Le neuroscienze decretano la fine del libero arbitrio? (parte quarta)
- Ultimissime
- 21 Feb 2012
di Michele Forastiere*
*professore di matematica e fisica
Ricorderete che nell’ultimo articolo (Ultimissima 5/2/12), il terzo della serie sul libero arbitrio, avevamo esaminato il punto di vista dell’informatica sul problema del rapporto mente-cervello (la cosiddetta questione ontologica).
Eravamo arrivati alle seguenti conclusioni:
A) L’informatica non potrà mai dare una risposta soddisfacente alla questione ontologica, fondamentalmente perché nemmeno l’eventuale superamento di tutti i test da parte di un’ipotetica “mente artificiale” sarebbe in grado di falsificare l’ipotesi interazionista, né di verificare quella riduzionista;
B) Vi sono fondate ragioni teoriche (la mancanza di intenzionalità e l’argomento gödeliano) per ritenere che la mente umana non sia effettivamente riducibile a un meccanismo dal funzionamento algoritmico;
C) Per avere qualche speranza di arrivare in porto, un efficace studio teorico del legame tra mente e cervello richiede verosimilmente un’analisi approfondita dei fenomeni fisici fondamentali coinvolti nell’attività neurale.
Prima di procedere nell’analisi è necessario chiarire alcuni concetti. La nostra conoscenza del funzionamento della natura deve molto allo splendido edificio teorico che gli scienziati avevano messo a punto alle soglie del XX secolo, comunemente definito fisica classica. Con questo termine si intende, in buona sostanza, il paradigma secondo cui la realtà oggettiva è costituita da microscopiche particelle solide, interagenti mediante forze che seguono leggi matematiche rigorose. Secondo questa concezione, l’Universo è uno smisurato meccanismo, i cui innumerevoli ingranaggi non possono fare altro che ruotare e incastrarsi nel modo stabilito da inesorabili leggi matematiche – in modo del tutto indipendente dai pensieri, dalle emozioni e dalle intenzioni delle persone “presenti sulla scena”. Insomma, apparentemente la fisica classica implica il determinismo, e risolve il problema ontologico a favore del riduzionismo materialista. Dico “apparentemente”, perché è comunque fatta salva la possibilità di una qualche forma di dualismo cartesiano o spiritualismo che giustifichi in maniera non materialista l’autocoscienza e il libero arbitrio – un’ipotesi che, sebbene ripugni a molti studiosi, rimane pur sempre scientificamente non falsificabile.
Tuttavia, da circa ottant’anni sappiamo che l’Universo materiale non è descritto correttamente dalla fisica classica. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, infatti, una serie di esperimenti e di accurate riflessioni teoriche avevano convinto la comunità scientifica che era necessario un profondo ripensamento del paradigma classico. Si giunse così, Intorno agli anni ’30 del XX secolo, alla formulazione della meccanica quantistica, una teoria destinata a rivoluzionare il mondo della scienza – e non soltanto quello. Una delle caratteristiche principali della meccanica quantistica consiste nella sostituzione dei numeri che in fisica classica descrivono le proprietà dei sistemi con operazioni matematiche astratte. Da questa sostituzione (detta “quantizzazione”) segue il famoso Principio di Indeterminazione di Heisenberg, secondo cui (per esempio) non è possibile determinare con esattezza contemporaneamente la velocità e la posizione di una particella. Il livello di indeterminazione dipende da una costante universale denominata Costante di Planck, che è un fattore onnipresente nelle equazioni della meccanica quantistica. È interessante notare che, ponendo tale costante uguale a zero, le equazioni quantistiche si riducono alle equazioni classiche! La fisica classica si rivela dunque un’approssimazione della fisica quantistica: in quanto tale, perciò, diventa un approccio da considerarsi valido solo entro limiti che dipenderanno dal tipo di fenomeno studiato.
Il Principio di Indeterminazione ha una ricaduta immediata su uno dei problemi che abbiamo incontrato in questo percorso. È chiaro, infatti, che in un Universo quantistico il determinismo non è più sostenibile, né in teoria, né in pratica. Il motivo è che, se è vero che i sistemi macroscopici costituiscono – di norma – delle eccellenti approssimazioni classiche, è altrettanto vero che la dinamica dei sistemi complessi appare estremamente sensibile alle condizioni iniziali. In parole povere, diventa teoricamente impossibile prevedere l’evoluzione temporale di un qualunque sottoinsieme materiale dell’Universo, perché non se ne può conoscere con precisione infinita lo stato iniziale. Un’altra importante caratteristica, propria della meccanica quantistica, è il fatto che l’Osservatore diventa parte integrante di ogni esperimento. È infatti la sua scelta preliminare di una tra varie possibilità prestabilite a fissare la successiva evoluzione del sistema (che avverrà secondo precise leggi matematiche), e quindi a determinare i potenziali risultati di una misura. Il punto-chiave è che non è possibile dire – in base alle leggi quantistiche – quale tra le intenzioni fisicamente consentite sarà effettivamente scelta, e quando questa scelta sarà attuata. In definitiva, l’Osservatore va trattato, nelle applicazioni pratiche, come un agente capace delle libere scelte che servono a fissare i parametri indipendenti della teoria. Fu John Von Neumann, uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, a fissare il formalismo matematico di tale azione, secondo lo schema applicativo oggi universalmente adottato dalla comunità scientifica.
Si capisce come l’idea di un Osservatore “attivo” vada a incidere sul problema del rapporto causale mente-cervello – sebbene, naturalmente, non possa risolverlo. La questione dell’effettivo ruolo della coscienza, infatti, riguarda l’interpretazione della teoria quantistica – ancora oggi largamente dibattuta – e non la sua applicazione – che è invece ampiamente consolidata nella pratica sperimentale. Va detto che esistono più di dieci interpretazioni possibili per la meccanica quantistica, tutte ugualmente valide dal punto di vista scientifico, perché indistinguibili mediante esperimenti (la progettazione di test capaci di discriminare tra le varie interpretazioni è tuttora oggetto di ricerca attiva). Secondo una di queste interpretazioni, dovuta allo stesso von Neumann e a Eugene Wigner – recentemente rielaborata da Henry Stapp – la coscienza gioca un ruolo causale attivo. In pratica, secondo l’interpretazione di von Neumann-Wigner-Stapp l’interazionismo diventa un’ipotesi che si inserisce in maniera naturale nel contesto della meccanica quantistica. Chiaramente, in questa ottica la mente si conferma essere un fenomeno irriducibile alla pura materialità. È interessante osservare che l’analisi di Stapp, oltre a eliminare alla radice i problemi legati a una concezione meccanicistico-algoritmica della mente, è in grado di spiegare coerentemente i fenomeni neuro-psicologici. Il meccanismo che sarebbe alla base del legame mente-cervello è l’Effetto di Zenone Quantistico. Tale effetto, che è stato verificato direttamente in sistemi atomici, viene usato con ogni probabilità anche nell‘orientamento magnetico degli uccelli.
Le critiche alla proposta di Stapp fanno principalmente appello a una presunta inutilità dell’approccio quantistico nello studio del cervello umano (vedere per esempio qui). Tale obiezione non sembra, in realtà, particolarmente giustificata. Bisogna ricordare, tra l’altro, che la fisica classica è solo un’approssimazione alla fisica quantistica: e non è detto che essa sia un’approssimazione valida in tutti i dettagli nel caso di un oggetto complesso come il cervello, il cui funzionamento dipende in maniera determinante da flussi di ioni attraverso canali di dimensioni atomiche. Si aggiunga il fatto che, negli ultimi anni, si sono accumulate numerose prove di comportamento quantistico in oggetti macroscopici e in esseri viventi. In ogni caso, è bene ribadire che la fisica classica non può produrre risposte definitive al problema della mente. Nella prospettiva del materialismo, infatti, il paradigma classico implica una concezione meccanicistica del cervello, e di conseguenza un’idea di mente algoritmica – una soluzione che, come abbiamo visto, risulta insoddisfacente sotto molti aspetti.
Giunti infine al termine di questo lungo percorso, direi che si possa affermare con sicurezza che né le neuroscienze, né l’informatica, né la fisica decretano la fine del libero arbitrio dell’Uomo. Oserei anzi esprimere un concetto davvero azzardato: l’idea che anche la scienza moderna cominci a concepire la mente come una componente essenziale del tessuto della Realtà, e non solo (per usare le parole dello stesso Stapp) come “un testimone causalmente inerte dell’insensata danza degli atomi”.
Michele Forastiere
michele.forastiere@gmail.com
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46 commenti a Le neuroscienze decretano la fine del libero arbitrio? (parte quarta)
Bellissimo, la Scienza parla chiaro.
Michele, questi tuoi articoli sono un tonico per lo spirito!
Una domanda, secondo te, l’effetto Zenone Quantistico, l’interazionismo, potrebbero essere elementi che portano a considerare la “mente”, o meglio la “coscienza”, come realtà fisiche non riconducibili riduzionisticamente agli atomi del cervello o alle connessioni neurali?
Assolutamente sì. Stapp sottolinea più volte nei suoi lavori – che sono, tra parentesi, interessantissimi, e che sono in gran parte reperibili qui: http://www-physics.lbl.gov/~stapp/stappfiles.html – che la meccanica quantistica prevede esplicitamente una “libera scelta” sperimentale (il Processo 1 di Von Neumann), libera nel senso che non è determinata né da precedenti aspetti della realtà descritti fisicamente, né da leggi fisiche, né da condizioni statisiche . Secondo Stapp, in definitiva, queste scelte possono “essere in effetti determinate da aspetti sopra-fisici ” della natura: in pratica, la coscienza (e quindi la mente) farebbero parte di una realtà “naturale” più ampia di quella strettamente materiale – l’unica riconosciuta da un naturalismo basato sulla fisica classica. L’effetto Zenone Quantistico, dunque, è solo il meccanismo (niente affatto misterioso, peraltro) che spiega “come” una coscienza siffatta agisca causalmente sul cervello.
Da notare che Stapp NON fa mai ricorso a considerazioni metafisiche, né fa mai appello al soprannaturale, sebbene si capisca come il suo punto di vista si adatti agilmente anche a discorsi che coinvolgano queste tematiche.
Ottimo articolo, Michele!
Formulo una domanda all’autore dell’articolo: perchè i paleontologi assicurano che l’idea dell’anima nasce dopo altre necessità, come ad esempio quella di fabbricare strumenti?
Scusa se ti rispondo io ma penso perchè prima uno pensa a riempirsi lo stomaco e a stare al caldo e poi pensa alla filosofia|teologia| matematica |scienza eccecc
Hai ragione M-17, autore della filosofia, metafisica, scienza è Sanzo Pancia.
Caro Ivan, sinceramente non saprei cosa risponderle, e questo fondamentalmente per due motivi. Il primo è che in questa serie di articoli non si è mai parlato (volutamente) di anima: volendo si può aprire anche un dibattito su questo argomento – che peraltro mi interessa abbastanza – ma credo si possa fare indipendentemente dalle considerazioni qui svolte, che mi sono sforzato di improntare a un’analisi strettamente scientifica (me ne darà atto, spero).
Il secondo motivo è che, pur volendo estrapolare delle interpretazioni metafisiche dal tema trattato (cosa che, ripeto, possiamo scegliere di fare a partire da quanto fin qui scritto), credo che la paleontologia possa esprimere tutte le deduzioni possibili sui comportamenti degli antichi uomini, ma che non potrà dimostrare tramite esse l’esistenza o l’inesistenza dell’anima! D’altra parte, come ho detto altrove, gli “stati mentali” non lasciano fossili… 🙂
La saluto cordialmente
Ivan ieri mi ha detto che i paleontologi sono alcuni tizi che si mettono sempre d’accordo in una sala nascosta e poi fanno una conferenza stampa annuale dove parlano di anima e di Dio. Evidentemente questa notizia di cui ci informa l’hanno detta nell’ultima conferenza di gennaio. Grazie Ivan!
Complimenti Forastiere, ha chiuso benissimo il ciclo sul libero arbitrio! Mi auguro che questo avvenga, con la stessa professionalità, anche per tanti altri argomenti!
Grazie, caro Mirko. Accetto volentieri vostri suggerimenti o spunti di riflessione!:)
Mi associo ai ringraziamenti 🙂
“È chiaro, infatti, che in un Universo quantistico il determinismo non è più sostenibile, né in teoria, né in pratica.”
Un simile argomento espresso con tale livello di certezza, non rischia di implicare che Gerard ‘t Hooft sia uno stupido?. Se invece i suoi studi hanno un qualche fondamento sarebbe il caso di utilizzare almeno il condizionale, per ora.
Sull’insostenibilità “in pratica” del determinismo in MQ, nessuno ha problemi, penso, nemmeno tu, Andrea, e certamente non Einstein né Gerard ‘t Hooft, perché è una conseguenza operativa delle diseguaglianze di Heisenberg (che a loro volta sono la conseguenza della non indivisibilità infinita della massa-energia, ma della sua esistenza in quanti).
I problemi in passato con il determinismo di Einstein e oggi con ‘t Hooft nascono sull’”indeterminismo in teoria”. Ma qui occorre aver presenti due significati possibili diversi della locuzione, uno dei quali esisteva anche nella meccanica classica (MC).
La MC è rigidamente deterministica sotto l’aspetto dell’evoluzione delle grandezze osservabili (posizione, velocità, momento, energia, ecc.), perché queste sono soggette ad equazioni differenziali lineari che, per il teorema di Cauchy, hanno soluzioni univoche quando siano stabilite le condizioni iniziali. In MQ questo tipo di determinismo teoretico cade perché ad evolvere deterministicamente non sono le grandezze osservabili, ma è la funzione d’onda che dà solo predizioni probabilistiche sulle quantità osservabili, A MENO che non esistano variabili nascoste per il momento sfuggenti alla MQ. Questa era l’ipotesi sostenuta da Einstein e oggi da ‘t Hooft. Si deve aggiungere, però, che tutti i tentativi di Einstein e (finora) di ‘t Hooft di trovare una teoria di queste variabili nascoste non hanno avuto esito. Ma, riconosco, il problema resta aperto, nonostante le diseguaglianze di Bell.
Esiste però una seconda accezione di “indeterminismo teoretico”, che era già presente anche in MC (sistemi caotici) e che né Einstein né ‘t Hooft hanno mai pensato di escludere dalla MQ. Essa si riferisce ai casi in cui le soluzioni delle equazioni differenziali sono “estremamente sensibili” alle condizioni iniziali: in questi casi varrebbe ancora il teorema di Cauchy, ma solo se si conoscessero con infinita precisione (tipica di un numero reale irrazionale, per capirci) le condizioni iniziali (determinismo “in teoria matematica”). Ma ciò è impossibile a priori “in teoria scientifica”, dove si fanno misure necessariamente con approssimazioni, e quindi si traduce in “indeterminismo teoretico scientifico”.
Ecco, mi pare che a questa accezione di indeterminismo “in teoria” si riferisse chiaramente Forastiere nel suo articolo, quando citava esplicitamente la “dinamica dei sistemi complessi … estremamente sensibile alle condizioni iniziali”. E a tali sistemi fisici appartiene certamente il cervello.
Grazie, Giorgio!
Caro Andrea, evidentemente non mi sono espresso bene nell’articolo. Proverò a chiarire meglio il punto: esistono attualmente almeno dieci interpretazioni (diciamo pure filosofiche) della meccanica quantistica, tutte equivalenti dal punto di vista fisico , di cui qualcuna fa ricorso alle cosiddette “variabili nascoste” per ripristinare una parvenza del determinismo proprio della fisica classica. Questa soluzione, come è noto, attirava molto Einstein – il quale non risuciva proprio ad accettare il paradigma quantistico – ed è sostenuta anche da ‘t Hooft e altri, ma non è molto popolare tra gli addetti ai lavori, anche perché non riesce normalmente a spiegare bene certi effetti non-locali (come la disuguaglianza di Bell).
Del resto, lei saprà certamente che il determinismo “ontologico” di cui parlano le interpretazioni basate sulle variabili nascoste si situa alla scala di Planck (10 alla meno 35 metri, 10 alla meno 43 secondi…), il che le rende assai difficilmente verificabili – oggi come in un prossimo futuro. Non solo. Il guaio è che, come è ovviamente evidente anche allo stesso ‘t Hooft (legga pure qui: http://arxiv.org/pdf/quant-ph/0212095v1.pdf), già su scala subatomica il comportamento risulta purtroppo quello stocastico – vale a dire, di fatto indeterministico – osservato in meccanica quantistica, ragion per cui ogni relazione deterministica sottostante appare effettivamente distrutta da una perdita d’informazione che va prevista teoricamente nello schema proposto. Di che determinismo stiamo parlando, dunque?
Mi scuso se ho tagliato un po’ corto e non ho specificato tutto ciò nell’articolo, ma francamente non mi sembrava il caso di entrare in questo genere di dettagli (un po’ troppo specialistici e, tutto sommato, irrilevanti ai fini del discorso, non crede?).
In ultimo, la prego di non attribuirmi opinioni non mie sulle persone.
Cordiali saluti
Cmq l’indeterminazione quantistica non rende giustizia alla libertà umana, anche peggio del ferreo mondo deterministico creduto da Einstein.
D’accordissimo, Antonio. Per fortuna il modello proposto da Stapp serve a spiegare quantisticamente il meccanismo di interazione tra mente e cervello, NON a spiegare quantisticamente la mente. Ah, leggi anche la risposta al tuo commento precedente, qui sotto! 🙂
Certamente, Antonio! Ci mancherebbe che facessimo dipendere una proposizione metafisica da una teoria scientifica!
Però è divertente il fatto che a giustificarsi per le loro credenze “antiscientifiche” debbano essere piuttosto i nostri avversari, che pongono nella scienza ogni loro fede, o no?!
Grazie Michele e Giorgio.
Qui si va veramente nel dettaglio in effetti, solo che la frase nella sua semplicità mi stuzzicava perchè il tema mi pare ancora dibattuto tra i vostri colleghi.
Però mi permane un dubbio. Ciò che è percepito teoricamente indeterministico dall’uomo diviene indeterministico tout court?
Ossia, secondo voi l’indeterminismo della nostra conoscenza diviene indeterminismo assoluto?
Questa mi parrebbe una conclusione curiosa perchè sono io di solito il “relativizzatore” in queste discussioni.
La mia impressione, è che il tipo di indeterminismo di cui stiamo parlando non mini un’ipotetica computabilità di ciò che ci circonda in linea di principio, e quindi non sia definibile come indeterminismo tout court,
questo dubbio mi sarebbe confermato dalla giusta osservazione di Giorgio:
“…ma solo se si conoscessero con infinita precisione (tipica di un numero reale irrazionale, per capirci) le condizioni iniziali (determinismo “in teoria matematica”). Ma ciò è impossibile a priori “in teoria scientifica”, dove si fanno misure necessariamente con approssimazioni, e quindi si traduce in “indeterminismo teoretico scientifico…”
ma dal punto di vista “filosofico” (Giorgio non uccidermi) non bisognerebbe distinguere tra indeterminismo epistemiologico e indeterminismo oggettivo?
anche perchè Lowenheim e Skolhem dicono che: ” if a countable first-order axiomatisation is satisfied by any infinite structure, then the same axioms are satisfied by some countable structure” e quindi anche per i numeri reali esisterebbe un “modello contabile”, e dove ci sono gli interi si ha sempre il sospetto che un determinismo di fondo sia dietro l’angolo… (e addirittura, a parziale sostegno delle vostre stesse tesi, ,qualcuno direbbe “non solo quello” es: Leopold Kronecker: ” Dio ha creato gli interi, il resto è opera dell’uomo)
In conclusione non mi sento ancora di escludere del tutto il fatto che il libero arbitrio non sia altro che la percezione dell’uomo di questo indeterminismo, la sensazione psicologica di poter scegliere, più che un reale indeterminismo che pervade la struttura della materia, e quindi noi stessi.
in fondo, e banalizzando, che differenza ci sarebbe tra sentirsi liberi ed ammettere che “un battito d’ali di farfalla in India” potrebbe influire sulla nostra prox decisione, se non siamo nemmeno in grado di capire in che modo lo farebbe?
Caro Andrea, mi riaggancio alla risposta che Giorgio Masiero le ha dato più sotto (https://www.uccronline.it/2012/02/21/le-neuroscienze-decretano-la-fine-del-libero-arbitrio-parte-quarta/#comment-53896), per osservare che un eventuale determinismo “di fondo” per la materia-energia non costituirebbe comunque un problema per una concezione dualista del libero arbitrio. Aggiungo anche che il punto-chiave di una visione quantistica del mondo (nel senso più ortodosso possibile, quello dell’interpretazione di Copenaghen) non è tanto l’indeterminismo, quanto il ruolo non passivo dell’Osservatore. Il merito (dal punto di vista dell’interazionismo, naturalmente) dell’approccio di von Neumann-Stapp è, penso, quello di aver messo in evidenza due possibili aspetti ontologicamente rilevanti (quindi filosofici, non scientifici):
1) una certa “libertà” del mondo fisico, che diventa così un luogo ideale per accogliere le libere azioni dell’Uomo;
2) la definizione in modo naturale dell’Uomo come “co-creatore” della Realtà.
La saluto cordialmente!
Andrea non so che vuoi dire su ‘t Hooft, ma non prendere troppo alla lettera l’espressione che hai quotato. Cioè, non è proprio vero che in MQ non è possibile prevedere l’evoluzione temporale di un sistema per l’incapacità di conoscere le condizioni iniziali (le “condizioni iniziali” in fisica sono tali se definiscono univocamente il sistema, e sono assegnabili anche nei sistemi MQ) ed infatti la loro evoluzione temporale è sempre determinata. Quindi, se per “determinismo” tu intendi la capacità di descrivere l’evoluzione dello stato di un sistema una volta assegnate le condizioni iniziali, allora certo: la MQ è perfettamente deterministica.
Il problema sta da un’altra parte: è legato alla definizione di “stato” in MQ, che differisce dallo “stato” della teoria classica, ed è a sua volta connesso all’operazione di misura delle grandezze fisiche in gioco. Ma è un discorso complesso e va ben oltre i temi trattati nell’articolo sopra, per cui credo che una certa semplificazione sia inevitabile. C’è sempre stata molta confusione sull’argomento. Un tentativo di fare chiarezza si trova in un articolo storico di E. Fermi (Nuovo Cimento VII, 1930) che forse trovi anche in rete.
Grazie mille, lo cerco e lo leggo.
Mah.. il fatto che la Meccanica Quantistica voglia risolvere la dicotomia mente-cervello (o corpo) quando non riesce a risolvere il cosiddetto problema della misurazione quantistica di una singola particella, mi pare una mossa azzardata.
In definitiva, per salvarsi dal riduzionismo materialista si deve accettare l’equazione mente-cervello e considerare la materia grigia racchiusa nella scatola cranica una sorta di gatto di Scrhodinger racchiuso nella sua bella scatolina di cartone isolata dall’ambiente. Non posso accettare questa visione limitata della mente come se fosse una bollicina di acqua minerale rinchiusa ed isolata nella sua bottiglietta, in quanto nessuno, credo, può negare che l’interazione mente-ambiente sia reciprocamente attiva. Perchè allora non parlare direttamente di neuroscienze?
Caro Antonio, guarda che la prospettiva di Stapp è tutt’altro che questa: se avrai la voglia e la pazienza di leggere qualche suo articolo (qui ce ne sono tanti: http://www-physics.lbl.gov/~stapp/stappfiles.html), vedrai che per lui la coscienza e la mente sono fenomeni non riducibili al fisicalismo . Anzi, egli sostiene la necessità, per la scienza, di cominciare a rinunciare al Principio di Chiusura Causale del Mondo Fisico, tipica del paradigma sientifico del XIX secolo.
Di contro, è vero che ci sono altri sostenitori di una “mente quantistica” che sia “causalmente chiusa” – tra questi ci sono, per esempio, Penrose e Hameroff.
Stapp, però (e io con lui), non condivide quel punto di vista.
Un caro saluto
Caro professore
Ma come? Dice a me che la scienza deve rinunciare al Principio di Chiusura Causale del Mondo Fisico, tipica del paradigma scientifico del XIX secolo, quando fino a ieri predicavo una nuova scienza dello spirito (pur non sapendo, o forse non ricordando di Stapp), rischiando il linciaggio bloggatico?
Per quanto riguarda Stapp leggerò certamente il link ,anche se mi pare di aver capito che c’entri qualcosa il principio di decoerenza quantistica.
Caro Antonio, non ci si dava del tu? 🙂 No, Stapp è uno veramente in gamba, che ha lavorato con Segré e Pauli, e riesce ad evitare abilmente i problemi di decoerenza quantistica (una trappola in cui i suoi detrattori cercano in tutti i modi di farlo cadere). Poi, considera una cosa: Stapp, in genere, è molto attento a NON entrare in discorsi metafisici o spiritualistici (come dicevo nella mia risposta al commento di Enzo Pennetta). Egli si limita a considerare la possibilità che la coscienza sia un ente ontologicamente definito insieme al resto della realtà (materia/energia). Insomma, di per sé lo schema di Stapp non va a sostegno di una scienza dello spirito, né di qualunque forma di religione… anche se certamente costituisce un ambiente “meno ostile” di altri paradigmi. Ritengo, però (ne accenno anche nell’articolo), che neanche il determinismo più “duro” o il riduzionismo materialista più intransigente possano falsificare definitivamente, per via scientifica, ogni forma di dualismo interazionista.
Un cordiale saluto!
Cosa ne pensa della teoria del campo mentale cosciente proposta dal dualista Libet, il quale propone anche una sperimentazione scientifica, anche se difficilmente attuabile per questioni etiche?
Ricordo che per Libet il fenomeno soggettivo cosciente è un fenomeno a sè, indipendente da qualsiasi altra attività cerebrale attinente alle percezione sensitive. Ovviamente Libet non è dualista in senso cartesiano, tuttavia crede che il campo mentale possa spiegare la particolare capacità del fenomeno cosciente di unificare aree cerebrali tra loro distanti ed apparentemente indipendenti. In definitiva per Libet l’attivazione cerebrale del fenomeno cosciente è causata da questo campo, che assomiglia molto a quell’ente ontologicamente definito di cui dice Stapp.
E’ ovvio che la sperimentazione non serve per dimostrare l’esistenza del campo mentale che non è sottoponibile a sperimentazione scientifica, ma per dimostrare che il fenomeno soggettivo cosciente, essendo costituito da un sorta di campo di energia, non può essere limitato dalle connessioni neurali. In effetti l’esperimento prevede di isolare una zona della corteccia procedendo successivamente alla sua stimolazione elettrica (pare che già esistano in letteratura vari studi sull’attività elettrofisiologica di una zona corticale isolata in situ).
In ogni caso qualsiasi sperimentazione scientifica sulla coscienza deve atternersi al resoconto del soggetto sottoposto all’esperimento, e vale per qualsiasi sperimentazione di questo tipo, dato che non è possibile fare diversamente. Per questo una scienza che voglia approfondire, per esempio, il dualismo mente-cervello, dovrebbe coinvolgere più soggetti per riscontrare eventuali affinità o similitudini.
Perchè non potrebbe esistere una scienza del genere? Tutte le neuroscienze studiano il cervello partendo dal principio monista (lo si dà quasi per scontato, o dualista in senso debole). Perchè non si potrebbe invece fondare una scienza sul principo opposto, dualista in senso cartesiano?
Non conosco la teoria di Libet, approfondirò volentieri. Sul discorso di una rifondazione della scienza in senso dualista… chissà, si potrebbe davvero essere sull’orlo di una nuova rivoluzione scientifica. Sospetto però che i tempi non saranno mai maturi, ovvero che la scienza continuerà ad avere due “anime” (la monista e la dualista), con la prima grandemente prevalente sulla seconda.
Ho parlato del CMC (Campo mentale cosciente) perchè mi ricorda la non-località quantistica prevista dalla teoria quantistica ed applicata al cervello, visto che durante il fenomeno cosciente vengono attivate istantaneamente zone cerebrali distanti tra loro. E questa attivazione, se non mi ricordo male, non solo è diversificata tra individuo ed individuo, ma anche nello stesso individuo nell’arco della giornata.
Allora sarebbe legittimo chiedere alle neuroscienze che studiano il cervello: Ma il cervello di chi? E quando?
E poi c’è un’altra considerazione, e cioè l’unicità ed indipendenza del fenomeno cosciente rispetto alle altre attività cerebrali, direi di routine, che come già detto, non mi creano tanti problemi che siano spiegate inconsciamente e quindi meccanicamente. Il bello della coscienza è che ci si può rendere conto e quindi esprimere giudizi, e quindi pentirsi e quindi correggersi, ecc.. anche di azioni commesse durante questa tipologia di attività.
Non credo che mi serva un granchè il libero arbitrio per aprire la porta di casa, o far bollire l’acqua della pasta, ecc.. come nemmeno mi serve nella gran parte degli esperimenti scientifici che studiano la coscienza (compresi quelli di Libet).
Tuttavia se mi dimentico di mettere l’acqua nella caffettiera perchè sovrappensiero, posso sempre correggermi successivamente…
L’impostazione di Stapp, mi pare, inquadra perfettamente questo tipo di considerazioni: il cervello funzionerebbe “quasi-classicamente” nella maggior parte delle attività “di basso livello”, ma in quelle che richiedono una concentrazione specifica (uno “sforzo della volontà”) entrerebbe in gioco l’elemento irriducibile della coscienza – attraverso lo specifico meccanismo (l’Effetto di Zenone Quantistico). E’ interessante notare che questa cornice teorica corrisponde perfettamente alle osservazioni psicologiche di William James (Stapp ne parla qui: arXiv:1012.2122).
Michele, ho una domanda che da tempo volevo farlo.
Dai tuoi articoli viene fuori chiaro che il nocciolo del problema del neuro scienze è di trovare un punto di incontro (se c’è) tra mente e cervello (mente-corpo, spirituale-materiale). Per un ricercatore che crede nel peccato originale (oltre il libero arbitrio), il quale ha per conseguenza il conflitto mente-corpo, la possibilità di trovare un punto di incontro (se c’è) è scartata fin da inizio, per partito preso. Non c’è incontro in conflitto, cosa stanno cercando i neuroscienzati?
Caro Vronskij, qui mi sono limitato a considerare l’accezione più ordinaria del termine “libero arbitrio”, vale a dire la caratteristica umana di compiere scelte non vincolate (naturalmente entro certi limiti) e di assumersene la responsabilità. Chiaramente questa caratteristica richiede che l’Uomo sia effettivamente capace di attuare fisicamente quelle decisioni, quindi sorge il problema di spiegare se e come la mente sia in grado di controllare il corpo. Tutto lì. Purtroppo, però, non mi sento in grado di affrontare un tema così importante come quello che tu proponi, del rapporto tra questa idea di libero arbitrio e il conflitto mente-corpo che nasce dal peccato originale! 🙂
Un caro saluto!
Grazie, Forastiere. La tua serie di articoli, mantenuta rigorosamente sotto l’aspetto scientifico ed originalmente interdisciplinare, ha a mio parere un grosso merito. E lo spiego subito.
La fede religiosa, checché ne dicano gli ignoranti, non può essere sotto nessun aspetto scalfita dalle scoperte delle scienze naturali per il semplice motivo che – anche dove queste raggiungessero una certezza assoluta riguardo a qualche fenomeno naturale, certezza assoluta che è un evento assai raro nelle scienze naturali! – questa certezza non può avere nessun impatto su proposizioni metafisiche, che per definizione non riguardano l’ambito naturale (tipo: l’esistenza di Dio, di un’anima spirituale immortale, del libero arbitrio, ecc.).
Naturalmente questa osservazione ovvia vale anche all’opposto: mai dovremo impiegare come cristiani le scoperte scientifiche per “confermare” la nostra fede.
I nostri avversari più intelligenti, però, ci dicono: va bene, riconosciamo che la scienza non può dimostrare l’inesistenza di Dio o del libero arbitrio, ecc., ma voi che argomenti razionali (diversi dalla fede nei libri sacri) potete portare a sostegno delle vostre credenze? Ciò che la fisica, la biologia o le neuroscienze mostrano non sono tutti (almeno) indizi contro queste vostre credenze?
Ebbene, con la scoperta del fine tuning cosmologico che ri-porta tolemaicamente l’uomo al centro dell’Universo, i fisici naturalisti si sono dovuti inventare una teoria metafisica di 10^1000 universi inosservabili per sfuggire all’evidenza. Con la scoperta dei teoremi sull’inizio del tempo, i fisici naturalisti si sono inventati un multiverso che nasce “dal nulla per caso”: è questa una spiegazione scientifica?! Con l’impossibilità di spiegare la nascita della vita dalla materia inanimata, i biologi naturalisti si sono dovuti inventare il caso e la roulette di Montecarlo. Con l’impossibilità di capire l’insorgenza della coscienza nell’uomo, si sono inventati una nuova parola, epifenomeno, ovvero la ciliegina sulla torta. Ora tu, con questa serie di magistrali articoli, hai mostrato come la MQ porti indiziariamente all’esistenza del libero arbitrio e all’irriducibilità della mente alla materia come ipotesi più ragionevoli delle loro opposte.
A questo punto siamo noi cristiani che possiamo chiedere agli atei: ciò che la fisica e la biologia mostrano non sono tutti (almeno) indizi contro la vostra credenza?
Caro Giorgio, come sai sono totalmente d’accordo con quello che dici. Credo anch’io che esistano degli argomenti razionali a sostegno della nostra fede. D’altronde, non dovremo un giorno “rendere ragione” di essa? Personalmente, posso confermare che è stata proprio la ricerca dei “perché” che tu citi a indirizzarmi nella direzione giusta, da smarrito che ero (certo, quello è stato solo un piccolo moto iniziale, di per sé insufficiente… solo la Mano di una ben precisa Persona può ricondurci davvero a casa). Ecco, dopo il “ritorno a casa” ho voluto approfondire quei temi, e sono sostanzialmente arrivato alle stesse conclusioni che tu qui esprimi: l’unica alternativa possibile è tra credere nell’Infinito Amore e credere nell’Infinito Caos; inoltre, se si è sinceramente alla ricerca della verità, si deve riconoscere che la possibilità di un “Caos creatore” NON è affatto sostenuta dalla scienza. Altrove mi sono sforzato di portare ampie prove a sostegno di questa affermazione.
Giorgio, nell’ultima parte del tuo intervento sei riuscito a fare una sintesi eccezionale della situazione, la quoto e me la segno!
“Ebbene, con la scoperta del fine tuning cosmologico che ri-porta tolemaicamente l’uomo al centro dell’Universo, i fisici naturalisti si sono dovuti inventare una teoria metafisica di 10^1000 universi inosservabili per sfuggire all’evidenza. Con la scoperta dei teoremi sull’inizio del tempo, i fisici naturalisti si sono inventati un multiverso che nasce “dal nulla per caso”: è questa una spiegazione scientifica?! Con l’impossibilità di spiegare la nascita della vita dalla materia inanimata, i biologi naturalisti si sono dovuti inventare il caso e la roulette di Montecarlo. Con l’impossibilità di capire l’insorgenza della coscienza nell’uomo, si sono inventati una nuova parola, epifenomeno, ovvero la ciliegina sulla torta.”
..o anche fischio della locomotiva.
🙂
Di chi è, Antonio, questa espressione?
Non lo so precisamente, forse l’autore nemmeno si conosce, ma siccome si parla di locomitiva a vapore non è di certo recente…
D’altronde il meccanicismo materialista, che in parte la scienza moderna non riesce a superare, ha radici ottocentesche, ed anche prima.
Forse, Enzo, andrebbe corretto il mio riferimento a Monod, perché in fondo vincere alla roulette non è così difficile, le probabilità sono 1:37. Ma perché si combini casualmente una cellula, mi dicono, le probabilità precipitano a 1:10^40.000 = 1:37^25.507. La proposizione “scientifica” neodarwinista è dunque che la vita è emersa dal caso sulla Terra con la probabilità di un’uscita della puntata massima alla roulette 25 mila volte di seguito!
Sono d’accordo con te, Andrea, sull’importanza filosofica della differenza tra i due tipi di indeterminismi. Ti dirò di più: io personalmente tifo per Einstein e ‘t Hooft, perché filosoficamente preferisco credere ad un Dio che “non gioca a dadi” ed ha stabilito leggi ferree ineludibili per la materia-energia.
E’ questa differenza che impedisce infine al metodo galileiano di “dimostrare” l’esistenza (come l’inesistenza) del libero arbitrio, che è una concezione metafisica; o di sciogliere definitivamente il nodo monismo-dualismo (o mente-cervello, se preferisci), che pure appartiene alla metafisica. D’altra parte, a guardia dell’irriducibilità dei domini gnoseologici, s’era prontamente alzata (se hai notato!) la guardia di Antonio, prima ancora di te!
Riconoscerai però, spero, 2 cose:
1) l’importanza della filosofia, infine, a dirimere la questione della verità nell’interpretazione delle risultanze scientifiche;
2) l’incoerenza, non degli scienziati cristiani che tengono rigorosamente distinti gli ambiti, ma di quegli scienziati naturalisti (o, peggio ancora di quegli “epistemologi” come Telmo Pievani, che così facendo tradiscono la loro professione) che pretendono di usare le risultanze scientifiche per “dimostrare” il riduzionismo!
Professore, suggerisco, fuori del contesto del tuo commento, una visione più ampia del problema:
Non ci si deve più chiedere se Dio giochi a dadi, ma quali siano le regole del suo gioco – Ian Stewart.
http://www.bollatiboringhieri.it/scheda.php?codice=9788833919171
Quella di Stewart è una battuta x vendere: i fenomeni caotici appartengono sempre alla MC, come ho spiegato più sopra, sono matematicamente e filosoficamente deterministici e non obbligherebbero un Essere onnisciente a nessun gioco, dopo aver stabilito al momento della creazione le leggi differenziali una volta per tutte.
E’ pur vero che un moderno mezzo di trasporto può portarmi da un luogo ad un altro senza alcun mio intervento intellettivo, però rimango sempre io, in ultima analisi, a decidere dove andare.
Grazie Michele per i bellissimi articoli che ci sottoponi ricchi di spunti di riflessione ,un altro grazie va ai commenti interessanti di Enzo, Giorgio, e tutti i ragazzi che commentano!!!!
Anch’io mi sento di ringraziare voi tutti per l’attenzione con cui seguite gli articoli! 🙂