Quel che la scienza “spiega” e…che lo scientismo non sa


 
 

di Giorgio Masiero*
*fisico e docente universitario

 
 

Nel dialogo platonico “Teeteto”, Socrate richiama il mito di Iride, dea della conoscenza e figlia di Taumante, dio dello stupore, per fondare su questo sentimento umano l’origine della filosofia e della scienza: “Teeteto: Sono straordinariamente meravigliato di quel che sia l’apparirmi davanti di tutte queste cose; e talora, se mi ci fisso a guardarle, realmente ho le vertigini. Socrate: Amico mio, è proprio del filosofo quello che tu provi, di essere pieno di meraviglia; e chi disse che Iride fu generata da Taumante non sbagliò”. Lo stupore è un grande turbamento dell’anima: davanti ad un evento inatteso e meraviglioso, perdiamo la consueta consapevolezza e andiamo in estasi (“ec-stasis”, in greco: uscire da se stessi).

Lo stupore è forse la prima sensazione provata dalla coscienza confusa d’un infante che s’interroga: perché? Poi, man mano che la visione della cornucopia del mondo si accresce nel bambino, i perché diventano sempre più frequenti. Solo col passare degli anni ed il sopraggiungere degli affanni nell’adulto sfumano nell’assuefazione o degradano nella noia, salvo riapparire di tanto in tanto. I veri filosofi e scienziati, però, si affacciano ogni giorno alla finestra del mondo con gli occhi dei bambini: non si abituano mai allo spettacolo policromo dell’essere, né si accontentano di contemplarlo, ma vogliono conoscerne le cause; ed hanno sete di sapere i fini che si posero quelle cause; e perché quei fini e non altri… “Non si sazia l’occhio di guardare, né mai l’orecchio è sazio di udire” (Qohelet).

Gli scientisti invece, sono quelli che non si meravigliano davanti a nessuna meraviglia. Con una scrollatina di spalle ti dicono: “E beh? La scienza, prima o poi, spiega tutto”. L’handicap di non provare stupore non è necessariamente uno svantaggio competitivo nel mercato del lavoro: può aiutare in una carriera di tecnico specializzato o all’opposto nel ruolo di tuttologo incensatore della scienza onnisciente e onnipotente. La scienza “spiega” tutto? Il dizionario Sabatini Coletti definisce la spiegazione come “chiarimento di ciò che è oscuro o difficile da comprendere”, ed è quello che intende ogni persona quando, davanti ad un evento che non capisce, dice: “Spiegami!”. Una spiegazione, perciò, è una successione di ragionamenti che, di passo in passo, riportano ad assunzioni intuitive ciò che a prima vista non si capisce. Il modello insuperabile di spiegazione è quello matematico di dimostrazione (dal latino de-monstrare = far vedere bene), applicato sistematicamente da Euclide nei suoi “Elementi” di geometria (IV-III sec. a.C.). Euclide prese sul serio i criteri scientifici dettati da Aristotele: “Tra i possessi del pensiero con cui cogliamo la verità, alcuni risultano sempre veraci, altri invece possono accogliere l’errore; tra questi ultimi sono l’opinione e il discorso, mentre sempre veraci sono la dimostrazione e l’intuizione, e non sussiste alcun genere di conoscenza superiore alla dimostrazione se non l’intuizione. L’intuizione dovrà essere il principio della dimostrazione, e quindi di ogni scienza” (“Analitici secondi”). Euclide pose perciò all’inizio della sua ricerca scientifica sulle proprietà dello spazio alcune assunzioni (postulati), dettate dall’intuizione e chiare come la luce del sole, e ne dedusse passo a passo le conseguenze logiche (i teoremi, dal greco theoréo = vedo), la cui verità risulta inizialmente oscura alla mente, ma che alla fine del percorso dimostrativo si “contempla”.

Prendiamo il teorema di Pitagora: “Nei triangoli rettangoli il quadrato dell’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati dei cateti”. Quando da bambini l’abbiamo udito per la prima volta abbiamo provato stupore, parendoci una bella coincidenza che tutti i triangoli rettangoli godessero di quella proprietà. C’è gente che non ne coglie l’evidenza e lo accetta soltanto perché sa che c’è una spiegazione nei libri di matematica. Però, davanti alla tassellatura rappresentata nella figura qui sotto, tutti ne contempliamo la verità in 3 passi logici di somma e sottrazione di 3 coppie di triangoli uguali.

Ecco, le spiegazioni in matematica coincidono tutte con procedure simili a questa di risalire per piccoli passi a postulati  “che sono insiti nella ragione umana in modo naturale e constano essere verissimi, al punto che se li ritenessimo falsi dovremmo rinunciare a ragionare” (Tommaso d’Aquino, “Contra Gentiles”).

Nelle scienze naturali, però, il vocabolo “spiegazione” assume significati del tutto diversi dall’ideale matematico. La sua applicazione diviene così tecnicistica in ogni disciplina, che spesso le spiegazioni degli esperti sui fenomeni che interessano la gente (dalla meteorologia alla medicina alla finanza, ecc.) li rendono ancora più oscuri al profano. Prendiamo la fisica: qui la spiegazione d’un fenomeno avviene con la sua descrizione matematica, un’equazione. Per spiegare la gravitazione, Newton propose l’equazione:

f = G × m1 × m2 : r 2

L’equazione uguaglia la forza di attrazione tra due corpi al prodotto delle loro masse moltiplicato per una costante G e diviso per il quadrato della loro distanza. Questa equazione spiega perché una mela cade per terra? Neanche per sogno, e Newton era il primo a saperlo rispondendo a chi lo interrogava: “Hypotheses non fingo”, io non fabbrico ipotesi. (Tra parentesi: avessero l’umiltà di Newton gli sbruffoni cantatori di storie di tanta “scienza” moderna!) L’equazione dice soltanto che c’è una forza che fa cadere la mela (e ciò sa anche l’animale che scuote un albero per raccoglierne i frutti) e quantifica la forza, così che la possiamo calcolare quando vogliamo, dalle traiettorie balistiche ai moti celesti. Questo è tutto con la cosiddetta spiegazione scientifica. Ma la teoria newtoniana non può spiegare perché l’equazione ha quella forma, perché contiene il quadrato (e non il cubo o la radice quadrata) della distanza, né perché G ha il valore 6,67 × 10-11, perché c’è una forza tra due corpi indipendente dalla loro costituzione materiale, perché è attrattiva piuttosto che repulsiva, come si propaga, ecc., ecc. Le grandi teorie della fisica moderna (la gravità generale e la meccanica quantistica) poi, svuotano ulteriormente il significato comune di spiegazione poiché, oltre ad esprimersi con equazioni di forma inspiegabile contenenti costanti di valori inspiegabili, si fondano per giunta fin dalle loro assunzioni (arbitrarie) su concetti oscuri e contro-intuitivi (varietà curve pseudo-riemanniane, onde-particelle, spazi vettoriali complessi ad infinite dimensioni, ecc.) che non hanno relazione con l’esperienza ordinaria e che soltanto mediante esercizi di training autogeno gli “adepti” (gli aspiranti fisici) si abituano a maneggiare. Quando in un articolo ho spiegato le onde elettromagnetiche con un “campo tensoriale 4-dimensionale di ordine 2 antisimmetrico”, un lettore commentò: “Mai sentito. A naso potrei pensare ad un miscuglio di parole dotte privo di significato. Spiegami”. Che altro potevo fare se non rinviarlo ad un corso di geometria differenziale?

Questa è la situazione della fisica che, nell’ottica riduzionistica che fa da sfondo oggi al naturalismo, è la scienza fondamentale cui tutte le scienze vanno ricondotte. Nella stessa concezione, quindi, non migliore è la potenza esplicativa di tutta la scienza moderna. La biologia per esempio, di fronte al problema della vita, deve spiegare la creazione locale di ordine dal caos, che allo stato delle osservazioni scientifiche (e al netto di fantasie aliene) è la stupefacente eccezione presente in un pianeta appartenente ad un Universo, dove la regola è ovunque l’opposta come sancita dalla “legge più importante di tutta la scienza” (A. Einstein): la crescita dell’entropia che definisce la freccia del tempo. Concediamo pure al riduzionismo che una seria teoria fisica, affrancandoci dall’affabulazione ingenua del darwinismo, riesca un giorno a descrivere il meccanismo della vita. E allora? Ci troveremo nella stessa situazione delle altre teorie fisiche: di sapere descrivere tramite un sistema di equazioni “come” (hanno avuto origine le specie sulla Terra), ma di non sapere il “perché” di quelle equazioni, di quella forma e con quelle costanti. È il limite fisiologico delle spiegazioni scientifiche, per definizione di metodo galileiano, cari lettori! Certo, io sarei il primo in questo caso a cantare un successo epocale dell’interdisciplinarità tra fisica e biologia, a prevedere anche nuove applicazioni tecnologiche a vantaggio dell’umanità, ma non direi mai che con ciò la scienza “spiega tutto”. Al contrario, volgendomi alla sua storia, mi aspetterei l’insorgere di nuove domande di fronte al mistero dell’essere, arretrato ad ogni nuova scoperta solo d’un passo.

C’è sempre la Endlösung di spiegare il molto postulando il tutto: è la congettura d’infiniti mondi disgiunti con tutte le leggi possibili, con tutti i valori di G e tutti gli esponenti di r. In uno di questi mondi “la Luna è fatta di formaggio erborino” (S. Hawking). Però – mentre al lavoro interrogo gli annoiati erranti del multiverso sulla potenza esplicativa d’una proposta che, postulando più assunzioni dei fatti che intende giustificare, supera il record bijettivo della “Teogonia” di Esiodo (dove ad ogni fenomeno naturale corrispondeva una sola divinità) – alla pausa pranzo lascio tali sogni ai cultori di Gorgonzola del nostro unico Universo reale. Se sono chiamato a sciogliere un groviglio, per il suo invincibile filo tagliente io mi affido al rasoio di frate Occam: “Non moltiplicare gli elementi oltre il necessario”.

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51 commenti a Quel che la scienza “spiega” e…che lo scientismo non sa

  • Piero ha detto:

    Quando in un articolo ho spiegato le onde elettromagnetiche con un “campo tensoriale 4-dimensionale di ordine 2 antisimmetrico”, un lettore commentò: “Mai sentito. A naso potrei pensare ad un miscuglio di parole dotte privo di significato. Spiegami”.

    E conoscendo l’autore del commento, non meraviglia affatto…

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    • Christian ha detto:

      Mitico Nicola il comunista? Non è lo stesso che negava i crimini di Mao e di Stalin, un vero idolo!

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      • Christian ha detto:

        Ho cercato di resistere ai suoi commenti, ma quando a questi si sono aggiunti anche gli pseudo filosofi Luigi Pavone ed Ugo La Serra ed il “pittore” Ivan B non ce l’ho fatta più a trattenermi dallo scrivere qualcosa anch’io.
        Se mi dovessi fare un rimprovero sarebbe quello di essere intervenuto decisamente troppo tardi.

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  • Alessandro Giuliani ha detto:

    Caro Giorgio grazie per questo articolo profondo ed illuminate che utilizzerò a piene mani nelle mie lezioni di statistica !

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    • Giorgio Masiero ha detto:

      Grazie a te, Alessandro. L’idea di questo articolo mi è venuta da te, da questa tua frase: “Chiunque sia un po’ addentro ai fatti di scienza sa che in una semplice molecola proteica c’è una tale densità di ‘essere’ (insomma la compresenza di innumeri livelli di spiegazione, dagli stati quantici dell’acqua legata alla macromolecola, fino al mistero del ripiegamento del polimero in un tempo brevissimo incompatibile con la pura ricerca casuale di un minimo di energia che impiegherebbe anni invece dei pochi secondi che effettivamente occorrono) da far venire voglia di inginocchiarsi e pregare”.

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  • gemini ha detto:

    Lo scientismo e lo scetticismo esisteranno sempre, sono duri a morire

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    • Roberto Dara ha detto:

      Sullo scientismo sono d’accordo che è una forzatura, ma lo scetticismo cosa ha di negativo?

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      • gemini ha detto:

        E’ una forma di estremismo psicologico del tutto irrazionale.

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      • Fabrizio Ede ha detto:

        é negativo perchè contradditttorio: dice Aristotele nel libro quarto che “la discussione con tale avversario[lo scettico – N.M] non può vertere su nulla, perché egli non dice nulla: infatti, egli non dice né che la cosa sta così, né che non sta così, ma dice che la cosa sta così e non così, e poi, daccapo, egli nega e l’una e l’altra affermazione, e dice che la cosa né sta così né non così.”

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  • Fabrizio Ede ha detto:

    L’orizzonte umano si appiattisce e invecchia uccidendo la meraviglia allorchè sostituisce la ripresa con la ripetizione, la persona con l’individuo riscostruibile e riducendo ogni asserzione “scomoda” ad un’arbitraria equazione tra intuizione e dimostrazione.

    Grazie per gli spunti di riflesione che sempre offri

    Ciao

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  • joseph ha detto:

    “Se sono chiamato a sciogliere un groviglio, per il suo invincibile filo tagliente io mi affido al rasoio di frate Occam: “Non moltiplicare gli elementi oltre il necessario”.”
    Questa mi ricorda il nodo gordiano e la lama di …Alessandro il Grande?
    Bellissimo articolo, anche se la soluzione grafica del teorema di Pitagora ha quasi sovraccaricato il mio povero neurone…. no pain, no gain…

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  • pastor nubium ha detto:

    Certo Marco!
    Tu continua a tenerci aggiornati che noi continuiamo a pregare. Coraggio!

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  • Andrea ha detto:

    Sono d’accordo i veri scienziati se ne fregano del perchè, e si interessano al come, perchè sul come si può costruire una visione condivisa del funzionamento del mondo. L’approfondimento del come spinge il perchè ai limiti della conoscenza umana, lontano dall’esperienza, lasciando il terreno a discipline che propongono le loro ipotesi di perchè su cui gli uomini immancabilmente non concordano mai, rendendo tanto affascinante la domanda quanto noiose e spesso astruse le soluzioni proposte (astrusi tanto il multiverso quanto le varie declinazioni di Dio proposte, se proprio vogliamo raderci con Occam la mattina).
    Io non so nemmeno se abbia senso porsi certi perchè, l’uomo non è in grado di distringuere i “perchè” che sono spesso semplici frutti dell’atto del suo cervello di riflettere su sè stesso, di capire se aveva senso chiedere perchè quando un come bastava (ed infatti perchè e come si confondono, fino ad un certo punto), perciò quando mi scontro con un perchè ci faccio qualche pensata e poi mi ridedico a scoprire se mi sia posto un “perchè” ad un punto in cui ci stava ancora un come (ES: perchè nasce un fulmine? –> è diventato un “come” e così via…).

    Lascio i perchè a chi si annoia coi come, a chi crede che siano finiti, e a chi ha bisogno di rispondere ai perchè a tutti i costi (anche quello d’inventarsi una qualunque risposta)

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    • Giancarlo ha detto:

      Tu dimentichi che l’uomo ha bisogno di senso: non può rinunciare al perchè. I bambini, quando cominciano ad interrogarsi sul mondo, sono molto più interessati al perchè che al come.

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      • Andrea ha detto:

        Non ho detto che debba riununciare, non è mia intenzione prescrivere niente a nessuno,ho detto che i perchè sono molto pochi, molti meno di quanto si creda, e il passare le giornate ad affrontarli io lo trovo alquanto noioso, tanto è vero che anche qui, dove c’è molta gente interessata all’argomento, abbiamo soprattutto persone che si interessano al come e persone che credono di aver già avuto la risposta a tutti i perchè.

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        • Giancarlo ha detto:

          Caro Andrea, osservando la realtà sorgono due diversi ordini di domande: i “come” ed i “perché”. Ai “come” risponde, limitatamente ed approssimativamente, la scienza. Ai “perché” può rispondere solo Dio. Dunque hai ragione: è noioso, perché inutile, passare le giornate a tentare di rispondere ai “perché”. Il senso della vita, o viene da Dio, oppure non esiste. Tuttavia, ti ricordo, il senso della vita è indispensabile alla felicità dell’uomo. La ricerca del senso della vita non è un hobby o un passatempo per gente che non ha niente da fare. Non sono io a prescriverti l’obbligo della ricerca del senso della vita: è la tua natura, è l’essenza stessa del tuo essere che anela al senso. Fare spallucce, dicendo che “tanto è inutile”, non servirà a rendere meno imperativo il bisogno di senso che grida nel tuo cuore.

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        • Giancarlo ha detto:

          Caro Andrea, osservando la realtà sorgono due diversi ordini di domande: i “come” ed i “perché”. Ai “come” risponde, limitatamente ed approssimativamente, la scienza. Ai “perché” può rispondere solo Dio. Dunque hai ragione: è noioso, perché inutile, passare le giornate a tentare di rispondere ai “perché”. Il senso della vita, o viene da Dio, oppure non esiste. Tuttavia ti ricordo che il senso della vita è indispensabile alla felicità dell’uomo. La ricerca del senso della vita non è un hobby o un passatempo per gente che non ha niente da fare. Non sono io a prescriverti l’obbligo della ricerca del senso della vita: è la tua natura, è l’essenza stessa del tuo essere che anela al senso. Fare spallucce, dicendo che “tanto è inutile”, non servirà a rendere meno imperativo il bisogno di senso che grida nel tuo cuore.

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    • Giorgio Masiero ha detto:

      Si può (secondo me, in una visione di umanesimo integrale, si “deve”) essere interessati ai “come” e anche ai “perché”, Andrea: le due domande non si escludono l’un l’altra. Tu, in tutti i tuoi commenti, che cosa fai se non filosofia, cercando anche tu di dare le tue risposte?
      D’altra parte che cosa riscalda più l’animo dell’uomo se non le domande riguardanti la verità, la bellezza, la giustizia, ecc., che non hanno una risposta scientifica?

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      • Andrea ha detto:

        La mia unica filosofia è dire che preferisco il come , molte domande sull’arte e sulla musica ad esempio hanno, a mio avviso, spiegazioni nell’ambito del come, il perchè ci piacciono musica e arte sono a mio avviso dei come prima che dei perchè (anche se ovviamente ad un certo punto diventano dei perchè). Ora quando uno si compiace della bellezza di un fiore, di una sinfonia o del bere buon bicchiere di vino può decidere di non porsi nessuna domanda o di porsi delle domande. Uno può fermarsi e dire:” la musica mi avvicina a Dio”, e va benissimo. Uno può andare avanti e approfondire quali siano gli aspetti psico-acustici della questione fino a che la domanda, “perchè ci piace la musica” diventa il solito: “perchè esistono le onde sonore”?.

        Quindi sono d’accordo con te sulla questione del riscaldamento dell’animo, ma ritengo che approfondimenti molto spinti nell’ambito del come siano possibili anche se assolutamente non necessari. Anzi in alcuni casi direi controproducenti, perchè ci sono persone, a mio avviso alquanto ottuse, che credono che approfondire il motivo per cui un fiore sia rosa, snaturi la bellezza del fiore o il sentimento che esso ingenera. La paura del come è una paura che affligge molte persone che si consolano trasformandolo subito in un perchè (molto prima di quanto sarebbe lecito farlo nel percorso d’analisi)

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        • Karma ha detto:

          Mi sembra davvero commovente che tu debba mentire a te stesso, questo dimostra quanto siete distanti dalla vita. Ma come si fa a dire “a me non interessano i perché”? Sono autogol clamorosi.

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          • Andrea ha detto:

            al di la del tuo stupore, il fatto che tu ti senta di mentire a te stesso provando a ragionare come me, in che modo di mostra che io lo faccio a mia volta?
            Mi accusi di una disperazione che è tutta tua.
            E poi siamo chi scusa? Dove sta questo insieme di persone che ti terrorizza per il solo fatto di non condividere la tua visione del mondo?

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        • Alessandro M. ha detto:

          Caro Andrea, puoi cercare di distrarti, di mentire, di ignorare quanto vuoi il tuo io, la tua umanità, che invece non si rassegna per nulla a non chiedersi “perché”, ma sappi che non sarà possibile. Puoi alzare il volume della musica quanto vuoi, ma la richiesta di senso continuerà a riemergere. Cercare di ributtare indietro le grandi domande è sopravvivere e non vivere.

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          • Andrea ha detto:

            Non sono d’accordo, io ritengo sia perfettamente umano ed anzi più maturo chiedersi un perchè ogni tanto e dedicarsi ad altro, piuttosto che votare la propria vita ai perchè non avanzando di un millimetro, in attesa di scoprire tutto da morti.

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            • Alessandro M. ha detto:

              Scusa ma che discorso strambo…in che modo uno che si dedica ai perché non avanzerebbe? Perché è più maturo dedicarsi ai perché “ogni tanto”. Tipo due ore al giorno? E se uno “vi si dedica” (cosa vuol dire poi dedicarsi ai perché????) per tre ore si diventa immaturo?

              La vera questione, al di là di questa percettibile confusione, è che in ogni azione che fai essa contiene dentro di sé il “perché” tu la faccia, e dentro questo “perché” si cela il “perché” ultimo tu debba vivere per fare questa azione. Tacciare di immaturità chi aspira al “perché” della vita è come l’adolescente ribelle che taccia di immaturità l’adulto che rimane fedele alla moglie e suda sangue per portare a casa di che mantenersi.

              L’unica posizione matura, quella che permette di vivere (e non meramente sopravvivere) è quella di tutti i grandi poeti, dei grandi uomini della storia che davanti alla vita non hanno avuto paura di stare di fronte al proprio io che -come dice Pavese- tende originalmente all’infinito e mai sarà sazio fino a quando non lo raggiungerà.

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              • Andrea ha detto:

                Mi spiego meglio, soffermarsi su un perchè ogni tanto (i veri “perchè” sono tre o quattro tutti gli altiri sono “come”) non è un atto di preghiera per me, non è un rito che celebro, nè tantomeno una scelta. Semplicemente accade che con l’esperienza o semplicemente col pensiero uno di quei perchè si faccia vivo ogni tanto. La mia reazione non è affatto di panico, se lo fosse cercherei di dare un nome a quella controparte invisibile, delle intenzioni , e delle virtù, e gli condirei attorno discipline del pensiero umano, dedicate ad approfondire i perchè, anzi potrei addirittura arrivare a concepire una vita oltre la vita, per mitigare la perdita di tempo che la gestione di questi perchè comporta. Ma siccome non trovo nessun appagamento in ciò, nè tantomeno nessuna consolazione, guardo quel “muro” come guarderei qualunque altro muro. Di fronte ad un muro la domanda: “Chi l’ha costruito”, sempre che abbia senso, quanto tempo merita di ricevere? Se pensi che la tua vita non sia infinita, molto poco. Se pensi che vivrai in eterno,beh rispetto all’eternità qualunque intervallo è un infinitesimo. Da morto poi, se le cose stanno come dico io, non sarai comunque più li a poterti chiedere “oh se avessi dedicato meno tempo ai perchè”, se vanno come dici tu non avrai sprecato che una frazione del tempo totale a tua disposizione, quindi diciamo che grossi effetti collaterali non ce ne saranno comunque.

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                • Alessandro M. ha detto:

                  I “perché” sono tre o quattro? Ma nel senso che ti sei messo a contarli? E chi ha cinque “perché” sulla vita? Sbaglia?

                  La tua visione è ovviamente forzatamente cinica e nichilista, ma credo che tu non possa fare altro. Almeno fino a quando sei dietro ad uno schermo. Ovviamente nella realtà questo divertente stoicismo crolla come il burro, proprio perché ogni azione implica al suo interno un “perché” che poi rimanda al “perché” ultimo. Senza questo nessuno si muoverebbe, nessuno farebbe la fatica di vivere senza lasciarsi continuamente interrogare dai “perché”.

                  I tuoi ragionamenti ti allontanano soltanto da te stesso, caro Andrea. Personalmente mi ricordi moltissimo la posizione della volpe di Esopo che non riuscendo ad arrivare all’uva perché troppo alta se ne va piena di ragionamenti sul fatto che tanto è acerba, che tanto non ne vale la pena, che tanto era una perdita di tempo, che tanto è un’illusione ecc. Ovviamente nessuno si immaginerebbe quella volpe, mentre fa questi ragionamenti, come un animale felice, sereno, compiuto e soddisfatto della vita.

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        • Gab ha detto:

          Andrea quello che dici è veramente sciocco. In campo medico il “come” aiuta a studiare il fenomeno certamente. Ma è solo il “perché” che può definitivamente curare una patologia nel modo migliore possibile.

          Esistono molte patologie che si definiscono “idiopatiche” proprio perché è sconosciuta l’eziologia alla base di queste. Affrontare queste patologie risulta quindi difficile e il più delle volte è solo un approccio sintomatico. Ma quale medico non vorrebbe invece risolvere definitivamente una patologia? E quindi il “perché” è l’unica cosa che “completa” il quadro d’insieme.

          L’accontentarsi del “come” dimostra più che altro una indifferenza verso le cose che nasconde probabilmente la paura di affrontare il “perché”. Dato che al primo “perché” di ogni cosa si ritrova Dio tutto questo può sconvolgere chi, come te, non si era mai posto il problema. Ma, come ci dice la Rivelazione, una volta che Dio si è rivelato nella Seconda Persona del Figlio tutti i peccati non sono più giustificati davanti a Dio, compreso l’atteggiamento da ignavi.

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          • Andrea ha detto:

            Rispondo prima a te perchè hai raggiunto il top con questa affermazione:

            “solo il “perché” che può definitivamente curare una patologia nel modo migliore possibile”

            credo che questo principio valga solo per le malattie psicosomatiche…

            Mi parli di paura?
            Ha più paura chi è umile di fronte ai perchè o chi si inventa la risposta?

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        • Antonio72 ha detto:

          Andrea, la tua filosofia che un “perchè” sarebbe una sorta di multiplo del “come” mi ricorda l’affermazione di un celebre fisico (non mi ricordo chi) il quale disse (pressapoco) che nella suddivisione della materia si raggiunge un punto oltre il quale la suddivisione perde di qualsiasi senso.
          Attieniti esclusivamente alla procedura dei “come” senza i “perchè”, e dopo avere reso superfluo il “perchè” arriverai ad un punto limite dove anche il “come” diverrà inutile. Ma sappiamo che la conoscenza dell’uomo è illimitata e quindi il limite del “come” dovrà essere sostituito da qualcos’altro, per es. dai “perchè”. Se viceversa abbiamo fede solo nel “come” e non nel “perchè” allora siamo dei discepoli del non-senso del Tutto. Ovvero neghiamo ciò che l’uomo è naturalmente predisposto a fare: dare appunto un senso al Tutto e quindi anche a se stesso.
          Non a caso le prime domande di un bimbo piccolo, scevro da qualsiasi contaminazione culturale e religiosa, sono dei “perchè” e non dei “come”. E noi adulti non siamo che bimbi cresciutelli: i “perchè” sono una costante in qualsiasi esistenza umana, e questo proprio perchè, il “perchè” a differenza del “come”, è illimitato.
          Il paragone del “come” ed il “perchè” mi ricorda la differenza ontologica tra il “fare” e l'”essere”. Mi spiego. Alla domanda “chi sei?”, solitamente tutti o quasi sono costretti a rispondere ciò che fanno, spesso confondendolo per ciò che sono. Una classica risposta potrebbe essere “sono idraulico” per dire “faccio l’idraulico”. E si potrebbe andare ancora oltre per descrivere chi è qualcuno, da cosa fa. Ma qualsiasi risposta del “fare” non esaurirà mai la domanda dell'”essere”. Diciamo allora che la scienza naturale spiega il “fare” mentre la religione l'”essere”. La scienza ha quindi un limite intrinseco che non appartiene alla religione.

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          • Andrea ha detto:

            Antonio io stesso ho ammesso che la sovrapposizione tra come e perchè è solo parziale. IL fatto che un bambino chieda solo perchè è perfettamente il linea con la teoria che ho esposto sulla parziale sovrapposizione di come e perchè e su come questa diminuisca man mano che si matura, riconducendoci ai soli “perchè fondamentali”.

            Non ho mai predicato la superiorità della scienza rispetto alla religione, ritengo che entrambe siano facoltative, ritengo inoltre che la prima sia strumentalmente utile e la seconda consolatoriamente utile. Ognuno le usi nella misura che più gli aggrada.

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            • gemini ha detto:

              Scusa se mi permetto Andrea ma il tuo modo di pensare è parziale.
              I perché e i come viaggiano su due binari diversi ma necessari.
              Tu stesso vivi la tua vita per dare un senso e non perché solamente ce l’hai perché se no saresti un animale non dotato di volontà autonoma.
              Questi discorsi sono superati mi meraviglio come uno intelligente come te si perda nelle trappole dei funzionamenti e non approfondisca il senso del movimento. E d’altronde Einstein c’aveva ragione, non sentite le sfere non ce niente da fare.

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              • Andrea ha detto:

                IO ritengo di essere un animale dotato di volontà autonoma e la cosa non mi scandalizza affatto. la necessità del senso è un effetto collaterale dell’intelligenza umana applicata all’esperienza. i miei limiti “animaleschi” se da un lato creano la domanda illusoria del senso, dall’altro mi permettono di godermi la vita trovando il senso qua e là nelle esperienze che conduco quotidianamente senza per questo dovermi sentire disadattato rispetto ad un concetto si senso che altri vorrebbero impormi.
                IL tempo che credi dovrei dedicare alla ricerca del senso, o addirittura a ringraziare un attore che tale senso avrebbe attribuito alla mia vita, lo dedico all’arte, alla musica ai viaggi e allo stare con le altre persone, nessuna cerimonia,nessun rito collettivo (che non sia un buon bicchiere di vino ogni tanto) ti assicuro che si vive benissimo anche senza inventarsi il senso del movimento.
                Come ho già detto questo non mi evita di pormi domande sul senso, ma nemmeno di chiedermi se abbia senso porsele, cosa che per qualche motivo, qui avete tutti scartato rispondendo non con una causa del senso, ma con una conseguenza (senza senso non saremmo che animali…)

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            • Antonio72 ha detto:

              @Andrea

              Forse mi sono spiegato male, ma quando ci domandiamo quei perchè esistenziali, siamo destinati a restare sempre dei bambini, in quanto ignoranti esattamente come bambini.
              Secondo me andrebbe indagata più a fondo la distinzione che fai tra la scienza-tecnologia “strumentalmente utile” e la religione “consolatoriamente utile”.
              Infatti da come la metti pare che vi sia una sorta di contrapposizione tra lo strumento tecnico-scientifico e lo scopo consolatorio della religione. Secondo me invece, come saprai, non vi è questa contrapposizione netta. Sei così certo che la scienza o meglio la tecnologia non venga considerata dall’uomo medio moderno una sorta di surrogato religioso tutto terreno? Sei sicuro che la scienza-tecnologia non prometta surrettiziamente o inconsciamente, quel paradiso consolatorio creduto dal religioso, proprio qui sulla terra? Non credo che per l’uomo mortale la consolazione sia una opzione facoltativa. Lo strumento tecnologico è invece facoltativo dal punto di vista consolatorio per il religioso, il quale crede in altro, ma non lo è affatto per il non-religioso, il quale non può che aggrapparsi solo a quello, non restandogli altro. E quest’ultima è appunto l’attitudine dello scientista che si vede costretto così ad incasellare l’uomo nella casualità-causalità scientifica per controllarlo meglio, ovvero per prevedere l’imprevidibilità esistenziale che angoscia l’uomo.
              Allora si possono prevedere due alternative di sbocco del progresso scientifico-tecnologico:
              1) Manterrà ciò che promette, anche se omette di dirlo esplicitamente
              2) Non lo manterrà e l’uomo sarà costretto a ricorrere a quell’altro che aveva nel frattempo abbandonato, sempre che non sia troppo tardi.

              Secondo me, come saprai di certo, la 1) è irrealizzabile per un semplice ragionamento. Il progresso tecnico-scientifico per arrivare al suo scopo (non dichiarato) è costretto ad allontanare l’uomo sempre più dal suo stato naturale, fino all’emancipazione completa. La tendenza sarà quindi la prevaricazione dell’artificiosità sulla naturalità in tutte le funzioni biologiche ed anche negli stessi rapporti umani.
              L’uomo è quindi destinato a diventare altro da ciò che abbiamo considerato ed in parte consideriamo tuttoggi la sua stessa natura. Ma non è neanche questo il problema, visto che l’uomo del XXI secolo non è lo stesso dei secoli precedenti. Il vero problema è dato dalla rapidità esponenziale di questa trasformazione, in quanto l’evoluzione tecnico-scientifica non si misura più in secoli ma in decenni, forse un domani anche in mesi. Il compito della scienza-tecnologia è molto gravoso quanto grandioso: fare le veci dell’evoluzione biologica riuscendo a formare una ciambella con il buco in un tempo all’incirca diecimila volte inferiore di quello impiegato dalla stessa natura. Riuscirà quindi alla scienza-tecnologia questa ciambella col buco? Secondo me no, perchè a quel punto l’uomo si estranierà inevitabilmente da se stesso, dalla sua propria natura, non solo naturale ma anche culturale. L’uomo non potrà mai essere ridotto ad un puro dato tecnico-scientifico, o almeno non prima di causare l’estinzione della sua stessa umanità che porta ineluttabilmente anche all’estinzione intesa nel senso biologico.
              E mi dispiace, la tua stessa filosofia, procede in questo stesso senso.

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    • Lucio ha detto:

      Allora tieniti pure il tuo mondo senza senso e senza scopo, dove anche i concetti di vero e di falso perdono significato…

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      • Andrea ha detto:

        Il mondo non è mio è nostro, se tu ritieni di trovargli un senso e ritieni che questa cosa ti aiuti a vivere più felice di quanto lo sia io, son contento per te, mica posso far finta di essere d’accordo abbi pazienza.

        Fammi un esempio di concetto di vero e falso che perde di significato nella mia concezione del mondo, che non sia legato all’esistenza di Dio ovviamente, altrimenti mi stai dimostrando l’ipotesi con la tesi….

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        • Karma ha detto:

          Quindi tu vivi senza senso?

          Ma come può essere razionale fare una cosa che non ha senso?

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          • Andrea ha detto:

            io vivo trovando un senso nel mondo che mi circonda nelle esperienze che faccio,nei sentimenti che provo, ma non aggiungo altri sensi oltre a questi, non aggiungo dimensioni escatologiche al mio sentire, attori di cui non ho conoscenza, progetti o fini che non vedo.

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            • Lucio ha detto:

              Ciao Andrea,
              Tu affermi: io vivo, faccio esperienze, provo sentimenti. Secondo le concezioni riduzionistiche dei neuroscienziati l’io non esiste, e’ solo un illusione, e noi siamo solo un ammasso anonimo di atomi. Come puoi quindi affermare di vivere, di fare esperienze, di provare sentimenti? Chi prova realmente queste sensazioni, forse il tuo cervello? Ma se non puoi dire neanche che e’ tuo?
              Se noi siamo solo macchine il cui solo scopo e ‘ quello di sopravvivere e di generare discendenti allora ne consegue che i sentimenti che proviamo sono solo una illusione giustificata da un guadagno biologico selettivo. Puoi allora davvero dire di poter provare affetto per un amico? Oppure amore per tua moglie e i tuoi figli?
              Infine, filosoficamente, che valore puo’ avere il concetto di vero e di falso in macchine biologiche che esistono con il solo scopo di sopravvivere e generare discendenti?
              Di fronte a questa triste realta’ non ti viene neanche in mente di domandarti perche’ la vita si dia tanta pena di voler sopravvivere?
              Per quanto ne so Leopardi, per citarti un esempio di ateo profondamente sensibile ed intelligente, il bisogno di porsi domande del genere lo sentiva profondamente….

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            • Karma ha detto:

              Vivi trovando un senso? Che senso avrebbe questa frase?

              I sentimenti sono il senso della vita? E come mai anche in presenza dei sentimenti l’uomo non è mai soddisfatto davvero?

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  • Lucio ha detto:

    La mia replica, chiaramente, e’ per Andrea.

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  • Alcor vega ha detto:

    Non ho parole!!! articolo stupendo la cosa che mi piace di più dei suoi articoli professore è questo connubio che fà tra scienza e un tipo di filosofia saggia spirituale e non speculativa o fine a se stessa grazie di cuore

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  • Michele Forastiere ha detto:

    Giorgio, bellissimo articolo (come sempre) e bellissima la dimostrazione del Teorema di Pitagora con la tassellatura infinita del piano! 🙂
    Un saluto affettuoso

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    • Giorgio Masiero ha detto:

      Grazie, Michele. In effetti, la contemplazione più evidente del t. di Pitagora si ha, proprio, prolungando all’infinito il quadrato (obliquo) dell’ipotenusa nelle due direzioni del piano: si osserva allora che il quadrato dell’ipotenusa tassella perfettamente il piano esattamente come i due quadrati più piccoli… e quindi, localmente, che il primo è equivalente alla somma dei due più piccoli!

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  • gemini ha detto:

    Bell’articolo!

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  • Licurgo ha detto:

    Credo che anche la scienza parta dalla stessa domanda della filosofia: ovvero chiedersi un perchè.
    Provo con un piccolo esempio.
    Noi ci domandiamo: perchè se tengo un oggetto in mano a mez’aria e poi lo lascio esso cade?
    Si arriva a capire che c’è qualcosa che lo attira a terra.
    Da qui la scienza, limitandosi per suo campo epistemico, a spiegare i fenomeni con i fenomeni, si metterà a cercare di spiegare e capire come mai ciò accade; arriva alla fora di gravità e si mette a studiare il suo funzionamento, attraverso teorie che si aggiornano con il progresso di altri rami della scienza.
    La filosofia si domanda invece subito un altro perchè: ovvero, ad esempio, perchè ci sono le leggi di natura e se esse possono autosussistere o meno.
    Dunque l’esigenza umana, quella di chiedersi il perchè, è alla base di entrambe le discipline; la scienza a quel punto studia il come poichè quello è il suo campo di indagine, la filosofia (e la teologia per chi è credente) cerca di rispondere a tutti i nuovi ‘perchè?’ che questa risposta immediatamente suscita.
    Il guaio è quando le due discipline non stanno ognuna nel suo ambito e pretendono di prendersi carico anche dell’altra.

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