Jerry Coyne: i raduni degli atei troppo monotoni e pieni di fanatici
- Ultimissime
- 30 Giu 2011
L’evoluzionista ateo militante Jerry Coyne si è lamentato per i troppo numerosi ritiri spirituali degli atei militanti. Nonostante siano utili «per darci una maggiore visibilità e capisco che servano alle persone per incontrare ed ascoltare i loro “eroi” atei, spesso mi sono sembrati ripetitivi». Oltre ai soliti argomenti («non crediamo negli esseri divini e abbiamo rispetto della ragione e delle prove. Che altro c’è da dire?»), anche i relatori sono sempre gli stessi e non c’è nessun nuovo “eroe” ateo da adulare. In Italia avviene la stessa cosa (cfr. Ultimissima 9/5/11).
Coyne osserva, sul blog www.whyevolutionistrue.com, che in questi incontri di ateologia si respira troppa aria «di autocompiacimento, scarso livello e debolezza di un bel pò dei colloqui e fanatismo verso alcuni atei famosi (come Richard Dawkins)». Per questo «ho rifiutato diversi inviti». Il culto della personalità dunque, onnipresente in modo contraddittorio sotto le dittature atee come quella di Mao o di Lenin, si ripresenta oggi verso altrettanti leader dello scetticismo. Avverte quindi di averne parlato al responsabile mondiale dei raduni spirituali degli atei integralisti, cioè un certo Grania Spingies. Entrambi hanno stilato i punti negativi di questi raduni: 1) gli oratori sono sempre gli stessi ogni volta; 2) gli argomenti tendono ad essere simili; 3) alcuni discorsi sono prevedibili (anche a causa di YouTube); 4) viene incoraggiato il fanatismo, che è imbarazzante da guardare; 5) una notevole percentuale delle persone che partecipano alle conferenze sono sempre gli stessi di volta in volta. Ma anche i punti positivi: 1) gli atei possono incontrarsi di persona; 2) gli atei possono socializzare; 3) si possono creare nuove amicizie bevendo qualcosa assieme; 4) si formano nuove reti di rapporti, utili per creare gruppi di pressione; 5) si possono ascoltare importanti relatori di livello mondiale come Paula Kirby, Rebecca Goldstein, Victor Stenger e Maryam Namazie (chi??, n.d.a.); 6) le conferenze sono un po’ come una vacanza a tema; 7) le persone che partecipano non vengono offese dai loro pensieri.
Le risposte all’articolo che si leggono sono ancora più assurde (e significative) della riflessione di Coyne. In tanti, ad esempio, vorrebbero più incontri per poter così imitare i teisti, infatti essi «si incontrano almeno una volta alla settimana in ogni città del mondo». Ad altri invece non importa nulla perché «non mi sono mai preso la briga di partecipare a nessuno di essi. Suonano come un po’ noiosi», qualcuno più ragionevole riconosce che «non riesco davvero a capire perché si dovrebbe andare dall’altra parte del pianeta per congratularsi con un lui/lei per aver compreso che non ci sono prove per gli esseri divini». C’è anche qualcuno che vede questi incontri utili per la possibilità di trovare marito, chi si inorridisce per il “culto dell’eroe ateo” e chi si augura un innalzamento del livello degli argomenti perché «abbiamo bisogno di parlare di più dei problemi concreti e molto meno di quanto i credenti sono stupidi».
Il neurochirurgo Michael Egnor, sul portale dell’Intelligent Design, ha pubblicato un simpatico contro-articolo che invitiamo a leggere: «E’ divertente notare che gli eroi atei, come Coyne, Dawkins, Harris, Hitchens ecc.., esaltino continuamente le profonde e nuove intuizioni che la scienza e la filosofia senza Dio hanno fornito all’umanità. Peccato che però non riescano nemmeno a tenersi reciprocamente svegli durante le presentazioni in Powerpoint. La caratteristica saliente dell’ateismo è la sua banalità».
44 commenti a Jerry Coyne: i raduni degli atei troppo monotoni e pieni di fanatici
Vorrei portare all’attenzione degli amministratori questa notizia, anche se con l’argomento non c’entra nulla ma l’ho trovato spulciando il sito riportato nell’articolo.
Praticamente il capo dell’associazione umanista inglese dopo che Dawkins aveva evitato di discutere per paura di essere umiliato(come anche riportato da Sam Harris nella frase ” William Lane Craig is the one Christian apologist who seems to have put the fear of God into my fellow atheists”) con il filosofo William Lane Craig ha accettato di discutere con lui ad ottobre, ce ne saranno delle belle.
http://www.evolutionnews.org/2011/06/uk_atheist_finally_agrees_to_d047421.html
Invece per quanto riguarda l’articolo penso che sia azzeccata la frase “gli atei sono noiosi perché parlano sempre di Dio”.
cit. di Heinrich Böll.
sicuramente i miltitanti dell’uaar sapranno confermare l’impressione di coyne!
Tra le questioni positive di questi incontri notate anche voi che i primi 4 punti sono per tentare di combattere la solitudine?
nè più ne meno delle sfide a briscola nei centri anziani 🙂
Almeno lì si divertono veramente! E certo non hanno bisogno di noleggiare gli autobus per convincere di essere così tanto contenti…!!!
O meglio…i primi 3 sono anti-solitudine, il 4) serve a creare il lobbysmmo, il 5)per promuovere il culto della personalità e l’ultimo è il più assurdo perché sappiamo bene quanto violente siano queste persone,
sinceramente io trovo molto più ridicoli i 5 punti positivi…
Sostanzialmente i militanti atei sono pochi e noiosi…peggio di così…detto pure da uno dei leaders!
” Peccato che però non riescano nemmeno a tenersi reciprocamente svegli durante le presentazioni in Powerpoint. La caratteristica saliente dell’ateismo è la sua banalità” 🙂
e quali ragioni dovrebbero avere??? all’ateismo ci si lascia andare quando il potere (i media ecc..) insinua in noi lo scetticismo e il vizio. non ha alcun richiamo interessante altrimenti.
Anzi, credo che se uno debba veramente prendere sul serio l’ateismo non possa che diventare masochista, depresso, nichilista e aspirante suicida. Per fortuna che gli atei veri non esistono.
Si’ Dawkins, Harris e Hitchens hanno nomi altisonanti, ma coprono il vuoto esistenziale del nichilismo.
Sono convinto che come contenuti non siano molto diversi dai nostri.
L’ateismo e’ una assenza, una mancanza.
Nessun ateo si pone il problema della felicita’.
Il nostro piu’ sincero “poeta” ateo e’ Vasco Rossi.
Nel “Manifesto della nuova umanita’” e’ bravissimo a mostrare la situazione disperata del senza Dio: “Ho fatto un patto con le mie emozioni – le la-scio vi-vere e loro non mi fanno fuoriii”.
Insegna di piu’ una poesia che mille discorsi di Odifreddi.
“Sono convinto che come contenuti non siano molto diversi dai nostri”..in che senso, scusa?
Nel senso che cambia poco rispetto a cio’ che dicono i nostri Odifreddi, Carcano, Hack e Garlaschelli sull’ateismo.
Ah! Ok! Pensavo i nostri nel senso di noi cattolici…!! Sono fuso, lo so.
La felicità non dev’essere un problema. Questa è una di quelle cose semplici, ma che i credenti recepiscono con estrema difficoltà e talvolta anche disagio. Per un credente la felicità ha qualcosa di losco: “sei felice, e magari senza esserti nemmeno posto “il problema”? Allora c’è qualcosa che non va..”
Di fatto il commento di Mr.Crowley è rivelatore al riguardo. Per Crowley, come d’altronde per gran parte dei credenti, l’essere umano nasce con una mancanza intrinseca, che solo l’incontro con il trascendente può colmare. Il procedimento mentale è questo, ridotto all’essenziale: “per me è così -> io penso che sia così -> io penso che dev’essere così per tutti -> è così per tutti”. Il pontificare dei credenti sulla “mancanza” ha solo fondamenta soggettive, che tali dovrebbero rimanere: “IO vivo una mancanza, quanto agli altri, non posso saperne nulla” sarebbe la formula corretta. Ma siccome così non è, il credente vive con questa profonda angoscia esistenziale della “mancanza”, e non stupisce che commiseri chi vive questa mancanza (che è nella mente del credente, però) senza poter ricorrere al trascendente, e che sia sospettoso verso chi afferma di vivere bene senza. Per il credente è impossibile, quindi pensa che dev’essere impossibile per tutti.
L’argomento è interessante, grazie. Ha una parte di verità senz’altro quanto dici, tuttavia è un ragionamento che l’uomo fa per tantissime altre questioni e non solo sulla “mancanza” come dici tu. Io ad esempio penso che un bambino di un anno non possa suonare in modo sensato il pianoforte. Ovviamente è una posizione personale e sono convinto che tutti la pensano come me e che tutti i bambini di un anno siano incapaci di farlo. E non devo certo aspettare che tutti i bambini di un anno facciano una prova al piano per convincermi.
Oppure, io sono innamorato di una ragazza. E’ un sentimento che provo io, che provano in tantissimi ma non certo tutti. Eppure sono convinto che questo sentimento sia presente anche all’interno di coloro che sono single o che non vogliono avere rapporti affettivi. C’è perché tutti gli uomini sono uguali. Ci sarebbero mille esempi, ma credo bastino questi per farti capire che noi siamo convinti della grande esigenza di significato dell’uomo perché partiamo da noi stessi e dagli uomini che incontriamo. Siamo tutti uguali in questo, non esiste nessuno che non voglia essere felici o che si accontenti veramente della vita (tant’è che non cercherebbe mai nient’altro).
Sono certezze morali di cui anche tu sei colmo. E parliamo di uomini e non di credenti o no.
Finalmente un’obiezione sensata e minimamente approfondita!!! Dovresti intervenire più spesso!
Bisognerebbe innanzitutto capire cosa si intende per felicità. Anche uno drogato che si è appena “fatto” è assolutamente felice, così come lo è un internato in un manicomio (come Nietzsche, ad esempio). Cosa intendi dunque per “felicità”? Che l’incontro cristiano sia un fattore unicamente liberante è testimoniato dalle miliardi e miliardi di convertiti della storia umana. Non ho mai sentito un neo ateo sostenere che il suo cambiamento lo ha reso più felice. Ho sentito che lo ha reso una persona più “razionale”, più “calcolatrice”, più “scettica” ma nessuno che parli di felicità trovata, di rinascita. Nessun cattolico invidia la felicità di un ateo, eppure è pieno di atei (anche celebri, si pensi a Norberto Bobbio ad esempio) che hanno sempre invidiato la gioia e la certezza dei credenti, pur rimanendo convintamente atei. Insomma, affrontiamo tutto l’argomento.
Anzitutto grazie per la buona disposizione con cui avete accolto il mio commento. Gli argomenti sono densi e meriterebbero interi libri, chiedo venia per non poterli liquidare con un’estrema sintesi.
@Flavio: non sarei così sicuro, come te, che io sia pieno di certezze morali. Bisognerebbe cominciare con il capire cosa intendiamo per morale, probabilmente cose diverse, e poi sondare quali sono le nostre certezze morali. E credo che scopriremmo che io ne ho molte di meno perché dal mio punto di vista il concetto di morale è appunto solo un concetto e quindi è soggettivo (ebbene sì, sono un relativista: tuoni e fulmini su di me).
E ora posso dire una parola sugli esempi che fai. Riguardo al bambino di un anno, non è una certezza morale quanto cognitiva. Il bambino di un anno è fisiologicamente impedito, e quindi siamo già sconfinati da un ambito morale a un ambito scientifico. Quanto all’innamoramento, è semplicemente falso che sia uguale per tutti. Gli uomini non sono affatto tutti uguali. Ne ho esperienza e penso che anche voi l’abbiate di ciò, anche se mi trovo a ricordarvelo: di fatto, le concezioni di amore sono tante quante sono gli esseri umani, e cambiano anche all’interno di una vita e di una stessa persona, e spesso cambiano anche all’interno di una stessa storia d’amore, col passare del tempo e il mutare delle condizioni e delle persone che la stanno vivendo. Quanto al fatto in sé che una buona maggioranza degli esseri viventi siano spinti alla riproduzione, qui si torna al fatto fisiologico e quindi si esce dall’ambito morale. Dico una buona maggioranza perché esistono anche persone anaffettive e/o asessuali, e peraltro, buona parte degli esseri umani attraversano nella loro vita fasi, periodi più o meno lunghi di anaffettività o asessualità. Generalizzare, quando si ha a che fare con la complessità delle manifestazioni viventi e umane, è quasi sempre scorretto, manca il punto. E quindi, tornando sull’argomento, affermare che il non credente vive una mancanza, di cui magari è addirittura inconsapevole, non potendo derivare dall’esperienza reale dell’intimità dell’altra persona di cui si sta parlando (che è impossibile), non può che derivare da un pregiudizio generalizzante, che parte dalla propria condizione personale e particolare (“per me la felicità è impossibile senza il trascendente”) e la estende impropriamente sul genere umano nella sua interezza. Attribuire all’universale ciò che è del particolare.
@Paolo Viti: ciò che dici è giusto, e però ti sarà chiaro dalla mia risposta a Flavio, che dal mio punto di vista è impossibile e comunque scorretto parlare di “che cos’è la felicità”. Ogni essere umano ha un’intimità, una profondità totalmente diversa non solo da quella degli altri sei miliardi di esseri umani, ma cambia anche all’interno della sua stessa vita, attraversa fasi, periodi, mutamenti; e anche in un istante singolo della sua vita, l’io è plurale, è una serie di istanze non tutte ugualmente consce, e spesso in conflitto tra loro. Quindi non si può parlare di “cos’è la Felicità”. Ci si può, al più, chiedere che cosa ci rende felici, che cosa rende felice me, che cosa rende felice te, perlomeno in questo momento, in questa fase della propria vita; e, volendo, si può poi approfondire il discorso sull’ambito morale e pratico, chiedendosi in che modo possiamo cercare di essere felici entrambi, per quanto possibile, collaborando insieme a questo risultato – ma staremmo già andando verso un altro argomento che non è il caso di aprire qui.
E comunque, anche chiedersi questo, non è detto che sia appropriato. Lo è da un punto di vista teoretico, è corretto, ma non è detto che la felicità si ottenga rincorrendola affannosamente, desiderandola, e interrogandosi angosciosamente su di essa, su cos’è, su cosa non è, se “questa” sia la “vera” felicità, o non piuttosto “quella”. C’è chi sostiene che si è felici quando si smette di chiedersi se si è felici, e probabilmente in questo detto c’è più verità di quanto possa sembrare a un primo impatto frettoloso.
Questi valgano come suggerimenti molto di base e posti in modo semplice. Un’ultima cosa da dire, però, è che la mia esperienza è profondamente diversa dalla tua; in quanto io ho conosciuto e conosco persone che hanno vissuto la fine delle proprie credenze religiose come una liberazione e che dopo hanno conosciuto una maggiore o una piena serenità interiore. E anche persone che non hanno mai avuto una credenza religiosa e che tuttavia vivono felicemente. Ovviamente avviene anche il caso contrario: anche una conversione può portare a maggiore o piena serenità interiore, prima sconosciuta, come nel caso di una mia carissima amica che adesso è monaca. Dipende dalla persona e dal caso, mi premeva sottolineare però che l’affermazione che non esistano atei che vivono meglio dopo aver perso la fede è controfattuale e che contrasta con la mia esperienza. Molti credenti ad affermazioni del genere rispondono che, in questi casi, il non credente di turno si sta solo illudendo (sempre e per forza), e che la sua non è “vera” felicità (misurando tale “verità”, come detto prima, unicamente sul proprio personale concetto soggettivo che quindi può valere al massimo per sé stessi in quella fase della propria vita), escludendo a prescindere che un non credente possa vivere bene senza il trascendente, solo perché non è possibile farlo per loro stessi. Ma confido che una simile ingenuità non appartenga ai miei attuali interlocutori.
Attendevo la tua risposta, che ripeto è molto appassionante.
Vorrei inizialmente farti notare una piccola contraddizione del pensiero relativista, cioè l’inesistenza della verità e del “tutto soggettivo”. Il tuo primo commento mi sembrava tutt’altro che un’opinione soggettiva, anzi sottolineavi l’errore dei credenti con una tale sicurezza che sembrava tu andassi ben oltre il “secondo me”. Quindi non è vero che i credenti si comportano con tale “arroganza”, ma è solo una tua opinione soggettiva? Non credi che sostenere con verità il fatto che tutto è soggettivo e che la verità non esista è tutto fuorché un atteggiamento da relativista? Anche in questo tuo interessante commento mi sembra che tu caschi ancora, sopratutto quando dici che “Gli uomini non sono affatto tutti uguali”. Credo che un relativista non possa affermare con tale impeto una tale (presunta) verità.
Tornando all’argomento, concordo sul primo esempio. Tuttavia la certezza morale è quella convinzione che l’uomo raggiunge attraverso il metodo della fede, della fiducia. Parlo di uomo, non di credente o meno. Prendendo il mio secondo esempio, mi pare che tu non l’abbia capito o io non mi sia espresso bene. Io, dicevo: sono certo moralmente che tutti gli uomini sono capaci d’innamorarsi (almeno potenzialmente), perché io ne sono capace. E’ un atto di fede, non una dimostrazione scientifica, ma raggiungo ugualmente un livello di certezza tale, che forse nemmeno le temporaneamente vere certezze scientifiche (cfr. Popper) mi possono dare. Infatti io non solo ne sono certo per l’oggi, ma anche di tutti gli uomini apparsi sulla Terra e di quelli che appariranno in futuro.
Come raggiungo tale certezza (ed è condivisa credo dalla totalità della specie umana)? Semplicemente attraverso una deduzione di fede: se io sono “fatto” così allora tutti gli uomini sono “fatti” così. Sbaglio? Ovviamente anche un relativista è costretto ad ammettere questa verità, almeno se intende implicarsi in qualche relazione affettiva. Basarsi sull’eccezione delle persone asessuali non porta molto lontano, anche perché esistono moltissimi studi che ritengono queste persone vittime di una patologia e non di un orientamento sessuale.
Parto dal fondo. L’idea di patologia è molto controversa quando riguarda questioni non fisiologiche, come sicuramente saprai. Quindi bisognerebbe accordarsi su cosa significa patologia; ma penso che saremo d’accordo sul non significare, con tale termine, semplicemente la diversità da un certo standard, senza che concorrano le altre determinazioni che oggigiorno si associano all’idea di patologia, e cioè disfunzionalità, conflittualità con le norme sociali, forte disagio consapevole, e via dicendo. Cose che non sono di necessità negli asessuali (anche questo lo so per esperienza).
Non è necessario credere che qualsiasi essere umano debba per forza essere capace di amare, per intraprendere una relazione affettiva: non c’è proprio il nesso. Posso amare una ragazza ed essere profondamente convinto che un mio amico x è del tutto incapace di provare amore per qualcun altro.
Quanto all’essere “fatti” in un certo modo, ti ho già risposto prima: non bisogna confondere l’ambito morale con quello fisiologico. Credere che la stragrande maggioranza degli esseri umani a un anno non può suonare Rachmaninov, prova spinte riproduttive e, ad esempio, ha due occhi, due mani, due orecchie, e se ingerisce cibo, ne trae nutrimento e espelle determinati rifiuti dopo alcune ore, (salvo gravi menomazioni, naturalmente), non è una “fede” in un’uniformità di qualche capacità morale, bensì riguarda questioni fisiologiche. Perciò, questo caso è profondamente diverso, e NON può essere paragonato a credere, per fede, che ogni essere umano ama a modo mio, solo perché io amo così. Nel primo caso parliamo di una realtà fisiologica, nel secondo caso di contenuti “morali”. Sicuramente ogni essere vivente, potenzialmente, può riprodursi ed è dotato delle spinte fisiologiche a farlo, spinte che nell’essere umano si esprimono anche narrativamente ed affettivamente; così come è dotato degli occhi o dell’apparato digerente. Diverso (e ingenuo) è credere che ogni essere umano debba vivere e narrarsi questa spinta allo stesso mio modo, solo perché è umano come lo sono io.
Sarebbe l’equivalente di sostenere che siccome, potenzialmente, ogni essere umano è capace di pensare, allora tutti dovrebbero pensarla necessariamente come me su ciascuna questione. Nel primo caso si parla di una capacità fisiologica; nel secondo caso, dei suoi contenuti, del modo in cui essa viene vissuta e declinata, che non può che essere differente per ciascun singolo essere umano. Non c’è nesso tra la prima cosa e la seconda; è un non sequitur.
Ovviamente il modo in cui ciascuno si sente felice e realizzato non può che dipendere dai contenuti della propria storia particolare e non si può in alcun modo paragonare alla “potenzialità” di sentirsi felici, che è (si spera) valida per ciascun essere vivente. Ecco perché il credente commette un errore nel giudicare che, poiché egli non può realizzarsi e sentirsi felice senza il trascendente, ciò debba essere valido per ogni essere umano. Usando le tue distinzioni, ciò che si può affermare è che ogni essere umano, potenzialmente, può sentirsi felice (così come ogni essere umano può amare): e questo nessuno lo mette in dubbio. Non si può inferirne, però, che tutti possano arrivarci allo stesso modo e -solo- in quell’unico modo valido per tutti. Ciascuno è felice a modo suo; ciascuno ama il proprio partner. Sarebbe un mondo ben difficile, quello in cui tutti amassimo la stessa persona e potessimo amare soltanto quella e soltanto tutti allo stesso modo!
Di fatto, la scuola orientale coglie molto più nel segno, dal mio punto di vista, quando afferma che si è tanto più autenticamente felici quanto più questa felicità non è legata alla soddisfazione di determinate esigenze, ma è invece libera, pura. E in questo senso, dal punto di vista del non credente, è il credente che ha una “mancanza”: cioè non è capace di sentirsi felice senza il trascendente; cosa che, invece, il non credente è in grado di fare: è una libertà o una facoltà, quindi, che al credente “manca”.
Quanto alla contraddizione che vuoi segnalare, è semplicemente un gioco linguistico, come dire che “non collezionare francobolli” è un hobby. In questo caso specifico c’è una confusione alla base tra un’obiezione di metodo (sull’attingimento di una conoscenza), e l’espressione di una conoscenza già attinta, confusione che genera un apparente paradosso: ma è solo apparente. Non voglio prolungare chilometricamente questi commenti, perciò mi fermo qui per ora su questo, ma nel caso, posso argomentare meglio e chiarire anche con esempi.
E’ vero è controversa ma c’è. Quindi ti basi su un aspetto controverso.
Se uno non avesse la certezza che tutti sono potenzialmente capaci di sperimentare amore e affetto verso un’altra persona (un fratello, la madre, la moglie, i propri figli) credo che lo porterebbero alla neurodeliri.
Ho già convenuto sul fatto che il mio primo esempio era poco significativo. Mi sono infatti concentrato sul secondo, e l’uomo è “fatto”, o meglio si “trova fatto” con una realtà fisica e misurabile e un’altra non misurabile, ed è quella che riguarda tutta l’area sentimentale, spirituale, affettiva, sociale ecc…Dedurre che tutti gli uomini ritrovino al loro interno questa sfera della personalità è un atto di fede, deducibile dal mio “io”.
Citi la “pericolosa” scuola orientale, che chiede di staccarsi dal mondo e dalla realtà per realizzare se stessi (detta anche “atarassia”). Noi invece diciamo un’altra cosa: l’uomo è fatto per qualcosa che non riesce a raggiungere mai, ha dentro una spinta che lo porta a desiderare sempre di più. Per questo i teologi dicono che l’uomo è rapporto con l’infinito. Non è affatto accontentabile, nulla gli basta mai. Ti sfido a trovare un uomo a cui la realtà gli basta davvero. Ogni cosa che fa l’uomo è una domanda, una richiesta di soddisfazione: perché cerchiamo una compagna? Per soddisfare quella “X”. E gli amici? Sempre per quella “X”. E la droga, e l’acool? Sempre per tentare di soddisfare quella “X”. E la ricerca scientifica? Sempre per quello. E l’accumulo di soldi? E la militanza politica?
E’ un vero peccato che non si conoscano più i grandi poeti, molto spesso non cristiani, che su questa insoddisfazione perenne ed inestirpabile dell’uomo hanno scritto delle cose memorabili. Cito Pavese (“Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E perché allora attendiamo”), cito P. Lagerkvist (“chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza”), cito Leopardi, cito Montale, cito Pavese, cito Rebora ecc… Per capire chi sia l’uomo veramente l’uso della scienza porta solo risultati parziali. Quei poeti scrivevano certe cose perché deducevano dal loro essere che tutti gli altri uomini avrebbero condiviso. E così è stato.
L’incontro cristiano non risolve affatto il problema della soddisfazione (della felicità), ma lo amplifica. E’ come un assetato nel deserto che trova un bicchiere d’acqua. Capisce che quello è ciò di cui ha bisogno ma dopo ha ancora più sete. E così cerca di avvicinarsi sempre di più alla sorgente.
Rispetto al relativismo non è affatto un gioco di parole. Che un relativista voglia sostenere l’esistenza di una verità è una contraddizione palese. Sostenere che la verità non esiste è sostenere una verità, ed è una contraddizione per il relativista.
“Eroi Atei” … ahahahahah, ma com’è possibile che si raggiungano certe vette di stoltezza e ridicolaggine ?
Odifreddi, Carcano, Hack e Garlaschelli, uniti per formare i Patetici 4 nostrani !
Mi chiedo sempre cosa abbiamo fatto di male noi italiani per avere questi 4 babbei mentre gli inglesi si possono permettere Dawkins, Harris e Hitchens!
Ovviamente anche questo è colpa del vaticano!
Ma che bello sapere che in questi raduni si parli di quanto sono stupidi i credenti…ho quasi la mezza intenzione di partecipare in incognito ad uno di questi registrando il tutto e poi diffondendolo su youtube
Ti lasceranno entrare? Secondo me è come nelle moschee islamiche dove si diffonde l’odio anticristiano nelle omelie…
Per entrare devi superare gli esami di ateismo come nell’ex urss se no vieni espulso.
Conosco Jerry Coyne (non personalmente) da un po’ di tempo, perche’ fu il relatore della tesi di dottorato di H. Allen Orr. Allen Orr e’ anche lui un famoso biologo evoluzionista ateo e non ne fa mistero ma, a differenza un po’ di Coyne, sa anche riconoscere gli aspetti positivi della religione e sa essere intellettualmente onesto, smontando molte delle accuse che i “New Atheists” muovono verso di essa.
Provate a leggere le recensioni che ha fatto sul New Yorker, per esempio sui libri di Dawkins:
http://www.nybooks.com/contributors/h-allen-orr/
Sono lunghe, ma vale la pena, fidatevi.
Molto interessante, grazie davvero! Userò il mio dopo cena per leggerle..!
Se poi hai 5 minuti, fammi sapere cosa te ne pare. Rinnovo anche il mio invito agli altri a leggerle 🙂
mi sono letto le risposte all’articolo e si capisce proprio che loro hanno costruito tutto questo attivismo per pura imitazione della chiesa cattolica e cristiana..anche se dietro a tutta l’organizzazione c’è il nulla completo, come qui dimostrato.
c’è di peggio, te lo dico io
nella mia zona c’è un gruppo di persone che vuole costruire un tempio per aspettare gli alieni il 21 dicembre 2012 , così li salvano dalla fine del mondo
chiedete a Ilaria Di Spirito , ha una pagina facebook o netlog
Di dove 6?
lei abita a quarto d’altino ,
io a Casale sul sile
contattata?
Bellissimo sito! E’ il mio primo commento e sono felice di aver trovato una contro-informazione così interessante sulla religione atea…lo cercavo da tempo- saluti!
Ciao! A chi lo dici..!! Benvenuto!
scusate…ma appena ho letto “i raduni degli atei” sono stato improvvisamente colpito da un atroce senso di noia e stanchezza, quindi ho smesso di leggere… 😀 😀
ah ah ah ah ah!!
http://www.uaar.it/uaar/cerimonie
sono delle vere porcate
Ho letto la pagina del link, ha ragione quell’ex membro uaar che disse “quelli dell’uaar sono gli unici cretini che sono stati capaci di creare una seconda chiesa in italia”.
Dove l’hai trovata questa frase?