi le “terapie riparative”, che sopravvivono – mutate, ma non meno pericolose – ancora oggi). Si suicidò nel 1954.

    Nel 2009 l’allora Primo ministro britannico Gordon Brown ha riconosciuto che Alan Turing fu oggetto di un trattamento omofobico e fece delle pubbliche scuse a nome del Regno Unito: « Per quelli fra noi che sono nati dopo il 1945, in un’Europa unita, democratica e in pace, è difficile immaginare che il nostro continente fu un tempo teatro del momento più buio dell’umanità. È difficile credere che in tempi ancora alla portata della memoria di chi è ancora vivo oggi, la gente potesse essere così consumata dall’odio – dall’antisemitismo, dall’omofobia, dalla xenofobia e da altri pregiudizi assassini – da far sì che le camere a gas e i crematori diventassero parte del paesaggio europeo tanto quanto le gallerie d’arte e le università e le sale da concerto che avevano contraddistinto la civiltà europea per secoli. […] Così, per conto del governo britannico, e di tutti coloro che vivono liberi grazie al lavoro di Alan, sono orgoglioso di dire: ci dispiace, avresti meritato di meglio.»
    http://www.turing.org.uk/turing/index.html

    • Salvatore ha detto in risposta a Brain

      Sinceramente mi annoia questa continua tiritera sui gay ad ogni argomento, io non sono ossessionato dal mio comportamento omosessuale al contrario tuo, che ti senti di doverne parlare ad ogni articolo.

      Rimane il fatto che ogni privazione di libertà, se non causa danni a terzi, è sempre un’enorme ingiustizia, proprio in quanto -grazie al cristianesimo- tutti abbiamo imparato il concetto di libero arbitrio.

      • Andrea ha detto in risposta a Salvatore

        Mi sembra che questo blog menzioni a sua volta i gay e i loro “abomini” molto spesso, è normale che ciò ingeneri una sorta di sentimento contrario da parte di alcuni esponenti o supporter della categoria (ma non tutti come nel tuo caso), a maggior ragione di fronte all’ esempio di Turing, caso in cui l’umanità ha perso un grande genio anche a causa del suo “comportamento abominevole”…

        • Salvatore ha detto in risposta a Andrea

          Ripeto: mi annoia trovare la tiritera gaysta in ogni angolo, lasciate in pace la gente a cui non frega nulla e non è ossessionata dal comportamento sessuale degli altri. Si parla di scienza e non di busoni ateisti.

          • Andrea ha detto in risposta a Salvatore

            in questa specifica istanza si parlava di una persona che aveva almeno una delle due caratteristiche che tu hai elegantemente elencato, ora può essere che quella caratteristica fosse irrilevante ai fini della sua grandezza, ma non essendolo stato ai fini della determinazione della durata della sua vita, l’elemento è pertinente in questo caso, visti i contributi che la sua esistenza ha fornito.

            Dopodichè il sospetto che ti stiano antipatici lo avevo avuto ma non capisco bene come questo si armonizzi con la tua stessa omosessualità (sempre che questa frase non fosse un typo: “io non sono ossessionato dal mio comportamento omosessuale al contrario tuo”)

          • Matyt ha detto in risposta a Salvatore

            Beh, più che tiritera gaysta mi sembrava onor di cronaca…

  11. Vronskij ha detto

    @Licurgo,
    nella società moderna persiste ancora il pregiudizio romantico che considera la creazione artistica come irrazionale, misteriosa, mistica, sublime ecc, ed artista che guarda con occhi sgranati e di sbieco il soffitto dove si trova la bellezza assoluta. Invece per i addetti del mestiere (una parte, perche altri suonano la vecchia campana) non è assolutamente cosi, per loro opera è un progetto razionale, loro hanno ambizione di indagare l’irrazionale con metodo razionale. Da una lontana prespettiva non esiste nessuna differenza tra la ricerca matematica e la ricerca artistica, cosa che anche professore Masiero ha cercato di dimostrare con un bell’articolo in questo blog.

    In base di questo pregiudizio, che ha radici nel campo religioso, si pregiudicano i limiti di IA, accompagnato con pregiudizio del limitatezza della mente umana. Non è che io sono convinto che IA=mente umana, può essere vero e logico quello che sostiene prof. Masiero. Non è questione di IA, è questione di principi. Come ho detto sopra, l’impresa romanzesca “Frankenstein” sembrava impossibile, eppure oggi siamo davanti all’evidenza della possibilità (forse già fatto compiuto nei laboratori segreti militari) di creare un uomo sintetico dalla materia inerte senza anima.

    Anche il modo di reagire è molto indicativo, se esprimi un dubbio si va al estremo come ha fatto prof. Masiero con il Big Bang, dimenticando lo stato d’animo dei fisici di 100 anni che “ragionevolmente” facevano sberleffi davanti alla tesi che una massa di pochi chilogrammi poteva portare il sole nella terra. Io non sono un fisico, ma mi faccio un bel romanzo fantascientifico dove i titani del futuro creavano nuovi mondi con Big Bang progettati, e per i resto penseranno i fisici del futuro.

    • Licurgo ha detto in risposta a Vronskij

      Sono d’accordo sull’opera d’arte come opera razionale.
      Il problema però riguarda il fruitore, che apprezza l’opera perchè gli comunica il piacere estetico, piacere estetico che è alla base della fruizione artistica.
      Per questo dico che l’opera d’arte è opera razionale applicata al bello, bello che come ho provato a dire ad Andrea non è disgiunto dal vero.

      • Andrea ha detto in risposta a Licurgo

        “bello che come ho provato a dire ad Andrea non è disgiunto dal vero”

        a riprova della mia “durezza di comprendonio ” non capisco infatti cosa intendi con questa frase.

        Stabilito che il bello è un giudizio che l’uomo da ad eventi, oggetti, esperienze in che modo bello (che è soggettivo) e vero (che non lo è) sarebbero non disgiunti?

        • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

          Andrea.

          Per ‘bello’ si intende (in questo caso) la dimensione artistica in generale (vedi ‘belle arti’), come credo sia evidente dal discorso con Vronskij, perchè la dimensione artistica parte dalla percezione del bello (cioè dalla dimensione estetica)e applica la ragione a questa categoria costruendo un’opera artistica.
          Andrea, mi permetto un consiglio: dovresti leggere l’intero thread quando intervieni, perchè se si parte dalla premessa di Vronskij mi pare assurdo non capire a cosa ci si riferisca qui col termine di ‘bello’, ovvero la molla da cui parte l’arte (anche il punk, nel suo voler scioccare anzichè voler produrre armonia è ‘bello’ per chi lo apprezza, a testimonianza di come gli oggetti del bello possono variare ma non il sentimento del bello).

          Non sono disgiunte per vari motivi: 1) Entrambe necessitano della ragione (l’opera d’arte è guidata da processi di razionalizzazione dell’emozione) 2) Perseguendo la conoscenza estetica accresco me stesso, così come perseguendo la conoscenza teoretica 3) L’occasione artistica fa sviluppare concetti che possono tornare utili in quella filosofica (spesso le poetiche degli autori sono vere opere di filosofia, così come spesso l’arte è mediatrice di verità filosofiche) 4) A sua volta la filosofia stessa, così come la scienza e altre attività umane, procura diletto nei suoi cultori (vedi radice etimologica di filosofia) così come l’arte, lo abbiamo visto, talvolta fornisce concetti.

          Non sbagliava quindi a parer mio la scolastica a mettere il pulchrum tra i trascendentali dell’ente, ma qui è altro discorso che ci porterebbe esasperatamente lontano.

          • Andrea ha detto in risposta a Licurgo

            “bello che come ho provato a dire ad Andrea non è disgiunto dal vero”

            scusa,
            credevo che con questa frase ti riferissi ad un concetto di bello che avevi già esposto a me e che non avevo capito, se così fosse stato la lettura dell’intero thread sarebbe stata irrilevante, al fine di rilevare la mia incapacità di comprendere il concetto.

        • Vronskij ha detto in risposta a Andrea

          Andrea Ateista da quando hai cominciato a fare Andrea Teista Assolutista, sostenendo che il vero non è soggettivo?

          • Andrea ha detto in risposta a Vronskij

            ahaah non ho mai iniziato, mi riferivo all’unica accezione di verità cui si fa riferimento su questo blog, per quanto mi riguarda non posso nemmeno dimostrare che abbia senso il concetto di verità assoluta figuriamoci il dimostrarne l’esistenza.

            Un sasso esiste anche senza me e te, il problema è che senza me e te la definizione di sasso giusta quale diventa? La nostra (che a quel punto non esiste) o quella di un pipistrello che passava di li?

            Qual è il sasso vero il suo o quello che avremmo definito noi?
            Queste definizioni sono riconducibili ad una definizione più basilare di sasso su cui ne noi nè il pipistrello potremmo dissentire? Forse
            Potremmo stabilire che quel modello di sasso è il vero modello? e non sia ulteriormente perfettibile o migliorabile? Non credo proprio.

            ne consegue che la ricerca della verità assoluta per quanto mi riguarda è una pura perdita di tempo.
            La formulazione di modelli condivisibili della realtà e il loro progressivo affinamento invece ci aiutano ad andare avanti.

            Spero di averti chiarito la mia posizoine

  12. Giorgio Masiero ha detto

    @ Brain
    Condivido, Brain, il rammarico per la violenza ingiusta subita da Alan Turing nell’integrità della sua persona, per aspetti inerenti esclusivamente la sua sfera privata, e che lo ha condotto al suicidio a 42 anni. Non ho inteso scrivere un articolo centrato sul grande scienziato britannico, altrimenti avrei certamente dato spazio alle vicende da Lei evocate.
    Allo sdegno aggiungo il rimpianto per tutto ciò che Turing avrebbe potuto ancora dare alla scienza e che ci è stato tolto dagli ultimi sussulti del bigottismo anglicano-vittoriano.

    • Brain ha detto in risposta a Giorgio Masiero

      Gentile Masiero, apprezzo il suo chiarimento e capisco perfettamente che il tema principale del suo articolo non fossero le vicende da me evocate solo, come scritto, a complemento del suo pezzo.

    • Piero ha detto in risposta a Giorgio Masiero

      ci è stato tolto dagli ultimi sussulti del bigottismo anglicano-vittoriano.

      Caro Prof., mi scusi, magari sbagliero’, ma mi ricordo di aver sentito che questa “cura” fu proposta dai servizi segreti per “non far cadere in tentazione” Turing per poi essere ricattato dalle potenze straniere e cosi’ spifferare tutto.

      • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Piero

        Può essere stata anche proposta dai servizi segreti, Piero, però è stata ufficialmente e pubblicamente comminata da un tribunale di Sua Maestà, che si è avvalso di una legge vittoriana allora vigente e che fu abrogata solo più tardi.

  13. Giorgio Masiero ha detto

    @ Matyt
    Vorrei, Matyt, portarLe la mia esperienza, quello che so perché appartiene al mio vissuto.
    Per molti anni ho fatto software, ora dirigo gruppi che lo fanno. E che cos’è il software per me? Un “numero”. Punto. Per es., Excel è il numero 10100100011….0110, una stringa lunga 166.035.456 bit. E così sono TUTTI gli altri algoritmi. Un numero può pensare, soffrire, gioire, intuire, ecc.? No.
    E l’hardware? L’hw oggi è molto sofisticato, si compone di schede elettroniche, chip, circuiti, porte usb, display, ecc.; ma alla fine, come ci ha dimostrato Turing con la sua “macchina” è una ruota dentata di legno o di creta. Punto. Tutti gli hw sono esecutori di sw, e sono tutti riducibili ad una ruota dentata, che si ferma, o va avanti di n passi, o va indietro di m passi, secondo le istruzioni del sw.
    Il K computer di Kobe, o quello della Nasa, sono questo: ferramenta che esegue un numero, fermandosi o arretrando o avanzando.
    La mia domanda a Lei è: lasciando perdere i bellissimi romanzi di Asimov e le stupende fiction di Hollywood stile Avatar, su quali basi scientifiche Lei ritiene che la Sua mente ed il Suo vissuto siano un numero + una ruota dentata di legno? Non ritiene più ragionevole che ci sia un terzo elemento, che Aristotele chiamava “anima”, che naturalmente è strettamente connesso al sw nel cervello e all’hw del corpo, ma è comunque distinto da entrambi?

    • Andrea ha detto in risposta a Giorgio Masiero

      Giorgio questa è un’oversemplificazione: “Lei ritiene che la Sua mente ed il Suo vissuto siano un numero + una ruota dentata di legno?”

      il neurone è una rotellina? esso è decomponibile in strutture al livello di semplicità di una rotellina?

      se la risposta è si abbiamo due possibilità:
      1) Quella che sposo io: il paragone rotellina cervello va semplicemente ricondotto al giusto livello d’astrazione.
      2) Quella che sposi tu: L’uomo non è solo cervello (ma a quel punto, bisogna discutere di cos’altro è e di dove stia tutto il resto)

      se la risposta è no, allora non abbiamo ancora ben capito come funzionano i neuroni (il che è possibilissimo)

      il tuo vissuto (insieme di sensazioni, tattili uditive visive al livello di definizione cui il nostro cervello li storicizza, sta tutto in un’unità di storage moderna e potrebbe tranquillamente essere rappresentato da una stringa di byte lunga a piacere, se vogliamo parlare di memoria delle esperienze (e conseguenti rielaborazioni) o di pura capacità di elaborazione parallela, manca ancora qualche decina d’anni per mettere insieme un numero sufficiente delle rotelline cui fai riferimento tu, in un modo che sia almeno efficiente quanto il cervello umano)

      10 miliardi di neuroni ognuno con 10000 connessioni sinaptiche, una sinapsi fa circa 100 moltiplicazioni al secondo.

      questo fa si che il nostro cervello sia la momento circa 5000-10000 volte più veloce del più potente computer disponibile.

      Tuttavia ogni decennio corrisponde ad un incremento di un fattore tra 100 e 1000 nella velocità dei computer a parità di costo, fai tu i calcoli.

      non dimentichiamoci delle curve seguite dal progresso tecnologico negli ultimi anni, ci vediamo per una birra tra il 2025 e il 2040, e se i computer saranno solo ammassi di rotelline dentate, offro io 😉

      • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Andrea

        Se i computer sono “macchine di Turing” con Ram e Cpu finite e se gli algoritmi sono numeri interi, come per entrambi è la definizione scientifica attuale (2012), non capisco sulla base di quale principio fisico tra X anni, quando la Ram supererà un numero Y, la Cpu supererà un numero Z e il software sarà maggiore di un numero W, allora, come per incanto, alla soglia (Y,Z,W) il computer comincerà a pensare e soffrire come l’Hal di 2001, Odissea nello spazio.
        Anche Kubrick aveva dato nel 1968 appuntamento per il 2001 (a 33 anni): tu, più ottimisticamente mi dai appuntamento tra 13-28 anni. Per me, che pure sono un ammiratore dei numeri che considero esistenti in un mondo trascendente, come già ti ho detto in passato, questa tua concezione è un pitagorismo che supera ogni cielo. Voglio dire che mi appare più religiosa che meramente filosofica.

        • Andrea ha detto in risposta a Giorgio Masiero

          “non capisco sulla base di quale principio fisico tra X anni, quando la Ram supererà un numero Y, la Cpu supererà un numero Z e il software sarà maggiore di un numero W, allora, come per incanto, alla soglia (Y,Z,W)”

          Giorgio non è questa l’ipotesi del’AI e scusa se nell’assimilare il computer al complesso: software + hardware ho dato questa impressione.

          IL problema è il seguente,ridurre il concetto dell’hardware ad un insieme di rotelline grande a piacere, non è sufficiente a smontare l’ipotesi che l’intelligenza umana possa avere natura algoritmica.

          L’ipotesi dell’intelligenza artificiale, è che il software di base giusto (non certo windows ma gli algoritmi che ho citato nei post precedenti) unito alla capacità computazionale adeguata (quella cui ho fatto riferimento e che non è ancora disponibile, e soprattutto non è applicata alle reti neurali) possano produrre un’intelligenza artificiale. Questo ancora non dimostrerebbe nulla rispetto al cervello umano, tuttavia io ritengo che se la ricerca scientifica confermasse che il cervello umano è in effetti una rete neurale ricorsiva biologica e su una rete neurale ricorsiva artificiale si riuscisse a produrre un’intelligenza pari a quella umana, avremmo forti indizi rispetto ad una probabile natura algoritmica dei processi che governano il nostro pensiero.

          Io non ho fede, nè tantomeno auspico che ciò avvenga, per quanto mi riguarda è un’ipotesi e non una scommessa, quindi l’aspetto religioso lo escluderei.

          Kubrick, persona brillante, era un regista, un visionario vissuto ad un tempo in cui il le curve di progresso nel campo delle tecnologie dell’informazione non avevano la forma che hanno oggi.
          Il mio appuntamento più ottimistico potrebbe perfettamente rivelarsi errato, potremmo scoprire che il cervello umano è ancora più complesso di quanto sospettiamo, potremmo scoprire limiti d’altro tipo nel simularlo, potremmo scoprire di non riuscire a creare sensori o trasduttori dell’esperienza sensoriale umana in un’esperienza sensoriale paragonabile per un meccanismo non biologico, ma mi sembra doveroso e anche interessante procedere nella ricerca.

          L’intelligenza artificiale sta in effetti facendo progressi inimmaginabili fino a pochi anni fa’, e i limiti di quello che potremo creare o scoprire non li conosciamo nemmeno noi.

          • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Andrea

            “Non certo windows, ma un altro algoritmo…”: ma tutti gli algoritmi coincidono con un numero. Quindi torno alla domanda: a quale soglia W, il numero improvvisamente si mette a ragionare?!
            Tutti gli algoritmi sono eseguiti da macchine di Turing. E così torno all’altra domanda: a quali soglie (Y,Z) di (Ram, Cpu) la macchina di Turing comincia a ragionare?
            Tu non lo sai, non credi religiosamente, ma ci speri e ci vorresti credere. Ma su quali basi di fisica?!
            Io, Andrea, non avrei nessun problema religioso ad accettare la “ipotesi” dell’IA. Solo che io non ci vedo basi matematiche né fisiche, tutto qua.

            • Andrea ha detto in risposta a Giorgio Masiero

              In che modo il fatto che io non conosca personalmente tale soglia, dovrebbe essere di per sè una motivazione sufficiente a renderne illogica l’esistenza?

              Potrebbe non essere quantificabile a priori, così come dato un numero grande a piacere non è possibile determinare a priori quale sia l’algoritmo più efficiente per rappresentarlo (non si può mai dire di essere arrivati al migliore se non per tentativi)

              se tu,a tua volta, dal canto tuo “non credi religiosamente, ma speri o vorresti credere” che non esista, questo non ci esime dal percorrere una nuova strada.

              Ciò detto è perfettamente possibile che la tua competenza matematica /fisica (infinitamente superiore alla mia) ti ponga in una posizione di scetticismo rispetto a queste ipotesi, ma quando vedo persone che con passione e formazione paragonabile alla tua nel campo dell’intelligenza artificiale ritengono non escludibili a priori queste ipotesi, al punto da dedicarci una vita ( e nel farlo, di permettere all’uomo di godere di tutta una serie di vantaggi lungo la strada: macchine che si guidano da sole, riconoscimento del testo e delle immagini, swarm robotics nella soluzione di problemi organizzativi e gestionali e pratici) io stesso non le escludo a priori.

              Significa che ho fiducia o fede in loro?
              No, ascolto le tue motivazioni, ascolto le loro e seppure nel mio visus limitato mi faccio un’idea attribuendo coi miei mezzi le probabilità che ritengo adeguate ad entrambe le visioni.

      • Piero ha detto in risposta a Andrea

        questo fa si che il nostro cervello sia la momento circa 5000-10000 volte più veloce del più potente computer disponibile.

        Mi sembra ormai abbastanza assodato che un cervello umano non funziona affatto come un computer.
        Io so a mala pena fare una moltiplicazione elementare al secondo (ad una cifra), soprattutto perche’ ce le ho nella “cache” (tabelline), eppure sono capace di progettare (in teoria) le piu’ grandi cose.
        Ricordo infinitamente piu’ cose di google, pero’ non so dove ho messo gli occhiali 2 minuti fa.
        Non ho la capacita’ di esplorare milioni di disposizioni della scacchiera, pero’ in molti casi vinco o pareggio a scacchi contro una macchina costruita apposta.
        Secondo me e’ stupido pretendere di misurare in Gbyte o in Teraflops la capacita’ del cervello umano.
        Sono due cose totalmente diverse.

        • Matyt ha detto in risposta a Piero

          Sul fatto che “non funzioni” come un computer classico, ok (la logica non è binaria, e così via).

          Ciò non toglie che esistano molte discipline e molte applicazioni che si basano proprio su una visione di questo tipo del cervello, basti pensare alla neuroinformatica, o alle reti neurali.

        • Andrea ha detto in risposta a Piero

          Piero il numero di operazioni di cui sei cosciente è irrilevante, è il numero di operazioni di cui non sei cosciente che conta. Non è necessario che il tuo cervello ti renda cosciente dei calcoli che la sua rete neurale fa per permetterti in questo momento di non cadere se un amico ti sta dando una spinta… Eppure se vengo li e ti do una spinta tu stai in piedi, e lo fai perchè i meccanismi dell’equilibrio del tuo orecchio rivelano delle variazioni che il tuo cervello traduce in impulsi di controllo da inviare ai muscoli per compensare la perturbazione e riportare il tuo baricentro in asse.

          non vedere una rete neurale come una scheda con zoccolini e integrati. ovviamente stiamo parlando di simulazione di una rete neurale su un architettura informatica tradizionale (ma questo è plausibilissimo avendo a disposizione una capacità computazionale adeguata, ed è in linea col principio secondo cui una macchina di Turing può simularne un’altra..) : I tempi in cui riusciremo a produrre una rete neurale fisica al livello dimensionale del cervello (o addirittura biologica) potrebbero essere lontanissimi o addirittura irraggiungibili.

          • Piero ha detto in risposta a Andrea

            Eppure se vengo li e ti do una spinta tu stai in piedi, e lo fai perchè i meccanismi dell’equilibrio del tuo orecchio rivelano delle variazioni che il tuo cervello traduce in impulsi di controllo da inviare ai muscoli per compensare la perturbazione e riportare il tuo baricentro in asse.

            Si ma questi meccanismi di cui parli innanzitutto farebbero parte del cervelletto, di quella capacita’ diciamo “incosciente” (passatemi il termine) che abbiamo.
            Poi sarebbero assimilabili, a mio giudizio, piu’ ad un PID analogico che ad un “misuratore di spostamenti digitale” o qualcosa del genere.
            Non e’ che il cervello “pensa” a livello subcosciente “mi hanno spostato di 3.24cm da una direzione di 131.34 gradi con una forza di 11,4356N e quindi mi regolo di conseguenza”.
            E questo mi pare si fa abbastanza agevolmente con un paio di chippini e qualche attuatore.
            Qui si dovrebbe parlare di corteccia cerebrale, pensiero autocosciente, ecc ecc…

            I tempi in cui riusciremo a produrre una rete neurale fisica al livello dimensionale del cervello (o addirittura biologica) potrebbero essere lontanissimi o addirittura irraggiungibili.

            Beh… sono lontani i tempi in cui ho studiato un po’ di intelligenza artificiale, ma gia’ allora non mi sembravano molto lontani.
            Una unita’ di memoria (non ricordo piu’ se binario, nel qual caso basterebbe un flip flop, o no) con delle “soglie di attivazione” (chiedo scusa per l’approssimazione ma poi mi sono occupato di altro), dei collegamenti con altri “neuroni” hw e poco altro.

            Quello che mi “preoccupa” invece e’ certa gente che pretende, considerando connessi tutti i calcolatori del mondo tramite Internet, di considerarla come una rete neurale a tutti gli effetti e da questo, dal numero di parole che piu’ ricorrono nella rete, pretendere di fare previsioni a medio e lungo termine.

            • Andrea ha detto in risposta a Piero

              Son d’accordo con te, Internet non è una rete neurale, chi lo afferma non conosce le reti neurali.

          • Piero ha detto in risposta a Andrea

            chiedo scusa mi e’ saltata una parte:

            Se io poggio un peso su un tavolo, e questo naturalmente esercita una forza (in quanto vincolo) che si oppone alla forza di gravita’, secondo te il tavolo “calcola” esattamente il peso per poter opporre ESATTAMENTE la forza necessaria per tenerlo fermo?

            • Andrea ha detto in risposta a Piero

              ahaha no di certo, il tavolo non ha “bisogno” che della validità di alcune leggi fisiche (che sono valide indipendentemente da lui) perchè ciò avvenga quindi non gli è richiesta alcuna capacità computazionale per reggere il peso, vi sono se mai i vincoli strutturali pre-esistenti al momento della sua costruzione.

              Ok quando dico cervello mi riferisco all’insieme delle parti del corpo umano che collaborano nell’elaborazione delle informazioni che provengono dall’esterno.

              “Non e’ che il cervello “pensa” a livello subcosciente “mi hanno spostato di 3.24cm da una direzione di 131.34 gradi con una forza di 11,4356N e quindi mi regolo di conseguenza””

              Sei sicuro che non sia cosi?
              i cm e i gradi sono astrazioni fatte dal cervello per permettere a noi due di parlarne, una rete neurale può tranquillamente fare calcoli in altro modo per imparare a tenere in equilibrio qualcosa e quindi sè stessa, il modo in cui lo fa è assolutamente irrilevante se è dotata degli algoritmi necessari a causare la voglia di farlo… (esempio con un reward negativo ogni volta che il “qualcosa cade” il che è un po’ ciò che succede quando cadiamo noi)

              il classico problema del pendolo inverso è brillantemente e autonomamente risolto da una rete neurale.

              • Piero ha detto in risposta a Andrea

                il classico problema del pendolo inverso è brillantemente e autonomamente risolto da una rete neurale.

                Mi pare che tu faccia, tanto per rimanere in tema, un cortocircuito! 😉

                Prima dici che il cervello e’ come una rete neurale.
                Poi dici che una rete neurale risolve un problema come quello del pendolo inverso (che puo’ risolvere anche una manciata dichip) e che quindi e’ come il cervello!

                • Andrea ha detto in risposta a Piero

                  No, ho solo detto che non è necessario spiegare ad una rete neurale quanti sono i centimetri i grammi e i gradi in gioco nel tenere in equilibrio un bastoncino, così come tu non sai, se non tramite l’esperienza, di quanto ti puoi inclinare in avanti prima di cadere.

                  • Andrea ha detto in risposta a Andrea

                    Nel senso che tua mamma da piccolo non ti ha mai urlato.” attento Piero! a 18,5 gradi di inclinazione cadrai e tu ora sei a 16 agisci quindi di conseguenza”

                  • Piero ha detto in risposta a Andrea

                    Innanzitutto mi sembra improprio parlare di “calcoli” per questo genere di fenomeni.
                    Infatti quasi tutti i fenomeni, specialmente quelli “a misura d’uomo”, sono abbastanza facilmente modellabili secondo le leggi della fisica che gia’ conosciamo, e quindi tu per qualunque cosa, facendo riferimento al modello matematico che ci sta sotto, mi dirai per qualunque cosa, che in pratica “calcolo” quella misura.
                    Inoltre, come ti ho gia’ detto, ci sono modi di risolvere problemi, come quello del pendolo inverso, che ricorrono a circuiterie che non hanno ALU. Certo, adesso e’ molto piu’ economico e semplice ricorrere a microcontrollori, ma non e’ sempre vero. Vedi per esempio alle missioni Apollo, il cui hardware di controllo, e’ cosi’ “semplice” da far paura.
                    In ogni caso non sono questi gli esempi da portare avanti, in quanto anche un incapace o uno che ha subito un danno cerebrale puo’ essere in grado di fare cose del genere.
                    Stiamo parlando di astrazione mentale, di pensieri… insomma quello che si ritiene risieda nella corteccia cerebrale.

                    • Andrea ha detto in risposta a Piero

                      L’astrazione è semplicemente il nascondere un concetto complesso dietro ad un interfaccia semplice e riferisi a questa nell’interagire con altri enti stabilendo quindi un protocollo di comunicazione più semplice. Io ritengo che un’intelligenza sufficientemente potente si porti con sè l’astrazione come side-effect (e ciò vale anche per l’auto coscienza).

                      IL fatto che ritieni che i pensieri risiedano nella corteccia cerebrale mi fa supporre che tu stesso non escluda a priori un’ intepretazione meccanicistica del pensiero umano.
                      O ritineni invece che la corteccia cerebrale sia la sede di un “quid” non indagabile e di forma immateriale?

                    • Piero ha detto in risposta a Piero

                      fatto che ritieni che i pensieri risiedano nella corteccia cerebrale mi fa supporre che tu stesso non escluda a priori un’ intepretazione meccanicistica del pensiero umano.

                      Non sono IO che lo ritengo.
                      Mi rifaccio a quello che ritiene la letteratura medica mondiale.
                      E siccome non sono un neurochirurgo non saprei come replicare a questa affermazione e quindi mi sto zitto e ripeto quello che altri piu’ titolati di me dicono.

                      Quanto al “non è necessario spiegare ad una rete neurale quanti sono i centimetri i grammi e i gradi in gioco” e’ lo stesso che dire che un tavolino calcola esattamente il peso di un oggetto messo sopra e quando la locazione di memoria preposta a contenere il peso dell’oggetto va in overflow, il tavolino si spezza.

                      Quanto invece al “una rete neurale può tranquillamente fare calcoli in altro modo per imparare a tenere in equilibrio qualcosa e quindi sè stessa” si espone allo stesso grado di scherno di una risposta diun cattolico che, rispondendo ad una qualsiasi domanda di un ateo, rispondesse “E’ cosi’ perche’ Dio lo ha fatto cosi’ in un modo che noi non conosciamo”.

    • Matyt ha detto in risposta a Giorgio Masiero

      Ipotizziamo effettivamente che il neurone sia semplicemente un componente hardware molto complesso, non singolarmente dotato di coscienza (approssimazione che effettivamente, sembra essere ragionevole, visti i dati sperimentali)

      Un bit ovviamente non può provare emozioni, quello è ovvio.
      Il problema che mi ponevo io è, dal momento che in natura il fatto che un’essere sia o meno dotato di autocoscienza è semplicemente una questione di complessità di HW, mi chiedo se così non possa essere anche in campo artificiale, quindi qual’è la capacità computazionale “critica” oltre la quale un sistema di data-processing (quale effettivamente sembra essere un cervello) riesce ad acquisire autocoscienza.
      Effettivamente, non lo sappiamo, e non so neanche se il paragone tra biologia e elettronica sia effettivamente fattibile, però, “a pelle” non sembra così fuori dal mondo.
      Ecco, per rispondere alla sua domanda, Dott. Masiero, non penso che sia possibile separare quella che Aristotele chiamava anima dall’HW, in quanto ci rendiamo conto che quello che effettivamente distingue l’HW dotato di “anima” da quello che l’anima non ce l’ha non è una questione di qualità, ma una di quantità.

      • Licurgo ha detto in risposta a Matyt

        Mayt.

        Però per Aristotele la forma, o anima, è presente anche nelle piante e negli animali, ovviamente con modi proporzionati alla loro natura, per cui la gradualità era già compresa (forma vegetativa, sensitiva, razionale)e la divergenza netta si aveva solo con gli oggetti inanimati (=non vivi; di qui il problema che state trattando.
        Il cristianesimo poi, ma questo è altro discorso dalla tripartizione aristotelica che qui ci interessa, considererà l’unica anima immortale (problema che Aristotele non aveva) quella che raggiunge il livello razionale (dunque quella umana) che sarebbe l’ ‘immagine e somiglianza’ dell’intelligenza divina.

      • Giorgio Masiero ha detto in risposta a Matyt

        “Il fatto che un essere sia o meno dotato di autocoscienza è semplicemente una questione di complessità di HW”: e chi l’ha dimostrato?! Questo è solo un atto di fede, perché fondato su nessuna legge fisica. L’hai vista, Matyt, la macchina di Kobe? E’ il computer più potente al mondo, fa milioni di miliardi di operazioni al secondo ed… è un mucchio di ferraglia! Tra 30 anni, se ci saranno i soldi per produrla e farla girare) ne avremo una che sarà miliardi di volte più veloce (e consumerà almeno 2-3 ordini di energia di più), ma pensi che ragionerà?! Sarà, come quella di Kobe o il pc che stiamo usando per chattare, un pezzo di ferraglia (hardware in inglese).
        Dici poi: “Ci rendiamo conto che quello che effettivamente distingue l’HW dotato di anima da quello che l’anima non ce l’ha non è una questione di qualità, ma di quantità”. E chi l’ha dimostrato? Io non me ne rendo conto affatto e ti ripeto la domanda: se è solo questione di quantità, sulla base di QUALE LEGGE FISICA, a quale soglia (X,Y,W) di (Ram, Cpu, SW) dovrebbe accadere che il calcolatore prende a ragionare?

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