Psicologi contro omogenitorialità, ecco cosa dicono
- Bioetica
- 27 Mar 2012
Cosa dicono gli psicologi sull’omogenitorialità e sulle adozioni gay? Esiste un fronte scientifico compatto a sostegno?Niente di più lontano dalla verità, tantissimi psicologi e psichiatri sono fortemente contrari all’omogenitorialità. In questo dossier i loro pronunciamenti
Le adozioni gay sono un tema all’ordine del giorno da diversi anni.
Alcuni Paesi hanno liberalizzato le adozioni a coppie dello stesso sesso, ma tantissimi psicologi e psichiatri sono contro all’omogenitorialità. Non per motivi ideologici, ma scientifici.
In questo dossier (è quello originale, sul web esistono varie copie), continuamente aggiornato, abbiamo raccolto gli interventi più autorevoli e noti di psicologi, psichiatri, esperti dell’infanzia.
Ma anche di filosofi, giuristi, magistrati, sociologi e pediatri: addetti ai lavori che però raramente trovano spazio sui grandi media.
Questo dossier è correlato a quello sugli studi scientifici in merito all’omogenitorialità.
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PSICOLOGI CONTRO OMOGENITORIALITA’, ECCO PERCHE’
La psicanalista Claude Halmos, una dei massimi esperti riconosciuti in età infantile, ha spiegato che è sbagliato affermare che le coppie omosessuali sono uguali a quelle etero, e «rivendicando il “diritto alla non differenza” richiedono che le coppie gay abbiano il diritto “come le coppie eterosessuali” di adottare bambini . Questo mi sembra un grave errore». Così, ha proseguito:
«I bambini che hanno bisogno di genitori di sesso diverso per crescere». La questione, ha scritto, non è se «gli omosessuali maschili o femminili sono “capaci” di allevare un bambino», ma essi non «possono essere equivalenti ai “genitori naturali” (necessariamente eterosessuali)». In questo dibattito, inoltre, «il bambino come persona, come un “soggetto” è assente». Ed ecco il vero punto della questione: «ignorando un secolo di ricerche, i sostenitori dell’adozione si basano su un discorso basato sull”amore”, concepito come l’alfa e l’omega di ciò che un bambino avrebbe bisogno», non importa se esso arrivi da un uomo e una donna, o da due donne. Ma queste affermazioni, ha continuato la psicanalista, «colpiscono per la loro mancanza di rigore» perché «un bambino è in fase di costruzione e, come per qualsiasi architettura, ci sono delle regole da seguire se si tratta di “stare in piedi”. Quindi, la differenza tra i sessi è un elemento essenziale della sua costruzione». Invece si vuole mettere il bambino «in un mondo dove “tutto” è possibile: dove gli uomini sono i “padri” e anche “mamme”, le donne “mamme” e anche “papà”. Un mondo magico, onnipotente, dove ciascuno armato con la sua bacchetta, può abolire i limiti», ma questo risulta essere «debilitante per i bambini». Essi si “costruiscono” attraverso «un “legame” tra il corpo e la psiche, e i sostenitori dell’adozione si dimenticano sempre il corpo. Il mondo che descrivono è astratto e disincarnato». Nella differenza sessuale, invece, «tutti possono trovare il loro posto […], consente al padre di prendere il suo posto come “portatore della legge […], permette al bambino di costruire la sua identità sessuale».
La psicologa italiana, Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia Dinamica presso l’Università di Pavia, membro del Comitato Nazionale di Bioetica e dell’Osservatorio Permanente sull’infanzia e l’adolescenza è intervenuta sul Corriere della Sera spiegando:
Sigmund Freud definisce l’Edipo come “l’architrave dell’inconscio”, cioè «il triangolo che connette padre, madre e figlio. Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi, animati dall’onnipotenza Principio di piacere, “voglio tutto subito”, che coinvolgono i suoi vertici. Per ogni nuovo nato il primo oggetto d’amore è la madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal divieto dell’incesto, la Legge non scritta di ogni società». La rivalità con il padre, nell’immaginario, è automatica e termina per due motivi: «per il timore della castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell’Io, e per l’obiettivo riconoscimento della insuperabile superiorità paterna. Non potendo competere col padre, il bambino s’identifica con lui e sceglie come oggetto d’amore, non già la madre, ma la donna che le succederà». Attraverso questo gioco delle parti, dunque, il figlio riesce a prendere «il posto che gli compete nella geometria della famiglia, assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo complesso per ridurlo a mera specularità. Ma già quello maschile è sufficiente a mostrare come l’identità sessuale si affermi, non in astratto, ma attraverso una “messa in situazione” dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori». Noi non abbiamo un corpo e «non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale. La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale, mi sembra particolarmente idonea a dar voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli».
Pietro Zocconali, presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi (ANS), ha affermato:
«I bambini sono dotati di grande capacità di adattamento, tuttavia, sulla base della letteratura scientifica disponibile vivono meglio quando trascorrono l’intera infanzia con i loro padri e madri biologici. Il bambino riconosce se stesso e il proprio futuro rispecchiandosi e relazionandosi al maschile e al femminile di una madre e di un padre, biologici o adottivi. In assenza di questa diversità sessuale il benessere del bambino è a rischio, come dimostra la stragrande maggioranza dei dati raccolti dalla più validata letteratura psico-sociale a livello mondiale e non da quattro sofismi artatamente richiamati dalla comunità gay e privi di riconoscimento scientifico».
Giovanni Corsello, presidente della Società italiana di Pediatria, ha affermato:
«vivere in una famiglia senza la figura materna o paterna potrebbe danneggiare il bambino. Materie delicate come la stepchild adoption sollevano forti interrogativi. Alcuni bimbi che hanno due mamme o due papà mostrano maggiori difficoltà di inserimento sociale e scolastico, e manifestano nelle attività ludiche segnali di fragilità e turbamento».
In un precedente intervento aveva detto:
«Ciò che risulta rischioso e inutile è un dibattito teso a promuovere situazioni simili come assolutamente fisiologiche. Non si può infatti negare, sulla base di evidenze scientifiche e ragionamenti clinici, che una famiglia costituita da due genitori dello stesso genere può costituire un fattore di rischio di disagio durante l’infanzia e l’adolescenza, quando il confronto con i coetanei e le relative ricadute psicologiche, diventano elemento decisivo sul piano relazionale. Non si possono considerare legittimi i diritti di una coppia di genitori senza contemporaneamente valutare contestualmente e nella loro interezza e globalità i diritti dei figli».
Alberto Villani, vicepresidente della Società Italiana di Pediatria, ha dato supporto e conferma alla posizione assunta pubblicamente dal dott. Giovanni Corsello, presidente della Società italiana di Pediatria:
«Il professor Corsello, presidente della Società Italiana di Pediatria, ha detto quello che credo sia importante dire, ossia che va salvaguardata la figura del bambino; come pediatri non possiamo da un lato dire, ad esempio, che l’allattamento materno svolge un ruolo fondamentale e poi negare il ruolo della madre. Quindi la madre non può essere importante solo quando allatta o solo quando c’è la gestazione. Da anni ormai, grazie all’epigenetica si è ben compreso che un individuo è quello che è sua madre prima ancora di concepire l’individuo. Quindi è chiaro che nella formazione, nella crescita di un bambino, il ruolo materno e il ruolo paterno sono fondamentali. Noi dobbiamo prevedere per il bambino quella che è la sua situazione ottimale. Quindi senz’altro esiste un ruolo paterno, un ruolo materno, esiste anche addirittura una genetica diversa e innegabilmente questo ha un valore».
Francesco Paravati, presidente della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera (SIPO), ha dichiarato in merito alle cosiddette “nuove famiglie” (divorziati, conviventi, omosessuali…):
«Quello che c’è di scientifico oggi dimostra che il bambino cresce confuso nell’identità perché perde i punti di riferimento, sia nelle “famiglie” monoparentali che nelle unioni omosessuali. Il problema a carico del bambino è una difficoltà ad interloquire con punti di riferimento chiari». In questi contesti familiari, ha continuato Paravati, «il bambino rimane ancora più, diventa un bambino meno sociale, un bambino che matura più tardi, con ritardi nel linguaggio». In particolare, i figli delle coppie omosessuali «in Italia sono 100 mila, ma negli Stati Uniti sono milioni e il problema è davvero ragguardevole e occorre davvero una riflessione. La problematica è data principalmente dal fatto che il bambino, sopratutto nei primi anni di vita, è più confuso in cui manca un riferimento ad un’identità di entrambi i genitori. Avere due mamme, una mamma che fa da papà diventa difficoltoso, anche nei riscontri dell’ambito sociale. Il punto principale è la crescita in uno stato di confusione per quanto riguarda i punti di riferimento genitoriali, importante nella vita psicologica di un bambino». Ha anche sottolineato che in ogni caso «le problematiche delle “nuove famiglie” sono fenomeni recenti, tutti i risultati di qualunque organismo scientifico sono perciò preliminari e non definitivi. Avrei comunque un atteggiamento pregiudiziale». In conclusione, rispetto alle famiglie monoparentali (separazione), «il problema del bambino è decisamente complesso. Queste famiglie sono confuse nei loro confronti, spesso i genitori hanno troppi anni per accudirli, esistono 4-6 nonni in seguito alla prima e seconda unione. E’ una situazione devastante per i bambini».
Roberto Pani, psicologo, psicoterapeuta e professore di Psicologia Clinica all’Università di Bologna, ha scritto:
«Non ho dubbi come dicevo che ci siano coppie di omosessuali che siano in grado di educare ed allevare bambini sensibili, educati, colti come dimostra la stragrande maggioranza dei dati scientifici raccolti dalla letteratura scientifica a livello mondiale, ma nonostante la grande capacità di adattamento dei bambini è ipotizzabile che essi vivano meglio quando trascorrono l’intera infanzia con i loro padri e madri biologici. Il bambino riconosce se stesso e il proprio futuro rispecchiandosi e relazionandosi al maschile e al femminile di una madre e di un padre, biologici o adottivi. In assenza di questa diversità sessuale il benessere del bambino sembra essere a rischio».
Il presidente della Asociación Española de Pediatría (AEP), dott. Alfonso Delgado Rubio, ha affermato rispetto all’omogenitorialità:
«Non è la situazione ideale» per la loro crescita. Al contrario, «avere un padre e una madre è la situazione naturale e logica».
L’opzione successiva, secondo i pediatri spagnoli, è l’adozione da parte di una donna o di un uomo single e senza un partner, anche se nemmeno questa può essere ritenuta una “situazione ideale”.
Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio per i Diritti dei minori e e consulente della Commissione parlamentare per l’Infanzia, ha affermato:
«Un’equipe, guidata dal prof. Loren Marks della Louisiana State University ha messo a punto un’ennesima analisi, pubblicata sul Social Science Research, che attesta le notevoli differenze sussistenti tra figli adottati da coppie gay conviventi e figli naturali di coppie eterosessuali». Una analisi, quella citata da Marziale, che secondo lui stesso, valida «quanto rilevato da Mark Regnerus, professore di Sociologia presso l’Università di Austin, a capo di un’equipe che ha osservato che quanti sono cresciuti in famiglie omosessuali sono dalle 25 alle 40 volte più svantaggiati dei loro coetanei cresciuti in famiglie normali. Sono costretto a ripetere che non sono omofobo e che sono aperto ad ogni altro sacrosanto diritto civile per la comunità omosessuale, ma sulle adozioni non è dato transigere. Si tratta del diritto di ogni bambino ad avere una famiglia pedagogicamente completa delle figure di riferimento, maschile e femminile, e non già di appagare le voglie degli adulti che per avere figli devono ricorrere a metodi alternativi rispetto al naturale rapporto eterosessuale».
Il neuropsicologo Nacho Calderon, direttore dell’Instituto de Neuropsicología y Psicopedagogía Aplicadas (INPA) di Madrid, ha affermato:
«L’ideologia del gender è appunto un’ideologia. Le ideologie vanno e vengono, ma gli animali sono maschi e femmine sessuati da 10.000 milioni di anni. L’effetto che può avere è quella di provocare uno sviluppo inadeguato dei bambini. Già a quattro anni i bambini non solo hanno chiaro di che sesso sono, ma sono in grado di distinguere quello degli altri. Senza bisogno che vedano le nudità, ma solo dall’aspetto fisico, dai caratteri sessuali secondari, dai lineamenti del volto e, in base ad essi, si comporta in modo appropriato».
Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), affiliata alla SIP Società Italiana di Pediatria, ha escluso ogni possibilità alle adozioni gay:
«Noi ci batteremo sempre sul fatto che la famiglia è composta da uomo e donna con figli, e possibilmente con più di un figlio». Ha poi continuato il pediatra, rispetto alle famiglie monoparentali: «se nel contesto sociale il bambino si trova a vivere solo con la mamma o solo con il papà, sicuramente c’è una diversità, c’è qualcosa che non funziona». Parlando di unioni omosessuali, «io mi auguro che in Italia e in Europa non venga mai approvata una legge sulle adozioni gay, questi bambini che emulano la famiglia, i genitori…si rischia di fare un esercito di gay, è qualcosa che non vedo bene, è tendenzialmente ad alto rischio che il bambino abbia problemi psichiatri e psicosomatici. Creiamo un diverso, un qualcosa di anti-naturale, noi abbiamo maschi e femmine e non vedo altre caselle». Il pediatra ha quindi proseguito: «sono sicuro che la stragrande maggioranza di questi ragazzi possono avere dei problemi non indifferenti. Se la famiglia è il punto di riferimento, allora io che sono figlio di due gay come posso fare tutto il contrario di quello che fanno i miei genitori?». La famiglia deve insegnare anche il comportamento sessuale, «ci sono attività e comportamenti che il bambino vuole condividere con il padre e altri con la madre. Noi dobbiamo combattere sul fatto che il nucleo uomo-donna-bambini non deve sfaldarsi». De Mauro ha infine ribadito la più totale contrarietà all’adozione da parte di coppie gay, «non permetterei mai, se fossi io a decidere in Italia, di far allevare un figlio -con tutto il rispetto ai gay- ad una coppia omosessuale. L’importante è difendere il bambino, a me interessa questo. L’omosessuale faccia l’omosessuale, ma non è adatto ad accudire un figlio, non può andare contro natura. Io penso al bambino, noi pediatri vogliamo una salute fisica e psicologica del bambino».
In un’altra occasione ha confermato:
«Da pediatra ritengo che il bambino deve incontrare stili educativi diversi, uomo-donna; dal suo punto di vista l’habitat migliore è quello di una famiglia composta da padre e madre uniti il più a lungo possibile. Perché quello che deve interessare è il bambino. Non c’entra niente il “diritto” dei genitori, non sono in discussione quelli legali o civili degli omosessuali, c’è di mezzo un’altra persona. Bisogna chiedersi: in queste situazioni il bambino è contento? Come medico mi interessa non solo la sua salute fisica ma anche quella psichica, etica e morale, il suo equilibrio affettivo».
Nell’articolo “Minori affidati ad omosessuali: il punto della ricerca” la SIIPS ha sintetizzato ottimi argomenti contro l’affidamento dei bambini a coppie prive di complementarietà sessuale, giustificati dai risultati scientifici e sociologici.
Carlo Nordio, magistrato e Procuratore Aggiunto della Repubblica a Venezia, ha scritto:
«Primo. Per migliaia di anni, in tutte le latitudini e in tutte le civiltà, l’officio educativo è stato affidato (laddove possibile) a padre e madre. Secondo. La nostra Costituzione all’articolo 29 definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e all’articolo 30 disciplina la paternità e la sua ricerca (a proposito: ma credete veramente che Togliatti e Terracini, per non parlare di De Gasperi e Saragat, potessero lontanamente pensare a un’adozione da parte di gay?). Terzo. Nella tradizione culturale laico-illuministica ogni forma educativa diversa da quella impartita dalla famiglia tradizionale è stata sempre guardata con sospetto e sarcasmo, anche quando proveniva da filosofi come Platone, Campanella e Rousseau».
Guido Crocetti, professore di Psicologia clinica presso “La Sapienza” di Roma e direttore del Centro italiano di Psicoterapia psicoanalitica per l’Infanzia e l’Adolescenza, ha affermato:
«oggi viviamo in una cultura che tende ad azzerare sempre più le diversità, persino quelle biologiche, fisiche, incontestabili: l’essere maschio e femmina non è un’invenzione, parte da un dato biologico, e come tale va anzi valorizzato. La nostra cultura da ambivalente – basata sul binomio maschile/femminile – sta diventando ambigua, a tutti i livelli: nelle relazioni uomo/donna, ma anche padre/madre e figli. Questa continua ambiguità confonde i ruoli, le funzioni, i codici comportamentali, gettando nel caos soprattutto i più fragili, quei bambini che invece chiedono, vogliono, esigono un papà e una mamma, ognuno dei due con un suo ruolo e le sue proprie funzioni. Da trent’anni lavoro sui disagi psichici dei bambini e do voce ai loro bisogni. I bambini vogliono la coppia, la esigono imprescindibilmente, e la vogliono insieme, unita. Imperativo categorico è che sia formata da un padre e una madre: è questa la garanzia di cui hanno bisogno per esistere. Poi i bambini sopravvivono sempre, anche alle guerre, alle carestie, agli abusi e alle violenze, ma questo – appunto – è sopravvivere, non vivere nel pieno dei loro diritti. Posso citare almeno un secolo di studi internazionali che lo dimostrano. O recuperiamo regole e limiti strettamente correlati ai valori, o la psicopatologia infantile avrà sempre più piccoli pazienti da curare».
Il filosofo Giacomo Samek Lodovici, docente presso l’Università cattolica, ha spiegato:
«è ovvio che le coppie omosessuali non possono contribuire mediante la procreazione alla continuazione della società. Si obbietta che potrebbero farlo adottando dei bambini ma, in realtà, dare dei bambini in adozione a queste coppie significa, quanto meno, privarli della figura materna/paterna, che non può essere surrogata da chi è uomo/donna». Inoltre, «i dati che finora abbiamo a disposizione mostrano che i bambini affidati a queste coppie hanno una probabilità molto più alta di soffrire di gravi disturbi psicologici, di avere un’autostima bassa, una maggiore propensione alla tossicodipendenza e ad autolesionarsi».
Tutto questo, ha spiegato il filosofo (citando ovviamente le fonti bibliografiche), per i seguenti 5 motivi:
1) assenza della figura materna/paterna;
2) brevità dei legami omosessuali;
3) probabilità molto superiori degli omosessuali di avere una salute peggiore;
4) i bambini che vengono adottati hanno alle spalle già una storia di sofferenze e/o violenza: così, alla differenza tra i genitori naturali i genitori adottivi – che già di per sé costituisce una difficoltà – si viene ad aggiungere il fatto che la coppia dei secondi non è analoga alla coppia dei primi;
5) è insito nel bambino un bisogno di divisione dei ruoli, di sapere “chi fa che cosa” e “da chi mi posso aspettare questo atteggiamento e da chi mi posso aspettare quell’altro.
Il matrimonio monogamico, ha quindi concluso Lodovici, offre maggiore garanzie di stabilità, perché:
a) il vincolo giuridico matrimoniale rafforza il legame;
b) il diverso atteggiamento dei coniugi (che fanno un progetto di definitività) rafforza l’impegno;
c) l’antropologia culturale dimostra che la ritualizzazione (per es. la cerimonia nuziale) di un impegno accresce la capacità di rispettarlo. Inoltre lo Stato deve proteggere il matrimonio monogamico perché è l’istituto giuridico migliore per garantire la continuazione di una società.
La psicologa Trayce Hansen ha spiegato:
La tesi per cui l’amore sia l’unica cosa di cui necessitano i bambini, al di là che venga da genitori etero o dello stesso sesso, «e tutto ciò che ne deriva, è falsa. Perché l’amore non è abbastanza! I bambini crescono meglio se allevati da una madre e un padre sposati. E’ in questo ambiente che essi hanno più probabilità di essere esposti alle esperienze emotive e psicologiche di cui hanno bisogno per crescere. Uomini e donne portano la diversità nella genitorialità; ciascuno da un contributo prezioso per l’allevamento dei figli che non può essere replicato dagli altri: madri e padri semplicemente non sono intercambiabili, due donne possono essere entrambe buone madri, ma non possono essere un buon padre. L’amore materno e quello paterno, anche se ugualmente importanti, sono qualitativamente diversi: ciascuna di queste forme di amore senza l’altra può essere problematica, perché ciò che un bambino ha bisogno è l’equilibrio complementare che i due tipi di amore dei genitori forniscono. In secondo luogo, i bambini progrediscono attraverso stadi di sviluppo prevedibili e necessari ed alcune fasi richiedono maggiormente il supporto della madre, mentre altre richiedono più la presenza di un padre. In terzo luogo, i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di genitori di sesso opposto per essere aiutarli a moderare le proprie inclinazioni di genere. In quarto luogo, il matrimonio omosessuale aumenta la confusione sessuale e la sperimentazione sessuale da parte dei giovani: il messaggio implicito ed esplicito del matrimonio omosessuale è che tutte le scelte sono ugualmente accettabili e desiderabili. E quinto, se la società permette il matrimonio omosessuale dovrà anche permettere altri tipi di matrimonio. La logica giuridica è semplice: se non si vieta il matrimonio omosessuale per discriminazione, allora il divieto del matrimonio poligamo o di qualsiasi altro raggruppamento civile sarà anch’esso considerato discriminatorio. La saggezza accumulata di oltre 5.000 anni è giunta alla conclusione che la configurazione ideale coniugale e parentale è composta da un uomo e una donna: il matrimonio omosessuale sicuramente non è nel migliore interesse dei bambini».
Il giurista Francesco D’Agostino, professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e Presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica, ha affermato:
«A mio avviso, dietro a tutta questa dinamica – che riguarda ormai la grande maggioranza dei Paesi occidentali – non c’è tanto una nuova consapevolezza del valore del rapporto di coppia omosessuale quanto, piuttosto, una continua e, sembra, inarrestabile perdita di valore dell’essenza del matrimonio in quanto tale». Ha quindi continuato: «Quanto più il matrimonio viene interpretato come un’esperienza eticamente ed antropologicamente fragile, e priva comunque di un grande spessore sociale, tanto più diventa facile equiparare al matrimonio esperienze di rapporto – come quella omosessuale – che, con il matrimonio autentico, hanno ben poco a che fare, ma che possono diventare apparentemente simili al matrimonio quando il matrimonio eterosessuale viene progressivamente svuotato di senso, di valore o di dignità».
In un’altra occasione ha osservato:
«Un atteggiamento di estrema cautela verso l’omoparentalità sembrerebbe essere giustificabile in termini di semplice buon senso e preoccupa vedere con quanta foga il preteso diritto delle coppie gay di assumere ruoli genitoriali arrivi ad essere presentato all’opinione pubblica come una questione di “civiltà”». Inoltre, come Mazzarella spiega che ci si lascia «ingannare da formule, come quella della “non discriminazione”, che hanno un immenso rilievo sociale, ma poco significano quando sono in gioco questioni antropologiche (come quelle familiari) e non politiche» e viviamo in una «atmosfera che consente allo Stato di manipolare, riqualificandoli, i vincoli familiari, chiamando ad esempio “matrimonio” la convivenza di due persone dello stesso sesso o dando identità genitoriale a coppie formate due uomini o da due donne. La verità della famiglia non è creata dalla legge. È, questo, un dato di fatto elementare, che oggi sembra completamente dimenticato o rimosso; ma poiché “i fatti sono resistenti” esso tornerà inevitabilmente a galla, quando avremo tutti verificato come simili rimozioni non portano da nessuna parte».
Lo psichiatra Italo Carta, docente di Clinica Psichiatrica presso l’Università degli Studi di Milano, ha osservato quali siano i rischi ad andare contro il diritto naturale:
«Se si tolgono le evidenze che accomunano qualsiasi uomo, a prescindere dal contesto e dalla tradizione da cui proviene, si cade nell’arbitrarietà», cioè «prevale il diritto del più forte, di chi urla di più. In questo caso quello dei promotori di questi diritti. Siamo in un momento storico in cui la volontà è così tracotante da voler prendere il sopravvento sulla conoscenza delle cose e così le violenta: io voglio fare una famiglia con una persona del mio stesso sesso, non solo chiedo di non essere discriminato ma pretendo di generare, con tecniche violente e artificiali, e poi pure di allevare, un innocente in un contesto che non gli farà sicuramente del bene. Se si salta il fondamento del diritto che è nella legge naturale, e nella ragione umana che la riconosce, la giustizia muore. Non possiamo neppure parlare più di diritti universali […]. Servono due personalità differenti dal punto di vista psichico. Ho seguito tanti omosessuali. Sono aumentati moltissimo negli ultimi anni. La scienza e l’esperienza dicono che non c’è alcun difetto di natura in loro. Non esiste l’omosessualità naturale, non è iscritta nel Dna. L’omosessualità è un’elaborazione della psiche di modelli affettivi diversi da quelli verso cui la natura normalmente orienta. Questa tendenza è del tutto reversibile. Io mi sono scervellato per anni, ho letto molto su come si può correggere questa tendenza, il problema è che spesso, pur vivendo un disagio, molti di loro non vogliono correggersi». E’ possibile riconoscere loro dei diritti «ma non si può andare oltre a concessioni di questo tipo. Pena la salute mentale di terzi». I figli, ma «anche alla stabilità della società intera. Questa sentenza abolisce l’evidenza e quando si abolisce il principio di evidenza naturale la mente compensa con squilibri psicotici gravissimi. Per questo pensare di introdurre l’uguaglianza dei sessi come normale significa attentare alla psiche di tutti. Penso poi ai più deboli: i bambini. Se gli si insegna sin da piccoli che quel che vedono non è come appare, li si rovina. Ripeto, pur non essendo solito fare affermazioni dure, dato che gli omosessuali sono persone spesso duramente discriminate, non posso non dire che introdurre l’idea che la differenza sessuale non esiste, e che quindi non ha rilevanza, è da criminali».
In un’altra occasione, ha sostenuto:
«Ritengo che le coppie di omosessuali e quelle di lesbiche che non solo adottano un bambino ma si fanno ingravidare e inseminare preparino un grave rischio di patologie per la prole». Ovvero «depressioni, disturbi della personalità e dell’identità […], collasso della funzione simbolica paterna». Lo psichiatra si è anche lamentato del fatto che queste questioni «ormai sono in mano a gruppi di pressione e politici entusiasti di aumentare il proprio consenso. Dell’aspetto psicologico clinico importa poco a tutti». In una coppia omosessuale il bambino avverte inevitabilmente «la violenza fatta alla realtà, con cui il ruolo paterno e materno vengono assunti, e la mancanza del diventare madre o padre per donare il figlio all’altro e stabilire un rapporto di reciprocità».
Il prof. Antonio Maria Baggio, politologo e docente di Filosofia politica presso l’Istituto universitario “Sophia” di Loppiano, ha affermato:
«Il matrimonio come tale, anche se non è cristiano, è il solo matrimonio tra persone di sesso differente. Il cristianesimo poi valorizza l’unione naturale tra un uomo e una donna conferendo tutto l’apporto del sacramento […]. Però non serve avere la fede cristiana, o un’altra fede, per dare così tanta importanza all’unione in sé, perché è un dato di natura. Dobbiamo fare appello alla realtà dei fatti, cioè alla struttura antropologica dell’uomo e della donna.[…] Ciò che la cultura cristiana ha sempre pensato è che non sia necessaria la fede per riconoscere la verità dell’uomo». La difesa del matrimonio «è anzitutto una battaglia civile per fare in modo che la società abbia questo legame fondativo, importante, che è basato sulla fiducia reciproca di un uomo e una donna che si scelgono per l’intera esistenza. Questo crea una solidità nella società e questo ha anche un riscontro nella struttura psicofisica delle persone altrimenti si pensa che veramente in base ad un desiderio, ad un impulso, ad una esigenza individuale si possa decidere che l’essere umano è fatto diversamente da come in realtà è fatto. […] Ed è per fedeltà alla realtà che è necessario difendere il matrimonio tradizionale».
Alessandra Graziottin, psichiatra e dirigente del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell’Ospedale San Raffaele di Milano, ha scritto:
«Con tutti i limiti che la coppia genitoriale uomo-donna può avere, resta ancora il modello consolidato di riferimento evolutivo dal punto di vista del bambino». La dottoressa spiega gli elementi fondanti di questa necessità psicoemotiva e sessuale, replicando così a chi afferma che “basta l’amore”: «Se l’amore è qualcosa di più di un’abusata parola, è indispensabile che venga sostanziata nei fatti, che non sono così rassicuranti come si sostiene con fermezza, coprendo vuoti pesanti sul fronte della ricerca clinica con dinamiche ideologiche. Negare che i problemi possano esistere non giova alla causa, tanto più che abbiamo decenni di studi sull’evoluzione psicosessuale dei bambini figli di coppie eterosessuali, mentre mancano studi a lungo termine che sostanzino l’affermazione che i figli di una coppia gay “sono normalissimi”». Si dice a favore delle unioni civili, «ma sull’adozione sto dalla parte dei bambini. Si parla tanto dei loro diritti, ma l’uso strumentale che ne viene fatto, e non solo sul fronte dell’adozione da parte di coppie omosessuali, è davvero molto inquietante».
Il prof. Giovanni Verde, ordinario di Diritto processuale civile presso la Facoltà di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli, ha scritto:
I “diritti” invocati dalla comunità Lgbt «non sono innati, ma si tratta di aspirazioni, bisogni e interessi che cercano di ottenere protezione giuridica e, quindi, si tratta di valutare se li meritino e, comunque, se sia opportuno concedergliela». La disciplina del matrimonio «è stata ritenuta necessaria, o comunque utile allo sviluppo di una società ordinata. Di conseguenza, quando si pone il problema di estendere tale disciplina a nuove forme di convivenza, che non sono quelle che si sono sviluppate nel passato sulla base della differenza dei sessi, è legittimo porsi il problema se tale estensione sia necessaria o, comunque, utile allo sviluppo della nostra società; oppure, è legittimo chiedersi quali e quante delle disposizioni di favore a tutela del tradizionale istituto familiare si possano estendere anche a conviventi dello stesso sesso i quali, per ragioni naturali, non possono dare vita ad un’unione identica a quella fondata sul matrimonio tradizionale». Inoltre, «per ciò che riguarda la filiazione, il problema viene esaminato sempre ed esclusivamente dal lato di chi aspira alla genitura. Non sappiamo e non potremo mai sapere cosa ne pensi colui al quale siano assegnati due padri o due madri. Comunque si instaura un rapporto che non è quello che ha luogo secondo l’ordine naturale delle cose. Non sarà mai possibile sapere quale sarebbe stato lo sviluppo del bambino con genitori di sesso diverso. E non abbiamo strumenti per fare attendibili valutazioni preventive, imponendo a chi non può decidere (il bambino) una scelta fatta da altri».
Il dott. Vittorio Cigoli, ordinario di Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Alta Scuola di Psicologia “A. Gemelli”, ha spiegato:
I pochi studi a favore dell’omogenitorialità sono prodotti da studiosi che «sono al contempo persone militanti sul tema dei diritti lgbt. Un neonato affidato a coppie omosessuali ha solo l’1% di probabilità di crescere fino a 18 anni con lo stesso partner del genitore».
Il filosofo Vittorio Possenti, docente presso l’Università Cà Foscari di Venezia e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, ha dichiarato:
«Noi assistiamo da alcune decine di anni in Occidente ad una visione dei diritti umani che sta cambiando in maniera molto forte. Se noi stiamo accanto ad una visione dignitaria, i diritti umani sono centrati sulla persona e non possiamo decidere qualsiasi cosa. E invece, come accade con i diritti cosiddetti sessuali, andiamo verso una visione libertaria dei diritti umani e prendono grande rilievo esclusivamente i diritti di libertà. […] Noi non possiamo trattare cose diverse in maniera uguale. Quindi, c’è un richiamo al principio di non-discriminazione e di uguaglianza che va considerato molto attentamente». Il filosofo precisa meglio il suo pensiero: «Un matrimonio naturale, di cui parla l’articolo 29 della nostra Costituzione, non può essere assimilato ad un cosiddetto matrimonio omosessuale, perché manca in maniera intrinseca l’orientamento alla fecondazione e alla procreazione, che rimane un fine fondamentale della società naturale chiamata famiglia e fondata sul matrimonio». Ritorna quindi sui “presunti” diritti: «Un diritto umano è qualcosa che spetta alla persona come tale, ma non ogni pretesa della volontà o del desiderio può essere classificata sotto “diritto umano”. Si tratta comunque sempre di trovare qual è il bene che si intende tutelare. Se noi tuteliamo la famiglia, se tuteliamo il matrimonio fondato – appunto – sull’unione eterosessuale, sappiamo quali sono i beni che vogliamo tutelare. Nel caso di una unione omosessuale, non risulta immediatamente chiaro quale sia il bene che si vuole tutelare».
Il neuropsichiatra infantile, Giovanni Battista Camerini, docente di presso le Università di Padova e La Sapienza di Roma, ha confutato le ricerche su cui si basa l’American Psychological Association:
«La comunità scientifica non ha portato alcun dato certo a favore della beneficità di questa pratica; nessun dato certo nemmeno a favore della sua dannosità. Dico solo che non si può assolutamente affermare che la comunità scientifica sia concorde sul fatto che i figli, nati da adozioni omo-genitoriali, abbiano uno sviluppo assolutamente adeguato, e che gli indicatori di benessere siano assolutamente sovrapponibili ad altri tipi di adozione. C’è da chiedersi – e questo è il grande punto interrogativo – quali possono essere le conseguenze di una desessualizzazione della funzione paterna: una funzione paterna che viene esercitata indipendentemente dall’appartenenza ad un genere definito e riconoscibile; e quali sono gli effetti che questa desessualizzazione della funzione paterna può avere sui processi di identificazione e sul sentimento di identità».
Luce Irigaray, filosofa, psicanalista e linguista belga ha spiegato in un’intervista:
«Se andiamo per la strada dell’abolizione della differenza sessuale non ci sarà un futuro per l’umanità. L’annullamento delle differenze tra uomo e donna risponde al fenomeno della tecnicizzazione, cioè un fenomeno contrario alla vita. Solo il mondo della tecnica è neutrale. La differenza uomo-donna è basilare per arrivare a costruire un modello democratico, che regoli tutte le altre differenze». Rispetto alle proposte di abolire le parole “padre” e “madre”, sostituendole con “genitore 1” e “genitore 2” ha commentato: «Le dirò, è una cosa da piangere. Mi viene la voglia di rispondere in modo radicale, ma mi trattengo: stiamo diventando un numero, la nostra identità naturale e storica viene riassunta in un numero, in une definizione neutra». Per quanto riguarda il matrimonio gay «il dibattito a riguardo in Francia ha diviso, anche profondamente, la stessa comunità gay. Una parte di essa non voleva questo matrimonio, anche perché in Francia abbiamo i Pacs. E allora, al limite, meglio potenziare i Pacs, che creare questo conflitto, che ha finito per dividere tutta la cultura francese? Ne valeva la pena? Secondo me no».
Lo psichiatra Bruno Renzi, ex direttore all’ospedale Sacco di Milano e docente presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Bologna, La Sapienza di Roma e l’Università di Catania, ha affermato:
«L’infanzia è un’età fondamentale per la formazione e l’indirizzo psicologico di una persona. È in quegli anni che diversi fattori concorrono alla strutturazione della personalità, e uno di questi è l’introiezione di modelli – emotivi, cognitivi e comportamentali – che provengono dalle figure genitoriali. In un contesto familiare normale, con una polarità maschile e una femminile, il bimbo ha la possibilità di acquisire i modelli congeniali alla sua struttura: se è un maschietto è opportuno che li acquisisca dal padre, altrimenti dalla mamma». Rispetto a libri e spettacoli per bambini sulle famiglie omosessuali, «il bimbo è indifeso, quantomeno gli si ingenera confusione, che diventa strutturata se il bombardamento è costante: una favoletta una volta sola pazienza, ma insistere con insegnamenti così fuorvianti può generare false introiezioni rispetto ai modelli che il bambino sta ricevendo da una famiglia normale. Le persone gay hanno tutti i diritti tranne uno, quello di impedire lo sviluppo delle vaste potenzialità che ogni bambino ha insite in sé. Se gli si negano le due polarità maschile e femminile, cioè il diritto di avere entrambi i modelli parentali, viene privato della possibilità di acquisire le dinamiche utili per la crescita. È a quell’età che i bambini creano dentro di sé le convinzioni su se stessi, la vita, il mondo, che determineranno tutto il loro futuro, e queste derivano da un genitore maschio e uno femmina». La famiglia non è quella omosessuale, «madre natura ne sa più di noi».
Jean-Pierre Winter, psicoanalista francese, esperto di psicopatologia del bambino e fondatore e attuale presidente del Mouvement du coût freudien, ha scritto:
«Come specialista nell’infanzia ho affrontato per 40 anni il danno causato dalla progressiva scomparsa della figura paterna. Servono alcuni anni per rendersi conto della manifestazione di questi danni, specialmente nell’adolescenza, perché è l’età in cui ritorna tutto ciò che è stato metabolizzato male nella prima infanzia e produce sintomi. In un bambino può sembrare che tutto vada bene fino all’età di 5-6 anni, anche fino a 12-13 anni, ma improvvisamente c’è uno sconvolgimento. Perché? Perché lasciando l’infanzia alle spalle affiorano elementi della loro vita precedente che sono stati repressi, censurati o inibiti. Così, questo bambino “che stava bene” inizia a non andare più bene, anzi va peggio degli altri bambini di età simile. Non è uguale a zero essere nati da due persone diverse per natura, un uomo e una donna, anche se hanno molto in comune, nascere seguendo una legge della natura che non possiamo respingere, relazionarsi dall’inizio con un corpo e una voce di uomo ed un corpo e una voce di donna. I loro modi di toccarci, di prenderci, di nutrirci, di sorridere non sono la stessa cosa. Fin dall’inizio affronteremo questa differenza di ruoli e di sessi e saremo in grado di gestirla. Ad esempio, sapremo dalle sensazioni del corpo che esiste un altro tipo di relazione, diversa dalla relazione di controllo e dominio, che è la relazione originale con la madre. Relazionarsi con l’altro sesso in modo occasionale ed esterno non ha affatto gli stessi benefici dell’essere sempre in contatto con le loro differenze. Per gli psicoanalisti, le ripercussioni delle adozioni a persone dello stesso sesso sono misurate in più di una generazione. Vorrei che le conseguenze siano misurate prima di dare loro, per legge, un posto equivalente a quello delle famiglie naturali. Forse sarebbe il momento di ricordare il principio di precauzione».
Jordan Peterson, eminente psicologo canadese e professore di Psicologia presso l’Università di Toronto, ha affermato:
«Le famiglie, unite, eterosessuali formate da due genitori costituiscono il fondamento necessario per una politica stabile. La famiglia tradizionale ha funzionato abbastanza bene per tutta la storia dell’umanità, se cambiamo ciò lo faremo a nostro rischio e pericolo. I giovani hanno bisogno di modelli di ruolo per ciascun sesso. So che è una cosa terribile da dire, ma è così. Quando si sostiene che l’unità familiare tradizionale è solo un altro costrutto e non qualcosa di fondamentale per la nostra comunità, non si ha alcuna prova per tale affermazione e, anzi, esistono molte contro-prove».
170 giuristi e storici del diritto, particolarmente preoccupati dal fatto che le adozioni gay vadano a finanziare la moderna schiavitù delle donne che prestano il loro utero e del conseguente traffico di bambini, hanno inviato una lettera al governo francese spiegando:
«Che lo si voglia o no, il desiderio di un figlio delle persone dello stesso sesso passa attraverso la fabbricazione di bambini, che saranno in seguito adottabili, attraverso l’inseminazione artificiale per le donne, o una gravidanza surrogata per gli uomini. La nuova legge organizza dunque un mercato dei bambini, poiché lo suppone e lo garantisce. Allo stadio attuale, questo testo invita ad andare a fabbricare bambini all’estero, il che è già inaccettabile, in attesa di denunciare l’ingiustizia della selezione tramite il denaro, per organizzare il mercato dei bambini in Francia».
Lo psichiatra Eugenio Borgna, docente presso l’Università di Milano e primario emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara, ha affermato:
«Il matrimonio nasce dall’integrazione delle due psicologie diverse, quella femminile e quella maschile […], legami che prescindano da questa integrazione femminile/maschile si muovono su un campo diverso dal matrimonio e dall’istituto della famiglia, senza con questo discriminare nessuno: sono realtà profondamente differenti». L’affermazione secondo cui ormai è radicalmente superata la necessità che i coniugi siano di sesso diverso, è «apodittica, non motivata: non rivela il cammino con cui ci si è arrivati, non dà argomentazioni né ricostruzioni storiche e psicologiche. Insomma, è una fucilata che giunge senza un’origine, una opinione strana, tutt’altro che univoca e soprattutto non razionale, perché dà per scontato ciò che non lo è. Il senso comune è radicalmente – questa volta sì – allergico a una tesi simile». Il diritto dei gay a vivere liberamente una condizione di coppia, è «cosa ben diversa dal matrimonio, che nella nostra concezione della vita nasce dalla contestuale presenza dei due diversi mondi che lungo un progetto unitario uniscono le loro storie personali, anche sessuali, necessarie l’una all’altra per completarsi. Tanto più se ci sono figli, che senza ombra di dubbio hanno bisogno di una madre e di un padre, di due polarità ben precise, anche sessualmente definite. Secondo natura».
Gabriella Gambino, ricercatrice in Filosofia del diritto all’Università Tor Vergata di Roma ha spiegato:
«Il problema dei bambini è quello di garantire certamente una stabilità familiare, ma non solo. E’ anche quello di dar loro punti di riferimento chiari per lo sviluppo anche di una loro identità, attraverso una bipolarità sessuale che antropologicamente fa parte della persona umana». Quando questo viene meno in uno Stato «bisogna anche domandarsi se questo sia un autentico principio di uguaglianza nei confronti di questi bambini». L’equiparazione al matrimonio naturale «crea situazioni nuove che culturalmente influiscono fortemente sul nostro modo di pensare e di fare famiglia. Bisogna inoltre domandarsi, in realtà, se il diritto debba autenticamente prendere in considerazione queste nuove modalità che sono modalità private alle quali forse lo Stato, il diritto, non si giustifica si interessino in questi termini. Viene da chiedersi se davvero queste siano situazioni universalizzabili, perché il diritto fa proprio questo. Nella tradizione giuridica, perché il matrimonio eterosessuale viene istituzionalizzato dallo Stato come fondamento della famiglia? Proprio perché pone la procreazione a fondamento della famiglia, che fondandosi sulla bipolarità sessuale, è il fondamento per la procreazione umana. Qui prendiamo atto invece di altre situazioni con le quali, attraverso l’adozione, vogliamo imitare il modello familiare ma “bypassando” questo modello, superandolo completamente, creando altre situazioni e volendo che lo Stato le istituzionalizzi e le universalizzi: che le renda cioè un bene per tutti nel senso che a quel punto vanno bene per tutti, diventano anche un modello culturale alternativo e assolutamente uguale all’altro nell’idea culturale che si diffonde».
Il magistrato Geremia Casaburi, della Corte di appello di Napoli, dopo essersi definito laico e lontano dalla Chiesa cattolica, ha affermato:
«Il principio di eguaglianza significa “a ciascuno il suo”, non a tutti lo stesso, ma mi sembra che questo principio giuridico fondamentale si stia perdendo. Il «matrimonio per tutti», tanto per usare una formula alla francese, svilisce il matrimonio di tutti, o meglio quello eterosessuale (ma a mio avviso è una tautologia: il matrimonio, per quanto il contenuto dell’istituto sia variato nei secoli, è pur sempre l’unione stabile tra uomo e donna). Temo per i figli: questi hanno diritto, in linea di principio, alla bigenitorialità nel senso di alterità di sesso tra i genitori (salvo situazioni particolari, che danno luogo, ad esempio, all’adozione). La nuova legge sembra precluderlo agli omosessuali, ma anche qui, a questo punto, è facile immaginare una serie di successivi interventi demolitori… Già la giurisprudenza, del resto, sta aprendo, talora in modo sconcertante, a forme di filiazione in favore di coppie omosessuali (non sempre con attenzione all’interesse concreto dei figli)»
La dott.ssa Anna Oliverio Ferraris, psicoterapeuta e docente di Psicologia delle sviluppo all’Università La Sapienza di Roma, ha dichiarato:
«Nelle famiglie omogenitoriali esiste un problema di identificazione del bimbo nel genitore. Alcuni studi condotti negli Usa segnalano una certa insofferenza. I bimbi adottati da genitori gay lamentano talvolta la quasi esclusiva presenza di amici omosessuali dei genitori in casa, e vivono con un po’ di disagio la partecipazione che i genitori impongono loro a manifestazioni ed eventi gender».
Pierre Lévy-Soussan, psichiatra specialista in adozione, ha affermato:
«Anche se sa che i suoi genitori adottivi non sono il suo genitori biologici, il bambino deve essere in grado di immaginare che “potrebbero” essere, deve fantasticare una scena di nascita possibile […] e credibile. Tuttavia, una coppia dello stesso sesso, non offrirà mai una genitorialità credibile». Si è dunque opposto a questa «mutazione antropologica importante: ci è stato detto che i bambini cresciuti da coppie omosessuali non sono peggiori di altri. Ma sulla base di quali studi, quali numeri? L’uomo non è come la madre, le interazioni con la madre sono radicalmente diversi da quelli con il padre».
La docente di diritto pubblico presso l’Università di Rennes, Anne-Marie Le Pourhiet, ha dichiarato:
«Il matrimonio è definito come l’unione di un uomo e di una donna, e lo scopo della istituzione legale è quello di garantire la stabilità della coppia e la tutela della loro prole. Questo è sancito dall’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La pretesa della lobby gay tende a distorcere la definizione del matrimonio per fargli perdere il suo significato e la sua funzione. E’ come se dicessimo che camminare è discriminatorio perché significa muoversi mettendo un piede davanti all’altro, e questo è offensivo verso chi è privo di gambe, o nei lattanti […]. L’amore non ha nulla a che fare con il codice civile. Questo argomento è sciocco, ma anche pericoloso, perché può essere usato contro tutte le norme che regolano il matrimonio. Se un uomo ama tre donne, si sosterrà che il divieto di poligamia è discriminatorio, lo stesso se un fratello e una sorella si amano, si toglierà il divieto di matrimonio tra adolescenti ecc».
Samuele Cognigni , psicologo e psicoterapeuta ha spiegato:
«È vero che siamo in un tempo di profondo cambiamento dell’istituto familiare, che la famiglia nella nostra società non è più quell’entità monolitica che era fino a 30-40 anni fa e non è più così scontato che un bambino cresca con la propria madre e il proprio padre. Ciononostante funzione materna e paterna sono qui intese come dimensioni strutturali e dunque come qualcosa che va al di là delle particolari contingenze storico sociali e delle inevitabili trasformazioni che caratterizzano la storia di ogni comunità umana […]. Il neonato incontra il desiderio anzitutto nella capacità materna di dare “cure che portano il marchio di un interesse particolareggiato”. In altri termini il bambino incontra nella funzione materna la capacità di particolarizzare le cure, cioè di fornire cure che non siano anonime e impersonali, ma piuttosto il segno di un interesse particolare, specifico, di quella madre per quel bambino. Questa capacità tutta materna di particolarizzare le cure, è ciò che permette al bambino di percepire se stesso e la propria esistenza come qualcosa di prezioso, insostituibile, come qualcosa di cui la madre non può fare a meno. Per la psicoanalisi l’amore non è un sentimento universale, ma un sentimento particolare: l’amore materno non è un sentimento evanescente, non è l’amore per i bambini in generale, ma è, dice Lacan nel Seminario X, sempre “amore per il nome”, cioè amore del nome proprio del bambino, amore dell’essere particolare e irripetibile di quel bambino. Dall’altro lato possiamo dire che il bambino deve incontrare nella funzione paterna, più precisamente nel nome del padre, la possibilità di una “incarnazione della Legge nel desiderio”, la possibilità di consentire l’incontro tra la Legge e il desiderio, ovvero rappresentare la funzione del limite, dell’interdizione che salva la vita del figlio da una deriva nichilista e mortifera. In secondo luogo significa testimoniare che, affinché la Legge sia credibile, deve essere mostrata nel desiderio. In altri termini un padre è credibile se esso stesso per primo è sottomesso alla Legge e non identificato a essa, se non pensa cioè di essere lui la Legge (padre padrone). È in questo modo che può mostrare al figlio che solo nella sottomissione alla Legge c’è la possibilità di realizzare il desiderio nella sua alleanza con la Legge».
Maurice Berger, responsabile del Servizio di Psichiatria del Bambino presso il CHU di Saint Etienne, ha sostenuto a proposito di adozione omosessuale:
«Il bambino finirà di fronte ad un enigma sessuale. Ecco perché quelli che ho ricevuto erano generalmente inquieti. Erano impossibilitati a connettersi alla concezione della sessualità e tenerezza dei genitori, non riuscivano a trovare una soluzione nel loro funzionamento mentale».
Adriano Pessina, docente di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano, della quale dirige il Centro di Bioetica, ha spiegato:
«Nel dibattito sull’omosessualità si tende a negare che esista una differenza fra maschile e femminile, sostenendo che sia indifferente essere maschio o femmina e che sia dunque indifferente che una coppia sia formata da un uomo e una donna oppure da due donne o da due uomini. Tanto l’importante sarebbe amarsi…». Ma il maschile e il femminile sono necessari per la definizione stessa della condizione umana, «e non si può certo sostenere che la differenza fra uomo e donna sia una teoria cattolica: è invece fondamentale persino per l’evoluzionismo». La complementarietà tra i due sessi «è decisiva per tutti: una società matura deve valorizzare la differenza, non mortificarla». Dunque a livello politico «è giusto che lo Stato tuteli con maggior vigore la famiglia eterosessuale come luogo della nascita. Un conto è parlare del riconoscimento di alcuni diritti giuridici degli omosessuali (che ritengo giusti), un conto è sostenere il diritto ad avere figli (come se esistesse, poi, questo diritto: nessuno ha diritto a un figlio, perché i diritti si hanno sulle cose, non sulle persone)». Ha quindi aggiunto il filosofo: «la vera domanda è: qual è il “valore aggiunto” proprio dell’omosessualità che lo Stato può tutelare? Io non credo che nell’omosessualità ci sia un “di più”, ma sono disposto ad ascoltare dialogare. Vedo però qual è il “di più” dato dall’eterosessualità: il difficile equilibrio di una relazione che comprende le differenze fra maschile e femminile, che va anche al di là della questione dell’avere figli». Infine: «Di fatto ci sono bambini equilibrati che sono stati allevati da famiglie poligamiche, o che sono cresciuti in orfanotrofio. Il problema resta un altro: qual è il contesto ideale nel quale pensare lo sviluppo della persona? Le differenze fra maschile e femminile sono un aspetto decisivo dell’umano. Che non può essere negato». Concludendo ha anche smontato l’argomento ricattatorio basato sul fatto che l’Italia dovrebbe adeguarsi ad alcuni Paesi europei: «Questa è una valutazione di cui discutere. Le differenze non possono essere viste sempre e solo come un problema, ma anche come una possibilità. Perché invece di copiare dagli altri paesi non maturiamo insieme una scelta argomentata, non ideologica, in cui contino i valori umani e non solo la lotta per difendere i propri interessi più ancora dei diritti condivisi?».
Maria Rita Parsi, psicologa e fondatrice dell’associazione “Movimento Bambino”, ha spiegato:
«Per i bambini quel che vale è l’amore. Però è importante che le bambine trovino un punto di riferimento maschile e i maschietti uno femminile per sviluppare e indirizzare la loro ricerca di un partner quando saranno adulti. Crescere con genitori omosessuali senza avere punti di riferimento dell’altro sesso costituisce un limite». Chi è a favore dell’adozione per le coppie omosessuali intende volontariamente mettere il bambino in una condizione di svantaggio. Ha poi proseguito la psicologa: «cure e amore non sono patrimonio esclusivo delle coppie etero. Vero è, però, che quando si arriva alla fase del complesso edipico è importante avere una doppia realtà di riferimento, maschio e femmina. È fondamentale per sviluppare il cervello e la personalità. Perché i bambini abbiano uno sviluppo pieno e completo, i modelli di riferimento devono essere maschili e femminili. E non devono essere necessariamente il papà o la mamma, possono venir individuate figure esterne alla coppia. Ci tengo però a precisare una cosa. Il rapporto fondamentale e primario resta quello con la madre. Un rapporto prioritario che comincia nella vita prenatale, che è determinante al momento del parto, fondamentale nei primi attimi e nelle prime settimane di vita. Talmente importante ed essenziale che non può essere sostituito da nessun altro».
Gli psicoanalisti Monette Vacquin e Jean-Pierre Winter hanno pubblicato un articolo su “Le Monde” in cui scrivono:
«Le parole padre e madre saranno soppresse dal codice civile. Queste due parole che condensano tutte le differenze, poiché portatrici sia della differenza dei sessi che di quella delle generazioni, scompariranno da ciò che codifica la nostra identità. Bisognerebbe essere sordi per non sentire il soffio giovanilistico che percorre tutto questo. Questa violenza, deflagratrice, non è certo solo il fatto di una minoranza di omosessuali che richiedono il matrimonio. Senza eco collettiva del problema della perdita o del rifiuto di qualsiasi punto di riferimento trasmesso, questa violenza avrebbe suscitato nel migliore dei casi la risata o il disagio, non la soddisfazione pura e semplice. Questo avvenimento è tuttavia portato avanti da una ultra-minoranza, con il ricorso indispensabile di un linguaggio che è la rovina del pensiero: il politicamente corretto. La “levigatura” della forma, oggetto di una sorveglianza ideologica puntigliosa, maschera il terrorismo che fa regnare e che porta ad un’ “etica” dell’odio e della confusione, in nome del bene liberato da ogni negatività… cosa che l’umanità non è. Da un lato, secoli e secoli di uso, che fanno sì che matrimonio e alleanza di un uomo e di una donna siano una cosa sola. Dall’altro, la rivendicazione di una minoranza di attivisti che sanno parlare il linguaggio che si desidera sentire oggi: quello dell’egualitarismo ideologico, sinonimo di indifferenziazione. E maneggia efficacemente il ricatto dell’omofobia, che impedisce di pensare. Non spetta agli Stati adeguarsi alle provocazioni di alcuni ideologi che parlano una lingua confusa, ma con violenza, sbalordendo o terrorizzando i loro obiettori con dei sofismi. Ancor meno dare a queste provocazioni una forma istituzionale. È probabile che il mondo assorbirà questo con indifferenza, che è l’altro nome dell’odio. È perfino a questo che cominciamo ad assomigliare: non più ad un’umanità conosciuta, ma ad un mondo indifferente. Neutro. Neutralizzato».
Il sociologo Pietro Boffi, ricercatore del Cisf (Centro internazionale Studi famiglia) ha riflettuto:
«Occorre interrogarsi se la definizione di famiglia finora valida sia ormai vuota. Io sono convinto di no: maschio e femmina, un padre e una madre, sono categorie che non si buttano in un attimo, non possiamo ignorare l’intera psicologia dell’età evolutiva. Stiamo assistendo a una disarticolazione delle categorie mentali dell’umano [..,]. La famiglia non è solo il luogo degli affetti, ma si regge su un patto che garantisce davanti a tutta la società due cose: la stabilità e la procreazione. Da sempre la procreazione è un fatto sociale, esce da un aspetto meramente privato. Ecco perché il matrimonio è un istituto giuridico».
La psicologa Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, ha sostenuto:
«Affermare che l’unione di un uomo e una donna è uguale a quella tra persone dello stesso sesso significa pensare che tra maschio e femmina non c’è differenza, cioè che ogni individuo è totipotente e indifferenziato, che non ha limiti, perché ognuno è tutto. Non a caso il terreno di questa battaglia è proprio il sesso, la differenza più radicale nella persona, l’aspetto davvero fondante del limite: chi è maschio non è anche femmina e viceversa. Pensiamoci bene: qualsiasi donna incinta chiede subito se il figlio “è maschio o femmina”, perché così ne conoscere l’identità». Secondo la neuropsichiatra, l’adozione di un figlio da parte delle coppie gay «provocherà danni molto gravi a questi minori. Potrà vivere quel bambino con due genitori maschi (o femmine)? Dipende: se vogliamo crescerlo nell’onnipotenza sì, ma sappiamo che questo non lo farà stare bene. Il fatto è che oggi si pensa che amare un figlio significhi solo riversargli addosso dell’affettività, ma così non è. A forza di desensibilizzare le persone e di svuotare le parole del loro vero significato – famiglia, matrimonio, diritti – si diluisce ogni confine»
Carlo Cardia, docente presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tre, ha sostenuto:
«La primordiale relazione tra genitori e figli è tutelata dalla Convenzione sui diritti umani e dalla nostra Carta Costituzionale. Per l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 il “fanciullo ha diritto a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”, mentre la Costituzione italiana oltre alla celebre formula dell’articolo 29 per la quale “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio è dovere e diritto dei genitori mantenere ed educare i figli”». In caso contrario «il bambino viene«privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo, ed è lasciato in balia di esperienze, rapporti, relazioni umane, sostitutive e del tutto slegate rispetto alla naturalità del rapporto con il padre e la madre. Siamo di fronte ad una concezione che attinge il suo humus culturale alle forme illuministiche più primitive, nega ogni preziosità dell’esperienza umana, e ritiene che anche per la dimensione della paternità e maternità il genere umano possa ricominciare daccapo, perché l’educazione e la formazione del bambino può avvenire contro i parametri naturali e le garanzie che la famiglia presenta in ogni epoca e in tutti i Paesi del mondo. Si intravede in questo modo un profilo disumanizzante della tendenza a spezzare il legame del bambino rispetto ai genitori naturali, che comporta il declassamento dei suoi diritti proprio in quella fase più delicata dell’esistenza che condiziona per sempre la crescita successiva»
Domenico Simeone, psicologo, psicoterapeuta e professore associato di Pedagogia generale presso l’Università degli Studi di Macerata, ha affermato:
«Crescere con una madre e con un padre, quando è possibile, significa conoscere il valore educativo della differenza, significa inscrivere la parentalità in una rapporto che chiama in causa la corporeità, significa sperimentare una rete relazionale costruita sul riconoscimento dell’alterità. Il fenomeno delle coppie omoparentali è relativamente recente. Molti studi mettono in guardia sulle difficoltà che i bambini che crescono con persone dello stesso sesso possono incontrare. Dal punto di vista scientifico credo sia necessario approfondire le conoscenze del fenomeno in modo rigoroso, guardando la questione dal punto di vista del bambino e dei sui bisogni. Troppo spesso nel dibattito prevalgono i presunti “diritti” degli adulti e ci si dimentica di tutelare la crescita dei bambini. La differenza di genere tra padre e madre e tra genitore e figlio costituisce l’elemento fondamentale per imparare ad amare, costruendo relazioni e accettando il limite che è in esse inscritto. Nel crogiuolo di tali relazioni i bambini vivono processi di identificazione e riconoscono le differenze, stabilendo relazioni significative. È la differenza che permette la triangolazione della relazione e il riconoscimento dell’alterità. Non è qui in discussione la capacità di cura che possono avere le coppie omogenitoriali quanto piuttosto l’articolazione delle relazioni che i figli possono stabilire».
Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Universita degli Studi di Roma La Sapienza, ha scritto:
«Sappiamo bene che il desiderio di avere un figlio del proprio sangue — o almeno del sangue di uno dei due membri della coppia — prevale nella realtà delle coppie omosessuali su quello di adozione, dando luogo a nuove forme di sfruttamento, come la compravendita dei gameti e l’utero in affitto. Se è senza dubbio vero che, oltre al problema dei matrimoni omosessuali, ci sono tanti altri “disordini antropologici” su cui intervenire, fra questi dobbiamo senza dubbio annoverare quelle forme di sfruttamento che le nuove biotecnologie suscitano e favoriscono, anche nella procreazione assistita. E sicuramente il riconoscimento dei matrimoni gay non farebbe che stimolarne altre. Linguisti e psicologi stanno mettendo in guardia la società dallo svuotare del significato proprio i termini: il concetto di famiglia non si può allargare a dismisura, senza distruggere l’identità di una delle istituzioni più importanti di una società, e altrettanto avviene per la definizione di madre e di padre. Perché non ascoltare la parola di chi segnala questi errori?»
Rosa Rosnati, docente di Psicologia dell’adozione e dell’affido presso l’Università Cattolica di Milano ha spiegato:
«Crescere godendo della presenza di un padre e di una madre consente al bambino di conoscere dal vivo cosa vuol dire essere uomo e donna e, quindi, definire nel tempo una solida identità maschile o femminile. Allo stesso tempo il bambino potrà fare esperienza della relazione tra uomo e donna, capace di accogliere e valorizzare le differenze. Due genitori dello stesso sesso non possono fornire questa esperienza di base, quindi il bambino sarà gravato da un compito psichico aggiuntivo. Ai bambini adottati la società deve fornire condizioni ideali di crescita, non esporli ad altri fattori di rischio».
Serenella Trezza, neuropsichiatra infantile presso l’Ospedale Niguarda Ca’Granda, nonché psicopatologa dell’età evolutiva, ha commentato:
«Mi sono documentata sulla enorme mole che in letteratura esiste circa la necessità per un bambino della presenza e della relazione con le proprie figure genitoriali biologiche, la propria mamma e il proprio papà, e quanto sia più felice un bambino che ha entrambi i suoi genitori, assieme. La nostra formazione ci ha portato a conoscere il mondo interiore, psichico dell’infanzia e non possiamo allinearci al pensiero di chi non lo comprende. Abbiamo il dovere di dare voce al mondo dell’infanzia, che non può difendersi da sola! Tocca a noi, neuropsichiatri infantili e psicologi dell’età evolutiva, oltre a tutte le nostre figure professionali che lavorano nella NPI con competenza e dedizione. Non è il momento di tacere e di allinearsi con una minoranza di persone che pensa di stravolgere tutta la psichiatria infantile con un colpo di spugna, con la minaccia di denunciare come “omofobo” tutti quelli che difendono l’infanzia. Non si può cedere alle minacce, non si può lasciare decidere agli altri, non si può nascondere sotto le sembianze di “uguaglianza e accoglienza” una violazione gravissima verso i minori».
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