Ha senso la morale senza Dio? Rispondono Dostoevskij e Francis Collins


 

di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista

 
 

Pensiamoci bene. Che senso ha la vita morale degli individui, se non esiste un criterio superiore di giustizia? Chi è autore della legge? Esiste una legge vera, giusta, che valga per tutti perché superiore, precedente all’uomo, oppure ogni uomo ha il diritto di credere ciò che vuole, di farsi la sua verità morale, la sua etica? L’uomo è un animale in-cosciente, le cui azioni sono sempre “buone”, come quelle degli animali, perché volute dalla natura, regolate dall’istinto, oppure è un essere cosciente (quale differenza!) capace di scegliere, padrone della sua vita, che può essere libero dall’imperiosità brutale dell’istinto e dei sensi? A ben vedere proprio l’esistenza di una vita morale ha convinto grandi uomini della storia che la natura dell’uomo è non solo animale ma anche spirituale, e li ha portati a porsi la domanda su Dio. Ne citerò solo due: il grande romanziere Fedor Dostoevskij e uno scienziato moderno, uno dei più importanti genetisti di questo secolo, Francis Collins.

Dostoevskij è il massimo rappresentante del realismo russo, nell’epoca in cui altri letterati, come l’ “ateo-diversamente credente” Emile Zola, ritengono che l’uomo possa col tempo diventare “onnipotente” grazie alle sue conoscenze scientifiche, e possa essere studiato esattamente come un “ciottolo della strada”, non essendo, in fondo, nulla di più. Dostoevskij “esplora le strade della città, i vicoli più solitari e ignorati, descrivendo le bettole più sordide, gli antri più sinistri, le stamberghe più malsane… il ventre infetto e brulicante di Pietroburgo, sede del vizio e della degradazione umana”, alcolizzati e prostitute, contadini trasformati in operai, costretti ad una vita infame, e poi in rivoluzionari violenti e nichilisti: ma c’è, nell’autore russo, una distanza enorme dal positivismo e dal determinismo di Emile Zola (che dà importanza assoluta all’ambiente, alle condizioni materiali e sociali); c’è una indagine continua sulla spiritualità del singolo uomo, dotato di libero arbitrio, chiamato a scegliere (e qui c’è il dramma esistenziale) tra il bene e il male, la Fede e l’ateismo…

Dio, il male, la colpa (cioè la morale) sono proprio la tematica fondamentale del nostro autore, ignorata dai naturalisti francesi, che fa di lui un romanziere profondamente dotato di senso religioso e, insieme, un “romanziere psicologico”, precursore degli esistenzialisti. Siamo dunque agli antipodi della cultura positivista dell’epoca, come pure di quella odierna: mentre Dostoevskij racconta e approfondisce gli abissi umani, medici positivisti come Emilio Littre affermano che “il delitto è pazzia”; criminologi come Cesare Lombroso analizzano e catalogano i “crani deficienti”, ritenendo così di poter chiudere la personalità, la libertà, l’originalità di ogni singolo uomo nelle sue caratteristiche fisionomiche; credendo – anche qui la parola non è a caso – che l’uomo sia definito ed esaurito da ciò che si vede e si tocca, dall’ampiezza del cranio, dalla lunghezza degli arti, dalle malformazioni, dalla volumetria e dai bernoccoli della testa. Esattamente come faranno i primi teorici del razzismo; o Charles Darwin, quando riterrà che il cranio della donna, di dimensioni più ridotte rispetto a quello del maschio, sia un segno della sua inferiorità ; o i nazionalsocialisti, quando gireranno il mondo, sino in Tibet, per fare calchi di gesso sul volto degli indigeni, per risalire, tramite misurazioni e fisionomia, all’originaria razza superiore. Un po’ come oggi, allorché sempre più spesso si cerca di far passare una tendenza sessuale, una devianza, o una virtù, come una pura questione genetica.

Per comprendere la visione del mondo di Dostoevskij occorre ripercorrerne, brevemente, la vita: Fedor frequenta ambienti sovversivi, atei, propugnatori di una rivoluzione in Russia, per abbattere lo zar e creare una nuova società. Nel 1849, però, molti di loro, tra cui il nostro, vengono arrestati dalla polizia zarista. Dostoevskij viene condannato a morte, poi lo zar commuta la pena in quattro anni di deportazione in Siberia. L’unica lettura, in questo lunghissimo periodo, sarà quella di un Vangelo, regalatogli da una donna mentre viene portato a scontare la pena. In seguito a questa esperienza il nostro muterà fortemente prospettiva, divenendo critico verso le proprie idee del passato e mostrando un profondo rispetto per la chiesa ortodossa e l’autorità costituita e un certo disprezzo per gli intellettuali russi che leggono gli illuministi europei disprezzando profondamente la propria terra e la propria patria. Intanto il suo matrimonio fallisce, viaggia per l’Europa, ricadendo di continuo nella passione per il gioco e per le donne, scrivendo articoli di giornale e romanzi a ritmo continuo, anche per far fronte alle spese ed ai creditori (spesso scrive i romanzi di notte, imbottito di caffè e di tabacco per rimanere sveglio). La sua vita disordinata si conclude nel 1881.

Tra i grandi romanzi spiccano “Delitto e castigo” (1866), “I demoni” (1871) e “I fratelli Karamazov” (1880). Nel primo di questi compare la tematica, che poi affascinerà Nietzsche, della ricerca della libertà come affermazione dell’io al di là di ogni morale, di ogni coscienza, “al di là del bene e del male”. Il protagonista, un ex studente squattrinato, Raskòl’nikov, uccidendo a colpi di accetta una vecchia usuraia, vuole, oltre che ottenere dei soldi, chiarire a sé stesso se è un “Napoleone” o un “pidocchio”, se appartiene alla categoria della massa, degli “uomini comuni”, per i quali la legge morale è sacra, o agli “uomini non comuni”, destinati a grandi imprese, per i quali non valgono le leggi ordinarie. Per questo può dire: “Non ho ucciso una persona, io; ho ucciso un principio!”. Questo principio è l’affermazione di una superiorità delle leggi morali, di una superiorità di Dio che quelle leggi oggettive impone: ai personaggi di Dostoevskij che vogliono affermare la loro illimitata libertà è chiaro il concetto che per fare ciò debbono sbarazzarsi di Dio, affermare la propria divinità, per divenire “uomo-dio” (se si scarta Dio è l’uomo ad essere assolutizzato). Ma Raskòl’nikov fallisce: compiuto il delitto non riesce neppure a rubare, i nervi gli cedono, è preso dal delirio e dal panico, non ha neppure la lucidità di occultare subito eventuali indizi. Diviene conscio di non essere un secondo Napoleone, e in lui rimane il vuoto, un forte senso di indegnità. Se infatti tutta la nostra possibilità di affermarci passa per questo mondo, chi non ottiene prestigio, potere, onore, come Napoleone, per che cosa è vissuto? Che scopo ha raggiunto? Ma Raskòl’nikov viene cambiato dall’incontro con Sonja, una ragazza buona, dolce, intensamente cristiana, che si prostituisce per salvare i genitori dalla mendicità. Col tempo le cose cambieranno: “una futura redenzione”, “una nuova concezione della vita” si affacceranno nell’animo di Raskòl’nikov. Ma Dostoevskij accenna soltanto alla sua rinascita, al suo cambiamento: è un’altra storia, che non racconta. Gli interessa solo un fatto: la coscienza esiste, si fa sentire, batte i suoi colpi; il Bene e la Verità non sono relativi al capriccio dell’uomo, ma oggettivi. Ciò che è giusto, è giusto, perché Dio esiste: ciò che è sbagliato, malvagio, cattivo, nessun uomo potrà renderlo giusto e buono, perché non è Dio ! Per concludere, in “Delitto e castigo” è presente la dialettica cristiana peccato-sofferenza che redime – misericordia. Il peccato rende impossibile la vita a Raskòl’nikov, lo isola, lo estranea dal resto dell’umanità; la sofferenza, la croce portata con rassegnazione e consapevolezza, è il mezzo per la sua redenzione, come gli dice Sonia nella frase sopra citata; la misericordia è l’amore gratuito di Sonia verso di lui che lo stupisce e lo spinge a cambiare.

Nel romanzo “I demoni”, invece, Dostoevskij parte dall'”affare Necaev”, un intellettuale anarchico che piacerà molto a Lenin, autore del “Catechismo del rivoluzionario”, processato ai suoi tempi per aver fatto uccidere un membro del suo gruppo e che alla fine si suicida. Dostoevskij sceglie dunque una vicenda reale per esprimere le sue nuove idee politiche. Nel romanzo, che descrive appunto i terroristi, definiti anche “nichilisti” o “demoni”, Necaev diviene Verchovenskij e l’anarchico Bakunin diviene Stavrogin. Entrambi, essendo atei, vivono nella dimensione del “tutto è permesso”: Verchovenskij ha un progetto politico, di “distruzione universale”, che non si arresta di fronte a nulla: come Marat all’epoca della rivoluzione francese, invita a “tagliare teste”, a “lapidare” pur di costruire una società secondo il proprio disegno. Alla fine Stavrogin, impazzito, si impicca; così anche un altro protagonista, Kirillov: il suo è un suicidio metafisico, una dimostrazione di disprezzo verso la nozione di Dio. Anche in questo romanzo l’autore ci dà un messaggio esistenziale chiaro: escluso Dio, l’uomo non può che mettersi al suo posto. Chiamato a decidere, a scegliere, non ha altro metro, altro riferimento, che se stesso, la propria idea, la propria soggettività, il proprio egoismo. L’io che non riconosce una origine, una dipendenza, un limite, si fa inevitabilmente Dio, mentre si proclama ateo.

Ma il più grande romanzo di Dostoevskij è forse “I fratelli Karamazov”: quest’opera ha, come altre del nostro, il fascino di un grande racconto poliziesco, ricco di suspanse, nato dalla riflessione su un vero parricidio, di cui Dostoevskij, in Siberia, aveva conosciuto l’autore. “La principale questione che sarà agitata in tutte le parti del libro – scrive Dostoevskij – è la stessa della quale ho sofferto coscientemente o incoscientemente per tutta la vita: l’esistenza di Dio. Giganteggiano due figure, quella di Alioscia Karamazov, con la sua visione cristiana del mondo (il modello di ciò che l’autore russo vorrebbe essere?) e quella, opposta, di suo fratello Ivan, con la sua tormentata ricerca della libertà attraverso la rivoluzione nichilista, con il suo essere malato di occidentalismo, cioè, per Dostoevskij, di ateismo; con la sua incapacità di accettare certe realtà della religione, come la sofferenza, l’umiliazione e la croce. Ivan, con i suoi discorsi e le sue filosofie, è il vero ispiratore dell’uccisione del padre, sebbene non ne sia l’esecutore materiale. Anche qui un’uccisione “filosofica”, perché con i suoi discorsi ha convinto il futuro assassino, il fratellastro Smerdiakov, che tutto è legittimo, perché Dio non esiste. Lo ribadisce il diavolo ad Ivan: “La coscienza! Che cosa è la coscienza? Sono io stesso che me la invento. Perché mai mi tortura? Per un’abitudine. Per un’universale abitudine del genere umano, vecchia di settemila anni. Liberiamocene, e saremo degli dei!”. Si ripete, così, lo stesso concetto di Raskòl’nikov e di Kirìllov: “Se non esiste Dio, tutto è permesso”. Alla fine Ivan, sentendosi colpevole per la morte del padre e per l’ingiusta condanna dell’altro fratello, il violento e passionale Dimitrij, impazzisce; Smerdiakòv, l’omicida materiale, si uccide, e Dimitrij, che tanto aveva odiato il padre sino a volerlo eliminare in cuor suo, verrà condannato, pur essendo innocente. Delitto, coscienza, libertà, accettazione del castigo, riconoscimento che esiste una legge morale oggettiva, divina: questa, in sintesi, l’antropologia di Dostoevskij.

Pochi anni più tardi la Russia sarebbe stata sconvolta dalla rivoluzione comunista e dall’ondata di morte e di persecuzione di Lenin e Stalin. Il primo, inventore dei gulag, avrebbe affermato: “Per noi non esiste e non può esistere il vecchio sistema di moralità e di umanità…La nostra moralità è nuova…A noi tutto è permesso…Sangue? E sangue sia…” (R.W. Clark, “Lenin”, Bompiani). Stalin, invece, prefigurato profeticamente, insieme ai suoi seguaci, nei “demoni” senza Dio di Dostoevskij, avrebbe detto: “Ivan il Terribile era estremamente crudele. Ma bisogna far vedere perché doveva essere crudele. Uno degli errori di Ivan il Terribile sta nel fatto che non ha sterminato fino alla fine cinque grandi famiglie feudali…lui ammazzava qualcuno e poi pregava e si pentiva a lungo. Dio era per lui un impaccio in questa opera. Bisognava essere ancor più risoluti (Gianni Rocca, “Stalin”, Mondadori, Milano, 1988, p.352). Dio, cioè una legge morale superiore e precedente all’uomo, non fu dunque, per l’“uomo d’acciaio”, per l’autore dello sterminio dei kulaki, per il carceriere dei gulag, per l’inventore della “grandi purghe”, un “impaccio” e un freno! Fu, Stalin, un uomo emancipato da Dio, un Raskòl’nikov, un Ivan, un Necaev coerente sino alla fine e senza pentimenti. Non temette la Giustizia di Dio, né ritenne di dover invocare la sua Misericordia, perché aveva deciso di non riconoscere alcuno al di sopra di sé.

 

Francis Collins non è un romanziere, come Dostoevskij, ma un famoso scienziato americano, nativo della Virginia, che si specializza nella seconda metà del Novecento in chimica e fisica a Yale, “alla ricerca di quella eleganza matematica”, scrive, che lo “aveva attirato in questo ramo della scienza”. La sua posizione rispetto a Dio è quella di un agnostico, che non si chiede più di tanto e che scivola via via nell’ateismo pratico e poi teorico. Dalla chimica alla biochimica, alla medicina, alla genetica: “ero sbalordito dall’eleganza del codice genetico umano e dalle molteplici conseguenze di quei rari momenti in cui il suo meccanismo di trascrizione si inceppava”. Col tempo, soprattutto a causa di certi incontri, con situazioni e persone, Collins si rende conto di “aver optato per una cecità volontaria e di essere caduto vittima di qualcosa che si poteva descrivere solo come arroganza, avendo evitato di prendere seriamente in considerazione il fatto che Dio potesse rappresentare una possibilità reale”. Colui che prenderà il posto del genetista ateo James Watson alla direzione del più importante progetto di studio sul genoma umano, il Progetto Genoma, si rende cioè conto che la sua grande curiosità per la natura, la genetica, l’immensamente piccolo, convive con una chiusura alla totalità della realtà, alla domanda sul senso ultimo, totale, di ciò che esiste.

In una tortuosa ricerca Collins finisce per leggere “Scusi, qual è il suo Dio?”, di Clive S. Lewis, un ex ateo che si era riproposto di confutare tramite la logica l’esistenza di Dio, ma che era approdato al risultato opposto. Lewis offre a Collins la possibilità di interrogarsi sulla legge morale, sul bene e sul male, sulla loro origine: il senso del bene e del male è solo l’effetto di determinate tradizioni culturali? E’ solamente una conseguenza di pressioni evolutive, come sostengono i sociobiologi? L’impulso altruistico nasce da un interesse personale, del tipo “io ti do qualcosa affinché tu mi dia”, e null’altro? Collins riflette sulla natura umana, sul rimorso che ci attanaglia, quando riteniamo di aver sbagliato, pur magari avendone ricevuto un vantaggio; sulla coscienza che ci interroga e ci suggerisce, sulla capacità di certe persone, come madre Teresa o altre figure storiche, di dare totalmente se stesse, gratuitamente, al di fuori di qualsiasi orizzonte materialistico. Socrate, Gesù, Madre Teresa, coloro che muoiono per un bene più grande, ma intangibile, per il prossimo, per un ideale spirituale, sono forse solo dei pazzi, degli errori genetici, o non piuttosto uno schiaffo in faccia alle teorie materialistiche e deterministiche sull’uomo? L’altruismo disinteressato, scrive Collins, “costituisce una sfida rilevante per l’evoluzionista e rappresenta un vero scandalo per il pensiero riduzionista”, e “l’agape di Oskar Schindler e madre Teresa smentisce questo tipo di pensiero. Incredibile ma vero, la legge morale mi chiederà di salvare l’uomo che sta affogando anche se è mio nemico” (F. Collins, “Il linguaggio di Dio”, Sperling & Kupfer, Milano 2007, pp. 20-22). Questo, checché ne dicano coloro che ritengono l’uomo determinato in tutto dalla genetica: aggressivo o mite, fedele o infedele, giusto o malvagio, a seconda di determinati geni, di determinati meccanismi interni, indipendenti dalla volontà, dalla libertà, pur relativa, dell’uomo. Collins, che di geni si intende, capisce che l’uomo è assolutamente qualcosa di diverso, di non determinato, di non riducibile ad una sua parte, quella fisica: può progettarsi, costruirsi, lottare contro certe tendenze malvagie, o assecondarle; può scegliere una strada, pentirsi, riscattarsi o proseguire nell’abisso dell’egoismo e della cattiveria. Ogni azione, ogni scelta è una possibilità libera, in cui l’uomo si realizza, esprime se stesso, indipendentemente da comandamenti genetici, o da impulsi interni incontrollabili. Condizionato, certo, dalle circostanze e dalla sua natura corporale, ma non totalmente determinato, come i sassi, o le stelle, né regolato dagli istinti, solamente, come gli animali.

Dopo le considerazioni sulla legge morale, Collins prosegue analizzando le sue conoscenze scientifiche e paragonandole alla fede cui è approdato. Il Big Bang? “L’idea di un inizio finito dell’universo non è del tutto consonante con la concezione buddista”, come non lo è con le visioni panteiste, ma si accorda perfettamente con l’idea di un Dio Creatore trascendente ed è quindi perfettamente compatibile con la teologia medievale cristiana e col pensiero biblico. Anzi, si può tranquillamente dire che è un’idea filosoficamente già intuita da pensatori cristiani assai prima della nascita della scienza moderna. La genetica? Per lui è “il manuale di istruzioni di Dio”, “il linguaggio di Dio”, che però “non spiegherà mai certi speciali attributi umani, come la conoscenza della legge morale e l’universalità delle ricerca di Dio”.

Da: Perché non possiamo essere atei (Piemme 2009)
 

141 commenti a Ha senso la morale senza Dio? Rispondono Dostoevskij e Francis Collins

  • umberto fasol ha detto:

    Caro Francesco, come sempre ottimo e lucido il tuo pezzo.
    Mi permetto di sottolineare un aspetto importante della conversione di Collins.
    Collins inizia ad accettare l’ipotesi di Dio (Mind) a partire dallo studio della biochimica e in particolare dopo aver sbobinato l’intero genoma umano.
    Sotto i suoi occhi, sul monitor, scorrono 3,2 giga di lettere (le molecole variabili del DNA) e si rende conto che la loro sequenza “simbolica” non può essere casuale, ma dev’essere “linguaggio di Dio”.
    Collins cioè si avvicina a Dio attraverso lo studio della natura.
    Credo che questa testimonianza vada diffusa quanto più possibile tra i giovani che, purtroppo, crescono in un mondo in cui la scienza e la tecnica sono dominanti, totalizzanti e terribilmente materialiste.
    Non è così: il DNA ci parla di Dio, così come il bambino che nasce, così come il mare, così come l’Universo…
    Grazie Collins! Grazie Francesco che ce lo hai fatto conoscere!

  • Woody85 ha detto:

    Rispetto alle tante voci sulla riduzione della morale a pressioni evolutive o meccanismi della mente consiglio il volume di Laura Boella, proprio la filosofa intervistata giorni fa su questo sito per il Darwin Day. Qui una recensione al suo libro: http://www.humanamente.eu/PDF/rec_boella.pdf

  • Fabrizio ha detto:

    Collins è un altro che manderebbe in tilt un Odifreddi e l’UAAAAAHHH (Uaar). Mi riferisco sempre ai Darwin day.

    • Paolo ha detto:

      Eheheheheheh non ce la fate proprio vero? Il fatto che l’Uaar o il Prof Odifreddi non vi considerano minimamente è intollerabile vero?

  • Dado ha detto:

    ho sempre valorizzato dostoevskij come aiuto alla mia fede e credo che continuerò a farlo, ha pienamente ragione Agnoli

  • giovanna ha detto:

    se ammettessimo che esiste una legge divina per una morale “condivisibile” e già “prescritta al di fuori del tempo” perchè la morale moderna è così diversa da quella ebraica o da quella cristiana durante l’ultimo periodo romano? perchè prima del cristianesimo questa “morale imprescindibile” era ancora più diversa? basti guardare l’antica grecia, o ancora prima con gli Achei… è così strano considerare che i nostri valori morali vengano da un’empatia innata che abbiamo? le cause sono molto semplici: il vivere in una società che collabora aumenta esponenzialmente le possibilità di sopravvivenza 😉

    • Daniele Borri ha detto:

      Grazie giovanna, qualche domanda.

      1) Hai qualche documento sull’empatia?

      2) Come mai Collins non è d’accordo con te?

      3) In che modo la collaborazione può generare valori morali?

      4) Perché rifiuti di prendere in considerazione quel che tutti gli uomini reputano giusto e sbagliato da dopo il cristianesimo (rubare, uccidere, valore donna, valore della sacralità della vita, valore essere umano, valore essere persona, carità, solidarietà ecc..)?

      5) Dove sarebbero le differenze e le divergenze oggi dalla morale cristiana?

  • giovanna ha detto:

    per non parlare del problema della conoscenza… il sapere determinate cose cambia completamente la reazione davanti a certi fatti per proteggere la società (compresi i singoli individui).
    immaginate ad esempio durante un periodo dove la follia veniva associata all’impossessamento demoniaco. in quel momento gli altri membri della società vedevano come un dovere (ed un bisogno) distruggere quell’individuo per il bene del resto della società (e proprio). ora che sappiamo più o meno da cosa sono causate (malattie) la nostra reazione è completamente opposta, infatti tutti sanno che la cosa giusta da fare è prendersene cura a spese di tutti.

    • Francesco Santoni ha detto:

      L’uccisione di quanti erano ritenuti posseduti è un fenomeno sporadico nella storia, che ha avuto solo qualche picco ben localizzato sia nel tempo e nello spazio. Ora ti insegno io come funziona il realismo. In passato non si sapeva un bel nulla di embriologia, eppure era difficile che si praticassero aborti. Oggi invece abbiamo ampliato le nostre conoscenze, e sappiamo benissimo, al di là di ogni ragionevole dubbio, che con il concepimento inizia una nuova vita umana, unica ed irripetibile, e pertanto dovremmo prendercene cura. Ebbene, la nostra reazione è opposta: si distruggono questi individui “per il bene del resto della società (e proprio)”. Sai che significa tutto questo? Che hai detto un mare di assurdità. Medita di più…

      • Giorgio Masiero ha detto:

        Francesco, mi potresti inviare una mail col tuo indirizzo, ché ti devo dire una cosa? Grazie.

      • Andrea ha detto:

        “Che hai detto un mare di assurdità. Medita di più…”

        un consiglio d’avvicinarsi al Buddismo…?

        • EnricoBai ha detto:

          Mah…la manderebbe ancora di più in confusione credo….come ha mandato in confusione tanti quelli che negli anni ’80 e ’90 andavano in Oriente a “trovare loro stessi”.

    • Vronskij ha detto:

      E’ completamente opposto di quello che dice Giovanna, i posseduti erano considerati sacri in antichità, il sciamano era la figura più autoritaria in quel tempo. Nella Grecia antica la follia era considerato segno divino, il santo cristiano era “folle in Dio”. Apri un libro di antipsichiatria e leggerai queste cose, e altre, per esempio che istituzione del manicomio come prigione è nata con Illuminismo.

  • Giorgio Masiero ha detto:

    A) “Se ammettessimo che esiste una legge divina per una morale “condivisibile” e già “prescritta al di fuori del tempo” perchè la morale moderna è così diversa da quella ebraica o da quella cristiana durante l’ultimo periodo romano?”
    Forse confondi, Giovanna, la morale (che prescrive ciò che è bene e ciò che è male) con la moralità (che è il comportamento dell’uomo medio in una data società in un dato periodo).
    1. Non mentire
    2. Non rubare
    3. Non uccidere
    4. Onora la differenza sessuale
    Questi 4 comandamenti sono comuni a tutte le religioni, in Occidente ed in Oriente, valevano nel passato, valgono oggi e varranno sempre. Sono scolpiti nei cuori umani dalla nascita.
    Sei d’accordo? possiamo andare avanti con le altre tue domande?

  • Luigi Pavone ha detto:

    Continuo a non capire il senso che si vuole attribuire alla affermazione: non c’è morale senza Dio. Essa è estremamente ambigua tra non poche letture. Innanzitutto i suoi significati si moltiplicano per i differenti significati religiosi e filosofici che possiamo attribuire alla nozione di Dio. Inoltre essa può significare almeno alcuni significati principali: 1) Se un uomo è morale, allora crede nell’esistenza di Dio; 2) il comportamento morale ha (metafisicamente) una ragion d’essere nell’esistenza di Dio; 3) non c’è discorso morale senza l’elemento fondativo fornito dalla nozione di Dio.

    ps. Si noti che il significato 2) è trivialmente vero per il credente, nel senso che se tutto è stato creato da Dio, la morale non può che avere anch’essa una causa metafisica in Dio. Tutto ciò che non è Dio è causato da Dio e non potrebbe esistere senza Dio.

    • Giorgio Masiero ha detto:

      3).

      • Luigi Pavone ha detto:

        Ok, chiaro. Ora occorrerebbe anche specificare la variabile Dio, altrimenti si discute all’infinito senza capirci.

        • Giorgio Masiero ha detto:

          Che importa se i 4 grandi principi morali sono gli stessi in ogni luogo e tempo?

          • Luigi Pavone ha detto:

            Diciamo allora il Dio che rivela (prescrive, come vuoi) quei quattro principi?

          • Giorgio Masiero ha detto:

            Non capisco, Luigi, perché un cinese o un africano o un esquimese debbano conoscere la teologia del “loro” Dio, se la legge morale l’hanno nel cuore.

            • Luigi Pavone ha detto:

              Stiamo considerando 3). Un eschimese che non conoscesse la teologia del suo dio non potrebbe produrre un discorso etico fondativo. Se stabiliamo che il senso è 3), allora è 3), non possiamo passare a 2). Questi discorso sono dannatamente delicati e occorre stabilire delle definizioni precise.

            • Giorgio Masiero ha detto:

              Ma la maggior parte degli uomini neanche si pongono il problema fondativo, sanno ciò che è bene o male, e ciò gli basta! Siamo noi che filosofiamo che c’interroghiamo sul problema e a me pare, come a Voltaire o a Dostoevskij, che l’unica base di UNA morale sia Dio. Altrimenti c’è solo il relativismo…
              Se però tu hai una proposta fondativa diversa, sono qui ad ascoltarla.

              • Luigi Pavone ha detto:

                Allora, consideriamo la proposizione:

                (A) Non c’è morale senza Dio

                Abbiamo insieme riconosciuto che essa è ambigua e può significare diverse cose. Abbiamo convenuto che (A) significhi:

                (A*) Non c’è discorso morale fondativo senza la nozione di Dio

                In altri termini, (A*) significa che per dare una giustificazione ai principi della morale dobbiamo ricorrere alla nozione di Dio. E’ vero che gli uomini possono agire moralmente anche se sono atei, ma (A*) non si occupa di questo: (A*) ci dice che per produrre un discorso fondativo ai principi morali abbiamo bisogno della nozione Dio. Ora la domanda successiva è: quale Dio? Puoi fornire una definizione minimale. Lo devi fare tu però (io non posso, perché non credo che un discorso fondativo non possa fare a meno della nozione Dio)

                • Giorgio Masiero ha detto:

                  L’unico vero Dio, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili e garante continuo del loro non ritorno nel nulla.

                  • Luigi Pavone ha detto:

                    La nozione di un Dio creatore è una nozione meramente filosofica (anche se estremamente controversa). Dunque, se ho capito bene, un discorso etico fondativo richiede, al fine di dare appunto una giustificazione ai principi morali, l’esistenza di un Dio creatore. Allora cerchiamo – se te la senti – di testare questa proposta, prima di vederne le conseguenze. Prendiamo uno dei quattro principi che hai sopra esposti e cerchiamo di darne una derivazione (giustificazione) ricorrendo alla nozione meramente filosofica di Dio creatore. Come dovrebbe procedere il discorso fondativo?

                    • Giorgio Masiero ha detto:

                      Devo fare il riassunto o lo sviluppo dell’articolo?
                      Ti ripeto, Luigi, se hai un fondamento alternativo sono tutt’orecchi.

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Io non capisco COME si possano derivare, giustificare i principi etici dalla ipotesi di un Dio creatore. Dio ha creato il mondo e tutto ciò che esiste, ma resta per me il quesito: perché ciò dovrebbe conferire oggettività universale a quei principi?

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      La mia tesi è che la condizione dell’ateo e quella del filosofo teista non differiscano relativamente alla possibilità di dare un fondamento oggettivo all’etica. Il teista non sembra avere strumenti più potenti dell’ateo. A meno che dal dio teista si passi un Dio rivelato.

                    • Giorgio Masiero ha detto:

                      E’ una questione di logica: se trovo che un indigeno americano ed un indigeno australiano, mai venuti in contatto reciproco, portano lo stesso identico “abito” ne deduco che hanno lo stesso sarto. Poi “come” ciò sia avvenuto, qual era l’intenzione del sarto, ecc. queste sono altre questioni…
                      Le alternative quali sono? 1) Non è vero che hanno lo stesso abito (relativismo morale), 2) il solito dio caso.

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Non ti seguo proprio. Abbiamo stabilito che il senso in cui la morale non può fare a meno di Dio è il senso per il quale un discorso fondativo deve includere l’elemento Dio nel suo discorso. Adesso pare che tu stia dicendo che i principi morali siano auto-evidenti, ma allora non abbiamo bisogno di nessun discorso etico fondativo.

                • Antonio72 ha detto:

                  Allora Luigi, visto che per te è così difficoltoso definire la variabile Dio, perchè non ti cimenti con quella molto più modesta di uomo? D’altronde Dostoevskij non parlava altro che di uomini, rivoltando gli animi di tutti i suoi personaggi come calzini.
                  Prova a rispondere a queste due domande:
                  1) Può esistere una morale se non esiste l’uomo?
                  2) Può esistere l’uomo senza libertà con responsabilità annessa?

                  In quanto all’articolo, complimenti, mi è piaciuto molto, anche se avrei qualcosa da ridire sulla figura di Stavrogin dei Demoni che mi pare sia stata un po’ troppo ridotta, visto che Stavrogin era il vero demone del romanzo, mentre gli altri demoni suoi compari erano, più o meno, delle sue creazioni.
                  E vi è anche una sostanziale differenza, direi ontologica, tra
                  Stavrogin e Raskòl’nikov, in quanto, mentre quest’ultimo era certo un pidocchio che credeva di essere un Napoleone, il primo era un potenziale Napoleone, ma a cui era indifferente fare il pidocchio o fare il Napoleone, come gli era indifferente agire per il bene o per il male, dato che non poteva distinguerli. Ed eccezione per l’abominio compiuto contro l’adolescente, non a caso la profanazione dell’innocenza, che in parte lo tormentava (è ovvio, l’adolescente non l’abominio), anche se non è di certo paragonabile al profondo ed intollerabile tormento del protagonista di Delitto e Castigo. E poi per Stavrogin non vi era possibilità di riscatto, nessuna Sonja in vista, anzi le donne che lo attorniano (perchè una delle caratteristiche del male è il fascino) fanno tutte una brutta fine. Ed in questo la massima “le donne la sanno più del diavolo” pare non proprio azzeccata.
                  A proposito di fascino, direi che il personaggio di Stavrogin è quindi antitetico al principe Miskyn dell’Idiota, pressapoco come l’Anticristo in rapporto a Cristo.
                  Ed anche il suicidio di Stavrogin non è paragonabile affatto a quello di Kirillov. Mentre quest’ultimo si suicida per farsi lui stesso Dio come una necessaria conseguenza della consapevolezza che Dio non esiste, Stavrogin, essendo il male personificato, perviene alla sua autodistruzione come diretta conseguenza della dissoluzione della propria personalità. E’ la dimostrazione che il male è sempre negazione e distruzione, e non a caso è proprio questo suicidio a chiudere il romanzo. Ed è forse questo il problema di Dostoevskij: quando si potrebbe cominciare un capitolo sul bene che trionfa, ed il bene trionferà sempre, finisce l’inchiostro. Forse era più portato a raccontare personaggi negativi, o forse, come già detto, il male è più interessante in quanto dotato di fascino, almeno in questo mondo.

                  • Vronskij ha detto:

                    Il problema del fine dell’inchiostro è il problema della letteratura, non soltanto di Dostoevskij. Per questa ragione non viene Apocalisse, come faremo noi vivere senza il male che ci ispira opere immortali? Il bene è la felicita è ripugnante, non produce opere letterarie. Che noia nel paradiso post-apocalittico! Sarà anche li una sofferenza, la nostalgia sofferta per il passato letterario criminale, come adesso soffriamo dalla nostalgia per Eden perduto.

                    (Spero che non leggete letteralmente quel che ho scritto)

                    • Antonio72 ha detto:

                      Eh-eh…Vronskij, bisogna ammettere che il male per Dostoevskij era una vera e propria ossessione… tuttavia mi pare che sia un problema teologico non di poco conto.
                      Secondo me l’ispirazione umana, anche se proviene dall’acqua pura e sorgiva del bene assoluto, precipitando in questa valle di lacrime si contamina inevitabilmente con le sozzure che qui ci trova, esattamente come avviene in tutti i fiumi di questa terra.
                      Così abbiamo che le modelle delle Madonne dipinte dal Caravaggio sono prostitute raccattate per strada…
                      Delle prostitute in particolare ci racconta qualcosina anche la stessa Bibbia, NT compreso…

                    • Vronskij ha detto:

                      Con questa attitudine finirà di accettare ufficialmente anche le fotto delle Madonne e Apostoli dell’Andres Serrano che ritiene Caravaggio (donnaiolo, sodomita, serial killer) il suo precursore.

                      Si lo so, ho letto anche io l’esegeta Dan Brown, il pornografo biblico dei tempi moderni. Mi ha eccitato molto, fiumi di testosterone.

                    • Antonio72 ha detto:

                      Quindi…Caravaggio=Serrano=Dan Brown?!

                    • Vronskij ha detto:

                      Il discorso logico si fa come in matematica, tutto dipende dal punto di riferimento. Per te è la letteratura russa o il rinascimento, un altro medioevo, per qualcun altro Vasco Rossi, cosi va il mondo poetico-religioso-matematico …

  • Qumran ha detto:

    Luigi non interessa nulla il livello teologico del soggetto, anche un povero senza tetto capisce che dentro di lui vi è una somma di valori morali pre-esistenti alla sua coscienza.

  • Laura ha detto:

    Ringrazio Luigi per animare sempre in modo interessante questi confronti, ben vengano posizioni critiche altrimenti ci guardiamo sempre in faccia tra di noi!

  • Milla11 ha detto:

    Una diffusa tesi laicista afferma che i cattolici ritengono di avere il monopolio della morale e che anche un laico può seguire l’etica … io rispondo sempre che certamente anche un laico possiede valori universali MA la differenza consiste nel fatto che il cattolico ha a sua disposizione le armi per perseverare sulla retta via della morale e dell’etica : la preghiera e i Sacramenti (in particolare Messa e Confessione).

    • Daniele Borri ha detto:

      Ma la cosa davvero diversa è che un laico non saprà mai dirmi perché, se lo scopo della vita è affermare sé stesso, di fronte a qualcuno che impedisce la mia affermazione io non debba eliminarlo. Come dice Agnoli, se vale solo quello che accade qui, perché io non devo impegnarmi per affermare il più possibile me stesso? Cosa mi trattiene dall’essere il padrone del mondo?

      • Antonio ha detto:

        L’ho sempre chiesto anche io…
        Di solito poi partono con la solita solfa, e con un tono tipo bambino delle medie che recita una poesia a memoria…la libertà di un’individuo finisce quando comincia la libertà di un’altro. (Cosa che con l’aborto non funziona mai 🙂 )
        Allora gli chiedo il perchè questa morale per loro è giusta, cos’è la morale e perchè se non c’è nessun Dio che possa punirmi devo rispettarla, visto che sarebbe meglio per me in questa vita sopraffare un mio contendente…

        E la risposta è sempre la solita, e dura per le domande a venire 🙂 : I PRETI PEDOFILI!!LE CROCIATE!!!L’INQUISIZIONE!!!IL PAPA NAZISTA!!! i preti pedofili l’ho già detto?!LA CHIESA NON PAGA LE TASSE!!!NELLA BIBBIA CI SONO LE CONTRADDIZIONI!!!

        • Diener ha detto:

          “Di solito poi partono con la solita solfa, e con un tono tipo bambino delle medie che recita una poesia a memoria…la libertà di un’individuo finisce quando comincia la libertà di un’altro.” Sì ma ti ricordo che lo diceva anche Gesù questo, seppur con parole diverse.

          “Allora gli chiedo il perchè questa morale per loro è giusta, cos’è la morale e perchè se non c’è nessun Dio che possa punirmi devo rispettarla, visto che sarebbe meglio per me in questa vita sopraffare un mio contendente…”. Ancora con questa storia. Poi dite che la risposta è sempre la solita. Fate sempre il solito errore..quando si parla di relativismo non s’intende di certo una società in cui ognuno fa tutto quello che vuole, ma fa ciò che è ritenuto giusto o sbagliato da più o meno tutti. Dove viviamo noi oggi è ritenuto sbagliato uccidere, perchè vale il principio (che evidentemente tu rifiuti da come ne parli) “la mia libertà finisce dove inizia la tua”. Tuttavia VOLENDO, un individuo può soppraffare un suo contendente, come hai detto tu. Volendo può no? Ma perchè dovrebbe, se la sua morale (formata da quello che più o meno tutti riteniamo giusto o sbagliato) lo ritiene sbagliato? E’ per questo che non hanno senso le frasi tipo “il relativismo etico porterebbe a una società in cui tutti fanno quello che vogliono”. No non è così, e sono almeno 6 o 7 volte che cerco di dirlo.

          • Raffa ha detto:

            “fa ciò che è ritenuto giusto o sbagliato da più o meno tutti”
            Questo non è il relativismo

            “la mia libertà finisce dove inizia la tua”
            Non si capisce perché tra gli animali non valga questo principio e tra gli uomini si. In fondo, secondo te, che differenza c’è? Entrambi sono un mucchietto di cellule irrazionale apparso per errore e che presto tornerà nel nulla. Cosa giustifica questo principio “cristiano”?

            ” Ma perchè dovrebbe, se la sua morale (formata da quello che più o meno tutti riteniamo giusto o sbagliato) lo ritiene sbagliato?”
            Semplicemente perché la morale, secondo te, me la decido io e il mio unico scopo è quello di affermarmi in questa vita. Chi si mette in mezzo a questo mio scopo, l’unico scopo che ho, deve perire. Questo è un ragionamento che dovrebbe fare un laico.

            “il relativismo etico porterebbe a una società in cui tutti fanno quello che vogliono”
            E’ verissimo perché al mutare della maggioranza dei componenti della società muta anche la morale: domani i depravati sessuali saranno in numero importante (quasi certamente) e domani diventerà morale ogni depravazione sessuale.

            • Diener ha detto:

              “Questo non è il relativismo” E invece sì. Il relativista pensa semplicemente che non ci sia una sola morale dal momento che sul mondo esiste più di una persona, quindi esiste una morale per ogni persona. Poi, dal momento che si vive in una società, è ovvio che ci debbano essere delle regole affinchè non ci sia il caos. Poi se a tutti piace il caos vorrà dire che regnerà il caos. Ma non ha senso parlare di “è sbagliato che tutti vivano in caos” perchè se, come ho scritto, a tutti piace il caos vuol dire che loro sono favorevoli a questo e quindi non si lamentano. L’unica cosa che mi viene da dire per questo tipo di “società” è che durerebbe poco, dato che, come ti puoi immaginare, se io decido di uccidere chi voglio allora diminuirebbe la popolazione pian piano (ma è solo un esempio di come potrebbe durare poco, ce ne sarebbero tanti altri).

              “Non si capisce perché tra gli animali non valga questo principio e tra gli uomini si.” Perchè gli uomini hanno la parola e sono riusciti a creare delle civiltà, e tramite tanti fatti (principalmente il cristianesimo) si è arrivati a vivere secondo questo principio.

              “Semplicemente perché la morale, secondo te, me la decido io e il mio unico scopo è quello di affermarmi in questa vita.” E che ne sai tu che l’unico scopo è quello di affermarsi? Io sinceramente non so quale sia il tuo scopo, come fai tu a sapere qual è lo scopo di tante persone? Poi secondo me non bisogna parlare di scopi, ma rimane comunque il dubbio su come tu faccia a sapere che lo scopo delle persone è quello di affermarsi.

              “E’ verissimo perché al mutare della maggioranza dei componenti della società muta anche la morale: domani i depravati sessuali saranno in numero importante (quasi certamente) e domani diventerà morale ogni depravazione sessuale.” E quindi? Se tutti saranno d’accordo con questo vuol dire che riescono a convinverci. Se invece alle persone non andrà bene protesteranno come si è sempre fatto.

              • Antonio ha detto:

                Appunto. una morale per ogni persona è una cosa incredibilmente stupida. E’ molto politicamente corretta, ma incredibilmente stupida (come il 99% delle cose politicamente corrette). Non esisterebbe la civiltà. Anzi la civiltà è stata “costruita” proprio per evitare ciò. E’ storia. Infatti come potrebbero convivere una persona che non ha rimorsi ad uccidere e una che invece ne ha? Te lo dico io…si chiamavano Caino e Abele.
                Quello che però non ho capito è cosa c’entra col relativismo. Il relativismo nega verità assolute…che è una stupidata per definizione.

                Quello dell’affermarsi è un’esempio, ma può essere spostato ad ogni caso possibile. Magari il tuo desiderio non è quello di affermarti. Ma in quest’ottica, potresti giudicare male un individuo che per raggiungere un determinato piacere, scavalca fino ad uccidere un’altro?

                “Se tutti saranno d’accordo con questo vuol dire che riescono a convinverci” Come sopra. Hitler lo appoggiavano la maggior parte delle persone, che riuscivano a convivere benissimo col suo pensiero. In quest’ottica possiamo giudicare male una persona come Hitler o tutto il seguito dei nazisti?
                O nell’antica Grecia quando la pedofilia veniva persino “insegnata” da maestro ad alunno, nessun problema anche in quel caso?
                O in Svezia (giorni nostri) dove una coppia di “madri” lesbiche stanno crescendo un figlio tenendolo all’oscuro del suo “genere” per una loro battaglia ideologica. Non dovremmo considerare il loro comportamento sbagliato? Anche se secondo me un bambino/a che viene vestito un giorno da uomo e un giorno da donna, non ha un punto di riferimento sul genere e non gli viene neanche insegnato, con tutto quello che ne consegue rischia di crescere in modo parecchio confuso e con vari disturbi che poi si faranno vedere dopo.

              • Antonio ha detto:

                “Perchè gli uomini hanno la parola e sono riusciti a creare delle civiltà”

                Quindi è solo una questione di “ci siamo messi d’accordo”? E l’empatia? Tu non provi dolore quando vedi una scena tragedia familiare al telegiornale? Te lo dico io, si. E’ quella è l’empatia. L’empatia è la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Ma questo non perchè ce lo siamo detti, ma perchè lo sentiamo dentro.
                Le scimmie per esempio, è stato dimostrato scientificamente, che non ce l’hanno. Perchè?
                E loro comunicano anche, infatti quando hanno bisogno dell’altro, vedi come comunicano! 🙂 Ma finisce lì.

                • Andrea ha detto:

                  “Le scimmie per esempio, è stato dimostrato scientificamente, che non ce l’hanno. Perchè?”

                  Non esiste nessun link diretto tra uomo e scimmia, ma solo un supposto antenato comune, se le caratteristiche comuni sono probabilmente rintracciabili a tale livello ancestrale, prima di escludere quelle non comuni dovremmo capire se questo concetto di empatia fosse presente nei vari “homo” con cui abbiamo avuto antenati comuni più prossimi, prima di poter ritenere che una simile caratteristica sia piovuta dal cielo.

                  • Boomers ha detto:

                    “Concetto di empatia?”….tipo?
                    Occhio che a fuggire così forte si rischia di inciampare…

      • Andrea ha detto:

        Ciao Daniele,

        dici: “che un laico non saprà mai dirmi perché, se lo scopo della vita è affermare sé stesso”

        Mi spieghi quale manifesto laico, se ne esiste uno, abbia detto che lo scopo della vita è affermare sè stessi, e soprattutto dove si evinca che tale affermazione, ove confermata, prevede un’accezione della propria affermazione che non contempli il rispetto per gli altri?

        • Raffa ha detto:

          Daniele ha ragione. Se vale solo quello che accade in questa vita, allora un laico (inteso come non credente) non può che cercare di affermare se stesso in ogni modo. E se qualcuno si mette in mezzo cosa lo trattiene dall’eliminare tale disturbo?

          • Andrea ha detto:

            Ciao Raffa,
            dovresti cercare una conferma sperimentale a quella che a te pare come una logica deduzione, inoltre il concetto di affermazione personale va specificato. Anche Ghandi potrebbe essersi sentito realizzato personalmente facendo quello che ha fatto, ciò non significa che non abbia avuto un comportamento virtuoso.

            Io sono laico e non ho ucciso nessuno, npè ho intenzione di farlo, quindi delle due l’una, o sono inconsciamente credente oppure la tua tesi non è valida.

            • Raffa ha detto:

              La mia tesi è che nessuno prende sul serio l’essere laico. Ovviamente c’è la legge e ci si comporta in vista della eventuale sanzione penale, ma rimane totalmente insensata il valore che un laico dà alla sua morale, è contraddittorio.

              • Andrea ha detto:

                Quindi secondo te io non uccido perchè la legge mi punirebbe se lo facessi, e rispetto tale legge non perchè ritengo che si tratti di una legge giusta ma semplicemente perchè ritengo che la legge vada rispettata?

                Il che significa che se fossimo su di un isola deserta in acque extraterritoriali io e te, a valle di quest’ultima affermazione io mi tratterrei dall’ucciderti a grandissima fatica, e al massimo lo farei al puro scopo di non darti ragione?

                • Raffa ha detto:

                  Come per tutti i reati l’esistenza della pena opera da deterrente e quindi non possiamo avere i dati per stabilire che uno non uccida a causa della legge o perché fonda la sua morale nella sacralità della vita dell’altro. O tutti e due.

                  Io sono convinto che nessun laico affronti davvero le conseguenze dell’essere laico e preferisca farsi portare dalla cultura etica e morale (cristiana) in cui è immerso.

                • Antonio ha detto:

                  No no, tu non uccidi perchè Dio ti ha messo dentro la nozione del “uccidere=sbagliato”.

                  Perchè se tu fossi come quell’altra specie pelosa, da cui dici di derivare, non avresti nessun problema. 🙂
                  Non a caso questa nozione gli animali non ce l’hanno. O meglio, “si tengono stretto l’altro, se questo può essergli di aiuto, per il sostentamento per esempio” questa è una morale laica al 100%.

                  Tu non uccidi per empatia, che stranamente è una cosa interna non una morale insegnata. Allora perchè se pensi di derivare dall’antenato comune a tutte le specie, solo tu la possiedi?

                  • Andrea ha detto:

                    Perchè sono più evoluto di lui, e possiedo più cose così come lui ne possiede più di un pesce.
                    E’ facile per l’uomo darsi arie dalla cima di una piramide organica su cui si siede comodamente, ma che disconosce per pura vanità e desiderio di sentirsi completo…

                    • Andrea ha detto:

                      Non mi sembra che gli scimpanzè uccidano con facilità altri scimpanzè, (o almeno con più facilità di quanto gli uomini uccidano altri uomini), sulle motivazioni, ognuno le astrattizza in funzione della propria intelligenza, ma non è in virtù di quella che esercita le opzioni , visto che come dici tu, sono innate e non insegnate. Anche il più stupido degli uomini non ha più tendenze omicide di quante ne abbia il più intelligente.

                    • Panthom ha detto:

                      Non è corretto andare a parare sull’evoluzione perché la morale non segue l’evoluzione biologica. Inoltre per evolvere qualcosa ci deve sempre essere, così come l’evoluzione non si occupa dell’origine della vita, così l’evoluzione culturale non si occupa dell’origine della morale.

                    • Andrea ha detto:

                      “per evolvere qualcosa ci deve sempre essere”

                      non sono d’accordo, i nostri organi interni (che corrispondono a quelli di molti altri mammiferi) secondo le teorie evolutive sono emersi e si sono specializzati nel corso dell’evoluzione, lo stesso può dirsi per altri organi quali gli occhi, a meno che non si sia dei sostenitori delle teorie sulla complessità irriducibile.

                    • Panthom ha detto:

                      Perché qualcosa evolva ci deve essere qualcosa di pre-esistente. Inutile andare a parare sull’evoluzione biologica, confondendola con l’evoluzione culturale.

                    • Andrea ha detto:

                      Si ho capito,
                      secondo il tuo approccio la morale è qualcosa di definibile in modo atomico, secondo il mio no.

                    • Panthom ha detto:

                      Non so a cosa tu alluda, di certo hai una grandissima lacuna sull’evoluzione culturale dell’uomo. Non si possono avere opinioni, basta studiare Dobzhansky ad esempio.

    • Antonio72 ha detto:

      La risposta è che il laico è costretto ad adottare una etica relativa, parcellizzata fino all’individualismo, visto che non può riconoscere il concetto assoluto di bene comune. Ed un’etica che non riconosce negli uomini il bene comune da difendere a prescindere dall’etnia, cultura, appartenenza religiosa, ecc.. può ammettere di tutto e di più. Ma se l’uomo viene ridotto solo al suo genoma o meglio proteoma, e la sua morale proviene esclusivamente da determinati pattern neurali, allora l’uomo non può esistere, e di conseguenza non può esistere alcun bene comune, e quindi nemmeno Dio.
      Tuttavia spesso l’ateo non si rende conto che non c’è questa grande differenza tra negare Dio e negare l’uomo, dato che ci vuole come minimo Dio perchè l’uomo possa assumersi la piena responsabità delle proprie libere azioni.

      • Giorgio Masiero ha detto:

        Vedi l’arrancare paralogico di Pavone…

        • Antonio72 ha detto:

          …è che secondo me confonde il Dio cristiano con qualche altro dio.

          • Luigi Pavone ha detto:

            Siamo tutti un po’ confusi, però io non confondo il Dio cristiano con un altro Dio. A Masiero ho domandato a quale Dio dovrebbe appellarsi un discorso etico fondativo. Masiero non parla del Dio cristiano, ma parla di un Dio creatore, che è una nozione non religiosa, ma filosofica. Ma resta la questione: come dare un fondamento ai principi sulla base di questa nozione filosofica.

            • Raffa ha detto:

              Sono d’accordo con Giorgio e Antonio. Come tutti gli anti-teisti, vedi Dawkins, costruisci il tuo dio e poi cerchi di confutare la sua esistenza.

              Costruisci la tua idea di cattolicesimo e poi cerchi di confutare quella (vedi la tua incapacità di rispondere alla domanda: “chi è cattolico?” che ti ho fatto l’altro giorno).

              E’ una classica fallacia logica e sono sicuro che saprai anche dirmi quale.

        • Luigi Pavone ha detto:

          Il mio non è un “arrancare paralogico”, ma un tentativo di uscire da un modo di affrontare queste questioni meramente giornalistico e pamphlettististico.

          • Giorgio Masiero ha detto:

            No, è il corretto ragionare logico e filosofico: per es., di Kant, Voltaire, Dostoveskij, Lenin, Nietzsche, Collins, … SE si assume l’esistenza di UNA morale universale.
            Se, invece, non c’è Dio, non c’è base su cui fondare un’etica universale e si apre l’opzione del relativismo etico, sincronico e diacronico. Che è poi coerentemente la tua posizione, Luigi, no? O condividi l’esistenza di una morale universale adesso?!

            • Luigi Pavone ha detto:

              No, Masiero, sei in errore. Quelli che Kant chiama postulati della ragion pratica non sono condizioni necessarie per un’etica assoluta, sono condizioni per un’etica in generale (assoluta o relativa), e non ampliano il nostro sapere (perfino un’ateo potrebbe condividerli). Qui invece stiamo discutendo di come dare un fondamento assoluto all’etica. Sopra ti ho chiesto in che senso la morale non può fare a meno di Dio, abbiamo convenuto che l’affermazione ha il significato 3), cioè un discorso fondativo deve includere l’elemento Dio. Quale Dio? Il Dio dei filosofi? Un Dio creatore? Anche se diamo al filosofo morale questo ulteriore strumento fondativo, sembra proprio che egli non abbia strumenti più potenti del filosofo ateo. Esiste un Dio di cui non si possa pensare il maggiore? Esiste un Dio creatore? Sì, e allora? Perché non dovrei uccidere, se ne ho la facoltà materiale? Perché non dovrei avere rapporti omosessuali, se ne ho la facoltà?

              • Giorgio Masiero ha detto:

                Tu nei hai la facoltà perché sei nato libero, ma ti è proibito perché ti è vietato dal tuo Creatore.

                • Luigi Pavone ha detto:

                  Ma come faccio a derivare dalla nozione di Dio creatore quelle proibizioni?

                  • Pino ha detto:

                    senti Pavone, tu sei libero di credere quello che vuoi ma puoi farci un favore? Smetterla di coglionarci con i tuoi pseudo ragionamenti sofistici che intasano i commenti agli articoli di questo sito senza portare a nulla. Perchè non vai a tirarti le tue seghe mentali da qualche altra parte? Senza offesa.

                  • Giorgio Masiero ha detto:

                    Come fai a sapere che hai sete quando hai sete, o fame quando hai fame?

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Se intendi dire che quei principi morali nella loro assolutezza sono auto-evidenti, allora non abbiamo bisogno di nessun discorso etico (con o senza Dio) fondativo, anzi: la possibilità stessa di un tale discorso negherebbe implicitamente l’evidenza di quei principi. Se invece tu ritieni, come me, che abbiamo bisogno di un discorso etico fondativo (e in aggiunta ritieni anche che questo discorso non sia possibile senza ricorrere alla nozione di un Dio creatore), allora dovresti mostrare come derivare il principio morale assoluto di rispettare la differenza sessuale dall’esistenza di un Dio creatore.

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      … o qualsiasi altro principio fra i quattro che hai esposto. Ti chiedo di prenderne uno a caso o a piacere e derivarlo dalla nozione di un Dio creatore.

                    • Giorgio Masiero ha detto:

                      Penso di aver finalmente capito quel che ci separa in questo dialogare, Luigi: è il concetto di Dio. Come per l’auto-evidenza dei postulati aritmetici ed euclidei, su cui abbiamo discusso in passato, così per l’auto-evidenza della legge morale, io definisco Dio (il Dio unico e vero) come l’origine misteriosa della legge morale e della ragione. Tu, invece, per la confusione (riconosco) che sta nell’omonimia della parola “dio”, hai di Dio l’idea di uno dei tanti “god of the gaps” della mitologia greca e di altri politeismi. Nella seconda accezione, hai ragione sul piano logico: non si può ricavare per deduzione se non rivelata la tesi. Nella mia accezione, che è quella ebraico-cristiano, la deduzione logica è, per definizione, la coincidenza ontologica.

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Se sono auto-evidenti, allora non abbiamo bisogno di un discorso etico fondativo (che usi o no il concetto di Dio), esattamente come per alcuni principi o postulati della logica o della matematica.

                      Il credente dirà: sono nella mente di Dio
                      L’ateo dirà semplicemente: sono auto-evidenti

                      Il credente, però, non può dire: i principi sono corretti in quanto sono nella mente di Dio (o in quanto Dio li vuole), perché un simile argomentare nega la loro evidenza.

                      Tornando, per concludere, alla questione principale: se la morale ha bisogno di Dio (nel significato 3). Mi pare che per te non ha bisogno di Dio, esattamente come non ne ha bisogno il matematico per dimostrare i postulati di Peano.

                    • Giorgio Masiero ha detto:

                      In base al t. di Goedel la coerenza dei postulati di Peano non è dimostrabile, quindi, come ha detto Weyl, abbiamo bisogno di Dio per credere nell’aritmetica. Io credo nell'(unica) Aritmetica, tu no, ricordi? Tu non credi in nulla e per te la logica è solo un gioco con regole convenzionali. Idem per la morale.

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Oddio, decidiamoci: prima dici che i postulati dell’aritmetica sono auto-evidenti (quindi non richiedono dimostrazione), poi dici che abbiamo bisogno di Dio. E allora facci vedere come fai a derivare i principi non-auto-evidenti dell’aritmetica partendo dall’ipotesi di Dio (la tua nozione di Dio). Se non è possibile, quei principi restano non-auto-evidenti sia per l’ateo sia per il teista.

                      Si può certamente credere che siano corretti perché sono nella mente di Dio, ma questa tesi non è una tesi a cui è possibile pervenire attraverso l’esercizio della ragione (a meno che tu non ci voglia farci vedere come, lo dico sul serio, io non sono agnostico proprio su nulla). Se a quella tesi non è possibile pervenire con il solo esercizio della ragione, questo significa che un essere razionale può rifiutarsi di credere in quella tesi senza per questo rinunciare alla sua razionalità.

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      … mutatis mutandis per la moralità.

                    • Giorgio Masiero ha detto:

                      Non ci capiamo, Luigi.

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Non c’è molto da capire, o (1)i principi (logici, etici, matematici) sono auto-evidenti, e allora non abbiamo bisogni di dimostrazioni; o (2) non sono auto-evidenti, e allora richiedono giustificazione. Nel caso (2), se la “giustificazione” richiede di assumere ciò che un essere razionale può escludere senza per ciò stesso rinunciare alla razionalità, allora quella “giustificazione” non è universale.

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Per fare qualche esempio: io posso credere che nella mente di Dio non ci siano i principi della aritmetica classica, ma quelli dell’aritmetica intuizionista, e credere che l’aritmetica classica sia una indebita estensione di quella intuizionistica. Chi ha ragione? Io o tu? Come potrei io razionalmente (universalmente) argomentare che nella mente divina ci sono i principi della aritmetica intuizionistica? E come potresti tu fare altrettanto per l’aritmetica classica?

                    • Giorgio Masiero ha detto:

                      Non ci capiamo, Luigi, perché tu ragioni sul piano logico ed io su quello ontologico. Faccio un esempio. Tu sai, sono certo, dell’esistenza delle aritmetiche cantoriana e non cantoriana, in conseguenza dell’indimostrabilità della congettura di Cantor (T. di Cohen, 1963). In effetti i matematici hanno sviluppato due distinte aritmetiche, con un nucleo comune (gli assiomi di Peano) e poi con un ulteriore assioma che è dato dalla congettura di Cantor per la prima e dalla sua negazione per la seconda. Ma io non credo che esistano due aritmetiche (anzi più, addirittura, per altri assiomi cooptati da proposizioni goedelianamente indecidibili) in uno scenario di “relativismo aritmetico”, solo perché la ragione umana non può dimostrare con la logica la congettura di Cantor. Io tomisticamente fondo la logica (una) sull’ontologia ed assegno realtà ai numeri (ontologia dell’aritmetica) e una delle cose che mi aspetto di sapere in Paradiso è se la congettura di Cantor è vera o falsa, e quindi se l’Aritmetica (quella “vera”, dei numeri interi pensieri di Dio) è cantoriana o no. Ti è chiaro perché ci vuole Dio per “fondare” l’aritmetica ed evitare che ci siano tante aritmetiche?
                      Adesso, per piacere, spiegami perché un relativista come te – che nega, come hai detto più volte, l’esistenza di valori etici universali nel tempo e nello spazio – ci tiene tanto ad insistere che può esistere un’etica universale senza l’ipotesi Dio. Quale sarebbe quest’etica, in teoria?

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      Quanto alla questione della aritmetica cantoria e quella non-cantoriana, vorrei capire una cosa innanzitutto (anche se non c’entra niente): l’aritmetica non-cantoriana assume come assioma la negazione dell’ipotesi del continuo o non assume come assioma l’ipotesi del continuo (tu hai scritto che assume la negazione, ma ti chiedo di precisare, tenendo conto che io non sono un esperto per seguire discorsi complicati)? Però tu stesso dici di aspettare il paradiso per scoprire se l’aritmetica è cantoriana o no, insomma, se io ti dicessi che secondo me l’aritmetica vera è quella non-cantoriana, tu non potresti obiettarmi nulla. Lo stesso se ti dicessi che secondo me l’aritmetica vera è quella intuizionista.

                      Possiamo credere che la matematica sia una, ma non possiamo poi dire razionalmente quale sia. Possiamo dirci non-relativisti ontologici, ma poi siamo costretti ad abbracciare il relativismo epistemico.

                      Quanto invece alla morale, c’è un discorso analogo, a meno che uno non voglia passare dal Dio astratto dei filosofi a quello rivelato ed argomentare che i quattro principi morali sono assoluti in quanto è Dio stesso a rivelarceli. Ma così argomentando fondiamo una legislazione etica non-universale, dal momento che è perfettamente possibile rifiutare la rivelazione senza per ciò stesso rinunciare alla razionalità. Un’etica non-universale è un controsenso: ecco perché insisto a dire che l’etica deve rinunciare a Dio come elemento fondativo delle norme e che i filosofi atei, teisti, cattolici, protestanti dovrebbero lavorare insieme sulla base di metodi universali. Come? Quali sono i metodi? Non lo so, non sono un filosofo morale, per fortuna 🙂

                    • Antonio72 ha detto:

                      Luigi,
                      tuttavia mi devi spiegare in base a quale criteri, postulati, assiomi o quello che vuoi, un relativista ateo o agnostico debba credere che esista qualcosa come un’etica universale. Per me non lo crede affatto!

                    • Antonio72 ha detto:

                      Mettiamo per esempio che i biologi o gli stessi neuroscienziati vogliano (o credano, fa lo stesso) di spiegare l’illusione di un’etica universale mediante analisi dettagliate del processo evolutivo dell’uomo o di certi suoi pattern neurali.
                      Allora l’etica universale per l’essere umano, ancorchè razionale, ma che si ferma solo al dato materiale come se avesse davanti un muro di cemento, non potrebbe esistere in nessun caso.
                      Ecco perchè. o l’uomo materialista è limitato da una sorta di fede irrazionale, oppure lo è il religioso spirituale; non credo che possano esistere vie di mezzo. Tu invece dai per scontato che la razionalità si spalmi uniformemente tra gli uomini e soprattutto che non richieda sforzi (vedasi anche l’ultimo post neuroscientifico sulla teoria quantistica dell’interazione cervello-mente). La macchina burocratica del Terzo Reich era razionalmente efficiente come lo è quella della Germania della Merkel.

                    • Giorgio Masiero ha detto:

                      1) Un’aritmetica non cantoriana è un’aritmetica che soddisfa gli assiomi di Peano, ma non l’ipotesi del continuo (ed è stata costruita da Cohen nel 1964). “Se io ti dicessi che secondo me l’aritmetica vera è quella non-cantoriana, tu non potresti obiettarmi nulla. Lo stesso se ti dicessi che secondo me l’aritmetica vera è quella intuizionista”: hai ragione. “Possiamo credere che la matematica sia una, ma non possiamo poi dire razionalmente quale sia. Possiamo dirci non-relativisti ontologici, ma poi siamo costretti ad abbracciare il relativismo epistemico”: hai ragione. In effetti, in assenza di rivelazione dall’Alto, io non so in questo mondo quale sia vera e quale sia falsa. Però per te, formalista, il problema è senza senso; per me, realista, il problema ha senso ed io so che un tipo di aritmetica è vera e l’altro tipo è falsa.
                      2) “I filosofi atei, teisti, cattolici, protestanti dovrebbero lavorare insieme sulla base di metodi universali”: non sono d’accordo e qui si rivela la nostra divergenza. Perché qui, la mia convinzione è che (tutti) gli uomini hanno avuto una “rivelazione dall’Alto”, che è la legge morale iscritta nei cuori e coincidente con i 4 comandamenti che ho sintetizzato in un altro commento. Questi quattro imperativi etici non si trovano solo nella Bibbia ebraica, nel Nuovo Testamento e nel Corano; si trovano anche nell’induismo, nel buddhismo e nel confucianesimo. Gli imperativi etici non sono leggi, che vanno deliberate da qualche istituzione. Sono in principio e mirano all’impegno personale. Ma dovrebbero essere codificati e poter essere sanciti da un organo mondiale di giustizia.

                    • Antonio72 ha detto:

                      Tuttavia professore, si deve precisare che gli imperativi etici universali, se mi consente la metafora, sono un po’ come gli occhiali. Talvolta capita di ammattirsi a cercarli, anche se sono sul comodino che ti guardano. Sei quindi costretto a fare avanti ed indietro per casa, perchè non ti riesce proprio, chissà perchè o percome, di vederli.
                      Se poi non li cerchi nemmeno, perchè non credi che esistano o che ti servano…

                    • Luigi Pavone ha detto:

                      1) Non è che io sia formalista, semplicemente mi rifiuto di introdurre elementi di inutile discordia e divisione. Dal mio punto di vista è più naturale aderire ai sistemi formali che hanno più poteri esplicativi, o nel conseguimento delle verità delle scienze naturali o nell’analisi concettuale in senso lato. Non so quali siano i vantaggi o gli svantaggi teorici relativi alla assunzione o meno dell’esistenza di una cardinalità infinita tra i naturali e i reali. La cosa più ragionevole è scegliere il sistema più teoricamente utile.

                      2) Non so cosa tu intenda con l’affermazione che la legge morale è iscritta nei cuori di tutti gli uomini. Fuor di metafora, se questo significa che tali principi sono auto-evidenti, ciò rende inutile ogni rivelazione (la rivelazione è essenzialmente un evento storico), e conseguentemente ogni appello ad essa in sede di filosofia morale (normativa). Se invece ritieni moralmente utile la rivelazione (e l’appello ad essa nella giustificazione della legge etica), allora non puoi considerare quei principi auto-evidenti. Per me non sono affatto auto-evidenti e sono bisognosi di un discorso fondativo. Sempre dal mio punto di vista un tale discorso fondativo non può rinunciare alla universalità, ma ad essa sembra rinunciare appellandoni a questa o quella rivelazione divina.

                    • Antonio72 ha detto:

                      A me pare solo un circolo vizioso..
                      E allora a cosa ti appelli, per affermare i valori universali, al relativismo etico?
                      Se hai letto bene quello che ha scritto il professore, si parla di spirito religioso. Uccidi questo spirito e ti puoi dimenticare qualsiasi discussione universale.

                    • Antonio72 ha detto:

                      “La cosa più ragionevole è scegliere il sistema più teoricamente utile.”

                      Per il relativista questa è la Bibbia: l’utilitarismo vale per il teorema matematico, esattamente come vale per l’etica.
                      E non può esistere per definizione un utilitarismo universale.

                    • Andrea ha detto:

                      “La cosa più ragionevole è scegliere il sistema più teoricamente utile”

                      Ciao Antonio, da quello che ho compreso rileggendo, io ho inteso nella frase di Luigi: “utile a raggiungere il fine di spiegare” piuttosto che “utile a raggiungere un fine generico”

                      “L’utilità nello spiegare meglio” non credo sia un fine cui si può dare una connotazione morale negativa o positiva.

                    • Vronskij ha detto:

                      Antonio, se non può esistere per definizione un utilitarismo universale, allora non può esistere per definizione un morale universale.

      • Andrea ha detto:

        “può ammettere di tutto e di più”

        non sono d’accordo,
        i criteri con cui si possono ammettere cose e non altre sono semplicemente definiti in modo diverso, e quindi “il può ammettere” valutato secondo l’etica cattolica non significa “deve ammettere”. E’ questo cortocircuito che è sbagliato.

        Comportarsi in modo virtuoso perchè si ritiene che lo voglia Dio o per altri motivi è indifferente nella pratica, la distinzione teorica è irrilevante, ma sicuramente contribuisce a dare maggior senso di appartenenza etica a chi la effettua.

        E comunque il comportamento cattolico stesso, nella pratica non risulta poi essere molto distante da una gaussiana più o meno schiacciata rispetto ai valori propinati dalla religione, salvo poi definire come si fa spesso qui, che i veri cattolici sono pochi, e tutti gli altri si sforzano

        • Antonio72 ha detto:

          Ciao Andrea,
          sì infatti, mi sono spiegato male. Non volevo di certo dire che il comportamento individuale di un uomo, ateo agnostico o credente, possa dipendere da qualcosa piovuto dall’alto. Il “deve ammettere” per me quindi non esiste, o se non altro quel “deve” proviene sempre dalla propria coscienza. Mi riferivo invece al riconoscimento di un’etica comune universale dell’uomo, non accettabile dal relativista, e che costringe l’uomo a derivare l’etica dalle contingenze economiche, materiali, dalle circostanze storiche, spesso dai soli interessi individuali, e quindi da una sorta di utilitarismo, inteso oggi, secondo me, in senso darwiniano di “sopravvivenza del più adatto” o anche di selezione del migliore patrimonio genetico (eugenetica e meritocrazia). Nell’attuale mondo globalizzato questa etica (o meglio etiche) è prevalente, proprio perché vengono rimossi o almeno viene ridotta l’importanza di quei valori comuni universali dell’uomo in quanto uomo che la religione, non solo cattolica, propugna appellandosi alle coscienze degli uomini (perché quest’etica, se esiste, deve provenire dall’uomo, come già detto).
          Purtroppo a causa dell’aridità spirituale diffusa nel mondo moderno materialista (l’apparire contrapposto all’essere – chi parla più di essere?), ed anche la religiosità superficiale che si limita alla partecipazione alla liturgia senza che si radichi in profondità nelle coscienze (anche nella Chiesa, lo ammetto), questo bene comune che è nelle coscienze degli uomini rimane come sopito, addormentato. Se infatti è qualcosa che trascende l’uomo non può essere spazzato via da alcunchè, ma si limita a restare lì dove è sempre stato, ignorato da quasi tutti, fedeli alla dottrina moderna utilitaristica che sta travolgendo l’uomo stesso.
          Tanto per rimanere sul piano laico, basta vedere oggi che fine ha fatto la dignità del lavoratore propugnata dai nostri padri costituenti, all’epoca in cui questi valori non solo erano riconosciuti, ma furono i valori fondanti della Repubblica democratica. Togli tutti valori e rimarrà solo un involucro vuoto: un sistema democratico che tenta di governare una società di fatto anarchica mi ricorda il cowboy che pretende di addomesticare un toro impazzito.

          • Andrea ha detto:

            La mia idea è che vi sia un comportamento percepito come sostanzialmente retto dalla media degli uomini, indipendentemente dall’estrazione culturale e religiosa. Alcuni lo intendono come istanza mal implementata di un ideale di comportamento prescritto da Dio (nella loro accezione) e universalmente codificato, altri lo intendono come la media di ciò che gli uomini percepiscono giusto in un dato istante in funzione delle loro esperienze pe del contesto in cui vivono.

  • Alcor vega ha detto:

    http://www.biblistica.it/1/la_teoria_dell_evoluzione_della_specie_3371422.html
    Solo questi dati matematici fanno girare la testa ,mettiamo anche la complessità del Genoma ,infine mettiamo anche che in fisica ci siano queste svariate dimensioni bhe credo proprio che bisogna salutare la parola “caso” dalla scienza

  • Vronskij ha detto:

    Senza voler toccare quel che vuole trasmettere articolo, la figura di Dostoevskij è abbastanza problematica. C’i sono persone che, anche molto pie e religiose (per esempio Florenskij), sentono un ribrezzo da lui, per loro è troppo morboso, non credibile, masochista ecc (sentono odore del passato anarchico). Per questa ragione ammirano la sua controfigura russa, Tolstoi, ammirato perfino dai comunisti. Dall’altra parte la considerazione che senza Dostoevskij, non sarebbe un Camus e un Sartre (due comunisti, francesi però, che avevano ucciso il loro re prima dei russi).

    Mi fa piacere che nell’articolo spunta fuori un merito, poco conosciuto, di Dostoevskij come romanziere poliziesco per i Fratelli Karamazov. Può sembra degradante di abbassare un genio come lui al livello di giallo, invece è l’opposto perché l’ambizione della cultura in generale è di indagare, in modo cosciente ed incosciente (purtroppo maggioranza), il crimine originario. Non per caso Freud ha fatto al romanzo in questione un analisi splendido sul parricida come crimine originario. Einstein, un tolstoiano mancato, lo considerava il romanzo più grande della letteratura mondiale, eppure lui voleva sapere come Dio ha creato il mondo. C’è qualcosa che non va in lui, non mi convince la sua personalità ambigua, per conseguenza anche come teorico. Il bello è che lui non sopportava l’ambiguità del MC, sotto sotto le teorie stano sottili processi di coscienza, senso di colpa, redenzione ecc (Delitto e castigo).

    • Antonio72 ha detto:

      Hai dimenticato che qualcuno lo definisce il De Sade russo.
      La personalità ambigua e contraddittoria dei personaggi dostoevskijani è certamente meno rassicurante delle saghe familiari anacronistiche tolstojane, ovviamente anacronistiche per il suo tempo. Ed alla luce della storia russa successiva di certo è proprio Dostoevskij quello che ha fotografato meglio la realtà contemporanea della sua patria, in particolare i rischi derivanti dal nichilismo ed ateismo dilagante.
      Anzi, alcune sue profezie sono ancora attuali, visto che le attuali ricerche neuroscientifiche pare vogliano ridurre l’uomo al “tasto di pianoforte o spinotto d’organo” di cui diceva il romanziere.
      Sappiamo tutti dell’incompatibilità totale tra l’uomo-tasto e Dio: se Dio esiste non può esserci alcun uomo-tasto, viceversa se l’uomo è un tasto allora Dio non esiste.

      • Vronskij ha detto:

        Tolstoi e Dostoevskij sono due figure complementari non soltanto russe, ma cosmiche. C’i sono un sacco di saggi centrati in queste due figure che lo dicono quanto ho detto. Da posizioni diversi nella scala sociale, loro hanno descritto esattamente la stessa cosa: la nullità della vita umana senza Dio. La visione squallida del mondo proletario del letterario proletario Dostoevskij lo descrive perfettamente articolo. Aristocratico Tolstoi descrive la stessa cosa dai saloni mondani, famiglie felici, ragazze sognatrici, casalinghe rubiconde, servi fedeli, mobili ricamati, giardini in fiore, ecc. tutto alla perfezione, eppure manca qualcosina (la ciliegina sulla torta o il fischio della locomotiva) e tutto si trasforma immediatamente in un schifo squallido, un disgusto totale, un cadavere che non può neanche putrefare. Poi viene la resurrezione …

        • Vronskij ha detto:

          Scusi, poi viene la rivoluzione …. C’è qualcuno (lo dico seriamente) che ritiene Dostoevskij come precursore della rivoluzione russa. Nel senso che l’ha dimostrato la venuta dell’Anticristo in modo perverso, con terrore maniacale e nello stesso tempo con piacere nascosto di sofferenza sado-maso. E’ lo stesso sentimento che si prova normalmente davanti ad un abisso, nello stesso tempo ti fa paura e ti attira. I altri non lo vedevano, o facevano finta, vai a capire.

        • Antonio72 ha detto:

          Sono figure così complementari che pare non si siano mai incontrate.
          Cmq credo che Dostoevskij descriva qualcosina di più della visione squallida del mondo proletario…, anzi la descrizione di Dostoevskij dell’ambiente proletario, ma non solo proletario (le varie bettole, le camere basse con bassi soffitti e tappezzerie sudicie, ecc…) facciano solo da contorno, pressapoco come l’insalata (marcia), al vero piatto forte del grande romanziere russo: L’uomo! Secondo me in questi romanzi si parla in pratica solo di uomini e di donne, i quali sono messi sotto il microscopio implacabile e spesso cinico di Dostoevskij, che li affetta perbenino, quasi scientificamente; ed ovviamente la parte che salta di più all’occhio sono le viscere. Diciamo che l’ambiente è sempre fatto su misura dell’uomo che ci vive; lo si deve quindi considerare come un vestito o se vuoi un pastrano e niente di più. Non vedo invece lo stesso acume psicologico in Tolstoj, ma forse non ricordo…

          • Vronskij ha detto:

            “Sono figure così complementari che pare non si siano mai incontrate”.

            Questo è il problema del mondo, che le complementari originari si considerano contrari reali, e non si incontrano mai, eppure si attirano sempre uno con altro con amore ed odio come don Peppone e don Camillo. Non sto qui a lungo a dimostrare cosa hanno detto Dostoevskij e Tolstoj per l’un l’altro, e per l’evoluzione darwiniana progressive saltuaria alternativista della storia di letteratura russa, ma loro sono “incontrati” nella opera di Gorkij, il primo scrittore soc-realista. In un suo romanzo, poco conosciuto (ma non senza valore), il protagonista criminale (post-Raskolnikov) non sente più il senso di colpa, che vuol dire nel senso della letteratura provvidenziale: volevate ognuno il suo Cristo, tenetevelo Stalin, questo è il Cristo che meritate!!! Lui, il Messia aspettato, vi unirà in gulag tenendo la fila per un piatto di minestra!!!

            In un altro romanzo di un scrittore postmoderno russo, poco conosciuto in occidente che legge il romanziere Putin, il protagonista non ricorda più il crimine, e neanche il nome di chi ha ucciso (il scrittore Putin e i suoi e-lettori hanno dimenticato che era il direttore dell’ufficio che seguiva i dissidenti emigrati in Occidente). Esiste anche un racconto analogo di Borghes con incontro del Caino ed Abele nell’altro mondo, che avevano dimenticato che era ucciso e come. Per 100 anni non vedo in giro che caricature culturali horror, e non solo in letteratura, perché non c’è nessun differenza tra horror cosmico di Lovecraft e compagnia bella e Hawking e cosmologia bella di multiversi poetici su ununiversi e multi universi, universi che esplodono e implodono in buchi neri. I neuroscienziati hanno molto lavoro da fare per spiegare che cosa è successo con i neuroni dell’uomo moderno e postmoderno, ma non so dove li troveranno i neuroni sani per fare il lavoro dovuto.

  • Alcor vega ha detto:

    La nozione di un Dio creatore è logica Luigi, cerco di spiegami
    Dio = Nulla di cui maggiore si può pensare
    Sè non si comprende questo non si comprende l’idea stessa di Dio cioè la si ignora ,questo significa scarsa conoscenza del vocabolo e della nozione dello stesso
    ora Sè Dio è nulla di cui maggiore si può pensare ,non sè ne può negare l’esistenza altrimenti si andrebbe in contro ad una contraddizione

    • Luigi Pavone ha detto:

      Ho capito. Ma la questione è come derivare (giustificare) il principio morale di non uccidere (o altri principi morali) dall’ipotesi che esista un essere (magari creatore del mondo e dell’uomo) tale che non si possa pensare un essere più grande. Tu come procederesti? Esiste un essere creatore del mondo, e allora? Perché non dovrei uccidere, se posso, se ne ho la facoltà materiale? Perché non dovrei avere comportamenti omosessuali, se posso, se ne ho la facoltà materiale?

      • Fabio Moraldi ha detto:

        Ci sono due piani della questione:

        Origine: la stessa esistenza del principio morale preesistente agli uomini e inestirpabile da esso suggerisce l’esistenza di una Intelligenza.

        Sensatezza (vedi titolo articolo): solo facendo ricorso a una Suprema Legge fuori dall’uomo è possibile ultimamente dare senso all’adesione ai valori morali e sopratutto dare loro consistenza. E’ il percorso fatto da Dostoevskij.

        • Luigi Pavone ha detto:

          Il principio di non uccidere appartiene o no alla Suprema Legge? Se appartiene alla Suprema Legge, allora non è relativo (dato che appartenere alla suprema legge significherebbe proprio questo). Ma un discorso etico fondativo dovrebbe dimostrare che quel principio appartiene alla Suprema legge divina. Come facciamo a stabilire questo?

          • Fabio Moraldi ha detto:

            Il non uccidere espresso esplicitamente in questo modo appartiene solo al cristianesimo/ebraismo.
            Tuttavia nell’uomo pre-esiste il concetto di rispetto della vita altrui, come invece non v’è negli animali. Tu non puoi parlare di appartenenza non relativa perché per te è per forza relativo, ovvero domani potrebbe essere giusto e morale uccidere per chi riconosce l’appartenenza di questo valore alla Suprema Legge è libero dal mutare del condizionamento sociale. Non occorre alcun principio invece che dimostri l’appartenenza alla Suprema legge divina.

    • Andrea ha detto:

      Invidio Luigi, perchè io invece non ho proprio capito:

      Dio = Nulla di cui maggiore si può pensare

      Come fai a stabilire di poter concepire qualcosa di cui nulla maggiore si può pensare?
      Dove derivi i criteri per fermarti nell’aggiungere un ulteriore epsilon alla grandezza di Dio che sei riuscito a concepire un secondo fa’?
      Con lo studio, l’esperienza , il dialogo potresti acquisire i mezzi per pensare qualcosa di meglio, anzi persone più intelligenti di te e di me, potrebbero farlo a loro volta, qual’è a quel punto il Dio giusto, il mio, il tuo o il loro? Ognuno ha il suo?

      • Luigi Pavone ha detto:

        E’ l’argomento di Anselmo, ripresentato dal panteista Spinoza (ma anche da Cartesio), criticato da Kant, e poi ripreso da Hegel (per Hegel l’essere di cui non si può pensare qualcosa di più grande è l’Idea nel suo processo dialettico). Ho voluto sorvolare su questa questione perché a me preme sottolineare che il filosofo teista che afferma l’esistenza di Dio, e magari di un Dio creatore, non sembra affatto avere strumenti più potenti al fine di dare una fondazione oggettiva all’etica.

      • Luigi Pavone ha detto:

        … più potenti rispetto al filosofo ateo.

      • Raffa ha detto:

        @Andrea: qui c’è una bella video-lezione su Anselmo: https://www.uccronline.it/2011/07/16/la-prova-filosofica-dellesistenza-di-dio-secondo-anselmo-daosta/

        @Luigi: l’etica può fondarsi solo su una Legge superiore altrimenti “buono” rispetto a cosa? “Giusto” rispetto a cosa? Non c’è nessun termine di paragone e dunque sono sempre io il paragone: “sono un uomo giusto rispetto al concetto di giusto che decido io” e tramite questo ragionamento io ho legittimità di fare qualsiasi cosa: “io ritengo giusto che nessuno ostacoli il mio cammino di uomo, chi lo fa deve perire”.

        • Andrea ha detto:

          “Anselmo risponde a Gaulinone nel Liber apologeticus, sostenendo che il suo esempio dell’Isola non è affatto calzante perché non è affatto paragonabile all’Assoluto, cioè per quanto bella sia non sarà mai “ciò di cui non si può pensare nulla di più grande”

          Appunto ma io l’obiezione la devo fare direttamente ad Anselmo a mia volta?
          Perchè è proprio da questa risposta che parte la mia.

          • Raffa ha detto:

            Se parte da questa non può che essere sbagliata la tua obiezione. Il ragionamento di Anselmo non può essere paragonato a nient’altro perché vale solo per l’Assoluto.

            Personalmente non lo ritengo molto valido, ma ancora non ho trovato una vera confutazione convincente.

  • Alcor vega ha detto:

    La questione del perchè è insita nella nozione di essere “cui nulla di maggiore si può parlare” ,cioè perchè potrebbe esistere tale essere? (che già la negazione è contraddittoria) esiste sè questo essere “è necessario” per essere necessario bisogna che abbia delle “qualità” ,e che queste qualità siano “le innumerevoli qualità” ,siccome le innumerevoli qualità non sono in contraddizione( con diversi passaggi logici prodotti da Leibiniz e poi ripresi da Godel) esse esistono e sono necessarie ,ora sè questo Dio è il creatore ovvio che da lui vengono le qualità

  • Alcor vega ha detto:

    Andrea è semplice ho formulato quella di Anselmo perchè è la più semplice

    se A = nulla di cui maggiore si può pensare significa che non puoi aggiungere qualcosa di criterio successivo ,sè potessi farlo non sarebbe più “nulla di cui maggiore si può pensare “ma sarebbe qualcosa di maggiore

    • Luigi Pavone ha detto:

      Affinché il ragionamento funzioni si deve presupporre che l’esistenza sia un predicato. Kant, per esempio, non pensa sia un predicato, e per lui l’argomento non ha molto valore. Ma anche accettando l’idea che l’esistenza sia un predicato, l’argomento di Anselmo dimostrerebbe che esiste un essere di cui non si possa pensare il maggiore: per il materialista può essere la natura, per un idealista come Hegel (che riteneva giusto l’argomento di Anselmo) è lo Spirito, etc.

    • Andrea ha detto:

      E quindi Deve esistere perchè è nulla di cui maggiore si può pensare?

      anche volendo ammettere che abbia senso la frase qui sopra, è la frase: “Nulla di cui maggiore si può pensare” che non mi pare avere alcun senso, equivale a tentare di definire in un dato istante “il più grande dei numeri interi pensabili”

  • Alcor vega ha detto:

    bhe no è sufficiente capire sè sia necessario o no tanto è che leibiniz cambia il nome da ente perfettissimo ad ente necessario

  • dome ha detto:

    Io stimo quelli che pensano in modo chiaro e semplice, le questioni sono definibili.
    Vi stupirò ma un tempo, ero un laico, un periodo in cui la fede se ne era andata per lasciare spazio alla delusione, alla distruzione spirituale, agli incubi.
    Perciò in un certo senso, mi sento legato agli atei, umanamente li comprendo.
    Detto ciò, a seguito di un’esperienza brutta ho maturato la convinzione che l’essere umano se non struttura un metodo non può superare le difficoltà.
    Che cos’è il metodo?
    Una disciplina, una serie di regole che mettono ordine agli spazi della mente e del corpo.
    Io non ho mai creduto in una disciplina atea , perché se non c’è speranza, io la mia vita la ripudio, odio proprio l’esistenza, perché la trovo una cosa inutile.

    • Andrea ha detto:

      Ciao Dome,
      grazie, bella riflessione e direi, molto equilibrata.

      • dome ha detto:

        Grazie.
        Mi ricorda un articolo di poco tempo fa, in cui si diceva che gli atei ripudiano l’Uomo.
        In un certo senso è vero, l’uomo, esiste.
        E’ la contraddizione atea, è propria l’inutilità di quest’animale che con un sistema celebrale, semplifica e assorbe i codici della natura, struttura, organizza…
        A conferma di ciò, vorrei portarvi due esempi della Letteratura (materialista) che si divide in : fantascientifica-positivista (in cui si esalta un Uomo, spoglio della sua umanità ma dedito solo ai progressi scientifici) e la poesia decadentista (anche qui, un Uomo che ripudia -in libertà- Dio, povero, senza spirito, abbandona la battaglia della vita e si getta negli orrori, ha deposto la speranza).

        • Andrea ha detto:

          La necessità di un utilità dell’esistere è, secondo me, tuttavia, un concetto puramente umano che poi diviene un problema per alcuni. Ha senso l’esistenza di un animale se egli non è conscio di tale utilità? L’animale esiste solo per rendere gradevole l’ambiente all’uomo?

  • Luca ha detto:

    Se non esiste Dio tutto diventa legittimo ?
    1) Sul piano della verità storica.
    Quest’idea a me sembra inconsistente. Semplicemente perché l’uomo é un animale sociale dotato di pensiero. Un animale che ha bisogno di pensare il suo bene personale in funzione del buon funzionamento di quella società senza la quale non sarebbe in grado di sopravvivere. Mi sembra inoltre che la storia ci abbia insegnato che alcuni essenziali fondamente etici delle nostre società come eguaglianza, libertà, giustizia sociale si siano di fatto affermati grazie all’azione di politici e filosofi atei, illuministi e marxisti in particolare. Si può anche affermare come storicamente i credenti si siano lasciati prendere in contropiede dagli atei ed abbiano di fatto agito come freno politico di fronte a queste positive evoluzioni della storia. Mi auguro che queste affermazioni non vengano accolte come le tesi di un comunista o di un individualista radicale, ma vengano prese come provocazioni serie, da discutere per quello che sono. Perché conosco benissimo i guai storici bestiali e distruttivi che l’individualismo, il superomismo o il comunismo hanno prodotto. Eppure… avremmo avuto la democrazia senza rivoluzione francese ? Avremmo avuto oggi la critica alla società del profitto (cfr dottrina sociale) senza la critica marxiana al capitalismo ?
    Credo che il punto sia un altro: se sembra possibilissimo arrivare a concepire un’etica “universale” senza Dio sembra storicamente difficile che quest’etica possa essere politicamente applicata alla società e fatta accettare a ciascuno senza suggerire l’esistenza di un principio superiore. Da qui l’invenzione degli stati etici totalitari nel ‘900: marxismo e nazismo. A me pare questo il vero punto di crisi: la coscienza dell’individuo (quello credente e anche quello non credente).
    2) etica cattolica ed etica pubblica
    se trovate che queste affermazioni abbiano un senso (…?…) Credo che valga la pena tirare anche qualche conclusione. Perché l’affermazione che solo attraverso Dio si possa fondare un’etica sembra fatta apposta da una parte per negare ogni valore al pensiero ateo ma dall’altra anche a rendere in un certo modo esclusiva del credente la capacità di vedere il bene comune. Pare a me sia un modo che serve solo a creare un’artificioso e pericoloso fondamentalismo cristiano. Anche su questo piano mi pare di non poter essere d’accordo. Penso invece che occorra ripensare il modo di porsi del cattolicesimo politico in termini più laici, votati per quanto possibile ad individuare gli strumenti perché i principi etici che riteniamo (ritengo) eterni ed universali quando non condivisi si impongano alla società attraverso la nostra positiva testimonianza di fede piuttosto che attraverso la mortifera imposizione di leggi e regole, che finirebbero per imporre uno stato etico-teocratico. Coscienti che nel frattempo é non solo necessario ma anche utile, profittevole, giusto porsi in atteggiamento di dialogo con l’etica e la morale atea (esistente e seria). Bisogna semplicemente evitare l’identificazione contrapposta dell’ateismo con l’ideologia militante dell’UAAR e affini ed il cattolicesimo con una politica singola unica e totalizzante, chiusa al laico dibattito delle idee.

    • Raffa ha detto:

      “Quest’idea a me sembra inconsistente”
      Ora sono indeciso se dare credito a te o a Dostoevskij…

      “Semplicemente perché l’uomo é un animale sociale dotato di pensiero”
      L’uomo è uomo, l’animale è animale. L’animale sociale è la formica e il pensiero non è certo la differenza unica che ci distingue dalla formica.

      “Un animale che ha bisogno di pensare il suo bene personale in funzione del buon funzionamento di quella società senza la quale non sarebbe in grado di sopravvivere”
      Come qualsiasi altro animale.

      “si siano di fatto affermati grazie all’azione di politici e filosofi atei, illuministi e marxisti in particolare”
      L’illuminismo è stato il germogliare delle ideologie che hanno portato al nazismo, alle guerre mondiale e al comunismo. Non a caso Pol Pot e i suoi generali studiarono “etica e morale” a Parigi. Tutti i più noti illuministi erano schiavisti e razzisti. L’illuminismo ha avuto come diretta conseguenza la ghigliottina e la legge del sospetto. Infine è stato un periodo di ritorno del paganesimo arrivando a celebrare la dea ragione nel comune di Parigi. Per ultimo: nessun valore etico è nato nell’800 o dopo di esso, ma tutto era pre-esistente.

      “Si può anche affermare come storicamente i credenti si siano lasciati prendere in contropiede dagli atei ed abbiano di fatto agito come freno politico di fronte a queste positive evoluzioni della storia”
      Non verificato.

      “come le tesi di un comunista o di un individualista radicale, ma vengano prese come provocazioni serie, da discutere per quello che sono”
      Sono le tesi di qualunque persona confusa e laicista. Sono abituato.

      “avremmo avuto la democrazia senza rivoluzione francese”
      Il comune di Parigi istituì pena di morte anche per chi accoglieva indifferentemente la Costituzione repubblicana. La Rivoluzione Francese è stata il grande bagno di sangue dei cristiani, seguito dall’invito di Voltaire a “schiacciare l’infame” (cioè la Chiesa). Albert Soboul, forse il più importante storico della Rivoluzione francese spiega che Robespierre, Rousseau, Napoleone e gli altri portarono direttamente alle dottrine nazionalistiche, sequestrando scuole cattoliche e sciogliendo ordini religiosi. Robespierre fu il primo dittatore della storia, durante la Rivoluzione avvennero i primi esperimenti comunisti e i primi culti di Stato (la dea ragione di sopra). Basterebbe studiare i libri veri e non solo quelli che passa il partito, caro Luca.

      “Avremmo avuto oggi la critica alla società del profitto (cfr dottrina sociale) senza la critica marxiana al capitalismo?”
      Luca, ti dico una cosa che ti farà arrabbiare: viva la proprietà privata!!!

      ” se sembra possibilissimo arrivare a concepire un’etica “universale” senza Dio”
      Non può essere universale perché senza Dio non c’è nulla che tenga uniti gli uomini, così come le piante e gli animali.

      “sembra storicamente difficile che quest’etica possa essere politicamente applicata alla società e fatta accettare a ciascuno senza suggerire l’esistenza di un principio superiore”
      Da approfondire, così non si capisce.

      “solo attraverso Dio si possa fondare un’etica”
      Non hai letto l’articolo e ancora più grave non hai mai letto Dostoevskij. Inoltre dovresti approfondire cosa intendi per “fondare”.

      “negare ogni valore al pensiero ateo ma dall’altra anche a rendere in un certo modo esclusiva del credente la capacità di vedere il bene comune. Pare a me sia un modo che serve solo a creare un’artificioso e pericoloso fondamentalismo cristiano”
      Vedi sopra e cerca di leggere quello che c’è scritto e non quello che sai che ci dovrebbe essere scritto.

      “Penso invece che occorra ripensare il modo di porsi del cattolicesimo politico in termini più laici”
      Scommetto: sparizione della religione dai luoghi pubblici, vero?

      “si impongano alla società attraverso la nostra positiva testimonianza di fede piuttosto che attraverso la mortifera imposizione di leggi e regole, che finirebbero per imporre uno stato etico-teocratico”.
      Quindi i politici cattolici non possono promuovere delle leggi perché altrimenti imporrebbero uno stato etico-teocratico. Siamo alla follia…

      “porsi in atteggiamento di dialogo con l’etica e la morale atea (esistente e seria)”
      Puro sentimentalismo…il solito “dialogo” che ritorna a condimento, strano non si sia parlato anche di “filantropia” e “diritti dell’uomo”.

      “Bisogna semplicemente evitare l’identificazione contrapposta dell’ateismo con l’ideologia militante dell’UAAR e affini”
      Il tuo pensiero è identico a quello dell’Uaar, non capisco perché non dovrei identificarti con loro.

      “ed il cattolicesimo con una politica singola unica e totalizzante, chiusa al laico dibattito delle idee”
      Non è mai stato così e le tue preoccupazioni non sono fondate.

      • Vronskij ha detto:

        @Raffa
        Con il tuo slogan: viva la proprietà privata!!!, adesso non fai più arrabbiare nessuno, soltanto Dio che è la nozione del pubblico per eccellenza. Ho dimenticato c’è anche un altro dio del privato, Berlusca, che in privato fa il sesso pubblico (press a poco come relazioni pubbòlice), il Mammona di oggi.

        Mi sonno rotto le scatole con questo illuminismo sanguinario francese, italiano, tedesco e russo. D’accordo accettato tutto, ma spiegate una volta per tutte “voi” cristiani, da dove è spuntato fuori proprio nella società cristiana il fenomeno? Perché i UFO preferiscono ideologicamente e poi anche praticamente (nel maggior numero dei casi) la società occidentale cristiana. Chi era quella nave spaziale che ha sbarcato sulla terra Gramsci, Togliatti e Odifreddi?

    • Ingrid ha detto:

      Caro Luca, il Papa si è rivolto in questi giorni ai cosiddetti “cattolici adulti”, credo ti sarebbe di aiuto leggere le sue parole: http://www.difesa.it/Sala_Stampa/rassegna_stampa_online/Pagine/PdfNavigator.aspx?d=24-02-2012&pdfIndex=49

    • Antonio ha detto:

      1) Sul piano della verità storica.
      Non sequitur. Ma tutto intero quello che hai scritto perchè, non prendertela a male se te lo dico, ma è un discorso da bambini. Della verità storica hai preso quello che ti faceva comodo (magari senza cattiveria, ma solo ignorantemente) e hai scartato il resto. Es. L’Illuminismo ha portato tutte le peggiori dittature del ‘900 (con conseguenti tragedie), dall’Illuminismo ci arriva il metodo anticlericale-uaarino (come lo chiamo io), ovvero tutte le menzogne e le leggende nere sulla Chiesa. Che sono false. E chi si parte dal falso non è che parte nel migliore dei modi. Dall’Illuminismo ci arriva questa fede profonda nella scienza che è un’altra di queste menzogne, andando a logorare il concetto stesso di scienza. La rivoluzione francese (che per altro è un’altro sintomo dell’Illuminismo) ha fatto più morti della prima guerra mondiale, e come nella guerra civile spagnola i più colpiti erano i cattolici.
      Parallelamente ti potrei parlare del cattolicesimo che ha introdotto ospedali, università, cultura oltre all’introduzione del concetto di fratellanza, uguaglianza, ecc ecc ecc del Cristo.
      Sembrano cose che non hai minimamente tenuto in conto nel tuo discorso, eppure sono storia. Si chiama obiettività culturale.

      2) etica cattolica ed etica pubblica
      E’ un discorso conseguente alle ignoranze di prima, dove per te esiste da una parte il laicismo (bene) e dall’altra il cattolicesimo (male). Ma non è un discorso obiettivo, è semplicemente un discorso di parte.
      Poi sarei curioso di sapere quali sono queste: “imposizione di leggi e regole” nella politica da parte del cattolicesimo.