Scienza contro filosofia, la falsa alternativa
- Ultimissime
- 07 Apr 2012
di Giorgio Masiero*
*fisico e docente universitario
Mai come oggi le scienze naturali hanno goduto di prestigio, presso i ceti colti e ricchi come presso i più poveri e meno istruiti, di tutti i Paesi. Ciò si deve al successo delle applicazioni tecnologiche, sfruttate ovunque dagli uni e dagli altri con avidità: quando si ammala, anche il filosofo scettico si sottopone ai test di ecografi, Holter, Tac, …; nel suo lavoro, pure il teologo tradizionalista si serve di pc ed internet; quando esegue un software di tracking navale o fa trading sui tassi di cambio, anche il pirata somalo illetterato usa i satelliti per intercettare le prede nell’oceano Indiano prima ed investirne i riscatti a Londra e Dubai poi; ogni ragazzino/a del mondo chatta con gli amichetti al telefonino; ecc. L’apprezzamento verso la tecnica si trasforma immediatamente (cioè, senza una pausa di riflessione critica) in venerazione verso la scienza, la promozione di livello provenendo dall’alone di mistero che nelle masse circonda le procedure della ricerca scientifica in contrasto con l’esibizione sfacciata di gingilli high tech nelle vetrine dei centri commerciali.
Nessuna sorpresa quindi se coloro che si sono dedicati a tale attività, gli scienziati, sono la categoria oggi più corteggiata dai media. Sorprende, invece, che essi siano spesso intervistati non tanto nella loro disciplina specifica, ma dove la loro opinione vale come quella di ogni altro uomo. Dove, più precisamente? In ogni campo non scientifico: sociale, politico, morale, religioso… Così accade per es. che un famoso oncologo venga interpellato più spesso in etica, eudemonologia ed estetica (“per una vita buona, felice e bella!”) e magari in politica energetica, piuttosto che sugli ultimi progressi nella lotta ai tumori. Eppure anche gli scienziati fanno parte della specie umana: accade loro di sbagliare nel lavoro, dove per caratteristica delle procedure scientifiche la replica dell’esperimento e lo scrutinio severo della comunità scientifica internazionale intervengono di regola a correggere l’errore (vedi il caso recente dei neutrini); gli accade quando filosofano nei talk show, ma qui il prestigio della scienza e l’assenza di falsificazione creano un’aura d’infallibilità.
L’ibridazione più divertente di scienziato-professionista/filosofo-dilettante si verifica quando il personaggio si consegna al pubblico adorante, sentendosi innanzitutto in dovere di recitare il dogma positivista secondo cui solo le proposizioni scientifiche hanno senso mentre quelle filosofiche vanno lasciate ai perditempo e, celebrato il funerale della filosofia, subito dopo la resuscita per uso personale, indisturbato per il resto del discorso. La schizofrenia è stata illustrata qualche settimana fa in un articolo di Enzo Pennetta riguardante un’uscita di Luca Cavalli-Sforza. «Gli unici discorsi che val la pena affrontare sono quelli scientifici, gli altri sono privi di consistenza», il genetista aveva appena finito di sciorinare, che subito si lanciava allegramente in una serie di osservazioni filosofiche riguardanti il senso della vita, la religione, la letteratura, ecc., senza che l’intervistatore prostrato ai suoi piedi sollevasse il ditino per contestargli la contraddizione flagrante. Nella sua autobiografia “Perché la scienza? L’avventura di un ricercatore” Cavalli-Sforza aveva ripetuto lo schema per 300 pagine: «La filosofia cerca la verità attraverso il ragionamento, ed è gravemente ostacolata, a mio parere, da un limite fondamentale insito nel linguaggio. Per ragioni pratiche, ogni linguaggio ha sempre un certo livello di ambiguità: molte parole hanno più di un significato e di solito è il contesto a dirci qual è quello giusto, cioè quello inteso da chi le ha pronunziate […]. So benissimo che questo discorso non piacerà negli ambienti più intellettuali e astratti, e quello dei filosofi è forse il più astratto di tutti, ma mi sento in dovere di farlo per onestà, consapevole che mi costerà l’accusa di non capire nulla di filosofia. L’accusa probabilmente è giusta, ma sono convinto che per fare della buona scienza non sia necessaria la filosofia» (sottolineatura mia). E così via, lo specialista in amminoacidi e nucleotidi proseguiva imperterrito, senza accorgersi di avere scritto in questo caso non un saggio sul DNA, ma un quaderno di filosofia ingenua, ricorrendo ad un “ambiguo”, “nebuloso”, “impreciso” ed “incerto” idioma: la lingua italiana. Se una delle funzioni più importanti della filosofia è d’insegnare l’arte della definizione, l’analisi della logica e la corretta procedura argomentativa, a cominciare dal rispetto dell’aristotelico principio di non contraddizione che proibisce di affermare contemporaneamente A e non A, a Cavalli-Sforza servirebbe frequentare fuori laboratorio un corso di logica. Imparerebbe allora, oltre a non contraddirsi, che nessun linguaggio che usi il calcolo proposizionale del second’ordine (e quindi nemmeno il gergo della sua arte, la biologia) è immune dalle ambiguità delle lingue ordinarie.
Anche Stephen Hawking, nel suo zibaldone di pensieri “Il grande disegno”, comincia col proclamare la morte della filosofia ed il passaggio del testimone della verità alle scienze naturali: «La filosofia è morta. Essa non ha tenuto il passo con gli sviluppi della scienza moderna, in particolare della fisica. Di conseguenza sono ora gli scienziati a portare la fiaccola della conoscenza». E, dopo la dichiarazione di rito, il tecnico delle stringhe elenca otto grandi domande cui si propone di rispondere, “scientificamente”: 1) Come possiamo capire il mondo in cui viviamo?; 2) Come funziona l’Universo? 3) Qual è la natura della realtà?; 4) Da dove viene il tutto?; 5) L’Universo richiede un Creatore?; 6) Perché c’è qualcosa piuttosto che niente?; 7) Perché esistiamo?; 8 ) Perché le leggi di natura sono queste piuttosto che altre? Il lettore accorto capisce al volo che soltanto la seconda domanda appartiene alle scienze naturali, mentre le altre sette sono di carattere filosofico, in quanto elusive del metodo sperimentale.
E’ confermato nella sua intuizione dal prosieguo della lettura del libro dove l’autore, tanto è brillante nella (sua ipotesi di) risposta all’unica questione scientifica, altrettanto balbetta e sragiona nelle altre sette. Hawking scrive: «Poiché esiste una legge di gravità, l’Universo può creare e di fatto crea se stesso da niente». Questa frase merita di entrare nel Guiness dei primati: 4 nonsensi in una riga. Se è raro, infatti, che l’uomo di strada si contraddica due volte nella stessa frase, il cosmologo che ha occupato per 30 anni a Cambridge la cattedra già di Newton e di Dirac lo fa 4 volte qui, nella proposizione che sintetizza tutta la sua ricerca metafisica:
Nonsenso n. 1: «Poiché esiste la legge di gravità… »: altolà! Allora l’Universo non è sorto da niente, ma dalla legge di gravità pre-esistente.
Nonsenso n. 2: la legge di gravità è la stessa cosa della gravità? Ovviamente no: la prima è un’equazione matematica che descrive un fenomeno naturale, la seconda è il fenomeno naturale, noto fin dalla preistoria ai nostri avi che, senza conoscere l’equazione di Newton, lo usavano in difesa salendo sulle alture e potendo così scagliare dall’alto verso il basso proiettili con maggior violenza dei nemici. E, con l’eccezione degli sciamani operanti in Amazzonia, Nuova Guinea ed Oceania – che appartengono a culture dove non è ancora stato inventato il metodo galileiano –, tutto il mondo distingue tra la capacità descrittiva e la sterilità prescrittiva delle formule nell’evocazione di eventi naturali. Insomma la legge di gravità non può fare alcunché, men che mai creare un Universo, perché per fare serve un agente.
Nonsenso n. 3: «L’Universo può creare e di fatto crea…”: la potenzialità di fare una cosa e l’atto di farla sono due stati distinti, essendo la prima un’apertura sia all’accadere che al non accadere del secondo. Va spiegato perché un evento solo possibile si è realizzato “di fatto” qualche tempo fa, e non è rimasto (per l’eternità) allo stato di potenzialità latente.
Nonsenso n. 4: «L’Universo crea se stesso», come dire «l’Universo è causa dell’Universo». Se A è causa dell’effetto B, si richiede l’esistenza della causa A per il realizzarsi dell’effetto B: quindi la proposizione “A è causa di A” è priva di senso, perché invoca l’esistenza di A per spiegare l’esistenza di A. Anche ad Hawking servirebbe un Bignami di filosofia aristotelica…
«Per fare della buona scienza non è necessaria la filosofia» dunque? Einstein bollerebbe gli autori di questi ragionamenti da bar Sport come operai di reparto cui è preclusa la visione d’insieme del lay out di fabbrica. In una lettera del 1944 lo scopritore della relatività moderna raccomandava l’insegnamento della filosofia agli scienziati con queste parole: «Io concordo pienamente con te sull’importanza ed il valore educativo della metodologia, della storia e della filosofia della scienza. Oggi molta gente, tra cui scienziati di professione, mi sembrano come chi ha visto migliaia di alberi, ma non ha mai visto una foresta. La conoscenza dei fondamenti storici e filosofici fornisce quel genere di indipendenza dai pregiudizi di cui soffre la maggior parte degli scienziati di oggi. Questa indipendenza creata dall’intuizione filosofica è, a mio parere, il segno distintivo tra un puro artigiano o specialista ed un vero ricercatore della verità» (Lettera a R.A. Thornton, Einstein Archive, Hebrew University in Jerusalem, EA 6-574).
Da che cosa è provocata questa deriva irrazionalistica contro la quale Einstein metteva in guardia già 70 anni fa? È la specializzazione, bellezza! L’altra faccia dello sviluppo tecno-scientifico è la comparsa di una nuova specie terrestre, i tecnici superspecializzati: essi si sono eletti tedofori della conoscenza del sol dell’avvenire, ma si sono fissati così maniacalmente nella loro ristretta area di lavoro da aver perso il senso del valore della filosofia come logos sintetico e veritativo, e da ignorare perfino di possedere nel loro background culturale un pregiudizio (naturalistico) che ne acceca, fuori del loro antro, la ragione contro l’evidenza. La loro razionalità è una delta di Dirac: sanno tutto su niente, e niente su tutto.
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249 commenti a Scienza contro filosofia, la falsa alternativa
Concordo su tutto Prof. Masiero: il suo articolo presenta in maniera acuta e fedele la profonda e nefasta confusione filosofica che regna nelle teste di molti scienziati e di molti divulgatori scientifici. Ha mai provato, per curiosita’, a leggere qualche articolo della rivista Focus? Trovo che sia un esempio plateale di questa ignoranza e di questa confusione….
C’e’ davvero bisogno di una rinascita della filosofia cosi’ come auspicato da Papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica: “Fides et ratio”!
Tanti auguri di Buona Pasqua!
Grazie, Lucio. Non riesco a leggere nessuna rivista di divulgazione, proprio per l’impreparazione filosofica e critica della gran parte dei divulgatori e le necessità di spettacolizzazione degli editori.
Scusi, Prof. Masiero, lei conosce personalmente Hawking? E soprattutto, Hawking la conosce? Lo dico perche’ e’ facile criticare il pensiero di una persona senza contraddittorio. Si e’ mai confrontato personalmente con Hawking? Grazie.
*spettacolarizzazione*!
Magnifico articolo, professore.
Grazie, Dsaeba.
Direi che occorrerebbe distinguere tre tesi:
1) le proposizioni (in senso lato) della filosofia non hanno senso
2) non esistono proposizioni (in senso lato) filosofiche vere
3) la filosofia non serve
Sono tre tesi distinte. Io concordo con la seconda, ma non con la prima e la terza. Chi afferma che esistono proposizioni filosofiche vere dovrebbe indicarne almeno una.
La proposizione “non esistono proposizioni filosofiche vere” non può essere che vera, perchè altrimenti sarebbe automaticamente falsa.
Eccoti indicata una proposizione vera.
Se è falsa, non ha senso concordare con essa.
Forse volevi dire che “non esistono proposizioni filosofiche vere” non può essere che FALSA?
Se è sicuramente falsa, non ha senso concordare con essa.
DSaeba, ciò che tu proponi, facendo qualche piccola confusione, è il c.d. argomento contro lo scetticismo assoluto. Lo scettico assoluto dice: non esistono verità. Non c’è dubbio che dire ciò è contraddittorio. Tuttavia, l’argomento contro lo scetticismo assoluto non si può estendere alla posizione che afferma che non esistono proposizioni filosofiche vere o false.
Un secondo appunto va mosso all’articolo, che sembra etichettare come contraddittoria l’affermazione che A è causa di A. Non mi pare sia contraddittoria (può essere senz’altro falsa, però). Per esempio, è legittimo affermare che Dio è causa di sé stesso.
Dio è, per definizione, ciò che è.
Ciò che è, non può essere la causa di sé: Dio è l’incausato causa di tutto.
Scusami, Luigi, ma sei tu che fai confusione: la proposizione “non esistono proposizioni filosofiche vere” non è una posizione, ma una proposizione logica, e quindi filosofica in senso stretto.
Non ha quindi senso dire che si esce dalla categoria logica.
L’affermazione “non esistono proposizioni filosofiche” o esprime una proposizione o non la esprime. Nella misura in cui esprime una proposizione non è una affermazione filosofica a priori, ma una asserzione intorno al mondo esterno falsificabile nella misura in cui il fascio si esperienze ad essa connesso è smentito dall’esperienza.
La logica non fornisce proposizioni ma schemi di proposizioni.
L’affermazione “non esistono proposizioni filosofiche”, è solo e soltanto una proposizione perchè ha una risposta positiva o negativa.
Non c’è bisogno di ricorrere all’esperienza o alla falsificabilità, dato che le possibili risposte alla domanda possono essere solo vero o falso (irrilevanti in questo momento), quindi rientra pienamente nell’ambito logico, e quindi nell’ambito filosofico.
Il problema non è se sia una proposizione, ma se sia una proposizione filosofica. Posto che sia una proposizione, la sua verità non può essere stabilita a priori, ma dobbiamo affacciarci dalla finestra e vedere se per caso esistano o meno proposizioni filosofiche. Quali esperienze dovremmo fare? Dipenderà dal significato che daremo all’ipotesi. Fuori dalla esperienza possiamo soltanto formulare tautologie, mentre all’interno della esperienza esistono solo gradi di scientificità. E’ molto interessante notare che filosofi appartenenti a tradizioni molto diverse tra loro concordino su ciò: per esempio Popper, Wittgenstein, Benedetto Croce. Quest’ultimo riconosceva verità soltanto alle proposizioni della storiografia, confinando l’attività filosofia a riflessione metodologica della ricerca storica.
Bere un caffè e fidarsi del barista è una verità?
Forse non ci siamo capiti, Luigi.
Il mio non è un discorso che dipende dalla validità o meno di una proposizione, o di una categorizzazione, ma era un giudizio (in senso kantiano) del tuo ragionamento.
Per il resto, concordo con te: è’ naturale che, all’interno dell’esperienza esistono vari gradi di scientificità applicati ad un’ipotesi.
Tuttavia non per questo le proposizioni logiche esistono anche al di là dell’esperienza. Infatti, rifacendomi ad Aristotele, la Logica non fa parte della Metafisica proprio per questo motivo.
*sul tuo ragionamento
Lasciami dire una una cosa Luigi: la scienza, in ultima analisi, nasce da una scommessa: quella che il mondo sia comprensibile razionalmente. Questa disciplina si basa quindi non solo sul metodo sperimentale ma anche su un idea filosofica. In conseguenza di questo fatto, allora, quando sostieni che “non esistono proposizioni (in senso lato) filosofiche vere” devi convenire con me che questa affermazione vale anche per la scienza. Per cui l’idea che solo le verita’ scientifiche siano puramente oggettive, se e’ questo che pensi, mi sembra quindi sbagliata.
Un saluto!
Posso concordare sul fatto che la scienza sia basata anche su idee filosofiche. La questione è se tali idee filosofiche siano proposizioni in senso stretto, suscettibili d’essere vere o false. A mio parere non lo sono.
Ci sono proposizioni vere, ci sono proposizioni false. Non esiste una “proposizione” in senso lato: o una frase è una proposizione, o non lo è.
Al limite non è una proposizione, ma un’ipotesi.
Esistono anche proposizioni con valore di verità oggettivamente indeterminato. In ogni caso, posso concordare che un enunciato o esprime una proposizione o non la esprime. “passami il sale!”, per esempio, non esprime una proposizione, pur essendo significante (ecco perché ritengo sia importante non confondere la tesi della significanza degli enunciati della filosofia con quella del loro valore di verità).
“Passami il sale” non è una proposizione logica, è un’asserzione.
Esistono indubbiamente proposizioni con valore di verità indeterminato, come per esempio “la realtà è oggettiva”.
Esistono tuttavia proposizione con valore di verità determinato, come per esempio “la realtà esiste”.
La logica non fornisce proposizioni, ma schemi di proposizioni!
La logica non fornisce nè proposizioni, nè schemi, ma le metodologie per comprendere e valutare tali oggetti
Sei una persona acuta e preparata Luigi, complimenti.
Voglio risponderti cosi’: a mio parere la scienza e’ nata e si e’ sviluppata soprattutto sulla base del concetto di sistema fisico. Ad esempio, per cercare di comprendere il fenomeno delle maree, Newton prese in considerazione un sistema fisico formato unicamente dalla terra, dalla luna e dal sole; isolando cosi’ questi corpi da tutto il resto dell’ universo. Con questo sistema e con altri simili giunse ad elaborare la sua teoria della gravitazione universale. Il punto pero’ e’ che da un punto di vista filosofico questo modo di procedere e’ arbitrario, poiche’ tutte le cose esistenti sono da considerare collegate tra loro…..
Non ti pare quindi che le proposizioni filosofiche abbiano la loro cittadinanza anche in ambito scientifico?
Un saluto!
Ciao Luigi,
Ti dispiacerebbe dirmi come giustifichi queste tre tesi cosi’ perentorie sulla filosofia?
La filosofia, credo, non ha la pretesa di esprimere la verita’ ma piuttosto di ricercare la verita’.
Che cosa e’ la verita’? Questa domanda mi rimanda sempre a quella che Pilato rivolse a Gesu’…
Ciao, non credo che la filosofia sia ricerca della verità (se non in senso metaforico), ma piuttosto è chiamata a darne una definizione. Esistono in filosofia diverse definizioni di verità, da quella realistica (che io preferisco) a quelle coerentiste, fino ad arrivare a posizioni dispensabilistiche (come quella sostenuta da Rorty); nessuna di essa ci dà una rappresentazione di come stanno le cose.
Io dico su Luigi Pavone filosofo la “mia” verità. Ne esistono due manifestazioni: una è quella (come nei commenti a questo articolo) che parla sulle regole del discorso, sui massimi sistemi logici, sull’analigi logica, ecc. L’altra è quella che interviene, sporcandosi le mani, sul merito dei problemi (soprattutto quando si parla di etica, di diritti civili, di costituzione di stato moderno,…). Se fossi un suo allievo, preferirei sentire sempre la seconda figura, dove, anche quando magari non sono d’accordo, troverei di avere sempre qualcosa da imparare.
La filosofia si contraddice? Ma come potrebbe essere altrimenti per un esercizio che ambisce a rappresentare l’infinita, contraddittoria manifestazione dell’essere?!
Se fossi un mio allievo, ti consiglierei di cambiare aula, dal momento che la seconda figura non si manifesta mai a lezione 😀 A lezione si manifesta uno che dice che la storia della filosofia è la storia di come alcuni problemi teorici da filosofici siano diventati scientifici, ma anche la storia di come la filosofia abbia acquisito la sua dignità nell’ “analisi” logica e semantica dei linguaggi, tra cui il linguaggio della scienza. “Analisi”, tra virgolette, perché ciò che sta dietro l’analisi è una tensione al miglioramento, perfezionamento, arricchimento del nostro linguaggio, o se preferiamo: potenziamento degli strumenti attraverso cui conquistiamo verità. La filosofia tocca il mondo solo indirettamente!
Il discorso dovrebbe essere affrontato anche nei termini dell’articolo.
Ecco, secondo lei (visto che per lei, la filosofia non dà una verità ma l’interpretazione della realtà) dopo il superamento in ambito accademico (se vogliamo) di problemi strettamente metafisici e ontologici (vista la variabilità di risposte) e se vogliamo grazie a Nietzsche: c’è posto per una filosofia “diretta”=quella che aiuta la Scienza nell’interpretazione? O piuttosto la Scienza supererà (a forza di teorie) l’ufficiosità della filosofia, autolegittimandosi?
C’è posto per i filosofi?
Spero ci sia posto un po’ per tutti http://www.youtube.com/watch?v=eAGUuCGx1es
Non credo però che la filosofia possa essere “diretta”. Lo è stata, però, quando in essa le scienze empiriche non erano autonome. Su queste cose, il problema è sempre lo stesso, da Kant in poi: esistono proposizioni sintetiche a priori?
Ah divertente 🙂
Lui affermava che le proposizioni matematiche sono quasi tutte sintetiche, perché esse recano con sé necessità, che non può essere tolta dall’esperienza.
Per completezza riporteri anche la massima di Feynman, che non era uno scienziato da bar sport:
“Philosophy of science is about as useful to scientists as ornithology is to birds.”
Feynman, nella tua citazione, dice esattamente l’opposto di Einstein! tu, credino, con chi stai? e credi davvero che Feynman non avesse una concezione di che cosa fosse la scienza? e se ce l’aveva, non si e’ automaticamente contraddetto?
anche Cavalli Sforza e’ stato un grande genetista senza capire niente di filosofia, pero’ quando si e’ trattato di tirare le conclusioni sulla sua ricerca e’ ricorso alla filosofia. e lo stesso ha fatto Feynman…, nelle sue memorie!
Feynman e Einstein sono in contraddizione meno di quanto credi. E in ogni caso, anche nella scienza c’è pluralismo di idee (per fortuna), specialmente in tema di epistemologia, dal momento che approccio individuale alla conoscenza è un concetto indissolubilmente legato all’esperienza. Il “Con chi stai” e il tifo da stadio non mi interessa.
nessuno qui fa il tifo per nessuno, ma ognuno dice la sua. per la ricchezza di tutti. tu, l’unico, sei intervenuto senza esprimere il tuo giudizio.
Io intervengo spesso senza esprimere giudizi; qui come altrove. Non mi sembra una cosa grave.
Scusa Wil, ma sono d’accordo con credino…mi pare solo che abbia aggiunto un giudizio facendo sua una citazione.
Anch’io, come Feynman, sono convinto (e l’ho scritto nell’articolo) che per essere un bravo tecnico non è necessaria la filosofia. Cosicché quando ho un guasto nel bagno o devo prendere un volo, non interrogo l’idraulico o il pilota su Aristotele. Però Feynman, come Einstein, era ben cosciente che la fisica non dà tutte le risposte ai problemi umani. Così per es. ha anche scritto: “Le scienze naturali non insegnano direttamente che cosa è bene e che cosa è male. […] I valori etici giacciono fuori del dominio scientifico” (R. Feynman, The Meaning of It All). Col che io non ho capito “che cosa in più” la tua citazione aggiunge, credino.
Stupefacente! 🙂
Grazie, se “stupefacente” è riferito al mio articolo!
Sì e mi chiedevo perché non si dedica alla divulgazione (se vuole rispondere, non è tenuto) 🙂
Lo faccio qui, e nel mio lavoro, e ovunque sono invitato.
Io glielo chiesto semplicemente perché constatavo che oggigiorno la divulgazione scientifica è in mano a giornalisti e non agli addetti ai lavori.
Su Focus era apparso un articolo nel 2008:
“Il sorpasso. Nel 2008 ,secondo uno scienziato nascerà una macchina che potrà superare luomo e sfuggire al suo controllo . Cercherà di liberarsi di noi?
Ed ancora.Gli esperti ne discutono in conferenze internazionali e hanno già dato un nome al momento del sorpasso singolarità (stesso nome che viene dato al buco nero) tecnologica.
Ed ancora: i super computer di oggi sono più potenti della nostra mente, la capacità computazionale del nostro cervello è di circa un teraflop , cioè 1 milione di miliardi di operazioni al secondo. Mentre la velocità di calcolo dei super computer è già oggi cento volte più elevata.
Ed ancora.: già oggi alcuni programmi sono in grado di autoriparasi., come in Matrix.
I calcolatori sanno fare solo somme di numeri interi, andando avanti e indietro di un passo alla volta. Per i teoremi di Taylor e Mc Laurin tutte le operazioni matematiche sono riducibili a somme di numeri interi. Per i teoremi di Boole, anche le operazioni insiemistiche e logiche elementari sono riducibili a somme di numeri interi. Questo è tutto per i calcolatori, dalla pascalina seicentesca (che già superava in velocità la mente) al K computer di Kobe. L’anno prossimo avranno velocità doppia di oggi, e tra 10 anni la velocità di fare +1 o -1 sarà 1.000 volte quella di oggi (con corrispondente accresciuto consumo di energia elettrica). Ma non sapranno ancora di esistere, perché saranno solo un ingranaggio di ruote dentate (di legno o di ferro o di silicio, non importa) come sono adesso.
L’attività della mente è fatta soltanto di +1 e -1?! Nessun calcolatore vale una sola formica. Né oggi né mai.
Grazie tante. Volevo solo dire che la divulgazione di oggi è scientista.
Giorgio,
Questa visione è estremamente limitante, lo so che non apprezzi l’intelligenza artificiale e riduci i calcolatori a delle calcolatrici, ma enormi passi avanti sono stati fatti avanti da quando tu ti sei interessato all’argomento e lo hai abbandonato, deluso dal fatto che i primi entusiasti del tema avevano preso delle cantonate (ormai 50 anni fa’). Ma in 10000 anni di civiltà quante volte l’uomo ha preso delle cantonate? Ti sembra razionale scartare delle ipotesi solo perchè un manipolo di over-entusiati in cerca di fondi ha fatto in passato degli errori?
non si capisce come mai tu abbia per partito preso deciso che nessun calcolatore valga una sola formica, lo puoi dire oggi ma non puoi dire mai. Al contrario di te, e la cosa mi stupisce, perchè sei uno scienziato, persino alcuni filosofi contemporanei come David Chalmers (http://consc.net/chalmers/) si stanno ponendo il problema (http://www.imprint.co.uk/singularity.pdf)
ci sono molti indizi che dicono che l’intelligenza artificiale sia all’alba di una grande rivoluzione, di una sorta di punto di singolarità, che attende solo una sufficiente capacità computazionale per essere realizzata, ma tu ti rifiuti di vederli, perchè??? Temi che la tua idea del mondo e del ruolo dell’uomo ne venga rivoluzionata?
– Sono già stati teorizzati dei problem solver universali matematicamente ottimali.
– Esistono teorie formali della creatività basate sugli intrinsic reward derivanti dalla compressione dei dati storici
– Perfino della coscienza di sè (anche se non è un requisito necessario di una macchina intelligente, ed infatti dubito che la formica ce l’abbia) sono state fornite delle possibili interpretazioni a livello neurale.
i mattoni ci sono tutti, si può scegliere di non guardarli ma non è realistico fingere di non vederli.
Focus non è il punto di riferimento su questi argomenti,io non critico la Bibbia citando il sito di Scientology….E’ fondamentale che non si faccia lo stesso quando si parla d’intelligenza artificiale.
Ovviamente nessuno è costretto ad approfondire argomenti che non ritiene interessanti.
Io mi occupo del problema IA, Andrea, più di quanto tu immagini, soprattutto dal lato finanziario.
Perché, invece di fare religione e filosofia dell’IA, non mi dici, se puoi, una sola operazione fatta da un calcolatore che non sia una somma o una sottrazione di 1?
innanzitutto non è un problema ma un’opportunità che va colta per il bene dell’uomo stesso, in secondo luogo non è assolutamente necessario confondere il mio entusiasmo per questo tipo di progressi con un approccio religioso alla questione. Ho solo l’impressione che i progressi in questo campo vengano ampiamente sottovalutati, ma non sono fan delle teorie dell’intelligenza artificiale più di quanto non lo sia di tutte le altre scoperte fatte dall’uomo ad oggi.
potrei ritirarmi in Tibet a contemplare la natura, ma siccome ho scelto di stare qui, ciò che gli altri uomini scoprono mi interessa soprattutto quando permette di far avanzare il nostro grado di comprensione del mondo che ci circonda. e ritengo che, con i dovuti caveat, le attuali teorie di AI (soprattutto nella parte relativa all’impiego di reti neurali ricorsive) da un lato costituiscano una buona potenziale semplificazione del cervello biologico e dall’altro spieghino elegantemente aspetti come la curiosità e la creatività, l’interesse per la musica e l’apprendimento, cosa che mai era stata fatta fino ad ora con successo. Capisco che questa cosa possa sembrare anti-religiosa o anti-umana, tuttavia mi sembra corretto per uno scienziato, dare credito a teorie che hanno una forte capacità esplicativa prima di rifiutarle per motivi filosofici.
il fatto che, ad esempio, un pezzo musicale raggiunga il suo picco d’interesse, dopo i primi ascolti fino ad un numero di ascolti sufficientemente elevato per poi decrescere, è, ad esempio una costante del comportamente umano che viene spiegata molto bene dalle teorie di intelligenza artificiale, e malissimo da qualunque altro approccio metodologico.
La tua domanda mi lascia perplesso, cosa credi che dimostri il fatto che un calcolatore faccia solo operazioni sui bit? E’ proprio quella la forza dell’intero approccio, il rendere possibile costruire su un livello base d’informazioni delle astrazioni che permettono di trattare le informazioni ed eventi in modo aggregato,esattamente come fa il nostro cervello quando stiamo in equilibrio senza aver bisogno di pensare direttamente allo stato di ogni singolo recettore che ci permette di farlo.
Non ho bisogno di citarti operazioni diverse da quelle, perchè non servono, così come a te non serve pensare ai bit di un cd quando lo ascolti.
Ammesso e concesso che l’intelligenza artificiale abbia una capacità computazionale maggiore dell’uomo, saranno in egual misura immaginazione e logica?
Per me no.
Altra domanda, nel test del quoziente intellettivo la macchina che punteggio potrebbe realizzare?
“per me no”, ok a prima vista anch’io avrei detto “per me no”, poi ho approfondito la questione e ad oggi non posso affermare che sia impossibile riprodurre il cervello di una formica, e quindi in seconda istanza quello di un qualunque organismo biologico (non posso esprimermi sul livello di probabilità che ciò avvenga ma non posso affermare oggi che sia impossibile farlo, come fa invece con certezza Giorgio).
quello che tu chiami immaginazione e logica sono delle astrazioni, dei simboli perfettamente compatibili con i meccanismi di compressione dei dati delle rete neurali (quale il cervello biologico) di cui sono anzi un sottoprodotto. (è molto efficiente per una rete di neuroni assegnare un simbolo ad un elemento ricorrente, quale è ad esempio l'”IO” in ogni esperienza che un essere conduce, ed è altrettanto efficiente giocare con questi simboli per fare previsioni, al fine di riscrivere in modo ottimizzato gli algoritmi di compressione dei dati rarppresentati dalle esperienze passate: questo è quello che fa uno scienziato quando scopre una nuova teoria ed è quello che fai tua quanto ridi per una battuta spiritosa)
Se da un lato le leggi della fisica impongono limiti sul massimo tipo di intelligenza che sia considerata plausibile nel nostro universo non abbiamo motivo di credere che le capacità umane siano vicine a tale limite.
Ci vorrano probabilmente ancora un centinaio d’anni di applicazione della legge di Moore, per giungere al limite fisico postulato dal Bremermann nel 1982 (10 alla cinquantaduesima istruzioni elementeari per Kg al secondo) che è comunque superiore di diversi ordini di grandezza (10 alla venti) rispetto alla capacità computazionale combinata di tutti gli esseri umani.
Oppure si potrebbe creare un intelligenza artificiale in parte umana (avente solo emisferi del cervello non riproducibili artificialmente).
Anche se eticamente non è un operazione valida.
non credo che riusciremo a produrre cervelli con la stessa densità di capacità di calcolo per kilogrammo di quello umano, non so se questo significhi implicitamente che nessuna intelligenza artificiale potrà mai raggiungere nemmeno potenzialmente le capacità del cervello umano (più un cervello è grande più tempo ci mettono le informazioni ad attraversarlo), e anche ipotizzato che sia possibile, sarà molto difficile che un cervello artificiale possa essere “nutrito” con esperienze paragonabili a quelle che un uomo fa spostando il proprio corpo nello spazio in vari ambienti ed interagendo con altri organismi anche attraverso la pletora di sensori di cui è cosparso il nostro corpo, siamo nel campo della fantascienza.
Tuttavia bisogna stare molto attenti ad usare la parola “mai” e soprattutto mi sembra doveroso interessarsi a modelli che simulano il funzionamento del cervello biologico , qualunque sia l’implicazione filosofica che ciò comporta. Dopodichè se risulterà essere tutto una stupidaggine avremo solo preso l’ennesima cantonata. Ma non pare essere un caso che i meccanismi di apprendimento applicati alle reti neurali stiano proprio in questi ultimissimi mesi fornendo risultati incredibili in diversi campi, risultati che superano di ordini di grandezza quelli raggiunti in precedenza.
Gemini, checchè ne dica Focus, non è vero che la capacità computazionale dei computer odierni ha già eguagliato quella del nostro cervello….
Che cosa intendi per “capacità computazionale”?
Si scusa, Giorgio, mi ero espresso in termini non rigorosi, intendevo il numero di operazioni compiute al secondo.
10 alla 19 flop: è la capacità stimata del cervello umano (superiore quindi ad un exaflop, mentre i più moderni supercomputer navigano nell’ordine dei petaflop)
Come è possibile quindi che il naturalismo sia ancora vivo se non riesce a spiegare questa complessità…
Anche se la capacità di un computer fosse di migliaia di yottaflop, il problema è, se non sbaglio, che i pensieri umani sembrano fuoriuscire dal cervello anche senza dati in ingresso.
Ciao Lorenzo, i dati in ingresso possono anche essere (e spesso sono nel nostro caso) un mixi di esperienze e ricordi, non è necessaria una contemporaneità tra input e output.
La tua affermazione è interessante ma non saprei in che modo possa essere testata.
Gemini, ci si prova ad affinare un modello, non è detto che ci si riesca, ma se a metà strada l’implementazione di quel modello, seppur nei limiti delle possibilità umane di oggi, da degli ottimi risultati nella risoluzione di problemi che ci assillano, perchè fermarsi?
Non è un modello, è una corrente filosofica.
Non capisco ancora perché fate confusione.
Naturalismo non è sinonimo di Scienza.
Comunque è testato ogni giorno dai fisici e dai biologi seri, non a caso si parla di paradigma naturalistico (anche se sarebbe più corretto dire neodarwinista nell’ambito della biologia, cambio il termine per riferirmi all’aspetto in generale, ma è la stessa cosa, il neodarwinismo appartiene al naturalismo)infatti non riesce a spiegare la complessità, ma è solo in aperta opposizione al principio antropico forte con il multiverso e al teismo evoluzionista.
Scusa,forse non ho capito la tua affermazione, intendi dire che il naturalismo non spiega come emerga la complessità?
Sì esatto (l’ho pure scritto)
ah ok, e quale altra corrente filosofica lo spiega (meglio) invece?
Fu scritto: ” Il vostro parlare sia invece sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.(Mt 5.37)”
Anche trascurando l’origine dei pensieri, la mente umana non funziona esclusivamente col solo si, si e no, no; potresti giustamente obbiettarmi che le porte logiche soddisfano tutte le ipotesi, ma come la mettiamo col libero arbitrio? Mentre ritengo infatti possibile ridurre l’istinto a formule Booleane, non ritengo sia possibile farlo con il libero arbitrio.
Affermare che è possibile creare un cervello umano artificiale significa semplicemente affermare che tra l’animale e l’Uomo non c’è alcuna differenza.
Perché pensano di liberarsi della filosofia?
Senza la filosofia non esisterebbe la Scienza.
Senza la filosofia, la scienza non avrebbe un quadro in cui operare.
Il limite e il pregio della Scienza è il continuo sviluppo, l’arricchimento; ma non si può mica pretendere che le verità epistemologhe si annullino ai bisogni delle sperimentazioni.
Il matematico Imre Toth, che si è dedicato a definire i rapporti tra la creazione matematica e la speculazione filosofica, in un’intervista a Ennio Galzenati ha osservato come le altre scienze come la medicina, l’astronomia non si pongano domande sulla loro specificità, ovvero sulla definizione di sé stesse, come fanno invece la filosofia e la matematica che continuano a interrogarsi sui limiti e le possibilità della propria forma di conoscenza. Altresì manca per il pensiero filosofico un criterio di verificabilità sperimentale che possa stabilire se ciò che esso afferma sia vero o falso; la filosofia stessa, infatti, è soggetta a una continua ridefinizione del criterio di verità con cui essa legittima le proprie conclusioni. Quindi la filosofia risulterebbe, alla fine, un girare a vuoto su sé stessa e costituita da teorie che si contraddicono a vicenda; eppure di essa non si riesce a sbarazzarsene. Opponendosi alla filosofia si fa ancora filosofia.
Come disse Aristotele: per poter dire se la filosofia sia utile, o meno, c’è bisogno di usare la filosofia.
@ Giorgio Masiero
Un appunto sul precedente ed interessante thread “effetto ramanujan”
“una volta avuto accesso agli ordinari curricula di studi”
Le parole straniere in italiano non pluralizzano:
Il film, i film; Il curriculum, i curriculum.
E’ corretto: più raramente (singolare) curricolo, plurale: curricula.
curriculum
s.m. (pl. curricula)
Curricolo nel sign. 1
http://dizionari.hoepli.it/Dizionario_Italiano/parola/curriculum.aspx?idD=1&Query=curriculum
@ gemini
No allora.
Curriculum è latino. Plurale curricula.
Così come dico ” i film del tal regista” e non ” i films del tal regista”, allo stesso modo non si pluralizzano mai le parole di una lingua straniera importate nell’italiano ” i weekend” e non “i weekends”.
Allo stesso modo la corretta grafia è ” il curriculum, i curriculum”
Non è vero, ti prego prendi un dizionario.
Le parole “straniere” sono: inglese, francese, russo ecc… comunque in genere sono anglofone.
Esiste.
parole straniere si intendono inglesi, francesi…
L’Accademia della Crusca, riguardo il plurale di curriculum
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=3940&ctg_id=93
conclude: “…Si può quindi scegliere tra la parola italianizzata curricolo con plurale curricoli o la forma originaria latina curriculum con il suo plurale curricula.”
il latino non e’, enrico, una lingua straniera, ma la nostra lingua madre: e qui anche in italiano si fanno i pluarali: senior, seniores, junior, juniores, media, agenda, excerpta, desiderata, opera omnia, ecc., ecc.
Non si pluralizzano ma esistono numerose eccezioni, soprattutto per il latino che è non è propriamente una lingua “straniera”.
“Curricula” come plurale di curriculum è corretto, anche in italiano.
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=3940&ctg_id=93
Vive da tempo indisturbato nel nostro lessico un gruppetto di queste parole latine ormai così radicate nell’uso che possiamo considerarle alla stessa stregua di molte parole straniere divenute italiane. Perciò la risposta è semplice: plurale invariato. Il referendum, i referendum; il currículum, i currículum; il memorandum, i memorandum; il solarium, i solarium; l’auditorium, gli auditorium e così via per tante altre. Per alcune di queste parole la forma latina invariabile si è stabilizzata da tempo, addirittura da secoli. Fin dal Cinquecento, diciamo e scriviamo il lapis e i lapis, anche se in latino lapis, propriamente “pietra”, al plurale faceva lapides. La parola album, venutaci dal latino ma attraverso la Germania settecentesca dove indicava un libro dalle pagine bianche per la raccolta di ricordi, di versi e di autografi augurali, resiste ancora in questa forma invariabile, gli album. C’è anche una forma italiana albo, plurale gli albi, che usiamo nel significato particolare di “elenco”: l’albo dei medici, degli avvocati, albo d’onore, gli albi professionali eccetera.
dizionari.corriere.it › Dizionari › Si dice o non si dice?
Le parole latine non sono parole straniere entrate nell’italiano, bensì parole che si sono conservate intatte malgrado l’evoluzione della lingua dal latino all’italiano, quindi vanno trattate per quello che sono e declinate di conseguenza.
Allora dica tutta la frase in latino.
Ricordo una puntata di Sgarbi quotidiani, ormai anni fa, in cui con stile molto poco british dava della “capra” a non mi ricordo quale personaggio dello show biz che continuava a dire “curricula”.
Poi che sia entrato nell’uso parlato e che sia accettato è un altro paio di maniche.
Lei scrive mi passi i lapides?
Consulta qualunque dizionario.
Il caso di “curriculum” è unico forse, è un latinismo della lingua italiana.
Nell’istruzione, per curriculum (più raramente curricolo, plurale: curricula[1]) si intende l’insieme dei corsi e dei loro contenuti, offerti da una istituzione quale una scuola o un’università.
Curriculum è una parola latina acquisita nella lingua italiana, derivata da currere, “correre”.
È diffusa – e difesa anche da accreditati autori – la forma plurale curricula, derivante dal costrutto del plurale proprio della lingua latina.
Tuttavia, in italiano il plurale di qualsiasi parola acquisita da una lingua straniera mantiene la stessa forma del singolare; chi sostiene la correttezza della dizione latina argomenta che, data la derivazione della lingua italiana dal latino, quest’ultimo non debba essere considerato come lingua straniera[2][3]. Secondo gli stessi, però, per il plurale di curriculum vitae, le regole grammaticali latine andrebbero applicate solo al primo termine, in quanto vitae rappresenta un complemento di specificazione (genitivo) che si riferisce a curriculum/a, il sostantivo vero e proprio, motivo per cui non deve necessariamente concordare con esso nel numero.
La forma corretta del plurale di curriculum, come attestano i più autorevoli dizionari, è curriculum, analogamente a tutti gli altri termini italiani acquisiti dal latino e che sono, difatti, invarianti: virus, humus, alibi, lapsus, deficit, forum, raptus, post scriptum, bonus, alter ego, senior, habitat, referendum.[4][5][6]
1^ Definizione su dizionari.hoepli.it
2^ Accademia della Crusca
3^ Corriere della Sera
4^ http://old.demauroparavia.it/29871 De Mauro
5^ http://www.comunicati-stampa.net/com/cs-64341/ Helena Hagan per Comunicati-Stampa
6^ Treccani.it
Non è sbagliato curricula (forma rara) come invece tu inizialmente sostenevi 🙂
“Curricula” come plurale di curriculum è corretto.
“La forma corretta del plurale di curriculum, come attestano i più autorevoli dizionari, è curriculum”
Bon va ben.. se ve piasi dir curricula dixe curricula.
Non xe un mio problema.
Attestano che si può utilizzare anche l’altra forma (come riconosci anche tu).
Caro Enrico, hai rotto le scatole con un sacco di interventi sul curriculum (interventi non hanno alcuna relazione con il tema vero della presente discussione) e adesso dici che non e’ un tuo problema? Ma chi ha cominciato questa diatriba surreale? Cerchi forse lavoro e non sai come scrivere il tuo curriculum? O vuoi semplicemente togliere la polvere dalla tastiera del tuo computer?
Complimenti. Hai centrato, hai colto il nocciolo della questione.
Purtroppo anche la scuola in Italia, che nel passato aveva l’obiettivo primario di sviluppare le capacità critiche, si è trasformata in una palestra di creduloni, di clienti pronti a bersi panzane di ogni tipo purchè faccino spettacolo.
Grazie.
Concordo, Nicola: mi rimase impresso (anche se non c’entra nulla con la scienza) che sul mio libro di letteratura italiana non si faceva alcun cenno alla moglie di Dante, Gemma Donati, nè al fatto che avesse figli, e intanto marciava sulla Beatrice della Commedia come “eterno amore di Dante”.
Per non parlare di certi slogan che hanno preso piede nella ‘politica scolastica’. Ricordo le ‘tre i’, oppure il fatto che alle elementari non si insegnino più le operazioni aritmetiche ‘tanto c’è la calcolatrice’. Ignorando, ad esempio, che è proprio la ‘divisione col resto’ alla base dei moderni calcolatori.
Se no sbaglio, mi pare che i calcolatoro riducano tutto ad addizioni e sottrazioni.
Sì, non sanno fare altro.
anche tu ma non lo sai… i calcoli che fai sono troppo veloci perchè l’insieme di astrazioni che ne derivano e che chiami esperienza e conoscenza possano star dietro ad ogni singola operazione, le astrazioni emergono da eventi elementari e li comprimono raggruppandoli in insiemi di input e comandi che il cervello riceve e da, non possiamo essere per definizione coscienti di ogni bit d’informazione che circola nel nostro organismo.
Chiacchiere.
come quelle che permettono ad un topo di vivere con un cervelletto artificiale? qualcuno avrebbe detto “chiacchiere” se lo avessimo raccontato 20 anni fa’…
Non confondere il semplice “rimedio” con l’esistenza vera e propria.
Il professore è stato fin troppo chiaro, l’uomo non può creare (dal nulla, intendo assemblando pezzi) una struttura organica che interagisca internamente e con l’ambiente.
La possiblità di creare dal nulla una struttura organica è irrilevante ai fini del tema che stiamo discutendo, se rimpiazzassi il cervello di un topo pezzo per pezzo con qualcosa di inorganico cosa avrei creato? Quando il cervello del topo fosse all’80% inorganico sarebbe ancora un topo? al 90%? al 99%?
una volta creato qualcosa di intelligente, non lo scarterei solo perchè non basato sul carbonio. Non so dire adesso se sia possibile creare ex novo meccanismi basati sul carbonio nell’accezione organica del termine, di sicuro siamo lontani dal poterlo fare. A prima vista pare molto difficile settare lo stato iniziale di un organismo, non escludo che non sia possibile all’uomo.
il cervelletto non è una semplice articolazione, quindi non parlerei di rimedio con troppa facilità.
E’ chiaro che in futuro la tecnologia interagirà con più forza con la materia vivente, questo nessuno lo mette in dubbio.
Riguardo al topo: se il cervello fosse all’80%-99%, a mio parere si tratterebbe ancora di un topo…
Perché a mio parere ciò non intacca con la sua struttura, unicità e organizzazione cellulare.
A me non sembra che Focus sia quel covo di tuttologi nullasapienti. La scienza si fonda su ipotesi che poi vengono verificate. E per ipotesi intendo di tutto: “Dio esiste? Verifichiamolo!” “Dio non esiste?” “L’uomo discende dalla scimmia?” “Il fatto di avere o meno il DNA in comune, ha influenzato l’evoluzione di tutte le specie viventi?”. Il percorso della fede non ammette l’ipotesi della non esistenza di Dio nè quello della dimostrazione dell’esistenza suddetta, quindi è evidente il distacco rispetto alla scienza. Galileo l’aveva già affermato: la scienza, per poter andare avanti, non ha bisogno di Dio. Fu questa frase a svegliare i mastini dell’inquisizione. Io aggiungo che da allora le cose non sono cambiate, infatti oggi si processa Darwin che introdusse il caso. Vorrei aggiungere che giudico l’articolo incompleto: ha citato scienziati che vogliono sostituire la filosofia con la scienza e si contraddicono. Ma io leggendo la filosofia ho avvertito molto disagio perchè tutte le affermazioni, da Aristotele a Kant per finire ad oggi, sono state e saranno autocontraddittorie. La filosofia si comporta come l’ipotesi scientifica: alla ricerca delle origini della materia, della vita, della mente, della personalità individuale, dell’istinto, dell’anima, della povertà, è partita da una frase qualsiasi e l’hanno sviscerata, capovolta, rovesciata, contraddetta, sommata al suo opposto, sperando che prima o poi ne venga fuori qualcosa. Uno studente di matematica prende un’equazione matematica che la analizza minuziosamente, la sviluppa in tutte le forme possibili, ne cerca gli errori, insomma si sbizzarrisce perchè nulla lo vieta. La scienza, così come la fede o la filosofia, non è riuscita a penetrare i segreti dell’essenza ultima delle cose, quindi lasciamo che si sviluppi secondo le sue proprie linee.
Io penso che Focus non sia quella rivista scientifica di importanza capitale che viene spacciata, lo dico per onore del vero.
-Dio esiste? Verifichiamolo!” “Dio non esiste?” “L’uomo discende dalla scimmia?” “Il fatto di avere o meno il DNA in comune, ha influenzato l’evoluzione di tutte le specie viventi?”.-
Come puoi mettere sullo stesso piano: speculazioni metafisiche e ipotesi naturalistiche?
-Il percorso della fede non ammette l’ipotesi della non esistenza di Dio nè quello della dimostrazione dell’esistenza suddetta, quindi è evidente il distacco rispetto alla scienza.-
Falso, dipende dal significato che assume la parola “fede”.
Esistono tanti tipi di fede; quel che si sa, è che la fede è una forma sensoriale di razionalità.
-Galileo l’aveva già affermato: la scienza, per poter andare avanti, non ha bisogno di Dio-
Sbagliato, Galileo (da cattolico) aveva semplicemente ridefinito il concetto di Scienza e il suo “territorio” di indagine, richiedendo una neutralità.
Le discipline scientifiche hanno bisogno della filosofie per definirsi e arricchirsi e crescere.
Metto sullo stesso piano tutto, perchè la scienza si occupa di tutto! Fede, nell’accezione non gnostica, significa percepire la certezza che qualcosa sia vero pur senza averlo verificato: “Beati quelli che, pur non vedendo, crederanno”, in questo caso perchè non è la presenza o i miracoli o la resurrezione a fare un seguace di Cristo, ma i suoi insegnamenti, il penetrare nel cuore, nell’anima di ogni persona. Ripeto: Galileo disse che non serviva Dio per fare matematica, per sapere quanto fa due più due. Poi Rousseau disse che le guerre si fanno perchè secondo alcuni fa tre e secondo altri fa cinque. Oggi la specializzazione non ha impedito la formazione professionale di tuttologi, come mi qualifico io: coloro che sanno tutto e niente, che vanno a scavare in continuazione senza sentirsi sazi.
Rinnovo la domanda: hai letto Galileo?
Perché è facile parlare per sentito dire (detto amichevolmente) 🙂
Galileo affermava che la Scienza si occupava “delle vulgate” (delle pietre= della materia) mentre la religione dello spirito.
Operano in due ambiti diversi. Questo intendeva Galileo.
“intendere” non smentisce l’autentica affermazione: che non c’è bisogno di Dio per fare matematica.
Galileo non ha mai detto quello che tu affermi.
Ha semmai distinto gli ambiti in cui operano le diverse discipline.
Neutralità non agnosticismo.
Per fare matematica bisogna studiare: Dio non studia al posto tuo.
“Metto sullo stesso piano tutto, perchè la scienza si occupa di tutto!” Ma anche no, la fede non può essere ridotta a formule matematiche.
E la scienza non si occupa nemmeno della mia coscienza, dei miei pensieri e sentimenti, del mio io, della mia volontà, ecc., ecc. In una parola: la mia anima è fuori dal dominio della scienza.
In fondo in fondo, la scienza non si occupa di “quasi” niente.
E certo che la tua anima è libera dalla scienza, così deve essere… sai che squallore sennò! I miei genitori non sono un numero, il mio amore per Gesù non lo misuro col microscopio e i sentimenti umani non sono roba per strumenti di misura. La scienza stia al suo posto e si attenga solo al suo dovere senza avere la presunzione di spiegare ciò che non gli compete.
La tua identità personale è un derivato del tuo appartenere a una determinata specie vivente. L’eredità genetica include la coscienza, i cani socievoli, le tigri solitarie, le termiti suicide, le formiche guerriere e altruiste al tempo stesso. Mutando l’identità, puoi contribuire a formare una nuova specie di homo sapiens sapiens, magari perchè no homo sapiens indaco.
Concordo Focus ha la stessa rilevanza dei programmi di Giacobbo…
Concordo con lei, Marco. Con il Rinascimento è nato il metodo scientifico, e solo allora la storia della scienza ha preso le ali, avendo aperto tutte le porte. La matematica, inoltre, come accennato, è la chiave delle chiavi, o, come diceva Galileo, la lettera con cui è scritto l’universo, o, da medico, direi la chiave che apre lo scheletro, la fisiologia umana.
Il metodo scientifico si basa sul dato psicologico, sul fatto, che se chiudiamo un occhio, quello delle cause finali e formali, allora possiamo vedere bene con l’altro, quello delle cause materiali ed efficienti. Tuttavia la buona filosofia fa l’opposto, tenendo bene aperti tutte e due gli occhi, perché mette a fuoco le cose, come del resto lei conferma, che la scienza ignora a buon diritto, specialmente le cause finali. Le cause finali non hanno tanto da spartire con la scienza, con gli scienziati, perché la finalità non è una entità fisica, ma spirituale e intellettiva. Gli scopi, il bene, la verità di fede, la vita interiore non ha un colore, una forma. Sono di origine mentale e soprannaturale- nel caso della fede, e in ogni caso non riconoscono le molecole al loro inizio, anche se fanno la differenza di esse. Possiamo vedere gli effetti del disegno creativo nella complessità organismica e del microcosmo, non il disegno in se e se. Allora, se c’è una causa finale dev’esserci una mente alla base. E se la causa finale è anche quella primitiva, primaria, allora dev’esserci una mente in quel “dove” di quella causa.
Un appunto: il metodo scientifico nasce nel medioevo.
Sono d’accordo.
Hai mai letto gli scritti di Galileo?
Oppure anche tu credi ciecamente per fede alle panzane che ti raccontano?
Ho letto una sua frase, e penso che sia proprio quella a far scatenare l’ira di Dio (pardon, del Papa). Tanto per intenderci, escludendo la fonte diretta cui sopra, l’altra mia fonte è : “Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia” a cura di Franco Cangini, più precisamente il capitolo che Antonio Socci (o qualcuno vuole contestarmi pure questo?) dedica a Galileo.
Non c’è stato nessun conflitto.
Oggi molti storici restringono il cosiddetto “scontro” fra fede e scienza.
Le motivazione papali erano in parte corrette come lo stesso Galileo ammise.
Bella ammissione! Ritrattare tutto!
Galileo voleva modificare la Bibbia, questo non si poté (può) fare.
La condanna è ingiusta, chi dice di no, ma anche in ambito scientifico allora c’erano posizioni contrastanti.
Per parlare di Bibbia, usciamo dal contesto galileiano ed entriamo in quello darwiniano. Il più importante cruccio di Darwin fu quello di non riuscire a dimostrare che la Terra aveva l’età giusta per favorire l’evoluzione, cioè il calcolo dell’età implicava lo studio dei materiali di cui era composta. Il decadimento radioattivo non era ancora conosciuto, ma quando lo fu risultò che la Terra aveva quattro miliardi e qualcosa. Non certo i sette giorni divini. Oggi il più pesante cruccio è quello di non riuscire a dimostrare che nei primi milioni di anni fosse possibile creare un batterio sofisticato. Ma, trattandosi di un argomento scientifico e non teologico, l’ipotesi più probabile avanzata è un’origine extraterrestre dei geni. Certo! L’Universo ha 13,7 miliardi di anni!
Non capisco, quindi tu credi nella panspermia.
Rimane solo una teoria per adesso.
Comunque ciò non toglie che la Bibbia non si può modificare.
Certo, la Bibbia si può interpretare! E c’è chi ne abusa da millenni! Panspermia è una parola che non mi piace. La scienza ha sempre studiato il mondo, la sua obiettività è sempre stata in forse, ma per rimediare non c’è che un modo: lasciarla andare a correggere sè stessa.
Ti sei sfogato?
Tornando seri, io sempre pensato che chi facesse Scienza avesse in mente un ipotetico creatore.
Perché?
Perché lo scienziato ricerca la logica che sta alla base del mondo.
Lo stessa scienza nacque nell’Europa cristiana, perché il cristianesimo è una religione che indaga.
Ti sei sfogato?
Tornando seri, io sempre pensato che chi facesse Scienza avesse in mente un ipotetico creatore.
Perché?Ti sei sfogato?
Tornando seri, io sempre pensato che chi facesse Scienza avesse in mente un ipotetico creatore.
Perché?
Perché lo scienziato ricerca la logica che sta alla base del mondo.
Lo stessa scienza nacque nell’Europa cristiana, perché il cristianesimo è una religione che indaga.
Perché lo scienziato ricerca la logica che sta alla base del mondo.
Lo stessa scienza nacque nell’Europa cristiana, perché il cristianesimo è una religione che indaga.
Quoto e aggiungo:
La vita organica si è gradualmente sviluppata dal protozoo al filosofo il quale certifica che questo sviluppo è indiscutibilmente da considerare un progresso. Purtroppo, questo è il filosofo -e non il protozoo- che lo afferma…
Sul gradualismo ci andrei cauto, non vorrei foraggiare troppi luoghi comuni.
In ambito strettamente scientifico, su che cosa girasse intorno a che cosa, aveva ragione Bellarmino e torto Galileo.
Questo commento te lo potevi risparmiare, perché mette ulteriormente in luce la tua ignoranza storica su Galileo.
Tanto per la cronaca, uno dei personaggi del suo libro “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, alla base del famoso processo, si chiamava Simplicio, un peripatetico in cui molti contemporanei di Galileo, vedevano la figura del papa Urbano VII e sembra che la cosa, pur dubbia, non sia stata molto gradita al suo ex ammiratore.
Hai ragione. Tuttavia un vero conflitto fra scienza e fede credo che non esiste.
Anzi, la fede potrebbe aiutare in quanto solleva da interrogativi extrascientifici, ci permette di affidarci, appunto, alla fede. Al più c’è conflitto fra una certa interpretazione delle sacre scritture ( in particolare il Vecchio Testamento). Pensa ai ‘creazionisti’ che attribuiscono dogmaticamente alla Bibbia una valenza scientifica. La Chiesa Cattolica anche in questo senso ha prodotto grandi frutti e, quindi, lasciamo a Lei l’onore e l’onere della interoretazione delle Sacre Scritture.
Francamenre la serie di domande poste mi ricorda tanto l’interpretsazione di “Vulvia” fatta da Corrado Guzzanti nello spassosissimo “Rieducational channel”
@Marco Comendè
Alcune osservazioni:
1) La scienza si fonda su ipotesi che poi vengono verificate. E per ipotesi intendo di tutto.
La scienza non “si fonda” su ipotesi. La scienza si fonda su di una serie di postulati necessari, per esempio che la realtà è intrinsecamente razionale (1), che la realtà è conoscibile (2), che l’uomo gode di capacità razionali (3), che la razionalità dell’uomo e quella della natura siano sostanzialmente coincidenti (4).
Le ipotesi vengono fatte dopo aver esperito alcuni fenomeni, per tentare di descriverli a posteriori>. Sulla descrittività delle proposizioni scientifiche le ho già risposto in passato.
Detto ciò, è interessante notare che il più grande epistemologo del ‘900, Karl Popper, la pensava esattamente all’opposto di lei: le proposizioni scientifiche non devono essere “verificabili”, devono essere “falsificabili” (la cosa non è simmetrica, ovviamente).
Per non parlare della teoria dei paradigmi (Kuhn) e dell’anarchismo metodologico (Feyerabend)…
Tutte cose che Lei palesemente ignora.
2) Dopo la frase citata sopra mette insieme una serie di proposizioni sgangherate. E’ palese osservare che Lei non conosce il “principio di demarcazione”: non tutte le realtà sono soggette ai criteri di demarcazione (perché non si possono formulare criteri che racchiudono tutto il reale), e quindi non tutte le realtà possono essere descritte mediante proposizioni scientifiche (che sono giocoforza a posteriori).
Tra l’altro, notiamo anche la famosa fallacia sensibilista: Lei confonde ciò che è osservabile con ciò che esiste, ma le due cose non si possono sovrapporre.
3)La scienza, per poter andare avanti, non ha bisogno di Dio.
Questo è il classico (e banale) errore di chi non conosce il cristianesimo: un Dio di cui la scienza ha bisogno è chiamato tecnicamente “Dio-delle-Lacune” (o anche “Dio-orologiaio”), e non è il Dio cristiano, perché deve avere tra i suoi attributi l’immanenza. Il nostro Dio, invece, oltre ad essere trascendente, è anche nascosto (per Isaia 45,15). Se fosse una conseguenza necessaria di una ipotesi scientifica, non sarebbe più il Dio cristiano.
4)La scienza si occupa di tutto.
Falso, per il criterio di demarcazione.
Nel caso non lo avesse notato, l’articolo invita ad interessarsi all’epistemologia, non ha schiacciarla sotto il peso di queste frasi banali.
Fortunatamente per Lei, stamattina ho avuto la pazienza di mettermi a risponderLe, ma la prossima volta potrei non averla.
Per favore, la invito a studiare l’argomento.
Ti quoto Giorgio!!
Per favore, continui invece a rispondere con la pazienza odierna: come cattolici ne abbiamo un estremo bisogno.
Guarda che i postulati di cui hai parlato al punto uno sono stati messi in discussione proprio in modo scientifico: la fisica quantistica, con il suo principio di indeterminazione (rigorosamente scientifico), ha escluso che la realtà sia conoscibile, facendo crollare tutto il castello della certezza matematica. Aggiungo che mi stai giocando con le parole: verificabili significa proprio falsificabili. Se uno non dice quali criteri ha usato per verificare che l’opposto di quel che si studia è falso (si noti bene la simmetria: l’opposto), allora non è ben accolto dalla scienza. Sostituiscimi il principio di demarcazione e trovi il teorema di incompletezza di Godel, che io peraltro non conoscevo prima che qualcuno me lo facesse notare e che poi ho accolto (è questa la scienza). Ciò che è osservabile e ciò che esiste: lo spazio dell’Universo che studiamo è osservabile, quello che c’è oltre è desumibile dalle formule matematiche, questa differenza è ben tenuta in considerazione dalla scienza che, ripeto, si occupa di tutto, con la precisazione che non sempre ci riesce. Ma questo lo ritenevo così ovvio da non sottolinearlo. Strano: io sto parlando dei pregi e dei limiti della scienza, ma tutti gli altri mi parlano dei pregi e non dei limiti della religione. C’è qualcosa che non torna…
“da Aristotele a Kant per finire ad oggi, sono state e saranno autocontraddittorie”
Racconto un aneddoto. Qualche giorno fa spiegavo Leibniz a una quarta liceo. Alla parola “monade”, un alunno che prendeva appunti mi invita a ripetere quella parola e spiegare cos’è esattamente una monade; la sua compagna di banco, che non prendeva appunti: — Non ti preoccupare, Ste’, una cosa che non esiste! 😀
Marco hai 14 pollici versi, ti ammiro, non ne ho mai raggiunti più di sette o otto…
Grazie! Cosa sarebbe la scienza se non avesse un contraddittorio così numeroso?
Forse mi sbaglio, ma mi sembra che oggi la filosofia stia alla scienza come ai tempi di Galileo la scienza stava alla filosofia.
Sulla non conoscenza del metodo galileiano da parte degli sciamani operanti in Amazzonia (per la Nuova Guinea ed Oceania credo sia lo stesso), ho qualche dubbio. Un amico missionario mi raccontava che uno sciamano Yanomani, di cui aveva conquistato la fiducia, gli insegnò un giorno come interrogare lo spirito degli alberi per sapere se erano disposti ad essere trasformati in canoa ed a capirne la risposta; lo accompagnò nella foresta, iniziò a scrutare gli alberi con attenzione e, quando ne trovava uno che gli sembrava adatto, iniziava ad interrogarlo ed a percuoterlo col suo bastone per sollecitarlo a rispondere; quando finalmente ne trovò uno che aveva acconsentito, lo sciamano fece comprendere al mio amico la risposta dell’albero: suonava cavo…
In che cosa consiste il metodo galileiano, Lorenzo?
Premesso che non sono un esperto e che pertanto qualsiasi osservazione mi aiuti ad essere più logico e razionale è ben accetta, ritengo che il metodo galileiano sia il seguente:
– Posto un problema: per navigare sul fiume serve qualcosa che galleggi.
– Lo si analizza: i tronchi d’albero galleggiano ma ruotano e sono scomodi.
– Si cerca la soluzione: la canoa è più stabile e comoda.
– Si trova la soluzione più adatta: costa meno fatica lavorare un tronco cavo che uno pieno.
– Si formula la soluzione: assodato che un tronco cavo emette un suono diverso da un tronco pieno, si cerca un tronco adatto allo scopo battendo sul tronco ed ascoltando il suono che emette.
– Ci si accerta che la soluzione trovata sia ripetibile: trovato il tronco adatto, se ne ricava sempre una canoa?
– Si pubblica la soluzione: la conoscenza acquisita viene trasmessa ad altri.
Ritengo che proprio l’ultimo punto si presti ad un commento riguardo all’articolo.
Anticamente il pontefice era colui che sapeva costruire i ponti, che possedeva cioè la scienza delle costruzioni di tali manufatti: col crescere dell’ignoranza della popolazione, la sua capacita di collegare due rive opposte assunse sempre più il senso figurato di saper collegare l’umano col divino e venne chiamato a “pontificare” sui vari aspetti della vita reale.
Anche oggi vari scienziati vengono chiamati a “pontificare” sui vari aspetti della vita reale, quasi fossero novelli sacerdoti della dea ragione: non sarà che stiamo diventando tutti più ignoranti?
No, il metodo galileiano non è questo. Questa è tecnica empirica usata (e trasmessa) dal primo uomo quando ha incominciato a levigare le pietre, ad usare il fuoco, ecc.
Il metodo galileiano, o scientifico moderno, nasce nel medioevo in Europa ed è una cosa ben più complessa (in sintesi: osservazione -> intuizione -> teorizzazione -> equazione matematica -> predizione -> sperimentazione -> controllo o falsificazione), che ha dato origine alla scienza attuale ed è diventato nel XX sec. standard mondiale. Di esso ho trattato in precedenti articoli.
Grazie.
Prego.
Una curiosità: il teorema di Archimede e la sua formulazione matematica, è da classificare come scienza empirica o galileiana? Perche?
Voglio dire qualcosa su questo “pontificare”. In effetti oggi esiste un problema nelle branche scientifiche. Non è solo una questione di brevetti: quella di scienziati rischia di diventare una casta, con diverse scuole che non comunicano (relativisti contro stringhisti). Purtroppo la società borghese, con il suo ideale di esclusivismo, ha accentuato il distacco tra la conoscenza scientifica di pochi privilegiati e l’analfabetismo di ritorno di tanti cittadini.
Bella!
Non ho capito in base a quale criterio si definisca a priori che la domanda 7) è filosofica.
Non so se Hawking intendesse: “perchè, data la vita, esiste la vita umana” oppure “perchè esiste quella che l’uomo definisce vita, attribuendola a sè o ad altri organismi definiti viventi”.
Come si fa ad escludere a priori che la vita umana sia spiegabile in termini scientifici? Per definire questa domanda come puramente filosofica bisogna tuttavia farlo.
Esiste poi la possibilità che la domanda non abbia nemmeno senso (indipendentemente dal suo livello di scientificità o filosoficità), non perchè non esiste la vita ma semplicemente perchè il termine “vita” è puro frutto di classificazione umana. Esiste cioè la possibilità che non sia postulabile una distinzione netta tra vita e non vita ma solo tra livelli di organizzazione della materia. Ed ad un livello sufficientemente alto di tale organizzazione accade che alcune manifestazione chimiche di trasformazione vengono interpretate dall’uomo ad un livello d’astrazione che viene detto “biologico”.
Il motivo per cui la domanda n. 7 è filosofica è che comincia con un “perché” anziché con un “come”. Anche questa confusione dimostra l’improprietà di linguaggio propria dell’incultura filosofica di molta divulgazione scientifica.
Se leggi il libro, Andrea, vedi che Hawking si risponde a quel “perché” non tanto negli schemi della biologia, che nelle varie teorie dell’evoluzione tenta di spiegare “come” una specie si è originata dalla precedente ed anche “come” la vita potrebbe aver avuto origine dalla materia inanimata. No, Hawking non intende chiedersi “come” la specie Homo Sapiens Sapiens sia venuta all’esistenza, ma proprio “perché” esista una specie che si pone tale domanda. Egli solleva una domanda filosofica simile a quella che tu hai posto qualche volta in altri tuoi commenti: se Dio ha voluto creare l’Universo per l’uomo, perché ha aggiunto tutto il resto? Hawking cita la scoperta astronomica avvenuta nel 1992 di un pianeta simile alla Terra orbitante intorno ad una stella simile al Sole per dedurre che non siamo unici nell’Universo e si risponde: l’uomo non ha un senso perché che senso può mai avere un Universo così grande ed inesplorabile?
Ecco, Andrea, quando si passa, dalla ricerca del meccanismo di “come” funzionano le cose, alla domanda sul senso (“perché” le cose esistono? “perché”, forse può essersi chiesto Hawking nell’intimità del suo dolore, è capitata proprio a mequesta malattia che mi imprigiona da tutta la vita in una carrozzella e tuttavia “io” posso capire come funziona un Universo che nemmeno sa di esistere?) si esce dall’ambito scientifico per entrare in quello filosofico del significato.
Tu pensi, Andrea, che gli uomini rinunceranno a porsi queste domande sul “perché” del bene e del male, della vita e della morte, della bellezza e della verità? No, queste domande fanno parte della ragione umana: e a queste domande si può rispondere positivamente con una fede nel senso, o negativamente con una fede nel non senso. Ma entrambe le risposte sono filosofiche, perché non controllabili sperimentalmente.
Gli uomini hanno rinunciato a molte domande che sono state rese inutili dalla conoscenza. Non penso si possa dire adesso cosa avrà senso chiedersi tra 1000, 10000, 100000 anni, non ha senso dire oggi e per sempre, che queste domande fanno parte della ragione umana.
10000 anni fa’ chiedersi come mai la divinità x avesse voluto colpire una pianta con un fulmine era una domanda ragionevole, oggi non lo è più.
Credo che la conoscenza faccia mutare il tipo di domande che l’uomo ritiene abbia senso porsi, lo fa nel corso della vita d’ognuno di noi, è plausibile che lo faccia nel corso dei secoli e dei millenni.
il “perchè del bene o del male” ad esempio è una domanda a cui si può rispondere benissimo senza fede. Poi chi ha fede può anche sminuire la risposta di chi non ce l’ha e viceversa, ma ciò non toglie che gli uni siano titolati quanto gli altri a dare delle risposte.
Il problema è che dietro al perchè in un caso si nasconde implicitamente “a quale fine” e nell’altro “per quale causa”, e questa è la vera dicotomia tra credente e non credente. Per il credente non esistono cause senza fini od obiettivi, ed in quest’ottica il perchè delle vita e della morte ha sicuramente una sfumatura filosofica.
“Gli uomini hanno rinunciato a molte domande che sono state rese inutili dalla conoscenza. Non penso si possa dire adesso cosa avrà senso chiedersi tra 1000, 10000, 100000 anni, non ha senso dire oggi e per sempre, che queste domande fanno parte della ragione umana.”
Le modalità di un fenomeno naturale erano sconosciute, generando superstizione.
Io credo che bisogna distinguere i “gradi” del pensiero umano; nel senso, che (per me) quello che si è verificato in un contesto storico rimane ascritto a quel contesto storico.
Pertanto questa tua considerazione viene confutata, in quanto, il “dio” di quel contesto storico e molto diverso da quello della nostra tradizione: due gradi di sapere diversi.
Le domande sul senso della vita, sull’esistenza, sull’aldilà rimarranno incomplete e senza un oggettivo riscontro.
“il “perchè del bene o del male” ad esempio è una domanda a cui si può rispondere benissimo senza fede. Poi chi ha fede può anche sminuire la risposta di chi non ce l’ha e viceversa, ma ciò non toglie che gli uni siano titolati quanto gli altri a dare delle risposte.”
Questo modo di intendere è relativista, nel senso che ognuno interpreta e si formula la propria morale, è una contraddizione fortissima, poiché la morale nasce già da una condivisione pubblica e non può prescindere dall’individualità.
“Il problema è che dietro al perchè in un caso si nasconde implicitamente “a quale fine” e nell’altro “per quale causa”, e questa è la vera dicotomia tra credente e non credente. Per il credente non esistono cause senza fini od obiettivi, ed in quest’ottica il perchè delle vita e della morte ha sicuramente una sfumatura filosofica.”
Il credente pensa anche al caso fidati, ma in misura minore!
Ciao Gemini,
dici “Pertanto questa tua considerazione viene confutata, in quanto, il “dio” di quel contesto storico e molto diverso da quello della nostra tradizione: due gradi di sapere diversi.”
per asserire questo dovresti dimostrare che il dio della tua tradizione sia la miglior versione di dio concepibile stanti anche le conoscenze che avremo in futuro.
Accusi me di relativismo, ma se fossi nato 10000 anni fa’ avresti accusato di relativismo chi ti avesse suggerito che una miglior possibile definizione di dio doveva ancora esser concepita, eppure la storia dimostra che così è stato.
Non credo che chiedersi “il perchè del bene e del male” equivalga a porsi una domanda sul senso della vita.
Io non ho parlato di morale, nè di caso, nel mio commento, nè tantomeno qualcuno ha stabilito a priori e in modo oggettivo che il relativismo sia un abominio, anche se comprendo che lo sia dal punto di vista di un credente. Tuttavia non puoi dirmi “se ragioni così sei relativista”, lo so già di esserlo e la cosa non mi offende nè mi infastidisce, io non pronuncio frasi del tipo “se dici così sei un credente”, non mi sembra che aggiungano granchè alla discussione.
Quindi direi che possiamo tranquillamente partire dal mio essere relativista e dal tuo essere credente, senza per questo ritenere reciprocamente squalificato il senso delle nostre posizioni. Se invece ritieni che il mio essere relativista mi renda indegno o non interessante allora ok per me, non c’è problema.
Ciao Andrea.
Procediamo con ordine:
1)”Quindi direi che possiamo tranquillamente partire dal mio essere relativista e dal tuo essere credente, senza per questo ritenere reciprocamente squalificato il senso delle nostre posizioni. Se invece ritieni che il mio essere relativista mi renda indegno o non interessante allora ok per me, non c’è problema”
Non ho detto che sia indegno essere relativista, ho espresso un opinione, criticando solo modo di pensare.
2)”per asserire questo dovresti dimostrare che il dio della tua tradizione sia la miglior versione di dio concepibile stanti anche le conoscenze che avremo in futuro.”
Non ho detto che il mio dio sia quello giusto. Ho semplicemente detto che il Dio cristiano ( aristotelico) è razionale.
Invece il naturalismo (scientista) per certi versi si può accostare all’animismo antico e al paganesimo, poiché “adora” fenomeni del tutto naturali e li esalta: ecologismo e animalismo.
Come vedi per questo motivo, il tuo modo di pensare è più antico rispetto al nostro (detto con il sorriso sulle labbra) 🙂
La concezione di Dio ha subito un’evoluzione e io affermo che la concezione teista sia la più attuale a descrivere i fenomeni della natura.
3)”Non credo che chiedersi “il perchè del bene e del male” equivalga a porsi una domanda sul senso della vita.”
No, però è una domanda morale.
*Non dico che il mio dio
1) mi sa che non ci siamo capiti sul perchè del bene e male. ci sono due ordini di problemi: a) definire cosa è bene e cosa è male b) stabilito a) capire perchè alcuni uomini fanno del bene e altri no, oppure perchè in alcune situazioni lo stesso uomo si comporti bene ed in altre male.
la questione a) può essere affrontata in modo relativista o meno. Se lo si scarta bisogna scegliere un buon motivo per farlo, ancor prima che un obiettivo (che può essere quello di vedere il bene trionfare, cosa che può fare anche un relativista rispetto al concetto medio di bene in un dato momento della storia umana).
2) puoi citare un punto del mio post in cui ho adorato qualcosa?
Non basta categorizzarmi, devi anche dimostrare che appartengo ad una categoria.
Tu affermi che la concezione teista sia la più attuale ma non puoi stabilire che sia quella definitiva, puoi invece scegliere per fede che lo sia, è un tuo diritto.
l’età di una posizione è irrilevante, sono rilevanti i suoi contenuti e le conferme/smentite subite da quando sono stati formulati.Non ho mai sostenuto che una posizione vecchia sia necessariamente sbagliata, ma posso sostenere su base statistica, applicata al passato, che una posizione corrente sia probabilmente passibile d’essere migliorata.
3) ok
1)Premessa: non possiamo definire in modo assoluto le “qualità morali”; anche perché sarebbe una contraddizione enorme visto l’argomento (Scienza) trattato:
a-perché da un lato riconosciamo i limiti della scienza, a causa del suo “modello” non sempre corrispondente alla realtà.
b-pertanto non possiamo definire scientificamente “qualità”,
se già approssimiamo nell’Immanente le quantità, come potremmo con le “qualità” se non hanno un sistema che li rappresenti nella realtà, essendo “quantità” sovraelevate (di un’altra dimensione) ?
c-L’unica risposta sensata è: affidarsi ad una dottrina ispirata.
2)No, però fai affidamento se no sbaglio al naturalismo, e comunque se (come molti affermano) nessun uomo è escluso dall’idolatria.
Io affermo che il teismo cristiano sia più convincente rispetto agli altri modelli filosofici.
Pertanto concordo quando dici che l’età di una posizione non conta.
“Accusi me di relativismo, ma se fossi nato 10000 anni fa’ avresti accusato di relativismo chi ti avesse suggerito che una miglior possibile definizione di dio doveva ancora esser concepita, eppure la storia dimostra che così è stato.”
No, relativismo è una corrente ben precisa, è un meccanismo di assunti ben precisi.
L’idea di base è che non c’è una verità morale/spirituale e pertanto le persone possono crearsi delle regole personali.
Questa visione non c’era 10000 anni fa, è una visione moderna nata in seno al materialismo.
Condivisibile o meno.
d’accordo, ho banalizzato, ma il discorso sul crearsi le regole l’hai tirato in ballo tu. Dire oggi che la nostra definizione di dio è migliorabile non è una posizione morale, come non lo è dire il contrario.
L’evoluzione del concetto di dio mi sembra evidente.
Come ho dimostrato le divinità antiche erano una forma di superstizione, l’esaltazione di fenomeni naturali.
Il Dio cristiano non ha nulla a che fare.
il che non toglie che una versione di dio formulata tra mille anni potrebbe non aver nulla a che fare con quella di oggi, senza che ciò sia necessariamente meglio o peggio.
O rimarrà perfettamente immutata.
Il Dio cristiano opera in una dimensione trascendente.
Non è qui, ma allo stesso tempo è qui.
si certo, del resto è rimasta immutata negli ultimi duemila anni potrebbe plausibilmente restare altrettanto immutata nel corso dei prox mille, il che richiede tuttavia di ipotizzare che nei prossimi mille anni la nostra conoscenza dell’universo cresca a velocità costante, il che non pare plausibile se applichiamo a ritroso una simile dinamica di crescita della conoscenza.
il trascendente non è sondabile, io parto sempre dal concetto che Dio sia rilevante solo se “ogni tanto si sporca le mani” (e nel creare l’universo, almeno una volta dovrebbe averlo fatto )
Lo ha fatto, ma è così infinitamente grande che lascia all’Uomo la libertà di credere o no.
La conoscenza dell’Immanente si esaurisce nella materia.
Lo ha fatto, ma è così infinitamente grande che lascia all’Uomo la libertà di credere o no.
La conoscenza dell’Immanente si esaurisce nella materia.
Non capisco, Andrea, il significato della tua replica. Mi hai chiesto perché la domanda n. 7 era di tipo filosofico, ed io ti ho spiegato che, secondo come l’ha illustrata Hawking nel suo libro, essa riguardava il senso della vita e non l’evoluzione biologica. Tutto qua.
Non so se ti rendi conto che tutto ciò che tu scrivi è filosofia e nient’altro che filosofia, esattamente come questo mio articolo. Ed anzi, quasi tutti i tuoi commenti, come i miei articoli su Uccr, sono filosofia e nient’altro che filosofia.
Lo scienziato mischia le carte in tavola 🙂
Giorgio il perchè a volte si rivela essere un come e quindi la separazione tra questione filosofica e scientifica è si netta, ma non è predeterminabile.
Se si attribuisce scorrettamente un perchè dove bastava un come, si è scambiata per filosofica una questione scientifica (e viceversa)
il perchè un fulmine colpisca una pianta è in realtà un come (non risulta plausibile l’atto di prefigurare un attore che intenzionalmente scelga di colpire una pianta piuttosto che non farlo)
un’ipotesi filosofica può essere travestita erroneamente da ipotesi scientifica e viceversa, credo che col tempo la nostra esperienza e la nostra capacità di pensare anche in modo collettivo (ad esempio attraverso questi strumenti) ci aiuteranno ad approssimarci ad una visione più omogenea e condivisa.
Non sono d’accordo sull’indeterminazione dei campi tra filosofia e scienza. La scienza moderna si fonda su metodi teorici e protocolli sperimentali che sono uno standard mondiale. I problemi che escono da quei metodi e protocolli non sono per definizione scientifici. Se poi riguardano le domande classiche della filosofia (gnoseologia, etica, estetica, metafisica, ecc.) sono, e saranno sempre, filosofiche e non scientifiche.
“Perche'” e’ capitato proprio a me questo tumore? Quel perche’ puo’ avere molte risposte ( una malattia genetica ereditata, un raggio gamma casuale, ecc.), alcune delle quali sono scientifiche, ma c’e’ un significato profondo di quel “perche’ proprio a me”, che son certo Andrea immagini, che non otterra’ MAI una risposta scientifica!
Mi sa che Andrea la pensa come Schopenhauer 🙂
Infatti la domanda “perchè è capitato a me questo tumore” è priva di ogni senso, poichè, almeno riferendosi ai tumori di cui è nota la genesi, non è possibile ipotizzare un ente cui attribuire l’intenzione che la domanda stessa prefigura.
L’intenzione no ma la previsione sì.
Come diceva Sant’Agostino Dio decide chi si salverà e chi no.
Perché chi non si salva è già nel peccato.
Credo che S.Agostino si riferisse alla salvezza ultraterrena, perchè nessuno sulla terra si salva. Solo che alcuni moriranno tra un anno a causa di un tumore che in questo momento non hanno, altri moriranno a 90 anni per un’ influenza. I secondi in genere non dicono: “perchè proprio a me”, ma probabilmente lo direbbero se la media delle persone vivesse 180 anni…
Libertà di Adamo prima del peccato consisteva nel poter non peccare : vera libertà é invece l’ essere liberi dal peccato , non poter peccare . Ma questa non é una prerogativa dell’ uomo in quanto uomo , bensì solo di coloro che sono eletti dalla grazia divina . La volontà deve essere salvata per diventare libera dal peccato : libero é appunto colui che é chiamato dalla grazia divina alla vera libertà , consistente nel sottomettersi al bene . La volontà che ha ricevuto la grazia , possiede l’ amore , la caritas , la quale fa sì che l’ anima preferisca ciò che é maggior bene rispetto a ciò che lo é meno . Ma il Sommo Bene é appunto Dio , la vita felice diventa , allora , un dono , che Dio accorda indipendentemente da qualsiasi merito o , comunque, non in base a meriti conosciuti dall’ uomo . Se essa dipendesse dalle opere e dai meriti dell’ uomo , allora la salvezza non dipenderebbe più da Dio . E’ stato detto che in Agostino ” Dio assume i tratti dell’ arbitro e diventa sempre più simile a un imperatore tardo antico ” . La dottrina della grazia é strettamente connessa in Agostino alla dottrina della predestinazione : é Dio che stabilisce coloro che si salveranno e coloro che saranno dannati ; certo Egli non induce a compiere il male , ma coloro che sono privati della sua misericordia non possono non peccare . Sapere che tutto dipende dalla predestinazione divina non rende tuttavia inutili gli sforzi umani : il singolo , infatti , non é certo della sua salvezza o della sua dannazione . Ciò contribuisce a far assumere un atteggiamento combattivo , interpretando ogni evento come un atto deliberato , da parte di Dio , di misericordia per l’ eletto e di condanna per il reprobo .
Nell’ undicesimo libro delle confessioni Agostino analizza il problema del tempo : Agostino diceva ” io so che cosa é il tempo , ma quando me lo chiedono non so spiegarlo ” . Il punto di partenza é dato dal racconto biblico che presenta la creazione come una successione di operazioni e di eventi . Da questo racconto sembra risultare che la creazione avvenga nel tempo , sia frutto di una decisione da parte di Dio e comporti dunque un mutamento nella sua volontà . In particolare , ci si può anche chiedere che cosa facesse Dio prima della creazione . Questa domanda presuppone che anche Dio sia nel tempo . In realtà , secondo Agostino , Dio é fuori dal tempo , é nell’ eternità e non crea le cose nel tempo . Con la creazione delle cose , Dio crea anche il tempo , quindi non esiste tempo prima della creazione . Ma che cosa é il tempo ? Parrebbe ovvio considerare il tempo come la somma di passato , presente e futuro : ma il passato non é più e il futuro non é ancora . Parrebbe dunque che soltanto del presente si possa dire che é . E allora che cosa significa che é ? Se il presente fosse sempre attuale , sarebbe l’ eternità . In realtà esso esiste come presente solo a condizione di tramutarsi in passato e di non essere ancora futuro . Il tempo allora sembra esistere solo in quanto ” tende a non essere ” . Di fatto però esso non può essere nulla , dal momento che percepiamo e misuriamo gli intervalli di tempo , distinguendo tra brevi e lunghi . Gli intervalli di tempo sono divisibili all’ infinito ; se trovassimo il non ulteriormente divisibile , questo sarebbe il presente . Ma se il presente é un intervallo , si divide in qualcosa di passato e in qualcosa di futuro : il presente non ha estensione ; si dà allora soltanto il continuo tradursi del futuro nel passato . Per cogliere la vera realtà del tempo occorre guardare nell’ interiorità . Se il passato é oggetto di ricordo , e questo ricordo é vero , chi lo ricorda deve vederlo e quindi in qualche modo il tempo deve essere . Parlando del passato noi non esponiamo le cose che sono passate , ma usiamo parole formate secondo le immagini impresse nel nostro animo delle cose nel loro accadere . La memoria ha la facoltà di trattenerle ; essa , però , é qualcosa che si possiede al presente . La memoria , allora , non é altro che presente del passato . Un discorso analogo vale anche per le altre due dimensioni del tempo : il futuro non é altro che attesa presente di ciò che sarà e il presente attenzione presente a ciò che é . Le 3 dimensioni del tempo sono dunque tre ” presenti ” nella nostra anima : eventi passati , presenti e futuri sono in quanto sono presenti nella nostra anima . Solitamente per misurare il tempo che trascorre si assumono come termine di riferimento i moti degli astri , ma Agostino capovolge la prospettiva : non sono questi moti a determinare l’ unità di misura del tempo . E’ piuttosto il tempo ad essere il fondamento della determinazione della durata di questi stessi moti ; un moto astronomico , infatti , potrebbe mutare . Il tempo invece é ” distensio animi ” , un distendersi dell’ anima . E’ questo a darci la misura del tempo . Ciò che viene misurato dall’ anima non sono , quindi , le cose nel loro trascorrere , ma l’ affezione che esse lasciano e che permane nella nostra anima anche quando esse sono trascorse . Le tre dimensioni del tempo non sono altro che tre articolazioni del distendersi dell’ anima : il ricordo , il prestare attenzione a qualcosa , l’ attesa . L’ anima consente di connettere le tre dimensioni temporali in un’ unità . La conseguenza é che , se non ci fosse l’ anima , non ci sarebbe il tempo . L’ unità divina , invece , comprende nel presente stabile della sua eternità tutto ciò che é stato , é e sarà . In tal modo , l’ unità divina é la garanzia che il tempo , che é traccia della nostra lacerazione e lontananza da essa , non trascini tutto verso il non essere .
Sin dall’ inizio egli si pone l’ interrogativo : perchè facciamo il male ? La sua adesione al manicheismo é legata alla convinzione di poter trovare in esso la risposta a questa domanda . Esso , infatti , riconosce l’ esistenza reale di un principio del male , dal quale dipendono le nostre azioni cattive ; ma il manicheismo é permeato anche dal desiderio di essere liberati dal male e di tornare al regno della luce . Ciò che del manicheismo attrae il giovane Agostino é anche la critica alla rappresentazione antropomorfica della divinità nell’ Antico Testamento e soprattutto il fatto che esso richiede un’ adesione fondata non sull’ autorità , bensì sull’ approfondimento filosofico . Ma la rilettura a Milano , nel 384 , degli scritti di Cicerone , vicini allo scetticismo dell’ Accademia , comincia a suscitare dubbi sulla coerenza della dottrina manichea , oltre che sul suo dogmatismo e settarismo . I manichei parlano di due principi in lotta tra loro : ma se il principio delle tenebre non può esercitare un’ azione o addirittura danneggiare il principio della luce , ha significato parlare di una lotta tra essi ? Se Dio trova contrapposto a sè un principio del male , é segno che egli ne subisce l’ azione , ma come é possibile che Dio subisca mutamenti e addirittura soffra ? Dio , se é bene perfetto , deve essere immutabile e incorruttibile . Platone aveva insegnato che solo ciò che é incorporeo e puramente intellegibile é immutabile ; questo stesso insegnamento Agostino ritrova nelle prediche di Ambrogio . Plotino , dal canto suo , aveva mostrato che il bene , ben lungi dall’ essere passivo , irradia da sè i molti . La conclusione di Agostino é che non possono esistere due principi contrapposti , tanto meno due principi corporei : la divinità é unica , incorporea e incorruttibile . Ma se Dio é bene ed é l’ unico principio , creatore di tutte le cose , il male fisico e il male morale , i dolori e le colpe , derivano anch’ essi da Dio ? In un primo momento , negli anni della conversione , la risposta di Agostino é vicina alla soluzione del neoplatonismo . Tutto ciò che é , in quanto é , é bene e proviene dal Sommo Bene , che é anche il supremo essere . Certamente esiste una gerarchia dei beni , che va dal Sommo Bene , Dio , a ciò che é soltanto corporeo . Il livello spirituale si trova nel mondo sensibile solo in forma indebolita e imperfetta , ma anche le entità del mondo sensibile , in quanto sono dotate di essere , non sono male . Il male non é altro che mancanza , non essere , come la cecità é rispetto alla vista . Dunque quello che sarà chiamato male metafisico non esiste propriamente , secondo Agostino . Dal manicheismo , che riconosce nel male addirittura un principio costitutivo del mondo , Agostino é passato alla posizione opposta , negando vera e propria realtà al male . Inoltre , come già aveva insistito Plotino , un ordine é tanto più perfetto quanti più contrasti presenta al suo interno : la bontà di quest’ ordine risulta dall’ insieme dei suoi costituenti , non dalle cose singolarmente prese . Ciò che singolarmente preso può apparire male , infatti , visto nell’ insieme ordinato delle cose si configura come bene . Resta da chiarire in che cosa consistano allora le sofferenza e i dolori , ossia il male fisico e le azioni malvage , ossia il male morale . Quando l’ anima compie il male , non passa da un bene a un’ entità che sia di per sè un male , in quanto , come si é visto , il male non ha propriamente realtà . L’ azione malvagia consiste , invece , nel dirigersi dalla volontà del bene eterno a un bene temporale , nell’ amare un bene che é inferiore al Sommo Bene come se fosse il Sommo Bene . In ciò consiste il peccato : esso é male , e non l’ oggetto che , peccando , é amato . E’ la volontà umana che , peccando , rende male ciò che di per sè non è male : in essa é dunque l’ origine del male , non in Dio . Orientandosi verso ciò che é inferiore a Dio , la volontà malvagia si oppone a Dio . E’ quanto fanno gli angeli ribelli a Dio , i demoni e gli uomini . Con il peccato non si produce del male a Dio o all’ ordine complessivo del mondo , ma a se stessi : é la propria natura che viene corrotta . Chi commette una colpa ha già in ciò la sua punizione , in quanto si priva del Sommo Bene , che é Dio , per rivolgersi a beni inferiori e mutevoli . I mali fisici , a loro volta , non sono altro che conseguenze del male morale , punizioni per i peccati commessi . In questa prima fase della riflessione di Agostino il riferimento alla caduta , dovuta al peccato originale commesso da Adamo , non ha ancora posizione centrale . Si pone invece il problema , affrontato soprattutto nello scritto Sul libero arbitrio , del perchè Dio abbia dato all’ uomo la libertà . La risposta di Agostino é che senza la libertà non sarebbe possibile azione retta da parte dell’ uomo . Se l’ uomo non fosse libero di agire , come si potrebbe definire buona o cattiva una sua azione ? D’ altra parte , se l’ uomo usa male la sua libertà , ossia la usa per peccare , ciò non dipende da Dio . Questi non ha dato all’ uomo la libertà , che di per sè é un bene , per peccare . Ma come é possibile ciò con la prescienza propria di Dio ? Si potrebbe , infatti , obiettare che , in quanto presciente , Dio sappia che l’ uomo peccherà e dunque é necessario che l’ uomo pecchi : ma se é necessario , allora il peccare non é un atto libero . Agostino risponde che Dio prevede la nostra azione , ma la prevede come dovuta alla nostra volontà . Questa non potrebbe essere propriamente volontà , se non fosse in nostro potere ; ma essa é in nostro potere , se noi siamo liberi.
Avrei preferito due righe che fossero tue, piuttosto che questa sbrodolata presa qui
appunti.studentville.it
o qui
http://www.filosofico.net/agostino.htm
Credo sia più utile se posti direttamente i link piuttosto che copiare ed incollare da altre fonti, perchè ne va dell’economia di rappresentazione delle informazioni del thread.
Mi sembrava chiaro che l’autore materiale non ero io. 🙂
Importa la sostanza.
PS: Credo che mettere link sia un modo per non vedere le cose (o comunque la persona è libera di fingere), credo che quest appunti faccino più impressione così, li possiamo leggere subito con i nostri occhi.
Siamo qui per imparare.
*Mi sembrava chiaro che l’autore degli appunti non fossi io.
Se l’immortalità non esiste, non è per necessità biologica, ma solo perché essendo biologicamente inutile, non è stata selezionata dall’evoluzione.
Bichat definiva la vita come « un insieme di fenomeni che si oppongono alla morte », ma avrebbe dovuto dire: la vita risulta da una miriade di fenomeni, o processi biologici, che hanno « saputo » utilizzare la morte nell’interesse della vita biologica, umano compreso.
NB Potremmo solamente immaginare come sarebbe la nostra vita sulla Terra (a superficie limitata !) se la morte non esistesse ?
Inoltre il concetto di morte non è molto chiaro : Ovidio diceva
« Tutto si cambia e nulla puo’ morire ». (Omnia mutantur, nihil intuit)
Chi oserebbe dargli torto ?
Pendesini, si sta cercando di parlare tra persone adulte. Chi vuole prelevare il Dna dalle ostie consacrate per dimostrare che Dio non esiste può andare sui tanti siti web che ne parlano.
quel “proprio” sottintende una scelta effettuata tra alternative. se invece nel “proprio” si legge lo sconforto del soggetto per essere ricaduto in una statistica specifica, ritorniamo nel campo delle domande scientiche…
Sì ma dall’unicità dell’individuo iniziano un nuovi interrogativi.
Andrea,
In medicina (ed anche in altre scienze) 1+1 non fa quasi mai 2…..
AHi ragione, come in tutte le discipline basate sulla statistica piuttosto che sull’osservazione diretta, la medicina presenta attualmente un livello d’intederminazione legato alla nostra capacità di osservare il corpo umano mentre è in funzione, e questo è causato anche dalla complessità del corpo stesso.
Non si può dire con certezza che Cassano sia svenuto a causa del suo FOP, si può solo considerarlo una forte concausa.
Hai non AHI.. 😉
Fantastico, a giudizio di qualcuno, sono inopportuno perfino quando mi correggo…
Anche se il progresso ha reso elementari certe domande antiche, ciò non conta che alle domande ultime sia impossibile rispondere oggi come mille anni fa come mille anni dopo.
Ottima risposta!
Se posso aggiungere ancora un commento, vorrei farlo con le parole del Santo Padre di ieri sera, alla Veglia della Luce, dell’attesa del Risorto:
“Il buio veramente minaccioso per l’uomo è il fatto che egli, in verità, è capace di vedere ed indagare le cose tangibili, materiali, ma non vede dove vada il mondo e da dove venga. Dove vada la stessa nostra vita. Che cosa sia il bene e che cosa sia il male. Il buio su Dio e il buio sui valori sono la vera minaccia per la nostra esistenza e per il mondo in generale. Se Dio e i valori, la differenza tra il bene e il male restano nel buio, allora tutte le altre illuminazioni, che ci danno un potere così incredibile, non sono solo progressi, ma al contempo sono anche minacce che mettono in pericolo noi e il mondo. Oggi possiamo illuminare le nostre città in modo così abbagliante che le stelle del cielo non sono più visibili. Non è questa forse un’immagine della problematica del nostro essere illuminati? Nelle cose materiali sappiamo e possiamo incredibilmente tanto, ma ciò che va al di là di questo, Dio e il bene, non lo riusciamo più ad individuare. Per questo è la fede, che ci mostra la luce di Dio, la vera illuminazione, essa è un’irruzione della luce di Dio nel nostro mondo, un’apertura dei nostri occhi per la vera luce.” Allora, se oggi l’uomo moderno ha aperto solo l’occhio sinistro, quello del metodo scientifico, è necessario che non si escluda di vedere anche con l’altro, che ha tuttavia una duplice dimensione, quella della fede e della ragione filosofica. Per citare il Vangelo e C.S. Lewis, i predicatori della Parola devo andare a due a due: l’afflato della fede, che dona la visione della salvezza, contemplativa, della grazia del Risorto, dello Spirito Santo, deve accompagnarsi alla ragione apologetica, che abbatte i pregiudizi contro la fede, come state facendo egregiamente in questo sito, alleluia!
Vorrei andare un po’ off-topic perché ho delle ultime ore da darvi (e siccome è stato chiuso il topic riguardante ciò, scrivo qui):
-http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=79511&titolo=Odifreddi%20’Essere%20antievoluzionisti%20significa%20essere%20antiscientisti’
Odifreddi fa accuse molto gravi, critica chi non condivide la teoria evoluzionistica e dichiara che “solo chi di scienza non sa, o non capisce, molto. O niente”
Vorrei chiedere al prof Masiero: cosa pensa di Lawrence M. Krauss?
Le sue teorie…
Ne ho parlato diffusamente in questo recente articolo:
https://www.uccronline.it/2012/02/04/contrordine-prof-hawking-luniverso-ha-avuto-un-inizio-ma-non-sappiamo-come/
Ok, lo leggerò 🙂
Vorrei chiederle perché Lawrence M. Krauss (e i sostenitori del materialismo e scientismo) sono avversi alla teoria delle stringhe?
Quali sono le implicazioni che questa teoria (se confermata) potrebbe portare?
Cosa pensa della teoria in sé?
E’ il contrario, gemini: molti naturalisti e scientisti (da Hawking a Dawkins a Krauss) credono di aver trovato nella teoria delle stringhe la risposta al problema n. 1 della metafisica: perché c’è qualcosa piuttosto che niente.
La loro è, ovviamente, una pia illusione; perché, anche se fosse vero che la teoria delle stringhe (o meglio la teoria M) spiega l’origine dell’Universo, la domanda si sposta indietro di un passo: che cosa ha originato la teoria M?!
Quanto alla teoria M, io come fisico non le assegno alcun valore scientifico in termini di descrizione del multiverso, perché essa è una speculazione matematica (bella sotto questo aspetto!) con predizioni assolutamente non controllabili sperimentalmente. Forse puoi trovare, gemini, qualche approfondimento alle tue domande in questo mio articolo:
https://www.uccronline.it/2011/10/08/il-grande-disegno-di-hawking-quando-il-cosmologo-perde-il-contatto-con-il-mondo/
Grazie per la risposta 🙂
Le farò sapere.
Praticamente la Scienza non vuole ammetter l’origine.
Mi ricordano Einstein che credeva in un Universo eterno, come cita lei stesso nell’articolo, per non porsi il problema.
Scomodano Democrito poiché fanno riferimento alle proprietà della materia.
Le rinnovo i complimenti, m’interessano parecchio i suoi articoli!
Devo confesare che questa teoria delle stringhe non so neanche cosa significa.Vabbe’ che apprtengo alla categoria, oggi molto, ma molto risstretta, di persone che restano perplesse anche sulla relatività (ristretta, figuriamoci la generale). Il fatto divertente è che conosco delle persone molto acculturaate nel campo che incontrano evidenti difficolta in concetti molyo, ma molto più semplici. Questo interesse per ‘teorie’ poco immediate ci allontana o ci avvicina alla scienza:mi sa tanto,anche se vere e fondate, che siano ormai parte della cosiddetta’ scienza mediatica’.
PS. Le teorie evoluzionistiche sono molte: a quale si riferisce il nostro “asino d’oro 2009”?
Odifreddi: “Essere antievoluzionisti significa essere antiscientisti”
“Non e’ vero che nell’ambiente scientifico l’antimaterialismo sia popolare”
La teoria di Darwin diede i natali nel 1842, ma il dibattito sull’evoluzionismo e le origini del mondo è sempre aperto. In queste settimane cercheremo di capirne di più portando all’attenzione dei nostri lettori esponenti dell’ambiente scientifico rappresentanti di posizioni molto diverse. Cominciamo dal prof. Odifreddi, autore di diversi saggi a favore del darwinismo.
Ch.mo Prof. Odifreddi, In America l’Intelligent design va acquisendo credibilità e, soprattutto, proseliti di peso. Sempre più scienziati rifiutano o rimettono in discussione spiegazioni strettamente materialiste dell’origine della vita. Lei cosa ne pensa?
“Penso che si tratti di pie illusioni degli antievoluzionisti, perché non è vero che nell’ambiente scientifico l’Intelligent Design, l’antievoluzionismo e l’antimaterialismo siano popolari, o anche solo in crescita. Possono esserlo al di fuori dell’ambiente scientifico, ma questo interessa appunto solo chi di scienza non sa, o non capisce, molto. O niente”
Recentemente R. Dawkins, ateo di fama mondiale, ha dichiarato il suo passaggio ad una posizione agnostica, non potendo escludere completamente la possibilità dell’esistenza di Dio. Qual è il suo parere a riguardo?
“Sospetto che si tratti di un equivoco. Perché la parola “agnosticismo” è stata coniata nell’Ottocento dal biologo Thomas Huxley, il cosiddetto “mastino di Darwin”, come negazione di ogni forma di “gnosticismo”: cioé, di credenza nel trascendente. Dunque, il biologo Dawkins probabilmente la intende in tal modo, e in questo senso sono anch’io agnostico”
In Italia coloro che negano validità scientifica alla teoria di Darwin sono ascrivibili essenzialmente a due posizioni: antievoluzionisti e creazionisti. Può dirci qual è la sua opinione su questa dicotomia, ed in particolare se la ritenga conciliabile e/o sia più vicino ad una piuttosto che all’altra visione?
“Non mi sembra una dicotomia. E’ ovvio che chi nega validità scientifica all’evoluzionismo sia automaticamente un antievoluzionista. Anzi, più in generale, un antiscientista, perché l’evoluzionismo è il paradigma scientifico della biologia moderna. Per opporsi all’evoluzionismo bisogna non conoscere o non capire la scienza, e i creazionisti sono appunto una particolare specie di antiscientisti, benché non l’unica”
Negli ultimi anni sappiamo di 4 contraddittori nel nostro Paese: nel 2009, alla Casa della Cultura organizzato con il UAAR , a Milano sempre nel 2009 al congresso creazionista, Roma e Milano nel 2011. Come mai in Italia non si sviluppano contraddittori come nel resto del mondo?
“Negli Stati Uniti questi sedicenti “contradditori” sono in genere organizzati da frange di fondamentalisti religiosi. In Italia quasi tutte le posizioni religiose, anche le più fondamentaliste, confluiscono all’interno della Chiesa cattolica. E questa si oppone all’evoluzionismo solo in maniera blanda, limitandosi a parlare di “evoluzionismi”, e senza fomentare posizioni apertamente antiscientifiche”.
Mah, polemica religiosa e basta. Sul lato scientifico non ho letto nulla.
Non capisco perché il giornalista dice: “Cominciamo dal prof. Odifreddi, autore di diversi saggi a favore del darwinismo.”
Quali sarebbero questi saggi di Odifreddi?
Uno solo in realtà: “In principio era Darwin”. Libro pieno di fesserie come molti altri scritti del medesimo autore.
Sì ma non lo definirei “saggio”.
E comunque non si può dire preparato sul darwinismo.
http://www.enzopennetta.it/wordpress/2012/04/su-la-voce-dibattito-sul-darwinismo/
Ne ha parlato approfonditamente il professor Pennetta!
Scienza:
Per scienza si intende un sistema di conoscenze, ottenute con procedimenti metodici e rigorosi e attraverso un’attività di ricerca prevalentemente organizzata, allo scopo di giungere a una descrizione, verosimile e oggettiva, della realtà e delle leggi che regolano l’occorrenza dei fenomeni.
Scientismo:
Il vocabolario Devoto Oli, ed. 1990, a pag. 1722, descrive lo scientismo come quel “movimento intellettuale (…) tendente ad attribuire alle scienze fisiche e sperimentali e ai loro metodi, la capacità di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell’uomo”
L’ignoranza metodologica di Odifreddi è mostruosa!
http://www.youtube.com/watch?v=2Pm9FC1S3Xs
Negli Stati Uniti questi sedicenti “contradditori” sono in genere organizzati da frange di fondamentalisti religiosi. In Italia quasi tutte le posizioni religiose, anche le più fondamentaliste, confluiscono all’interno della Chiesa cattolica. E questa si oppone all’evoluzionismo solo in maniera blanda, limitandosi a parlare di “evoluzionismi”, e senza fomentare posizioni apertamente antiscientifiche”.
Certo, perchè il Cato Istitute, l’università di Oxford ed altre istituzioni simili sono piene di “fondamentalisti religiosi”.
Ciao Riccardo, grazie per la segnalazione!
L’Evoluzionismo NON é una teoria ma un fatto accertato inconfutabile, come lo è l’Eliocentrismo (e non solo)…Solo certe particolarità o dettagli rimangono attualmente in sospeso, ma che non compromettono assolutamente l’evidenza e/o veracità di questo indiscutibile fatto !
Chi oserebbe affermare, ad esempio, che l’Eliocentrismo é una « teoria » anziché un fatto indiscutibile?
François Jacob diceva «la vita rappresenta l’esecuzione di un disegno, ma che nessuna intelligenza ha concepito. Tende verso un obiettivo, ma che nessuna volontà ha scelto » Potremmo dargli torto ?
L’evoluzionismo è un’ideologia, l’evoluzione è l’argomento scientifico, verificato con certezza solo in parte (microevoluzione) dedotto per la seconda parte (macroevoluzione).
Non vorrei mettermi a citare tutti gli scienziati che parlano di intelligenza all’origine della vita, sarebbe una gara inutile. Sopratutto alla tua età, non credi?
Purtroppo mi unisco solo adesso a commentare questo interessantissimo articolo di Giorgio che coglie un aspetto tanto importante quanto poco affrontato della “scienza” attuale.
In particolare vorrei tornare sulla parte finale, quella in cui si parla dei rischi di una deriva irrazionalistica frutto della “specializzazione”, un rischio che in questo caso interessa la scienza, ma che è anche un pericolo che riguarda più in generale diversi aspetti della nostra società.
Al riguardo mi fa piacere riportare un brano dell’autore di fantascienza Robert Anson Heinlein, un brano che mi è stato fatto conoscere da Alessandro Giuliani:
Un essere umano deve essere in grado di cambiare un pannolino, pianificare un’invasione, macellare un maiale, guidare una nave, progettare un edificio, scrivere un sonetto, tenere la contabilità, costruire un muro, aggiustare un osso rotto, confortare i moribondi, prendere ordini, dare ordini, collaborare, agire da solo, risolvere equazioni, analizzare un problema nuovo, raccogliere il letame, programmare un computer, cucinare un pasto saporito, battersi con efficienza, morire valorosamente. La specializzazione va bene per gli insetti.
E aggiungo, in extremis, buona Pasqua a tutti!
Bellissima citazione, Enzo: alla faccia di tutti quelli che, per scelta filosofica contraddetta persino dalla scienza che dicono di ammirare, assimilano l’uomo a “meno” di un insetto. Ad una macchina.
Non ho la capacità di controbattere le sue tesi filosofiche. Sono troppo difficili per me. Ma noto, nel suo articolo, un certo livore verso un certo tipo di scienza. Non sarebbe bello che ciascuno esponesse il proprio punto di vista senza denigrare l’altrui? Non sarebbe più cristiano?
Cordiali saluti
Mi dispiace sinceramente che Lei, sidaem, abbia interpretato così il mio pensiero. Non ho alcun livore per la scienza che al contrario amo e ammiro immensamente, a cominciare dalla matematica e dalla fisica. Nella dialettica filosofica m’ispiro al metodo di Sant’Ilario di Poitiers: coniugare al rispetto verso le persone la fermezza nel contrasto alle idee che considero sbagliate, perché la carità verso le persone non va confusa con l’indulgenza verso l’errore!
Non c’è, sidaem, “un certo tipo di scienza”, c’è un solo metodo scientifico, che è oggi uno standard mondiale, dopo essere stato una grande scoperta del medioevo cristiano e per secoli rimasto monopolio dell’Occidente. Questo bene va preservato e accresciuto, perché solo la scienza, a mio parere, può aiutare a superare le sfide enormi che ci stanno davanti a livello globale (dall’energia all’ambiente, dalla salute alla fame). Dall’altro lato c’è oggi in Occidente una concezione filosofica, lo “scientismo”, che pretende che la scienza soddisfi a tutte le domande dell’uomo e che filosofia e religione siano residui superstiziosi del passato.
E’ questa concezione filosofica, materialistica e a mio parere oggi in contrasto con lo stesso interesse dello sviluppo scientifico, che io combatto, con tutte le mie forze.
Già, oppure rimangono sacche di neopositivismo logico empiristico-materialista alla Luigi Pavone, ancora legate al mito kantiano della distinzione tra fenomeno e noumeno e all’ostracismo verso la metafisica del Wiener Kreis, ecc.
Non hai la capacità di controbattere? E allora taci e continua a studiare…
Forse è questo il livore poco cristiano di cui parlava sidaem. Oltretutto mi sembra una sciocchezza quello che dici (“taci e continua a studiare”).
L’approccio corretto sarebbe: “Non hai la capacità di controbattere? E allora FAI DOMANDE e continua a studiare”, che è esattamente l’approccio che hanno avuto sedaem e Masiero (domanda e risposta).
Buona Pasqua a tutti.
Hai ragione, ho sbagliato ad irritarmi. Però, il problema con sidaem è che non si è limitato a confessare la sua inadeguatezza, ma ha anche pensato bene di intervenire con critiche a sproposito.
Grazie comunque del rilievo e Buona Pasqua anche a te.
il secondo “pollice su” alla tua replica è mio.
Quello che non capisco è:
perché i positivisti rifiutano la cultura aristotelica?
Hanno paura della filosofia?
Non condivido poi Schopenhauer quando dice che la finalità (l’esistenza di Dio) non esiste ma è frutto dell’intelletto.
Ecco, la mia domanda è: (a chiunque volesse rispondere) la filosofia, se diamo validità a quell’assunto, esaurisce il suo scopo?
Non capisco perché lui voleva eliminare il positivismo (e l’idealismo) dando per assunto quello che vi dicevo su Dio, insomma un’altra domanda è: non è un controsenso quel paradigma su Dio, se gli stessi positivisti la pensavano come lui su sto punto?
La filosofia quindi è solo una consolazione?
Ciao Gemini,
Io continuo a pensare che se non si accetta l’esistenza di Dio tutti i nostri tentativi di avvicinarsi alla verita’ o (come dice Luigi Pavone) di definire la verita’ siano destinati a risolversi nel nulla. A questo proposito voglio riportare qui un brano della recente intervista fatta da Avvenire al filosofo Sergio Givone: “Nel cuore della Passione di Cristo, durante l’interrogatorio di Pilato, compare una domanda prettamente filosofica: «Che cos’è la verità?» Lei, da filosofo, come giudica il silenzio di Gesù di fronte a questo interrogativo?
«È vero, Cristo non risponde a Pilato, ma in realtà lo ha già fatto laddove afferma: “Io sono la verità”. Cioè, la verità, secondo Cristo, non è una cosa e neppure un paradigma che ci dice come stanno le cose. La verità è una persona e l’incontro con questa persona. La verità esiste solo se io sono disposto ad ascoltarla e incontrarla. Di qui si capisce l’affermazione di Dostoevskij: “Tra dovessi scegliere la verità e Cristo, io sceglierei Cristo”. Per questo motivo, di fronte a una persona che non è disposta a incontrare la verità e che non riesce a capire Gesù, egli può solo tacere. Si tratta della logica presa d’atto dell’impossibilità di essere accolto per quello che egli è: una verità personale. Ricordiamoci che Cristo non era accusato di chissà quali crimini, sui quali il governatore avrebbe potuto conoscere la realtà dei fatti: era incriminato appunto perché si proclamava la verità!»”
Ciao!
Capisco Lucio e ti ringrazio della risposta.
Ma il mio dubbio riguarda Schopenhauer.
Però concordo con quello che dici.
Per questo credo che la cultura aristotelica sia quella più vera (e quella più osteggiata) perché ti dà il sapore della verità.
Questo sapore lo provi solo con poche cose nella vita: guardando un quadro di Leonardo, andando a messa o ascoltando Mozart.
Credo molto nel Classicismo, è importante avere dei punti di riferimento.
Inoltre credo nel Cristianesimo, perché è il più grande contenitore culturale; ha fuso gli elementi dell’Occidente di allora (Roma e Atene) con gli elementi Orientali (Gerusalemme) per darci una panoramica universale.
San Paolo è il simbolo più grande di questa conoscenza, il portabandiera per eccellenza dell’aristotelismo (la percezione del Divino in senso metaforico).
Gli anticipatori della Conoscenza (come dicevo) furono i Greci. Essi non toccarono Dio con mano, ma furono più consapevoli della sua immagine (San Paolo è l’esempio più fuorviante, non conobbe Cristo ma nessuno scrisse meglio di lui su Gesù)
Come dicevo poco fa, la Rivelazione discese sugli Ebrei, che testarono l’esperienza Divina.
I Romani crearono il “corpus” della Tradizione.
Per me questo è il Disegno più grande.
Gemini, sono perfettamente d’accordo con te su Aristotele, che è in assoluto il più grande filosofo (e non solo) dell’antichità, superato solo da San Tommaso d’Aquino. E proprio a questo proposito va sottolineato che la filosofia di San Tommaso, sempre immersa nella sua grande teologia, ha saputo veramente andare oltre Aristotele. E lo si vede proprio in etica e a proposito di Dio (considerato in modo puramente filosofico). Ad Aristotele mancavano troppi elementi culturali che il Cristianesimo ha portato e che sono stati poi “riguadagnati” in maniera perfettamente filosofica dai filosofi cristiani e in particolar modo da San Tommaso. In ogni caso leggere Aristotele e San Tommaso costituisce il più sublime piacere intellettuale, per chi, come me, ama la verità sopra ogni cosa. Entrambi sono infatti totalmente consacrati alla ricerca della verità, avendo inoltre dalla loro parte doti intellettuali che pochi altri hanno avuto.
Concordo con te.
San Tommaso si convertì proprio leggendo Aristotele.
Il rapporto fra fede e ragione analizzato da San Tommaso (per me) è rimasto insuperato.
San Tommaso fu messo in un convento benedettino dall’età di 4-5 anni e fu subito persona di grande fede, dunque non si convertì grazie ad Aristotele (che era un pagano politeista). Non capisco cosa intendi dire.
Si convinse dell’esistenza di Dio leggendo Aristotele.
Scusa mi sono confuso con Sant’Agostino d’Ippona.
O.K., però ciò non può valere nemmeno per Sant’Agostino, che leggeva semmai Platone e i neoplatonici e non la Fisica o la Metafisica di Aristotele (le due opere in cui compaiono le dimostrazioni del Primo Motore Immobile, rispettivamente nel cap. VIII e nel libro Lambda o dodicesimo della Metafisica), che in quel momento (Sant’Agostino è morto nel 430) non erano tradotte in latino.
E’ vero quello che dici e mi dispiace della piccola inesattezza.
Però mi colpisce egualmente, essendo entrambi attratti dalla Classicità.
Anche se la differenza (se vogliamo) è nulla.
Leggevano Platone è vero, ma successivamente (come ricordavi) leggendo Aristotele leggevano Platone, essendo discepolo.
No, non fu assolutamente così. Non so da dove tu abbia tratto questo falso dato biografico, ma ti assicuro che San Tommaso non ebbe mai dubbi sull’esistenza di Dio. Anzi, le dimostrazioni razionali che elaborò, furono sempre in funzione apologetica (contro i non-cattolici), oppure in funzione pedagogica come nella Summa Theologiae (dedicata agli studenti di teologia).
Scusami mi sono confuso con Sant’Agostino d’Ippona (essendo entrambi due esponenti di spicco del neo-platonismo cristiano)
Ehm…, se ti riferisci a San Tommaso, non può certo dirsi esponente del “neoplatonismo cristiano”, dato che è stato proprio colui che ha subito la reazione dei platonici cristiani, a causa del suo tentativo (riuscito) di armonizzare Aristotele con Platone e la cultura cristiana, che sino ad allora, era in maggioranza di tendenze platoniche (pur se di un platonismo e neoplatonismo cristianizzati).
Infatti parlavo di neo-platonismo “cristiano” e (come dici anche tu) all’epoca nelle accademie c’erano molti scettici e fedeli alla concezione “pura” del classicismo.
Sarebbe un ossimoro: concordare con Platone e rifiutare Aristotele (viceversa), essendo il primo maestro del secondo.
Ripensandoci, è più chiara la faccenda detta come la esponi tu.
Questo è un segno positivo! 🙂
Concordo con te sulla critica che ha ricevuto San Tommaso nel conciliare le diverse posizioni: platonismo, aristotelismo e cristianità.
Intendevo dire che San Tommaso è un esponente del classicismo cristiano o neo-classicismo medioevale.
L’unificazione della cultura classica (Aristotele, Platone) con il Cristianesimo).
Per questo motivo ho detto erroneamente esponente neo-platonico, poiché riconoscevo l’influenza platonica (anche se, a onor del vero, è più corretto parlare di classicismo poiché a quell’epoca c’erano contrapposti diversi accademici platonici).
E’ stato proficuo parlarne, mi spiace se a volte semplifico.
Si, l’Angelico ha superato, come è stato detto dai tomisti del ‘900, Aristotele. Dove, infatti, lo Stagirita vedeva la polarità fondamentale nel dualismo materia e forma, Tommaso lo pone in quello tra essere ed essenza.
Non solo la forma è atto, ma anche l’essere, e ben più propriamente. La forma è atto rispetto alla materia che è (pura) potenza: ma a loro volta sia la forma sia la materia sono costitutive dell’essenza (almeno delle sostanze corporee), essenza che è potenziale rispetto all’atto, ultimo e decisivo, che è l’essere.
( http://www.culturanuova.net/filosofia/2.medioev/tommaso.php )
@ Andrea
Sul cervelletto artificiale impiantato ad un topo, per evitare le esagerazioni spesso presenti nelle riviste di divulgazione (che parlano già di robotopi!), ho chiesto spiegazione ad un neurologo dell’ateneo. Si tratta, mi ha spiegato, di un chip che può essere collegato al cervello, dal quale può ricevere, interpretare e trasmettere al corpo (e viceversa) i dati necessari per ripristinare le funzioni di equilibrio e motorie tipiche del cervelletto. Forse anche più di te, Andrea, che credi che il cervello umano sia solo un grande e meraviglioso chip costituitosi per caso, io sono pieno di ammirazione per queste tecnologie prodotte dal cervello umano, in questo caso da quello del prof. Matti Mintz, ed ho come te la speranza che domani tali scoperte potranno anche giovare a ripristinare le funzioni motorie dei cervelletti umani danneggiati. Ti prego anche di riconoscere che io sono pienamente convinto che “senza” il mio cervelletto non potrei muovermi, così come non potrei pensare “senza” il mio cervello. Però ciò che ci divide è un’altra cosa: che “io” non credo di essere il mio cervello, mentre “tu” ti fai coincidere con il tuo.
Per spiegarmi meglio, prendo la tua frase, con la quale rispondi alla mia domanda se un computer sappia fare operazioni diverse dalla somma e sottrazione di 1. Tu dici: “Non ho bisogno di citarti operazioni diverse da quelle, perché non servono, così come a te non serve pensare ai bit di un cd quando lo ascolti”. Sono d’accordo per una volta con te, Andrea: “io” non penso affatto alla stringa di 0 ed 1 di cui è fatto il file mpeg letto dal mio tonto computer, né alle corde o al legno o all’ottone di cui sono fatti gli strumenti quando odo la musica in diretta (che, per la loro musicalità, mi permettono di dire che sono meno “stupidi” del computer), né tanto meno penso agli impulsi elettrici che nel mio cervello rimbalzano tra una sinapsi e l’altra e che se esaminassi in un oscilloscopio non mi direbbero niente. No, “io” non penso affatto a queste onde analogiche o a alle meno perfette stringhe di bit che ne rappresentano le componenti di Fourier: “io” mi godo Mozart!
– che “io” non credo di essere il mio cervello, mentre “tu” ti fai coincidere con il tuo –
D’accordissimo questo è il succo della differenza del nostro approccio, Ho messo un pollice in su anch’io! (non è il primo ovviamente ai tuoi commenti che sono sempre densi di informazioni interessanti)
Ecco io ritengo che il tuo “goderti Mozart” sia (o sarà) spiegabile.
il tuo goederti Mozart è, nell’interpretazione che a me pare la più sensata, un reward intrinseco derivante dal fatto che ad ogni successivo ascolto tu riesci a comprimere (inconsciamente) meglio il flusso informativo rappresentato dal ritmo e armonia di un pezzo di Mozart. Lo ascolti la prima volta e non ci capisci niente, non ti sembra bellissimo subito, man mano che lo ascolti il tuo cervello scopre delle regolarità e ne crea una rappresentazione sintetica, questo miglioramento converge senza mai arrivare ad un punto d’arrivo, e questo procede tanto più bravo è stato il compositore. (abbiamo parlato di Mozart, ma potevamo anche paragonare Sting con Ligabue per abbassare il livello)
il fatto che non si arrivi mai ad un punto d’arrivo e l’interesse rimanga vivo, mi pare collegato al fatto che non sia possibile dimostrare che un algoritmo di compressione sia effettivamente il migliore dato un input. Questa convinzione mi deriva dalla lettura degli scritti di Gregory Chaitin.
questa spiegazione a mio avviso trova ulteriore conferma nella nostra capacità adattativa rispetto a nuovi pezzi musicali. L’educazione all’ascolto altro non è che questo. Tutti ci accorgiamo di quanto sia più bello ascoltare musica classica, quanta più ne ascoltiamo, e chi non la capisce ci sembra un matto… Beh il “non capirla” degli altri è semplicemente un’assenza di training degli algoritmi di compressione…
Ripeto non voglio snaturare tutta la bellezza di quel tuo “goderti Mozart”, io stesso amo la musica (soprattutto il jazz), ritengo semplicemente molto interessante tentare di spiegarlo e credo che si stiano facendo notevoli passi avanti in tal senso. Dopodichè possiamo anche decidere di non farlo se ci pare noioso o forzato e goderci una bella sinfonia, fortunatamente questo ci è possibile e ci appaga, indipendentemente dalle spiegazioni.
una macchina potrà mai “godersi mozart” a sua volta?
E’ chiaro che l’esigenza di rappresentare il dato esperienziale in modo sempre più efficiente deve provenire da qualche parte, nel caso della macchina deve essere quindi hardcoded, nel caso umano “potrebbe” (e dico “potrebbe” con migliaia di virgolette) essere una conseguenza del fatto che un cervello che comprime meglio le informazioni possa essere selezionato a livello evolutivo. In tal caso il criterio della miglior compressione sarebbe qualcosa che viene “caricato dal DNA stesso nella rete neurale in fase di avvio”.
Virgolette a go-go perchè sono solo supposizioni ovviamente, ma hanno un ottimo riscontro pratico nella recenti applicazioni delle reti neurali (che sono appunto ispirate alla struttura del nostro cervello)
Avanti Andrea, non diciamo castronerie… Le reti neurali dell’informatica sono solo dei “predictor-corrector” “multi-input” con retroazione, nulla a che vedere con qualsivoglia cervello. Di neurale ha solo il fatto che “pesca” da più input connessi ad altri, ma finisce lì.
L’esperimento coi topi poi, dimostra solo che un dispositivo può replicare delle risposte, ma da qui a dire che si possa simulare creatività o curiosità ce un’abisso. Non è stato fatto altro che programmare la risposta del cervelletto alle richieste del cervello. È già chiaro che, come ogni calcolatore, appena trova un input fuori dalla programmazione va’ in palla o dà una risposta assolutamente sbagliata (perché alla fine è l’intelligenza del programmatore quella che entra in funzione in quel cervelletto artificiale, nulla di caotico né autoprodotto. Sempre e comunque il frutto di un’intelligenza.
Vorrei proprio vederli questi esseri senzienti cibernetici dei quali parli perché, da quel che so io, non esistono.
Quanto ai “diversi livelli di coscienza” negli animali, non esistono neanche quelli. Nessun animale ha il senso del pudore per esempio. Ci vorrebbe qualche prova quando si cerca di sostenere le tesi che hai riportato nei tuoi commenti.
Grazie Giorgio!
Devo dire che la specializzazione mi sembra più l’effetto primo della deriva irrazionalistica piuttosto che la sua causa: quanto più infatti ci si allontana dal concepire la conoscenza come intenzionale e ci si frustra nel mancato adeguamento del pensiero alla realtà, tanto più si è costretti a ripiegarsi nell’accertamento del metodo per cui tale vacuum si è verificato. Da ciò il gettarsi in modo forsennato nel rigore della specializzazione e – qui davvero in senso dteriore ( come per Hawkings – il dogmatismo metafisico che Ipostatizza il settore /regione dell’essere di competenza!
Non sono d’accordo. La specializzazione è oggi necessaria x andare avanti nella ricerca scientifica, nessuno oggi può dominare tutta la conoscenza.
L’importante è capire che essa non è sufficiente, che si richiede altrettanto l’interdisciplinarieta’ e, soprattutto, che ci sono domande cui le scienze naturali non potranno mai rispondere.
Non capisco su quale punto mancherebbe l’accordo; che la specializzazione sia necessaria alla ricerca scientifica non l’ho messo in dubbio, nè ho detto che si possa dominare tutta la conoscenza.
Sul rapporto causa-effetto. Ricordi il mito platonico della caverna, Fabrizio? È la prolungata e ossessiva presenza negli antri dei loro studi che riduce la razionalità di certi scienziati.
Il fatto che nel clima contemporaneo la ragione sia screditata del suo valore veritativo e, soprattutto del potere fondativo di dare ragione dell’essere dipende dall’accettazione delle critiche alla metafisica aristotelico-tomista mosse all’interno della modernità (dogmatismo, insignificanza dlee’essere, ecc).
Se la ragione viene demolita nelle sue “pretese” metafisiche e ridotta ad una funzione meramente riflettente e riepilogativa, ecco l’insorgere del diffuso problematicismo e nell’assugere dei saperi regionali a unico ambito di realizzazione.
In questo senso – storico/ dialettico – spero si capisca meglio perchè ritengo l’ossessione specialistica un effetto: dimenticato il fatto di essere in una caverna (dimenticata l’apertura) si è costretti a concentrarsi sulle profondità e sui metodi di ciò che è a portata di mano!