La scienza nasce nel cristianesimo medievale: analisi storica
- Dossier
- 23 Nov 2010
Scienza e cristianesimo. Per molti un abbinamento eretico, ma non per gli storici che da decenni identificano l’origine della scienza moderna e del metodo scientifico nel Medioevo cristiano, sotto l’ala della Chiesa cattolica.
[pagina aggiornata a novembre 2024]
Dove e come nasce la scienza moderna?
Le due grandi condizioni perché sia possibile l’esistenza della scienza sono che nell’universo regni l’ordine e non il caos e che le leggi regolatrici di quest’ordine siano intelligibili da parte dell’intelletto umano. Queste convinzioni sull’Universo nacquero solo e soltanto nell’Europa cristiana. Perché?
In questo dossier (continuamente aggiornato) affronteremo le risposte e scopriremo, facendoci guidare da importanti storici della scienza, che all’origine della scienza moderna c’è la visione che il cristianesimo ha introdotto nel mondo.
- 5. LA SCIENZA NASCE NELL’EUROPA CRISTIANA
- 5.1 Primo cristianesimo e scienza
- 5.2 Medioevo, cristianesimo e scienza
- 5.3 Gli Scolastici e la fondazione delle università
- 5.4 I padri della scienza moderna vissero nel Medioevo
- 5.5 Nessuna rivoluzione scientifica nel Rinascimento
- 5.6 Gli scienziati del Rinascimento erano cristiani convinti
- 5.7 La Riforma protestante e la rivoluzione scientifica
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1. SCIENZA E CRISTIANESIMO: INTRODUZIONE
Alcuni si sorprenderanno di sapere che uno tra i più antichi elogi alla “scienza” è contenuto nella Bibbia.
E’ Dio che parla, e dice: «Ricevete la mia istruzione anziché l’argento, e la scienza anziché l’oro scelto. Poiché la saggezza vale più delle perle, tutti gli oggetti preziosi non la equivalgono» (Prv 8, 10-11).
I profeti biblici si riferirono alla scienza come sinonimo di conoscenza, di sapienza, di istruzione. Ma è con il Dio biblico che nasce la convinzione che l’universo è ordinato e può essere studiato.
Lo ha spiegato bene il premio Nobel per la chimica, Melvin Calvin, quando scrisse:
«Nel cercare di discernere le origini della convinzione sull’ordine dell’universo, mi pare di trovarle in un concetto fondamentale scoperto duemila o tremila anni fa, ed enunciato per la prima volta nel mondo occidentale dagli antichi ebrei: ossia che l’universo è governato da un unico Dio e non è il prodotto dei capricci di molti dèi, ciascuno intento a governare il proprio settore in base alle proprie leggi. Questa visione monoteistica sembra essere il fondamento storico della scienza moderna»1Melvin Calvin, Chemical Evolution, Oxford 1969, p. 258.
Perfino il noto ateista militante Peter Atkins, chimico dell’Università di Oxford, ha riconosciuto: «La scienza, il sistema di credenze fondato saldamente su conoscenze riproducibili e pubblicamente condivise, è emersa dalla religione»2Peter Atkins, The limitless power of science, Oxford University Press 1995, p. 125.
Nonostante ciò, la cultura antica non riuscì a sviluppare una vero e proprio metodo scientifico. Nelle società antiche era ancora diffuso il concetto politeista e, soprattutto, il metodo aristotelico che, come vediamo nell’apposito paragrafo, impedì uno studio scientifico della realtà.
Per la nascita della scienza bisognerà attendere il cristianesimo, come vediamo qui di seguito.
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2. LA SCIENZA NON NASCE NELLA CULTURA GRECO-ROMANA
«L’incapacità della Grecia e di Roma di aumentare la produttività attraverso l’innovazione è nota quanto l’incapacità degli storici, da Gibbon ad oggi, di renderne conto»3Stock B., citato in D.C. Lindberg, Science, Technology, and Progress in the Early Middle Ages, University of Chicago Press 1978, ha scritto lo storico franco-canadese Brian Stock, emerito di Storia e Letteratura medievale all’Università di Toronto.
Ma quali sono i motivi per cui la scienza non si sviluppò nell’antica Grecia e nell’antica Roma?
2.1 La scienza greca era basata su principi astratti
Chi invece identifica erroneamente le radici della scienza moderna nell’antica Grecia ignora il fatto che per svilupparsi avrebbe dovuto liberarsi dal concetto politeista e dal metodo aristotelico, dalla deduzione (senza verifica) di come dovesse essere l’universo, partendo da principi fissi.
Come ha scritto Bernard Cohen, storico della scienza dell’Università di Harvard, infatti, «gli ellenistici erano interessati a spiegare il mondo naturale solo attraverso principi generali astratti»4Bernard Cohen, La rivoluzione nella scienza, Longanesi 1988.
Le prime innovazioni tecniche, avvenute in epoca greco-romana, nel mondo islamico e in Cina, per non parlare di quelle ottenute nelle ere preistoriche, non costituirono una scienza ma piuttosto sapere, saggezza, arti, mestieri, tecniche, tecnologie, ingegneria, apprendimento o semplicemente conoscenza.
Anche senza l’utilizzo dei telescopi, gli antichi eccellevano nelle osservazioni astronomiche, ma esse rimasero dei meri fatti fino a quando non furono collegate a teorie verificabili. Le conquiste intellettuali dei greci o dei filosofi orientali, erano frutto di un empirismo a-teorico e le loro teorizzazioni non erano empiriche.
Lo ha spiegato nel suo importante volume Harold Dorn, storico della scienza presso lo Stevens Institute of Technology: «Il sapere greco esclusivamente ateorico fu una barriera per l’ascesa della vera scienza: non permise il progresso del mondo greco, di quello romano, né del mondo islamico, dove si preservarono e studiarono con attenzione gli insegnamenti greci»5Dorn H., The Geography of science, Hopkins University Press 1998.
Aristotele, ad esempio, insegnava che la velocità alla quale un oggetto cade a terra è proporzionale al suo peso e, quindi, che una pietra che pesa il doppio di un’altra cadrà due volte più velocemente6Aristotele, Il cielo, Rusconi Libri 1999. Sarebbe bastato recarsi ad una delle vicine scogliere per constatare la falsità della sua proposizione.
Se Socrate considerava l’empirismo e le osservazioni astronomiche una «perdita di tempo», Platone consigliava ai suoi studenti di «lasciar stare i cieli stellati»7citato in Stephem Mason, Storia delle scienze della natura, Feltrinelli 1971, p. 104.
2.2 Democrito e l’atomismo: pura speculazione
Democrito, considerato il fondatore dell’atomismo, suggerì correttamente che tutta la materia era composta da atomi ma si trattò di pura speculazione, non basata sull’osservazione e su implicazioni empiriche. Dal punto di vista del metodo scientifico, tale ipotesi aveva lo stesso valore di quella del suo contemporaneo Empedocle, per il quale la materia era composta da fuoco, aria, acqua e terra. Un secolo più tardi, Aristotele sostenne invece che la materia doveva essere costituita da caldo, freddo, aridità, umidità e quintessenza.
Alcuni polemisti moderni, a partire da Christopher Hitchens, hanno enfatizzato l’immagine degli antichi Greci e Romani come illuminata, scientifica e razionale contrapponendola al periodo medievale, descritto come oscuro ed impantanato nella superstizione.
Nel raccontare ciò hanno a lungo parlato proprio dell’atomismo di Democrito come una visione lungimirante, confermata dalla scienza moderna.
Eppure, come ha spiegato Nathan Johnson, storico dell’Università di Portsmouth, l’atomismo antico ha ben poco a che fare con le idee scientifiche moderne:
«Quelle parti dell’antico atomismo che ci sembrano familiari vengono celebrate come fondamenti prescienti. Il resto viene scartato. In realtà, le idee degli atomisti non erano più scientifiche né logiche della concezione di Mileto e Talete secondo cui tutto era effettivamente fatto di acqua, la convinzione di Eraclito che il fuoco fosse la base creativa del cosmo, l’idea di Anassimene che l’aria era l’elemento fondamentale di tutte le cose. Sostenere l’atomismo, privandolo dei suoi aspetti più strani e affermare che rappresenta una “verità epistemologica” è semplicemente un’illusione con il senno di poi»8Nathan Johnson, The New Atheism, Myth, and History: The Black Legends of Contemporary Anti-Religion, Palgrave Macmillan 2018, p. 133.
2.3 La filosofia greca impedì lo sviluppo della scienza
Gli antichi greci non erano scienziati, basavano le loro “teorie” sulla logica senza preoccuparsi di verificarle empiricamente. Basti ricordare che Bacone confutò le generalizzazioni di Aristotele secondo cui l’acqua calda gela più in fretta di quella fredda semplicemente mettendo all’aperto un contenitore con acqua calda e uno con acqua fredda e osservando quale gelava per primo.
Non si trattava di “scienza” quando Platone spiegava che i corpi celesti dovevano ruotare in cerchio perché questa, secondo gli standard della filosofia dell’epoca, era la forma ideale. Era invece scienza quando Keplero corresse Copernico postulando le orbite ellittiche, con il risultato empirico che i corpi celesti potevano essere osservati nella posizione in cui dovevano stare.
L’universo, per i greci, era eterno, increato ma vincolato in infiniti cicli di progresso e decadenza.
Un universo increato, anche se molti (a partire da Aristotele) presupponevano effettivamente un “dio” di infinita portata a guardia dell’universo, ma costui era percepito come un’essenza, che conferiva un’autorità spirituale, non certo un creatore.
Nemmeno Zeus poteva essere il creatore di un universo razionale: anch’egli era soggetto agli inesorabili meccanismi ciclici naturali di ogni cosa. Aristotele stesso condannò come «impensabile» l’idea «che l’universo iniziò ad esistere da un certo punto nel tempo»9citato in D.C. Lindberg, The beginning of Western Science, University of Chicago Press 1992, p. 54.
Dal canto suo Platone immaginava un “dio” molto inferiore a quello di Aristotele, denominato Demiurgo (anche se molti studiosi dubitano che lo intendesse come un vero creatore). L’idealismo platonico, fondato su ipotesi a priori, si affidava a un universo ciclico ed eterno, una sfera simmetrica circondata da corpi celesti con traiettoria di moto perfetto.
Le concezioni greche delle divinità non erano adatte per lo studio dell’universo e tutte le speculazioni dei maggiori filosofi greci, come quelle di Crisippo e Parmenide, furono a lungo di notevole intralcio alla scoperta scientifica.
Un’altra ragione che rese impossibile la nascita del metodo scientifico nel mondo antico è che i greci insistettero nel tramutare gli oggetti inanimati in esseri viventi. Appariva dunque inutile e privo di senso tentare di spiegarne i fenomeni naturali.
Aristotele, ad esempio, credeva che i corpi celesti si muovevano circolarmente per la loro affezione nei confronti di quell’azione e gli oggetti cadevano a terra «per il loro innato amore verso il centro della terra»10Aristotele, citato in Stanley Jaki, Science and Creation, Scottish Academic Press 1986, p. 105.
Il sapere greco, insomma, ristagnò nella propria logica interna.
E’ famosa la medicina di Ippocrate e Galeno ma, ha spiegato lo storico italiano Alessandro Barbero, si trattava di una medicina «completamente inefficace, perché la teoria galenica non ha il minimo fondamento scientifico e quindi nessun medico, antico o del Rinascimento, ha mai curato nessuno se non per caso, seguendo quei precetti»11Barbero A., Benedette guerre, Laterza 2019, pp. 57, 58.
A parte alcuni ulteriori sviluppi della geometria, poco accadde dopo Platone ed Aristotele.
L’impero romano assorbì anche la cultura greca, ma non fece apportò alcun progresso intellettuale in modo significativo12D.C. Lindberg, The beginning of Western Science, University of Chicago Press 1992.
Gli antichi romani, infatti, pensavano che la natura potesse essere imitata (tramite l’ingegneria), domata (tramite preghiere e sacrifici), ma non compresa (tramite scienza). In effetti, la loro tecnologia alla fine dell’Impero non era differente dalla tecnologia romana alla fine della Repubblica.
Nulla accadde nemmeno in Oriente, a Bisanzio, dove il sapere greco continuò a diffondersi.
Il filosofo francese Philippe Nemo, direttore e docente del Centro di ricerche in Filosofia economica presso la prestigiosa ESCP Europe, ha suggerito che ad impedire la nascita della scienza nel mondo antico, in particolare in quello greco, fu la mancanza di spirito critico.
Con una accurata riflessione, Nemo ha sintetizzato a sue parole quanto abbiamo espresso finora:
«Nella stessa Grecia, se la libertà critica avesse avuto nell’humus della civiltà pagana tutti gli elementi capaci di nutrirla, la scienza non vi sarebbe stata soffocata per così dire sul nascere. La filosofia antica non concepiva l’idea che si potesse, o addirittura si dovesse, “cambiare il mondo”. Solo quando migliorare il mondo divenne un dovere morale, la pratica della scienza trovò un motivo per svilupparsi su vasta scala: e questa spinta morale fu essenzialmente giudaico-cristiana […]. Se, dopo Anassimandro, Aristarco di Samo e Archimede, i greci non hanno prodotto, senza soluzione di continuità, Galileo e Newton, è proprio perché è venuta loro a mancare la dimensione morale. Gli antichi vivono nel mondo pagano governato dall’eterno ritorno di cicli e ricicli, in una struttura temporale che rende vano combattere radicalmente il male per far emergere un mondo nuovo. Un programma, questo, del tutto inconcepibile per loro. Nel mondo esisterà sempre una mescolanza di bene e di male: negli “anni d’oro” prevarrà il bene e negli “anni di ferro” prevarrà il male, ma ogni momento del ciclo sarà inesorabilmente seguito dal momento opposto, come l’inverno e l’estate si succedono nel ciclo delle stagioni. In queste condizioni, il progetto moderno di sviluppare la scienza per cambiare il mondo non poteva emergere nell’antichità pagana. È l’apporto biblico e cristiano che ha dato all’Europa questa aspirazione verso l’infinito, e che ha fatto di essa una “società aperta”»13Philippe Nemo, La bella morte dell’ateismo moderno, Rubbettino 2016, pp. 72, 102, 125.
Ovviamente, non bisogna nemmeno minimizzare il grande valore della cultura greca e il suo grande impatto sulla teologia cristiana e sulla vita intellettuale dell’Europa.
Non a caso gli scolastici e gli intellettuali cristiani del Medioevo (Sant’Agostino e San Tommaso in primis) si dissero debitori di Aristotele e degli altri filosofi dell’antichità.
Ma, usando le parole dello storico e sociologo delle religioni Rodney Stark (Baylor University), «lo sviluppo della scienza non risultò come il prolungamento del sapere classico. Fu la naturale conseguenza della dottrina cristiana: la natura esiste perché è stata creata da Dio e per amarLo ed onorarLo, è necessario apprezzare a fondo le meraviglie del suo operato»14Rodney Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2008, p. 46.
Occorre infine riflettere sul fatto che alcuni tendono a pensare che i greci fossero molto razionali e “scientifici” solo perché gli scribi cristiani, che letteralmente salvarono la cultura antica, erano più interessati ai loro pensieri razionali che alle commedie e le tragedie greche. La grande percentuale del pensiero scientifico greco negli scritti sopravvissuti ci dice infatti, paradossalmente, che i cristiani medievali che li hanno trascritti (permettendo la loro sopravvivenza), erano interessati alla scienza, non che i greci lo fossero in maniera particolare.
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3. LA SCIENZA NON NASCE NELL’ISLAM
Lo storico della scienza dell’Università di Harvard, A.N. Whitehead osservò che le immagini di divinità rintracciabili nelle religioni non cristiane, in particolar modo in Asia, sono troppo impersonali o irrazionali per poter incoraggiare la scienza, «manca quella fiducia che proviene dall’idea della razionalità intellegibile di un essere personale»15Alfred North Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Bompiani 1959.
Il Dio affermato dai musulmani non è affatto impersonale o irrazionale, come mai ciò non bastò per sviluppare il metodo scientifico nella cultura islamica?
Quel che osservato vari studiosi e storici della scienza è che Allah non è concepito come un creatore giusto, ma come un Dio estremamente attivo che si impone nel mondo come ritiene opportuno. Infatti, ciò ha originato un nucleo teologico islamico che condanna come blasfemia ogni tentativo di formulare leggi naturali, perché esse negano la libertà di azione di Allah.
Nel Corano non si accenna minimamente al fatto che Allah abbia messo in moto la sua creazione, semmai si ipotizza che spesso intervenga nel mondo e lo modifichi a suo piacimento.
3.1 La scienza araba proveniva dai dhimmi (cristiani ed ebrei)
Nella misura in cui acquisirono una cultura sofisticata, le élite islamiche la appresero dai popoli sottomessi: si trattò infatti della cultura dei dhimmi, i popoli non musulmani che dopo essere stati conquistati vivevano in terre islamiche, in gran parte ebrei e cristiani.
Quindi la cultura islamica si forgiò grazie alla cultura giudaico-cristiana/greca di Bisanzio, sommata al notevole sapere dei cristiani copti e dei nestoriani, più le vaste conoscenze della Persia zoroastriana e i successi matematici degli indù.
Questo sapere venne tradotto in arabo, continuò ad essere alimentato essenzialmente dalle popolazioni dhimmi che vivevano sotto regimi islamici, eppure mai si trasformò in “cultura islamica”.
«Coloro che perseguivano la scienza naturale», ha scritto infatti Marshall G.S. Hodgson, illustre storico dell’Islam presso l’Università di Chicago, «tendevano a conservare le loro più antiche credenze religiose come dhimmi, persino quando scrivevano in arabo»16M.G.S. Hodgson, The Venture of Islam, vol. 3, University of Chicago Press 1974, p. 344.
S.H. Moffett, professore emerito presso il Princeton Theological Seminary, ha osservato infatti che «il più antico libro scientifico nella lingua dell’Islam» fu «un trattato di medicina scritto ad Alessandria da un prete cristiano siriano e tradotto in arabo da un medico ebreo persiano»17Samuel H. Moffett, A History of Christianity in Asia, vol. 1, HarperSanFrancisco 1992, p. 344.
Anche la celebre architettura islamica (ammirabile nella città di Baghdad, nella Cupola della Roccia a Gerusalemme ecc.) fu opera dei dhimmi cristiani, persiani, bizantini, zoroastriani ed ebrei.
Parlando della scienza islamica, occorre subito osservare che anche i più famosi scienziati del mondo islamico erano persiani e non arabi. Ad esempio Avicenna, probabilmente il più autorevole degli scienziati-filosofi del mondo islamico, e così pure Umar Khayyām, Al-Biruni e Rhazes. Il padre dell’algebra, Al-Khwārizmī, era persiano, mentre il matematico Al-Uqlidisi era siriano.
I più importanti esponenti della scienza medica “islamica” erano invece cristiani nestoriani, come Bakhtīshū e Ḥunayn ibn Isḥāq. Ebreo era invece il famoso astronomo-astrologo Masha’allah ibn Athari.
Lo storico italiano Alessandro Barbero ha osservato che quella islamica era «una medicina fondata sulla teoria degli umori, la stessa medicina di Ippocrate e Galeno che sarà poi riscoperta in Occidente e che nel Rinascimento e nell’età moderna sarà praticata anche in Europa»18Barbero A., Benedette guerre, Laterza 2019, pp. 57, 58.
Eppure, ha proseguito Barbero, era «completamente inefficace, perché la teoria galenica non ha il minimo fondamento scientifico e quindi nessun medico, antico o del Rinascimento, ha mai curato nessuno se non per caso, seguendo quei precetti»19Barbero A., Benedette guerre, Laterza 2019, pp. 57, 58.
Al contrario, già nel Medioevo cristiano si studiò la chirurgia e fu «una propensione fondamentale della civiltà occidentale, questa verso la pratica, che si profila già nel Medioevo dei crociati»20Barbero A., Benedette guerre, Laterza 2019, pp. 57, 58.
E comunque, la medicina “musulmana” o “araba” era di fatto cristiana nestoriana: i più illustri medici islamici studiarono presso il prestigioso centro medico-intellettuale nestoriano di Nisibis, in Siria.
Lo scrittore musulmano Nasir-i Khrusau ammetteva nella metà del XI secolo che «in verità, qui in Siria, come in Egitto, gli scribi sono tutti cristiani ed è molto frequente che anche i medici siano cristiani»21citato in Francis Edward Peters, The Distant Shrine: THe Islamic Centuries in Jerusalem, A.M.S. Press 1993, p. 90.
Ad esempio, fu il cristiano nestoriano Hunaryn ibn Ishaq al-Ibadi (noto come Johannitius) che «raccolse, tradusse, corresse e diresse la traduzione di manoscritti greci, soprattutto quelli di Ippocrate, Galeno, Platone e Aristotele in siriaco e arabo»22William W. Brickman, The Meeting of East and West in Educational History, Comparative Education Review n. 5, 1961, p. 85, come ha scritto W.W. Brickman, presidente del dipartimento di Storia dell’educazione alla New York University.
Questa dipendenza dai cristiani è evidente anche per quanto riguarda i funzionari, già nel X secolo il teologo islamico Abd al-Jabbar riconosceva che «in Egitto, al Sham, Iraq, Jazira, Faris e nelle aree vicine i sovrani si affidano a cristiani per questioni di carattere ufficiale, di amministrazione centrale e di gestione dei fondi»23citato in Mosche Gil, A History of Palestine 634-1099, Cambridge University Press 1992, p. 470.
Non appena i dhimmi furono penalizzati, quella cultura sparì: quando nel XIV secolo i musulmani soffocarono qualunque forma di non conformità religiosa, l’arretratezza islamica in ambito culturale, scientifico e tecnologico divenne evidente.
Per quanto riguarda i famosi numeri arabi, essi erano interamente di origine indù e tale sistema numerico (basato sul concetto di zero) fu effettivamente pubblicato in arabo ma adottato soltanto dai matematici islamici, tra i quali ve ne furono sicuramente di pregevoli ma «forse perché si tratta di un argomento così astratto da mettere al riparo da qualsiasi critica di tipo religioso quanti se ne occupano»24Rodney Stark, La vittoria dell’Occidente, Lindau 2014, p. 454, ha commentato il sociologo Rodney Stark.
Lo stesso giudizio si potrebbe dare per spiegare la fiorente attività islamica nell’astronomia, in particolare nel XIII secolo.
3.2 L’Islam e la dipendenza da Aristotele
Per parecchi secoli molti scrittori europei hanno sottolineato l’approfondita conoscenza, da parte araba, degli autori classici, dando per scontato che, avendo accesso alla cultura degli antichi, l’Islam fosse culturalmente molto avanzato.
Tuttavia, il sociologo Rodney Stark ha sottolineato che «meno noto è il fatto che l’accesso alla cultura greca abbia avuto un impatto negativo su quella araba»25Rodney Stark, La vittoria dell’Occidente, Lindau 2014, p. 457.
Gli arabi infatti consideravano il sapere greco, in particolare l’opera di Aristotele, come un testo sacro a cui credere, piuttosto che tentativi di risposte da studiare26Caesar E. Farah, Islam: belief and observances, Barron’s Hauppaguge 1994, p. 199. Gli intellettuali musulmani leggevano tali opere con lo stesso atteggiamento con cui leggevano il Corano: verità rivelate, da accogliere senza domande o critiche.
Perfino uno dei più illustri filosofi islamici, Averroè divenne, assieme ai suoi seguaci, un aristotelico intransigente e dottrinario, proclamando l’infallibilità delle teorie greche: se un’osservazione fosse risultata incoerente con le visioni aristoteliche, allora essa doveva essere sicuramente scorretta o illusoria.
«In Aristotele, i pensatori musulmani trovarono la grande guida», ha scritto l’illustre storico mussulmano Caesar Farah, «per loro divenne il “primo maestro”. Avendo accettato questo a priori, la filosofia islamica, così come si sviluppò nei secoli successivi, scelse di continuare in quest’ottica e di soffermarsi su Aristotele invece di innovare»27Farah C.E., Islam: belief and observances, Barron’s Hauppaguge 1994, p. 199.
Tale atteggiamento impedì all’islam di proseguire nella ricerca del sapere partendo da dove i greci si erano fermati. Al contrario, tra i cristiani scolastici la conoscenza dell’opera di Aristotele fu di sprone per la sperimentazione e la scoperta.
Sylvain Gouguenheim, storico dell’Università Pantheon-Sorbona, ha inoltre osservato che «la cultura greca non tornò all’Occidente solo grazie all’Islam: a salvare dall’oblio i filosofi antichi sarebbe stato innanzitutto il lavoro dei cristiani d’Oriente, caduti sotto dominio musulmano, e dunque arabizzati»28Sylvain Gouguenheim, Aristotele contro Averroè. Come cristianesimo e Islam salvarono il pensiero greco, Rizzoli 2009.
A parte scoperte in campi molto specifici, nei quali non occorreva una base teoretica generale (come alcuni aspetti dell’astronomia e della medicina), non vi è da segnalare alcun progresso scientifico degno di nota nel mondo islamico.
A sostenerlo è stato anche Edward Grant, docente di Storia e Filosofia delle Scienze all’Indiana University, il quale ha scritto che «nella società islamica la scienza non era istituzionalizzata. La scienza, che oggi conosciamo, si sviluppò soltanto nella civiltà occidentale»29Edward Grant, Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi 2001, p. 5-6.
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4. LA SCIENZA NON NASCE IN CINA ED IN ORIENTE
Il filosofo Bertrand Russel trovò piuttosto sconcertante la mancanza di scienza in Cina30Bertrand Russel, The problem of China, Allen & Unwin 1922, p. 193, ma i motivi sono legati all’idea che per gli intellettuali cinesi l’Universo semplicemente è ed è sempre stato, senza alcun motivo di supporre leggi razionali da cercare e da studiare.
Nel corso dei millenni, furono cercate “illuminazioni” e non spiegazioni in quanto secondo la cultura orientale la saggezza si raggiunge attraverso un percorso di meditazioni e intuizioni mistiche, senza alcuna occasione d’esercitare l’uso della ragione applicata.
Se si vuole affrontare il tema dell’evoluzione scientifica nella società cinese non si può prescindere dall’opera di Joseph Needham31Joseph Needham, Scienza e civiltà in Cina, Einaudi 1981, biochimico e storico della scienza britannico, il quale ha dedicato la maggior parte della sua carriera alla storia della tecnologica cinese.
Needham riferisce che i cinesi nel XVIII secolo rigettarono l’idea di un universo governato da leggi semplici, indagabili dagli esseri umani: la loro cultura, secondo Needham, semplicemente non era ricettiva verso tali concetti.
I cinesi, scrive l’eminente storico della scienza, «avrebbero respinto con scherno una simile idea in quanto troppo ingenua per la impercettibilità e la complessità dell’universo così come da loro concepito»32Joseph Needham, Scienza e civiltà in Cina, Einaudi 1981.
Needham concluse che l’ostacolo alla scienza in Cina era causato dalla loro proprio dalla loro idea religiosa: «Non si era mai sviluppata la concezione di un legislatore celestiale e divino che impone leggi sulla Natura non umana. Era loro opinione che l’ordine in natura non fosse stabilito da un essere individuale razionale»33Joseph Needham, Scienza e civiltà in Cina, Einaudi 1981, p. 704.
In effetti, mentre i cristiani ritengono la natura come un libro fatto per essere letto, nelle religioni orientali non si presuppone una creazione dell’universo, nella loro prospettiva esso appare eterno e, per quanto possa seguire dei cicli, ciò avviene senza principio o senza scopo.
Come ha scritto Qiong Zhang, docente di Storia alla Wake Forest University, furono i missionari gesuiti occidentali a convincere il popolo cinese della validità della scienza occidentale, a partire dall’idea della sfericità della terra34Qiong Z., Making the New World Their Own. Chinese Encounters with Jesuit Science in the Age of Discovery, Brill 2015.
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5. LA SCIENZA NASCE NEL CRISTIANESIMO EUROPEO
Dopo aver analizzato i motivi per cui il metodo scientifico non riuscì a svilupparsi nelle civiltà pre-cristiane e non cristiane, rivolgiamoci nel dettaglio a capire perché la scienza si sviluppò soltanto nel cristianesimo e nell’Europa cristiana.
Nel maggio 2011 sul sito web di Nature, una delle riviste scientifiche più importanti del mondo, è stata pubblicata una recensione al saggio di James Hannam, dottore in Storia e Filosofia della Scienza presso l’Università di Cambridge, intitolato The Genesis of Science: How the Christian Middle Ages Launched the Scientific Revolution (La nascita della scienza: come il cristianesimo medioevale ha lanciato la rivoluzione scientifica) (Regnery Pub 2011).
L’opera è stata anche selezionata per l’assegnazione del Royal Society Science Book Prize nel 2010 che per il British Society for the History of Science Dingle Prize nel 2011). Si tratta di un’accurata ricostruzione storica sull’origine della scienza moderna.
Ecco come scrive l’eminente studioso Hannam nel libro su scienza e cristianesimo:
«I cristiani hanno sempre creduto che Dio ha creato l’universo e ordinato le leggi della natura. Studiare il mondo naturale significava ammirare l’opera di Dio. Questo “dovere religioso” ha ispirato la scienza quando c’erano pochi altri motivi per preoccuparsi di essa. È stata la fede che ha portato Copernico a respingere l’universo tolemaico, a spingere Keplero a scoprire la costituzione del sistema solare, e che convinse Maxwell dell’elettromagnetismo»35Hannam J., The Genesis of Science: How the Christian Middle Ages Launched the Scientific Revolution, Regnery Pub 2011.
E’ la stessa tesi a cui è giunto Philippe Nemo, filosofo francese e direttore del Centro di ricerche in Filosofia economica presso l’ESCP Europe:
«Se quindi lo spirito scientifico ha prosperato meglio nell’Europa moderna, è in quanto un elemento nuovo si era mescolato alla antica razionalità greca. Questo elemento nuovo altro non è che la coscienza che hanno avuto i teologi e i filosofi del mondo cristiano dei limiti della ragione. La ragione umana può dimostrare che essa non conosce ogni cosa e, trattandosi di Dio, che essa non conosce nulla (anche se Dio è conosciuto altrimenti). Ora, a differenza dello scetticismo greco, che è puramente negativo, la tradizione della teologia cristiana (apofantica, in particolare) mostra che si può progredire nella conoscenza tramite il fatto stesso che si rinuncia a una certa conoscenza idolatrica, troppo sicura di sé: conoscere Dio significa proprio dimostrare che è inconoscibile. Così, il fatto stesso di prendere coscienza dei propri limiti può aiutare la ragione umana a espandere quegli stessi limiti»36Philippe Nemo, La bella morte dell’ateismo moderno, Rubbettino 2016, pp. 72, 102, 125.
5.1 Primo cristianesimo e scienza
Non appena il cristianesimo si diffuse abbastanza uniformemente nella società antica, divenne predominante l’idea ebraico-cristiana della libera creazione da parte di Dio e questo passaggio, secondo gli storici della scienza, fu la novità fondamentale per lo sviluppo del metodo scientifico.
Lo storico e filosofo dell’Università di Bruxelles, Lèo Moulin, ha spiegato ad esempio:
«Mi sono chiesto perché l’unica civiltà tecnologica e scientifica sia la nostra. Ho cercato di trovare le ragioni, posso garantire che ci rifletto da parecchio tempo, e l’unica spiegazione che ho trovato è la presenza del terriccio, dell’humus della cristianità. Perché? Perché Dio ha creato un mondo diverso da Lui, non si integra in esso»37Leo Moulin, L’Europa dei monasteri e delle cattedrali, Meeting per l’amicizia fra i popoli, Rimini 27/8/87.
Per scoprire come effettivamente funzioni l’universo non vi è alternativa dall’andare a vedere direttamente ciò che il Creatore aveva in mente. Il cammino dalla creazione (e dalle creature) al Creatore risultò la strada più ovvia per arrivare alla comprensione e alla conoscenza di Dio.
A ciò contribuì inoltre il fatto cristiano della venuta di Cristo, perché come ha affermato Peter E. Hodgson, docente di Fisica dell’University College London, «l’incarnazione di Cristo ha fornito ulteriori convinzioni per la scienza: ha spezzato l’idea che il tempo fosse ciclico, ha nobilitato la materia pensando che fosse adatta a formare il corpo e il sangue di Cristo; ha superato il panteismo, dichiarando che la materia è creata e non generata». Tutte convinzioni «necessarie per lo sviluppo della scienza».
Dopo Cristo, non si poté più procedere secondo il metodo greco semplicemente ragionando sull’universo a partire da principi filosofici a priori, per conoscere Dio creatore occorreva studiarne la creazione.
La magia e l’astrologia, in quanto fondate sull’animismo e sul politeismo panteista, cominciarono ad essere considerate pure e deprecabili superstizioni, solo nell’Europa cristiana l’alchimia si evolvette in chimica e l’astrologia condusse all’astronomia. Si affermò gradualmente la concezione di un universo come “creatura” da studiare ed indagare, non un’insieme di divinità, o un “animale divino”.
Ecco come Philippe Nemo, filosofo francese e direttore del Centro di ricerche in Filosofia economica presso l’ESCP Europe, ha spiegato la novità introdotta dal cristianesimo in cui radicò la scienza moderna:
«Proprio il superamento delle convinzioni del mondo pagano permise la liberazione dei limiti della ragione, d’altra parte la convinzione di Karl Popper per cui ogni verità scientifica può essere rimessa in causa, mediante fatti, mediante ragionamenti, mediante nuovi paradigmi che, essi stessi, devono poter esser proposti da uomini e istituzioni libere è nata su un humus cristiano. Essa percorre in effetti i grandi dibattiti europei sulla tolleranza che hanno avuto luogo nel Medio Evo (Abelardo, Nicola Cusano), al tempo dell’umanesimo (Pico della Mirandola, Montaigne, Bodin, ecc.) e nei secoli XVII-XVIII. È in nome dell’inafferrabile verità cristiana che si combattono le posizioni cristiane troppo dogmatiche […]. Solo una civiltà moralmente trasformata dal cristianesimo, cioè animata dall’etica e dalla escatologia bibliche, poteva conferire alla scienza il dinamismo che le è stato proprio nell’Europa dei tempi moderni. Ciò che, a partire dal XVIII secolo, si chiamerà il “progresso”, non è altro che l’idea cristiana laicizzata […]. È proprio l’avviamento etico ed escatologico del tempo della Storia attraverso la Bibbia la fonte più profonda dell’origine della scienza in Occidente, dopo i primi tentativi dei greci»38Philippe Nemo, La bella morte dell’ateismo moderno, Rubbettino 2016, pp. 73, 102, 125.
D.C. Lindberg, professore emerito di Storia della Scienza presso l’Università del Wisconsin–Madison, ha usato come esempio di ciò la figura di Giovanni Filopono, cristiano di Alessandria, vissuto nella prima metà del VI secolo, insegnate di filosofia alla scuola di Alessandria.
La tesi di fondo dell’anti-aristotelismo di Filopono, infatti, «era la negazione della dicotomia posta da Aristotele tra regioni terrestri e regioni celesti del mondo», da cui «ne consegue che i cieli non possono essere divini, e ciò metteva Filopono in grado di tirare una netta linea di demarcazione tra il Creatore e il resto della sua creazione (tanto celeste quanto terrestre). Una dottrina aristotelica fondamentale crollava così di fronte alla dottrina cristiana»39David C. Lindberg, Ronald Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. 33.
Filopono procedeva con acutezza argomentativa, prosegue Lindberg, «in modo alquanto rigoroso e – come gli storici della scienza non hanno mancato di sottolineare – con effetti positivi per l’andamento a venire della cosmologia»40David C. Lindberg, Ronald Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. 33.
Un altro esempio citato da Lindberg è San Pier Damiani (1007- 1072), per il quale «la fede in Dio favorisce lo studio del mondo esteriore e materiale, con un duplice proposito: predisporre dentro di noi la contemplazione della sua natura invisibile e spirituale, così che ci si disponga ad amare e ad adorare meglio il Signore; e renderei capaci di conseguire un dominio sul mondo siccome sta scritto in Sl 8,6-9»41in David C. Lindberg, Ronald Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. 42.
Certo, nessuno nega che la scienza nacque nel cristianesimo come “serva” della teologia, cioè per capire l’opera di Dio, per fornirne una spiegazione.
Sempre D.C. Lindberg ha ricordato infatti che «per quanto i primi Padri della Chiesa non giudicassero l’indagine del mondo materiale un fatto di priorità assoluta, tuttavia neppure reputavano priva di senso tale indagine. Ai loro occhi, la conoscenza degli enti materiali era valida ai fini dell’esegesi biblica e della difesa della fede, il che, senza dubbio, riduceva la scienza a un ruolo ancillare, ma era ben lungi dal sopprimerla»42David C. Lindberg, Ronald Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. XXV, XXVI.
5.2 Medioevo, cristianesimo e scienza
Se la nuova e radicale idea introdotta dal cristianesimo pose le basi filosofiche per la necessità dello studio scientifico dell’universo, l’affermazione e lo sviluppo della scienza moderna si sviluppò a partire dal Medioevo. Vediamo cosa dicono gli studiosi.
Uno dei più importanti storici della scienza, Edward Grant, docente all’Indiana University e presidente della History of Science Society, è autore di un libro il cui titolo dice già molto: Le origini medievali della scienza moderna (Einaudi 2001).
Ecco cosa scrive Grant nell’introduzione:
«Che cosa permise alla scienza di acquistare prestigio e influenza e di diventare nel secolo XVIII, una forza potente nei paesi dell’Occidente europeo? Le risposte a queste domande vanno ricercate in alcune istituzioni e in alcuni atteggiamenti mentali, che si affermarono nella società occidentale fra il 1175 e il 1500. Erano nuovi in Europa e furono unici al mondo»43Edward Grant, Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi 2001, pp. 5-6.
Nella sua opera Grant ha individuato e analizzato44Edward Grant, Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi 2001, pp. 5-6]/mfn] dettagliatamente questi tre fattori-chiave:
1) la traduzione (e la salvaguardia) in lingua latina da parte degli amanuensi medievali dei testi greco-arabi di scienza e di filosofia naturale;
2) la creazione delle università medievali;
3) l’emergere di filosofi teologico-naturalisti.
La ricerca del sapere era insita nella teologia, in quanto lo sforzo di comprendere pienamente Dio era esteso fino a includere la creazione divina: nacque così la filosofia naturale (nell’Alto Medioevo quasi tutti i teologi erano anche filosofi naturali).
Nella sua celebrata opera del 2009, il filosofo James Hannam ha avuto il merito di portare ad un vasto pubblico non accademico il modo in cui la scienza e vari aspetti della filosofia naturale hanno funzionato nella società medievale e hanno gettato le basi per la scienza moderna.
«Il contributo più significativo dei filosofi naturali del Medioevo», ha scritto lo studioso, «era di rendere la scienza persino concepibile. La loro convinzione centrale che la natura fosse stata creata da Dio e così degna della loro l’attenzione era ciò che Galileo sosteneva con tutto il cuore. Senza quella consapevolezza, la scienza moderna non sarebbe semplicemente nata»45James Hannam, La genesi della scienza. Come il Medioevo cristiano ha posto le basi della scienza moderna, D’Ettoris 2015, p. 342, 343.
Uno dei più importanti storici del Medioevo, Richard William Southern, presidente del Royal Historical Society, si è spinto ad affermare che i teologi scolastici fecero «apparire l’uomo più razionale, la natura umana più nobile, l’ordine divino dell’universo più aperto all’osservazione umana e tutto l’insieme di uomo, natura e Dio più pienamente comprensibile di quanto possiamo oggi credere plausibile»46Richard William Southern, Medieval Humanism and Other Studies, Harper Torchbooks 1970, p. 49.
Concludendo, poi: «Considerando lo sforzo di comprendere la struttura dell’universo e di dimostrare la dignità della mente umana facendo vedere che può conoscere tutte le cose, questo sistema di pensiero è una delle più ambiziose manifestazioni di umanesimo scientifico mai tentate»47Richard William Southern, Medieval Humanism and Other Studies, Harper Torchbooks 1970, p. 49.
A sua volta, il filosofo e matematico Alfred North Whitehead ha osservato che la scienza ha potuto nascere nel cristianesimo europeo perché solo gli europei del Medioevo credevano che la scienza fosse possibile, basandosi sull’immagine di Dio e della sua creazione, fornita dalla teologia cristiana: l’indagine scientifica ebbe origine grazie «alla fede nella possibilità della scienza […] derivante dalla teologia medievale»48Alfred North Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Bollati Boringhieri 2001, p. 13.
E’ dunque il Medioevo, ancora oggi erroneamente identificato come “secoli bui”, ad essere stato la culla della scienza moderna.
Come hanno scritto due prestigiosi storici della scienza, David C. Lindberg (già presidente della History of Science Society) e Ronald Numbers (University of Wisconsin–Madison), «i vecchi cliché circa la repressone perpetrata dalla teologia verso l’impresa scientifica durante l’età patristica e medievale sono stati ormai confutati in modo deciso»49David C. Lindberg, Ronald Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. XXI.
Lo stesso giudizio lo ha fornito l’eminente filosofo e storico della scienza, Alfred North Whitehead:
«Il più grande contributo del medievalismo alla formazione del movimento scientifico fu l’incrollabile convinzione che ci fosse un segreto, un segreto che può essere svelato. In che modo questa convinzione si è radicata così profondamente nella mente europea? Dovette arrivare dall’insistenza medievale sulla razionalità di Dio. Ogni dettaglio fu indagato e ordinato: la ricerca all’interno della natura poteva portare soltanto alla giustificazione della fede nella razionalità»50Alfred North Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Bompiani 1959, p. 12.
5.3 Gli Scolastici e la fondazione delle università
Non soltanto i padri della scienza moderna erano figli del cristianesimo e guidati da una forte fede cristiana ma poterono confrontarsi grazie alle Università, sorte proprio durante il Medioevo.
Furono gli scolastici, brillanti studiosi medievali, a fondare le grandi università europee, a formulare e insegnare il metodo sperimentale e a dare ufficialmente inizio alla scienza occidentale.
Il sociologo delle religioni Rodney Stark ha dedicato loro ampio spazio, spigando che le grandi innovazioni scientifiche «furono il culmine di molti secoli di progressi sistematici portati avanti dagli scolastici medievali e sorretti da un’invenzione del XII secolo prettamente cristiana: l’Università. Scienza e religione non erano solo compatibili, ma addirittura inseparabili, e la scienza nacque grazie a studiosi cristiani profondamente religiosi»51Rodney Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2008.
«Fu soltanto perché Bacone, Grossatesta e altri scolastici combatterono e vinsero la battaglia per l’empirismo, che fu possibile la nascita della scienza»52Rodney Stark, La vittoria dell’Occidente, Lindau 2014, p. 269, ha aggiunto Stark.
L’attenzione intellettuale degli scolastici per l’empirismo fu al centro del metodo educativo delle Università. Le prime università nacquero in Italia, precisamente a Bologna verso il 1088. Poi in Europa, e non nel resto del mondo.
E’ in questi luoghi, spesso di origine ecclesiastica e sotto il protettorato pontificio, che studiarono Galilei e gli altri padri della scienza e della medicina moderna, come hanno dimostrato gli studi di José Alberto Palma della New York University e di Giorgio Cosmacini, maggior storico della medicina italiano.
«Le Università, come le cattedrali e il parlamento, sono il prodotto del Medioevo»53Charles Homer Haskins, Le origini dell’Università, Il Mulino 1970, p. 3, ha scritto C.H. Haskins, il primo storico del medioevo degli Stati Uniti.
Nat Schachner, a sua volta, osservò: «L’università era la figlia prediletta e viziata del papato. I Papi intervenivano con linguaggio minaccioso per costringere i re a rispettare l’inviolabilità di questa istituzione privilegiata»54Nat Schachner, The Medieval Universities, Frederick A. Stokes 1983, p. 3.
In The Scientific Revolution, manuale della Oxford University Press che riassume lo stato delle nostre conoscenze su tale argomento, il grande storico della scienza Lawrence M. Principe individua a sua volta l’antefatto della rivoluzione scientifica del XVI e XVIII secolo proprio nella fondazione delle università nell’Italia medievale, in quanto «degli sviluppi chiaramente moderni in campi come la medicina, l’ingegneria, l’economia erano ben stabiliti nell’Italia, molto prima che apparissero in aree più periferiche dell’Europa di allora come l’Inghilterra»55Principe L.M., The Scientific Revolution: A Very Short Introduction, Oxford University Press 2013.
Gli scolastici medievali in quanto fondatori delle università e del “metodo universitario”, sono oggetto di studio anche di Marcia L. Colish, docente di Storia alla Yale University, la quale scrive:
«La metodologia già in atto all’inizio del XII secolo mostra la volontà e la prontezza degli scolastici nel criticare i documenti basilari nei rispettivi campi. Più che limitarsi a ricevere e divulgare le tradizioni classiche e cristiane, di quelle tradizioni accantonarono le idee che consideravano non essere più di alcuna utilità. I commentari raramente erano semplici compendi o spiegazioni delle opinioni degli autori. I commentatori scolastici erano molto più inclini a confrontarsi con l’autore scelto o a paragonare il suo lavoro con le idee delle emergenti scuole di pensiero e lo opinioni stesse degli scolastici»56Marcia L. Colish, La cultura del Medioevo, 400-1400, Il Mulino 2001, p. 266.
In poche parole, si acquisiva fama e inviti ad insegnare in altre università grazie all’innovazione: non chi conosceva Aristotele parola per parola, ma chi aveva trovato errori in Aristotele.
E’ nota l’affermazione del professore di teologia Guglielmo d’Alvernia (1180-1249) ai suoi studenti all’Università di Parigi: «Non vi venga in mente che voglio usare le parole di Aristotele per conferire autorità alle cose che sto per dire, perché so che richiamarsi a un’autorità è solo dialettica e può produrre soltanto fede, mentre è mio obbiettivo, sia in questa dissertazione che ovunque mi sia possibile, esibire certezza dimostrativa»57citato in Edward Grant, Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi 2001, p. 148-149.
a) La nascita dell’anatomia nelle università pontificie
L’anatomia fu una delle prime specializzazioni che si svilupparono una volta che la teologia cristiana divenne predominante.
Fu infatti nelle università italiane pontificie che furono fatte le prime dissezioni anatomiche e divennero rapidamente obbligatorie in tutte le università europee, proprio in quanto fin dal principio tali istituzioni furono dominate dall’empirismo e alle prove osservazionali. Mentre greci, romani, musulmani e cinesi proibirono la dissezione umana, la teologia cristiana sostenne che unico è l’anima non il corpo e questo contribuì enormemente nello studio della fisiologia e dell’anatomia.
«L’introduzione della dissezione umana nell’Occidente latino, avvenuta senza obiezioni da parte della Chiesa, fu un fatto importantissimo»58Edward Grant, Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi 2001, p. 205, ha scritto Edward Grant.
Un piccolo excursus storico della storia dell’anatomia.
Nel 1204 Ugo de’ Borgognoni fondò la scuola di chirurgia a Bologna, confutò le teorie galeniche sulla guarigione delle ferite utilizzando il vino, fasce e suture ed anticipò di secoli la scoperta dell’antisepsi; nel 1310 il fondatore della scuola medica parigina, Henri de Mondeville (1260 – 1320), aprì la strada al trattamento asettico delle ferite e all’uso di suture; nel 1316 Mondino dei Luzzi pubblicò Anatomia, il primo trattato sulla dissezione; nel 1370 Giovanni di Arderne, padre della chirurgia inglese, inventò metodi efficaci per l’anestesia e curò per la prima volta la fistola anale, che elevò il tasso di sopravvivenza dei cavalieri del cinquanta per cento; nel 1391 fu condotta la prima dissezione in Spagna; nel 1404 toccò all’Austria e a metà del 1400 il sezionamento del corpo umano era una pratica abituale dei corsi di anatomia in tutta Europa59Rodney Robert Porter, The Greatest Benefit of Mankind, W.W. Norton 1998.
Sulla storia dell’anatomia, il filosofo Stefano Zecchi, ordinario di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano, ha a sua volta spiegato:
«L’origine anche medievale della scienza moderna è ben evidente qualora si studi la nascita dell’anatomia. Essa infatti sorge con le prime dissezioni di cadaveri umani, intorno al 1315 a Bologna. Per lungo tempo Bologna, Padova e Roma saranno le capitali mondiali di questa nuova scienza, abbondantemente favorita, come è chiaro dagli studi più recenti, dalla Chiesa cattolica»60Stefano Zecchi, Storia dell’estetica, antologia di testi, vol. I, Il Mulino 1995, p. 126, 159.
5.4 I padri della scienza moderna vissero nel Medioevo
Furono i grandi studiosi del Medioevo che porteranno alla cosiddetta “rivoluzione scientifica” rinascimentale, a loro si riferiva Isaac Newton quando spiegò di aver visto più lontano di altri perché «stavo sulle spalle di giganti».
Ecco una breve presentazione di questi “giganti” del Medioevo.
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- Il teologo Roberto Grossatesta (1175–1253), rettore dell’Università di Oxford, che apportò importanti contribuiti all’ottica, alla fisica e allo studio delle maree. Rifiutò la teoria aristotelica dell’arcobaleno e fu il primo a capire che esso dipende dalla rifrazione della luce. Separò inoltre l’astronomia dall’astrologia e fondò quello che in seguito venne chiamato “metodo scientifico”: insegnava, infatti, la partenza dal caso particolare per formulare una legge universale in campo naturale e poi applicarla per fare previsioni su tutti gli altri casi (“principio di risoluzione e composizione”).
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- Il vescovo Alberto Magno (1200-1280), maestro di Tommaso d’Aquino all’Università di Parigi, il quale sottopose a prove empiriche le affermazioni di Aristotele e di altri filosofi greci classici, insegnando a non limitarsi ad accettare la cultura classica ma a mettere in dubbio la sapienza ricevuta e a cercare osservazioni affidabili. Arrivò a dare contributi importanti in geografia, astronomia e chimica (per questo ricevette il titolo di Doctor Universalis).
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- Il francescano Ruggero Bacone (1214-1294), indicato come il “primo scienziato”. Fece suo il metodo scientifico di Grossatesta e lo ampliò, contrapponendo l’empirismo all’autorità: «Non possiamo distinguere tra sofisma e dimostrazione, a meno che sappiamo noi stessi arrivare alla conclusione dimostrandola»61citato in N.W. Fisher, S. Unguru, Experimental Science and Mathematics in Roger Bacon’s Throught, Traditio n. 27, 1971, p. 358. Nel suo Opus Maius, scritto per Papa Clemente IV, Bacone previde le future invenzioni del microscopio, telescopio e macchine volanti. Con la sua «immaginazione scientifica», ha scritto lo storico di Oxford John Henry Bridges, «Bacone mise il mondo sulla strada giusta verso la scoperta» delle sue previsioni, indicando un metodo che richiedeva che «esperimento e osservazione fossero combinati con la matematica»62John Henry Bridges, The Life and Work of Roger Bacon, William&Norgate 1914, p. 162.
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- Il monaco Guglielmo di Ockham (1285-1349), famoso per il suo rasoio, con il quale intendeva sostenere che le teoria non dovrebbero comprendere più termini e principi di quelli necessari per spiegare l’argomento in questione, Ma il suo contributo più importante fu nella comprensione del cosmo: eliminò la necessità di “motori” (come teorizzato dai greci) per spiegare il movimento dei corpi celesti, scoprendo che lo spazio è un vuoto senza attrito. Anticipò la Prima Legge del Moto di Newton ipotizzando che, una volta che Dio aveva messo in moto i corpi celesti, non essendoci attrito avrebbero continuato a restare in movimento per sempre.
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- Giovanni Buridano (1300-1358) introdusse il concetto di inerzia (impetus) che spiegava e dettagliava l’intuizione di Ockham.
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- Il vescovo Alberto di Sassonia (1316-1390), allievo di Buridano, oltre a fondare l’Università di Vienna e diventarne il primo rettore nel 1365, ampliò il concetto di inerzia inserendo il contributo della gravità terrestre.
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- Il vescovo Nicola d’Oresme (1320-1382) compì un importante passo verso l’eliocentrismo, sostenendo che la Terra ruota attorno al proprio asse cosa che dà l’illusione che siano gli altri corpi a ruotarle attorno: non seppe dimostrarlo ma la ritenne la spiegazione più semplice rispetto all’immenso numero di corpi celesti in rotazione attorno ad essa.
- Il vescovo Nicola Cusano (1401-1464) orientò a sua volta gli studiosi verso l’eliocentrismo osservando che «sia che un uomo si trovi sulla Terra, sul sole o su qualche altra stella, gli sembrerà sempre che la posizione che sta occupando sia il centro immobile, e che gli altri corpi siano in movimento»63citato in Dennis Danielson, The Book of the Cosmos: Imagining the Universe from Heraclitus to Hawking, Perseus 2000, p. 98. Perciò ne dedusse l’impossibilità a fidarsi della propria percezione sul fatto che la Terra sia ferma nello spazio la quale, sostenne, certamente si muove.
5.5 Nessuna rivoluzione scientifica nel Rinascimento
«Se ho visto più lontano è perché stavo sulle spalle di giganti», disse Isaac Newton.
E chi erano questi giganti, se non i grandi pensatori cristiani del Medioevo?
Ecco cosa scrive infatti A.C. Crombie, primo docente ad insegnare Storia della scienza all’Università di Oxford:
«Il sentimento che avrebbe inspirato gran parte della scienza del tredicesimo secolo era stato in realtà espresso già all’inizio di quel secolo dal fondatore (san Francesco d’Assisi) di un ordine che avrebbe dato tanti grandi innovatori al pensiero scientifico occidentale, particolarmente in Inghilterra. Fu questo, non vi è dubbio, il sentimento che inspirò Grossatesta, Ruggero Bacone e Peckham a Oxford»64Alistair Cameron Crombie, Da Sant’Agostino a Galileo. Storia della scienza dal quinto al diciassettesimo secolo, Feltrinelli 1970, pp. 149, 150.
Così come non ci furono i “secoli bui”, non ci fu neppure una “rivoluzione scientifica” nel Rinascimento.
«L’idea che ci sia stata una rivoluzione copernicana va contro l’evidenza ed è un’invenzione di storici posteriori»65Bernard Cohen, Revolution in Science, Harvard University Press 1985, p. 107, ha scritto infatti Bernard Cohen, eminente storico della scienza di Harvard.
Lo stesso termine “rivoluzione scientifica” fu un’invenzione successiva, nata anche per screditare l’epoca medievale e sostenere che la scienza spuntò all’improvviso in tutta la sua fioritura, senza nulla dovere ai precedenti studiosi scolastici.
Nella sua opera sulla storia della scienza, il filosofo James Hannam ha spiegato:
«Fino alla Rivoluzione francese, la Chiesa cattolica è stata lo sponsor principale della ricerca scientifica. La Chiesa anche insistito sul fatto che la scienza e la matematica avrebbero dovuto essere obbligatorie nei programmi universitari. Nel XVII secolo, l’ordine dei Gesuiti era diventata la principale organizzazione scientifica in Europa, con la pubblicazione di migliaia di documenti e la diffusione di nuove scoperte in tutto il mondo. Le cattedrali sono state progettate anche come osservatori astronomici per la determinazione sempre più precisa del calendario»66James Hannam, La genesi della scienza. Come il Medioevo cristiano ha posto le basi della scienza moderna, D’Ettoris 2015.
Peter Harrison, direttore dell’Institute for Advanced Studies in the Humanities presso l’University of Queensland, ha osservato a sua volta che «tra il 12° e il 18° secolo, il sostegno materiale e morale della Chiesa cattolica per lo studio dell’astronomia non ha eguali in nessun’altra istituzione».
5.6 Gli scienziati del Rinascimento erano cristiani convinti
Un altro importante legame tra scienza e cristianesimo è che, così come nel periodo medievale, anche i grandi successi del XVI e del XVII secolo furono il frutto di un gruppo di studiosi molto religiosi.
Tutti appartenevano a università religiose, e le loro brillanti conquiste si basavano sull’inestimabile retaggio di secoli di erudizione scolastica medievale.
Anche nel periodo rinascimentale, infatti, la fede cristiana era spesso la principale fonte d’ispirazione dei grandi scienziati, quasi tutti preti, monaci e addirittura vescovi e cardinali.
Lo ha giustamente ricordato il biochimico Rupert Sheldrake:
«I fondatori della scienza meccanicistica nel XVII secolo, tra cui Keplero, Galileo Galilei, René Descartes, Francis Bacon, Robert Boyle e Isaac Newton, erano tutti cristiani praticanti. Keplero, Galileo e Cartesio erano cattolici romani; Bacon, Boyle e Newton erano protestanti. Boyle, un ricco aristocratico, era eccezionalmente devoto e spendeva grandi quantità di denaro per promuovere attività missionarie in India. Newton dedicò molto tempo ed energie agli studi biblici, con particolare interesse per la datazione delle profezie. Calcolò che il Giorno del Giudizio si doveva verificare tra gli anni 2060 e 2344, e ne espone i dettagli nel suo libro “Observations on the Prophecis of Daniel and the Apocalypse of St. John. La scienza del diciassettesimo secolo ha creato una visione dell’universo come una macchina progettata e intelligentemente avviata da Dio»67Rupert Sheldrake, Le illusioni della scienza, Feltrinelli 2021, p. XXXV.
Fu solamente una forte convinzione teistica, infatti, a indurre Francesco Bacone (1561-1626) ad insegnare che Dio ci ha fornito due libri, quello della natura e la Bibbia, e che per essere istruiti in maniera davvero adeguata bisognasse applicare l’intelletto allo studio di entrambi.
E come lui la pensavano i padri della scienza rinascimentale, come Galilei, Keplero, Copernico, Pascal, Boyle, Newton, Faraday, Babbage, Mendel, Pasteur, Kelvin, Maxwell ecc., tutti teisti ed in gran parte devoti cristiani (qui l’elenco completo).
Clicca qui per consultare il dossier di citazioni su Dio dei principali scienziati:
Citazioni di scienziati credenti, cristiani e cattolici
Al canonico cattolico Niccolò Copernico (1463-1543) è di solito attribuito l’inizio della cosiddetta rivoluzione scientifica. Alcuni hanno provato a descriverlo come un oscuro canonico nella lontana Polonia, un genio isolato.
Invece, il cattolico Copernico ricevette un’ottima istruzione nelle migliori università del suo tempo Bologna, Padova e Ferrara e l’idea che la Terra gira attorno al sole non gli venne dal nulla: apprese i concetti fondamentali per arrivare al modello eliocentrico dai suoi professori di filosofia scolastica. Egli aggiunse un passo alla lunga linea di scoperte iniziate nei secoli precedenti.
Copernico, infatti, conosceva bene le teorie di Alberto di Sassonia, così come il pensiero dei vescovi cattolici Nicola Cusano e Nicola d’Oresme sul movimento della terra. Egli aggiunse la posizione del sole al centro del sistema solare e la rotazione attorno ad esso degli altri pianete, terra compresa (pur ipotizzando erroneamente orbite circolari invece che ellittiche, correzione apportata da Keplero un secolo dopo).
Il tutto lo espresse in termini matematici e ciò diede particolare lustro alla sua opera, ma parti essenziali della sua teoria erano state messe insieme dagli scolastici nei secoli precedenti.
Come già detto, anche la newtoniana Prima Legge del Moto altro non fu che l’ampliamento dell’intuizione del monaco medievale Guglielmo di Ockham secondo cui un corpo rimarrà in movimento fino a che una forza, come l’attrito, non agirà su di esso. Intuizione perfezionata da Buridano e, poi, da Galileo: Newton non partì da zero!
La forza trainante alla base dell’intelletto indagatore di Galileo Galilei (1564-1642), era la sua profonda convinzione che il Creatore «che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire»68citato in John Lennox, Fede e Scienza, Armenia 2009, p. 23.
Mentre per Giovanni Keplero (1571-1630), «lo scopo principale di ogni indagine sul mondo esterno dovrebbe essere quello di scoprire l’ordine razionale che vi è stato imposto da Dio e che egli ci ha rivelato con il linguaggio della matematica»69citato in Morris Kline, Mathematics: the loss of certainty, Oxford University Press 1980, p. 31.
Nel XVI secolo, Cartesio (1596-1650) giustificò la sua ricerca delle leggi naturali sul fatto che tali leggi dovessero esistere perché Dio era perfetto, e agiva «nel modo più costante e immutabile possibile»70Cartesio, Opere, libro 8, cap. 61, tranne che nelle rare eccezioni dei miracoli.
Nelle sue ultime volontà il grande chimico del XVII secolo, Robert Boyle, augurava ai membri della Royal Society di Londra un successo continuo nel loro «lodevole tentativo di scoprire la vera natura delle Opere di Dio»71citato in Robert K. Merton, Science, Technology and Society in Seventeenth Century England, “Osiris” n. 4, 1938, p. 447.
Il biochimico e teologo Ernest Lucas, professore onorario di Theology and Religious Studies presso l’University of Bristol, ha infatti giustamente osservato:
«Gli storici della scienza hanno riconosciuto sempre più spesso questo fatto: la fiducia dei primi scienziati moderni, Keplero, Bacone, Newton, di poter indagare il mondo trovandolo ordinato ed intellegibile scaturiva dalla fede cristiana. In secondo luogo, essi credevano di essere fatti ad immagine di Dio, e che quindi la loro mente sarebbe stata in grado -tanto per citare le famose parole di Keplero- di “pensare i pensieri di Dio dopo di Lui”, e di scoprire quell’ordine»72Ernest Lucas, in Russel Stannard, La scienza e i miracoli, Tea 2006, p. 221-222.
Gli storici della scienza D.C. Lindberg e R. Numbers hanno scritto che verso la metà del XVII secolo i cattolici francesi René Descartes, Marin Mersenne e Pierre Gassendi (il secondo dei quali era un monaco Minorita, e l’ultimo un sacerdote), «furono tra gli elaboratori principali della filosofia meccanicistica, che fornì un’alternativa alla filosofia naturale aristotelica e che gettò le basi di gran parte del lavoro scientifico a venire. La filosofia meccanicistica attraversò nuovi sviluppi nell’Inghilterra protestante, ove scienziati del calibro di Robert Boyle e Isaac Newton ne trovarono un sostegno nelle idee riformate sulla sovranità divina e sull’assoluta dipendenza della materia da Dio»73David C. Lindberg e Ronald Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. XXVIII.
Nell’aprile 2012, sempre l’eminente studioso inglese Peter Harrison ha invece spiegato che «una alleanza tra scienza e ateismo è qualcosa che i fondatori della scienza moderna avrebbero trovato sconcertante. E’ noto da tempo che le figure chiave nella rivoluzione scientifica del XVII secolo hanno accarezzato sincere convinzioni religiose».
Per loro, ha continuato Harrison, la religione «era parte integrante delle loro indagini scientifiche e ha fornito un fondamento metafisico fondamentale per la scienza moderna. Le vestigia delle convinzioni teologiche di questi pionieri della scienza moderna può ancora essere trovato nel comune presupposto che ci sono leggi di natura che possono essere scoperte dalla scienza».
«Nessuno dei protagonisti della nuova scienza pensava minimamente di mettere in discussione l’origine trascendente dell’universo», ha scritto a sua volta il filosofo della scienza Roberto Timossi, «anzi, casomai si verificava il contrario: prospettando un ordine cosmologico matematicamente perfetto essi credevano di avvalorare meglio e compiutamente la fede in un Dio onnipotente e razionale, creatore di tutte le cose»74Roberto Timossi, Dio e la scienza moderna, Mondadori 1999, p. 43.
A proposito del rapporto tra scienza e ateismo citato da Peter Harrison e Roberto Timossi, tra gli storici protagonisti della scienza ce ne fu in realtà uno che può essere ricordato per la sua irreligiosità: Edmond Halley. Un’eccezione che conferma la regola.
Lo stesso Max Plank, uno dei giganti della scienza moderna, ha riflettuto molto sul fatto che i principali protagonisti della storia della scienza furono tutti credenti in Dio.
Ecco cosa scrisse Plank:
«Scienza e religione hanno bisogno l’una dell’altra per completarsi nella mente di ogni uomo che seriamente rifletta. Non è certo un caso che proprio i massimi pensatori di tutti i tempi siano stati anche nature profondamente religiose […] Un Galileo, un Keplero, un Newton e molti altri grandi fisici […]: per tutti questi uomini la devozione alla scienza era, consciamente o inconsciamente, una questione di fede, una questione di fede serena in un ordine razionale nel mondo»75Max Plank, La conoscenza del mondo fisico, Bollati Boringhieri 1993, p. 155. 156, 408.
Clicca qui per consultare la lista di tutti i principali scienziati credenti della storia:
Scienziati cristiani e cattolici: elenco completo
5.7 La Riforma protestante e la rivoluzione scientifica
Se è ormai appurata la nascita della scienza nel cristianesimo e nelle università cattoliche, che ruolo ebbe davvero la Riforma protestante?
Dopo i “secoli bui” medievali, dopo l’improvvisa “rivoluzione scientifica” nel Rinascimento, un terzo diffuso mito sulla storia della scienza riguarda le conseguenze della Riforma protestante
Nel 1983 Robert K. Merton, uno dei più autorevoli sociologi degli Stati Uniti, fu tra i primi ad ipotizzare che il protestantesimo puritano avesse dato il vero impulso alla rivoluzione scientifica.
Ma, oltre a concentrarsi solo sull’Inghilterra, la definizione di “puritano” da lui proposta era così ampia che di fatto nessun cristiano ne era escluso, neppure i cattolici.
Questo è stato osservato da Barbara J Shapiro, docente emerito all’Università della California e specialista della storia politica dell’Inghilterra, la quale ha commentato: «Quello che essenzialmente sta dicendo Merton è che degli inglesi contribuirono alla scienza inglese»76Barbara J. Shapiro, Latitudinarism and Science in Seventeenth-Century England, “Past and Present” n. 40, 1968, p. 288. Niente di più!
Il sociologo statunitense Rodney Stark ha catalogato i principali luminari nati tra il 1543 e il 1680, rilevando 52 scienziati devotamente credenti e soltanto la metà erano protestanti. Escludendo gli inglesi, i cattolici superavano i protestanti 26 a 11: «Il che corrisponde alla distribuzione sul continente di protestanti e cattolici in quel periodo»77Rodney Stark, La vittoria dell’Occidente, Lindau 2014, p. 471-477, ha commentato.
Vi è comunque una parte di verità nella tesi di Merton.
La Controriforma cattolica, avviatasi dopo il Concilio di Trento (1551-1552, 1562-1563), oltre ad accentuare l’enfasi sull’ascetismo e sulla fede rispetto alla Chiesa del potere e delle simonie, originò anche alcune limitazioni al pensiero intellettuale.
Lo ha spiegato lo stesso Rodney Stark analizzando tale periodo storico e concludendo:
«Anche se la scienza occidentale ha le sue radici nella teologia cristiana e si è sviluppata nelle università medievali, la riforma cattolica impose restrizioni intellettuali talmente severe che le università cattoliche subirono un declino quanto a importanza scientifica. Pertanto, nell’ultima parte del XIX secolo, si sviluppò l’errata convinzione che la Riforma protestante abbia fatto nascere l’evoluzione scientifica»78Rodney Stark, La vittoria dell’Occidente, Lindau 2014, p. 431.
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5. CONCLUSIONE SULLA SCIENZA NATA NEL CRISTIANESIMO
Appoggiandoci ai numerosi e prestigiosi studiosi e storici della scienza, abbiamo contribuito a dimostrare l’origine della scienza nel cristianesimo, medievale in particolare.
La concezione cristiana dell’unico Dio Creatore, infatti, non solo svolse un ruolo essenziale e di fondamentale importanza nella nascita della scienza e nello sviluppo del metodo scientifico, ma sia stata la condizione indispensabile perché questo potesse accadere.
Solo nell’occidente cristiano è stato possibile concepire Dio come responsabile dell’esistenza e dell’ordine dell’universo.
Ovviamente, anche se il cristianesimo fu essenziale per lo sviluppo della scienza occidentale, questa dipendenza non esiste più. Una volta debitamente messa in moto, la scienza è stata in grado di emanciparsi dalla teologia e reggersi da sola.
La convinzione che i segreti della natura cederanno di fronte alla continua ricerca, attualmente è un articolo di fede laica quanto un tempo lo era di fede cristiana.
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