L’efficienza della vita non stabilisce chi è degno o non degno di vivere
- Ultimissime
- 03 Set 2011
In un bellissimo libro appena pubblicato si racconta la storia di Giulia, destinata allo stato vegetativo se fosse nata -secondo i medici-, cioè una situazione per loro incompatibile con una vita degna. Dunque il dottore aveva già programmato un’operazione abortiva. «E’ bastato uno sguardo con Riccardo, mio marito, per decidere di portare avanti la gravidanza, anche se eravamo coscienti che non potevamo controllare quello che sarebbe successo», questa la risposta di Mariangela, la mamma di Giulia, così come lei ha raccontato durante un incontro al Meeting di Rimini, nota kermesse culturale di Cl.
Giulia nasce, vive, cresce. Dopo il primo mese vengono fuori le difficoltà (il medico di certo non mentiva) e la bimba non si sviluppa come dovrebbe, rimane indietro, non si muove. Mariangela e Riccardo lavorano al Parlamento europeo a Bruxelles; non senza difficoltà – hanno raccontato – si sono decisi a chiedere aiuto agli amici. La parrocchia, i colleghi, i genitori dei compagni di scuola delle altre due figlie, gli amici degli amici: il semplice fatto che Giulia esistesse ha mobilitato un popolo che sembrava aspettare l’irrompere della vita per rinascere a sua volta. Ora Giulia ha otto anni: non parla e non cammina, ma capisce due lingue e ha una memoria formidabile per i volti; gattona, si muove, piange, saluta, scia, prende il cibo dal frigo quando ha fame. Solo con un sotterfugio radicale ai danni della ragione si potrebbe affermare che non è vita, scrive Mattia Ferraresi su Il Foglio.
Poi hanno incontrato Bernard Dan, neuropsichiatra e Direttore de Höpital Universitaire Des Enfants Reine Fabiola, Bruxelles, ateo ma senza orgogli militanti. Intervistato dal quotidiano dichiara: «ormai siamo abituati a considerare la vita soltanto sulla base dell’efficienza delle performance, ma questo è un grave errore dal punto di vista scientifico: l’umano eccede i limiti di ciò che il soggetto è in grado di fare o non fare. C’è un grande errore nella nostra società, anche a livello scientifico: quello di considerare l’efficacia come sovrano criterio di giudizio». Fabio Cavallari (www.fabiocavallari.it), giornalista e scrittore, ha voluto descrivere questa storia nel suo libro: “Vivi: storie di donne e uomini più forti della malattia” (Lindau 2011). Lo scrittore ha detto: «Mariangela e Riccardo non sono degli eroi, ma persone che hanno avuto il coraggio “normale” di considerare la nascita come un evento positivo».
Qui sotto è possibile visionare il video dell’incontro tenutosi al Meeting di Rimini, in cui sono intervenuti Fabio Cavallari, il neuropsichiatra Bernard Dan e Mariangela e Riccardo, i genitori di Giulia Ribera d’Alcalá.
13 commenti a L’efficienza della vita non stabilisce chi è degno o non degno di vivere
Anche Pannella ha avuto la possibilita’ di vivere….!!!! Lui la nega agli altri, lavorando tutta la sua vita per decidere che “altri” non hanno diritto di vita!! E questo e’ il suo contributo all’umanita’! Figuriamoci se gli “altri” non hanno pieno diritto a nascere!
uno una volta gli ha detto: ‘vorrei che i suoi genitori avessero avuto le stesse vostre idee’
Ma voi la sapevate che inizialmente Pannella era contro l’aborto?
non ci credo, impossibile
Video commovente, grazie!
Il volto della madre è veramente sofferente, ma si scorge una sorta di abbandono, di letizia ultima. Questo è il cristianesimo vissuto veramente! Non è la sparizione dei drammi e dei problemi, ma vivere fino in fondo questi dolori con un abbandono e una speranza incredibile.
Dan viene definito “ateo ma senza orgogli militanti”…nel video però lo si presenta come “non cattolico”…come mai?
Beh, le due cose non sono in contraddizione..gli atei sono non cattolici. Viene definito “ateo” dal giornalista de Il Foglio.
Ecco cosa significa essere cristiani
Hai tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi, che nel processo produttivo hanno impegnato le loro forze, le loro ossa sane, le hanno sacrificate e perdute. Guai ai nostri soldati, che tornano in patria gravemente mutilati, invalidi. Nessuno è più sicuro della propria vita.
Queste non sono parole mie
Sapete cosa trovo tragicamente “ironico”? Che nessuno (o quasi: escludiamo i negazionisti e i neonazisti) si esime dal condannare le atrocità compiute dalle famigerate SS (ivi compresa la teorizzazione della soppressione e la soppressione concreta di neonati menomati da una patologia o di anziani o ammalati psichiatrici e non solo, appunto in quanto non più produttivi) salvo poi accondiscendere, di fatto, ad un più moderno metodo di sterminio di massa (milioni di bambini abortiti nel mondo ogni anno secondo me sono uno sterminio di massa, anche se qualcuno ipersensibile scatterà e si dirà offeso da questo mio raffronto con altri stermini di massa).
L’ho già detto altrove. Faccio il pediatra e nel mio lavoro (mi occupo in particolare di malattie rare genetiche) ho incontrato ed incontro ogni giorno persone meravigliose che lottano quotidianamente per dare ai propri figli malati la maggiore assistenza possibile e le migliori opportunità possibili.
Voglio dire che di storie come quelle raccontate nel libro di cui all’articolo che stiamo commentando ce ne sono tante, tantissime. Di papà e mamme che hanno deciso di non sopprimere il proprio bimbo sapendo che si tratta di un essere umano che ha intatta, a prescindere dalla patologia di cui soffre, la dignità di essere umano ed il diritto di vivere ne ho conosciuti tantissimi.
Certo, si tratta di genitori eroici che combattono ogni giorno contro l’incapacità dei medici a porre diagnosi corretta della malattia dei figli (spesso dovuta all’oggettiva difficoltà di fare diagnosi di malattie talvolta così rare da non averne i medici adeguata esperienza e dunque conoscenza), contro la mancanza di supporto da parte della società (e quindi, a monte, della politica ma, a valle, di ciascuno di noi, me per primo) che ancora troppo poco fa per sostenere queste famiglie nelle loro necessità quotidiane. La stessa società che preferisce spendere centinaia di milioni di euro per “togliersi” il problema.
Per carità, non voglio con ciò assolutamente condannare (e poi chi sono io per farlo?) coloro che non se la sentono di affrontare tutti questi problemi. Io non mi sono mai trovato nella situazione di dover decidere se portare avanti una gravidanza di un feto ammalato o di interromperla e non ho idea di come avrei reagito se mi fosse invece accaduto. Non ho certo la presunzione di affermare che, coerentemente con la mia fede cristiana e dunque la conseguente convinzione antiabortista, certamente sarei stato così coraggioso.
Forse però se qualcuna di queste mamme e di questi papà sapessero che potranno avere un aiuto concreto laddove decidessero di far nascere i propri bimbi magari qualcun altro deciderebbe di portare avanti la gravidanza e far nascere quel bimbo. Un bimbo da amare come qualunque altro figlio, anzi, più di qualsiasi altro figlio.
Se vi interessa conoscere la storia di tanti altri genitori eroici potete leggere un paio di libri della Dottoressa Margherita De Bac, una nota giornalista del Corriere della sera che ha raccolto in due volumi alcune di queste storie. I due volumi, editi da Sperling & Kupfer, sono: “Siamo solo noi. Le malattie rare: storie di persone eccezionali” e “Noi, quelli delle malattie rare”.
Quello che manca, nella nostra società, è la capacità di accogliere e amare le persone con dei problemi. Sono certo che se queste persone si sentissero accolte e amate, molte di più sarebbero le storie di eroismo (perchè tale rimarrebbe la scelta di far nascere ed amare un bambino con una malattia genetica o malformativa) che potremmo condividere.
Non so se hai letto “Il Genocidio Censurato” di Antonio Socci.
E’ di qualche anno fa, magari lo trovi pure in offerta.
Grazie per la segnalazione. Cercherò il libro. Anche perchè mi ritrovo sempre molto nelle idee di Socci.