Razzismo ed eugenetica nascono nell’ateismo materialista
- Fede e Laicismo
- 04 Nov 2010
La storia del razzismo e dell’eugenetica. Entrambi nacquero legati ad una visione atea e positivista dell’esistenza, promossi come il progresso della civiltà. Uno stretto legame unisce infatti gli illuministi francesi ai darwinisti più ortodossi fino ai gerarchi nazisti e stalinisti.
La storia spesso ci ha mostrato che negare Dio significa innanzitutto negare l’uomo. La storia dell’eugenetica è piuttosto esemplificativa, promossa come il futuro più roseo dai progressisti, dai materialisti, dai riduzionisti, dai positivisti, in pratica da tutti coloro che rifiutavano un criterio superiore di giustizia.
Numerosi studiosi mostrano infatti che il concetto di razzismo ed eugenetica nacquero legati ad una visione atea e determinista della realtà umana: «Il rifiuto di vedere l’uomo creato a immagine di Dio», ha scritto ad esempio Leon Poliakov, eminente storico dell’antisemitismo, «fu in buona parte alla base del pensiero determinista e razzista del XIX secolo» (L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 245).
INDICE
1. Introduzione
4. Ateismo, nazismo e razzismo
5. Eugenetica e ateismo nel ‘900
6. Condanna della Chiesa Cattolica
7. Conclusione
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1. INTRODUZIONE
Scriveva molto coerentemente l’ateo J.P. Sartre (1905-1980): «Non può più esserci un bene a priori perché non vi è nessuna coscienza infinita e perfetta per pensarlo. Non sta scritto da nessuna parte che il bene esiste, che bisogna essere onesti, che non si deve mentire e per questa precisa ragione: che siamo su di un piano dove ci sono solamente uomini» (J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanesimo, Mursia 1963, pag. 46). Aveva pienamente ragione il grande esistenzialista: se Dio non esiste tutto è permesso, non sta scritto da nessuna parte infatti ciò che è bene e ciò che è male.
Il razzismo è proprio dimostrativo di tutto ciò. Ieri la cultura laicista lo riteneva in piena sintonia con il darwinismo, con l’assoluto diritto dell’uomo di creare una società più pura e forte. Oggi la stessa cultura, per fortuna (anche se ci sono parecchie eccezioni), ne ha preso ampiamente le distanze. Al contrario il cristianesimo è rimasto radicato, ieri come oggi, nella sua profonda opposizione alla concezione di razze adatte e meno adatte, pure e meno pure, basata sul libero arbitrio e sulla genesi biblica dell’uomo, figlio di un solo Padre e quindi fratello del “nero” come del “giallo”.
Come contriburremo a dimostrare, il razzismo e l’eugenetica si nutriranno di una visione assolutamente atea, teoricamente o praticamente, della vita, in cui non vi è alcuno spazio per un Dio creatore, ma solo l’esistenza di popoli “superiori” ed “inferiori”, di sangue, di luoghi, di colore della pelle, di forme e volumi cranici (frenologia), di predisposizioni genetiche al di sopra della libertà umana ecc.. Lo storico ebreo del razzismo, Lèon Poliakov (1910-1997), ha notato infatti come i primi teorici del razzismo, per lo più poligenisti, deterministi e negatori del libero arbitrio umano, partirono spesso dalla contestazione esplicita del racconto genealogico della Bibbia per fondare in ottica materialistica, la psicologia sulla fisiologia, e così «sbarazzarsi dei pregiudizi religiosi su cui era fondata» sino ad allora. Aggiunge poi: «Il rifiuto di vedere l’uomo creato a immagine di Dio, fu in buona parte alla base del pensiero determinista e razzista del XIX secolo». Infatti, «la tradizione giudaico-cristiana era “antirazzista” e “antinazionalista”. Per questo l’antropologia della Chiesa ha sempre giocato un ruolo di un freno estremo alle teorie razziste» (L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 245,246,370,371)
L’uomo nella visione materialista è concepito come un animale in-cosciente, regolato dall’istinto, un elemento naturale, un aggregato di materia senz’anima, un meccanismo geneticamente determinato. E’ così che i positivisti atei, come Émile Zola (1840–1902), ritennero lecito studiare, analizzare, abusare, sezionare l’uomo come si farebbe con un «ciottolo della strada», non essendo, in fondo, nulla di più. E’ così che i criminologi atei come Cesare Lombroso (1835-1909), ritennero giusto e scientifico catalogare i «crani deficienti», volendo rinchiudere la personalità, la libertà, l’originalità di ogni singolo uomo nelle sue caratteristiche fisionomiche, “credendo” che l’uomo si esaurisca in ciò che si vede e si tocca, dall’ampiezza del cranio dalla lunghezza degli arti ecc. Esattamente come faranno i primi teorici del razzismo, che riterranno, ad esempio, che la dimensione ridotta del cranio della donna sia un segno della sua inferiorità rispetto all’uomo.
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2. ILLUMINISMO E RAZZISMO
L’Illuminismo è sicuramente il momento di rinascita dell’ateismo filosofico (si veda ad esempio C. Tamagnone, L’illuminismo e la rinascita dell’ateismo filosofico, Clinamen 2008) e il razzismo è sicuramente figlio dell’Illuminismo. Il celebre storico contemporaneo George Mosse (1913-1999) definisce il razzismo una «religione laica», nata dall’Illuminismo e basata essenzialmente sul materialismo biologico. Lo conferma anche il già citato storico dell’antisemitismo Léon Poliakov (fu fondatore del Centro di documentazione ebraica e consulente durante il processo di Norimberga contro i capi nazisti), che sottolinea a lungo la stretta correlazione fra il pensiero illuminista e la genesi del razzismo: «La tradizione giudaico-cristiana era “antirazzista” e antinazionalista e senza dubbio le stratificazioni, le barriere sociali del Medio Evo […] favorivano l’azione esercitata dalla Chiesa nel senso del suo ideale: tutti gli uomini erano uguali davanti a Dio […] Questa dottrina dell’unità del genere umano […] viene apertamente ripresa [cioè contestata, N.d.A.] da alcuni grandi ingengi europei dell’Illuminismo». Si riferisce alle «nuove idee antropologiche del XVIII secolo, in quanto un Buffon, un Voltaire, un Hume o un Kant, ciascuno a suo modo, preparano il terreno alle gerarchie razziali del secolo successivo» (L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 370-372), ovvero il mito della razza ariana. Allo stesso modo Massimo Ghiretti, ricercatore della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano e collaboratore con la Fondazione del Centro di Documentazione ebraica contemporanea, spiega nel suo Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo che «fra il Settecento e la prima metà del secolo successivo era sorto il concetto di disuguaglianza razziale basato sull’ereditarietà naturale», e i principi fondamentali del «razzismo moderno», per esempio «i concetti di superiorità o inferiorità, invariabilità e continuità delle caratteristiche razziali o la ricerca della loro origine, erano stati elaborati anche all’interno della culla illuministica. Hume, Diderot, Voltaire, Kant e altri» (M. Ghiretti, Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, Mondadori 2002, p. 164). Viviano Domenici ha raccontato che nel 1889 a Parigi, un secolo dopo la Rivoluzione francese e la solenne Dichiarazione dei diritti dell’uomo, fu offerto in uno show l’esposizione di un villaggio africano con 400 “selvaggi” della Guinea al seguito del re Dinah Salifou, più 18 angolani, 18 ghanesi e decine di senegalesi, indocinesi e tahitiani. Un esempio di zoo umano (V. Domenici, Uomini nelle gabbie, Il Saggiatore 2015).
VOLTAIRE. Uno dei principali esponenti dell’illuminismo, Voltaire (1694-1778), il famoso “apostolo della tolleranza” riteneva che l’idea cattolica, secondo cui gli uomini sarebbero tutti “fratelli” essendo creature di un’unico Padre, sarebbe una sciocchezza assolutamente antiscientifica. Al monogenismo biblico, che esclude di per sè qualsiasi razzismo, Voltaire sostituì il poligenismo, cioè l’idea secondo cui i diversi gruppi umani discendevano da numeri e diversi antenati. Spiegò: «Checchè ne dica un uomo vestito di un lungo e nero abito talare [il prete N.d.A.], i bianchi con la barba, i negri dai capelli crespi, gli asiatici dal codino, e gli uomini senza barba non discendono dallo stesso uomo» (Voltaire, Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni, 1756). Continuava situando i negri nel gradino più basso della scala, definendoli animali, dando credito all’idea mitica di matrimoni tra le negre e le scimmie, e considerando i bianchi «superiori a questi negri, come i negri alle scimmie, e le scimmie alle ostriche», e non contento discettava delle «specie mostruose che sono potute nascere da questi abominevoli amori», ovvero gli accoppiamenti fra scimmie e “donne negre” (Voltaire, Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni, 1756). In relazione a queste idee, finiva poi per elaborare giustificazioni “naturali” allo schiavismo e al colonialismo, d’altra parte -come ha spiegato lo storico del razzismo Léon Poliakov- lui stesso «non esitò a diventare azionista di un’impresa di Nantes per la tratta dei negri, investimento eminentemente remunerativo» (L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo, La Nuova Italia 1976, vol III, pag. 122)
Nel suo “Trattato di metafisica” (1734), Voltaire scrisse: «Vedo delle scimmie, degli elefanti, dei negri, che sembrano tutti in possesso d’un qualche barlume di una ragione imperfetta. […] Se giudicassi le cose dal primo effetto che fanno su di me, mi sentirei portato a pensare che, tra tutti quegli esseri, quello ragionevole sia l’elefante». Analizzando in profondità, «esamino un bambino negro di sei mesi, un elefantino, una scimmietta, un leoncello, un cucciolo; e mi rendo conto, senza ombra di dubbio, che quei giovani animali possiedono incomparabilmnete maggior forza e destrezza, più idee, più passioni, una memoria più estesa del piccolo negro; ma che, dopo un certo tempo, questi ha tante idee quante tutti loro messi assieme. Mi rendo altresì conto che quegli animali negri parlano tra loro un linguaggio articolato molto meglio e più vario di quello degli altri animali. […] E, infine a furia di considerare il modesto grado di superiorità che essi finiscono alla lunga con l’avere sulle scimmie e gli elefanti, mi arrischio a giudicare che là si trova l’uomo» (Voltaire, Scritti filosofici, a cura di P. Serini, Laterza 1962, vol I, pp. 131-133).
Nell’“Introduzione” al “Saggio sui costumi”, il cosiddetto “apostolo della tolleranza” afferma che le diversità morfologiche e somatiche dei «negri» e «il grado stesso della loro intelligenza, stabiliscono differenze prodigiose tra loro e le altre specie umane». Aggiunge poi: «Che questa differenza non sia dovuta al clima» è dimostrato dal «fatto che i Negri e le Negre, trasportati nei paesi più freddi, continuano a produrvi animali della loro specie» (M. Marsilio, Razzismo: un’origine illuministica, Vallecchi 2006, pag. 48 e Voltaire, Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, Club del Libro 1966, voll. 4,I, pp 25-26). Anche il già citato Léon Poliakov, storico ebreo del razzismo, parla di Voltaire affermando che «il poligenismo […] gli permetteva di avanzare delle giustificazioni “naturali” alla schiavismo» (Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 199-200), con tesi di questo tenore: «La natura ha subordinato a questo principio quei differenti gradi di genio e quei caratteri delle nazioni che si vedono cambiare così raramente. Per questo i negri sono gli schiavi degli altri uomini. Essi vengono acquistati come delle bestie sulle coste dell’Africa» (Voltaire citato in Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 403). Certo, ammette Voltaire, «non possediamo il diritto naturale di andare a mettere in ceppi un cittadino dell’Angola» però, aggiunge, «ne possediamo il diritto di convenzione. Perché vien venduto quel negro? O perché si lascia vendere? Io l’ho comperato, esso mi appartiene; che torto gli faccio? Lavora come un cavallo, io lo nutro male, lo vesto peggio, lo faccio bastonare quando disobbedisce: che c’è da stupire tanto? Trattiamo forse meglio i nostri soldati?» (Voltaire, L’A,B,C, in Scritti filosofici, a cura di P. Serini, Laterza 1962, vol I, pp. 610). Non a caso Léon Poliakov ha affermato: «Nessuno come Voltaire ha tanto diffuso e ampliato le aberrazioni della nuova età della scienza» (L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 200)
DIDEROT, D’ALAMBERT E JOHN LOCKE. Altri famosi illuministi atei, come Diderot e D’Alambert (per i quali l’uomo era figlio del caso, «nel numero dei possibili»), scrissero nell’Encyclopédie (1772), compendio dei valori illuministici, che «all’animale più evoluto, la scimmia, viene unito il tipo d’uomo ritenuto inferiore, il negro: per il pallido europeo, infatti, questi trascina un’esistenza semiferina, alinea dal pensiero razionale e dalla civile convivenza». I negri vengono poi dipinti come viziosi e «per lo più inclini al libertinaggio, alla vendetta, al furto, alla menzogna» (citato in F. Castradori, Le radici dell’odio, Xenia 1991, pag. 52,53 e M. Marsilio, Razzismo, un’origine illuminata, Vallecchi 2006). Così come Voltaire, anche un altro apostolo della tolleranza e simbolo dell’illuminismo inglese, John Locke, secondo recenti ricerche guadagnò un bel capitale acquistando azioni della Royal African Company, impegnata nella tratta degli schiavi (R. Stark, For the Glory of God, Princeton University Press 2003, pag. 359).
DAVID HUME. Anche David Hume (1711-1776), che in nome della Ragione e della Scienza sparerà a zero sulla dottrina cattolica del manifestarsi concretamente del soprannaturale, in nome della Ragione e della stessa Scienza, setenzierà nel 1742 che «tutti i popoli al di là del circolo polare o fra i tropici sono inferiori al resto della specie», aggiungendo nel 1754 che «sono portato a sospettare che i Negri, e in generale tutte le altre specie umane (perché ve ne sono quattro o cinque diversi generi) sono per natura inferiori ai Bianchi» (D. Hume, Of National Characters, citato in L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, p. 200). Hume aggiunse anche: «Tutta l’Europa è disseminata di schiavi negri dei quali nessuno ha mai rivelato alcun barlume di ingegno» (citato in M. Marsilio, Razzismo: un’origine illuminista, Club del Libro 1966, voll. 4, I, p. 52).
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3. DARWINISMO E RAZZISMO
Nel 1800, dal preambolo illuminista, si sviluppò quello che gli storici chiamano il «razzismo scientifico», una visione scientifica sviluppatasi in Europa e nelle Americhe in ambienti universitari, basata su studi antropologici e comportamentali mescolati a teorie derivanti da particolari rami della criminologia, sociologia, biologia, medicina e genetica. Inoltre, la strumentalizzazione da parte dei positivisti atei della teoria evoluzionistica di Darwin, nel tentativo di screditare la visione cristiana e biblica dell’uomo come creatura unica ed irripetibile, produsse crimini disumani, troppo spesso dimenticati. Lo ammette il genetista darwinista e divulgatore scientifico Edoardo Boncinelli: «Un certo modo di vedere l’evoluzione è stato alla base di alcune delle teorie più aberranti sul presente e sul futuro della specie umana e sulla struttura dell’umanità in razze e strati sociali» (E. Bonicelli, Le forme della vita, Einaudi 2006, pag. 165). Calando totalmente l’uomo nella natura animale, misconoscendogli qualsiasi altra natura, cioè spirituale, riducendolo alla biologia e alla genetica, per la cultura atea, scientista e positivista, divenne inevitabile connettere ogni differenza tra popoli a superiorità o inferiorità di tipo biologico.
CHARLES DARWIN. Alla genesi di questa cultura, in piena continuità con le speculazioni illuministiche, contribuirono, volenti o nolenti, anche uomini come lo stesso Darwin e Thomas Huxley. Nonostante i suoi grandi e meritati elogi per la teoria darwinistica, Charles Darwin (1809-1882) è anche riconosciuto come uno dei primi teorici del razzismo moderno. Vissuto nel secolo dell’esplosione atea, anch’egli era imbevuto di credenze materialistiche tanto da essere convinto che l’intelligenza maturata nel riflettere sull’evoluzione aveva modificato la forma del suo stesso cranio: «E’ probabile che il mio cervello si sia sviluppato proprio nel corso delle ricerche compiute durante il viaggio: lo dimostra un’osservazione di mio padre, quando la prima volta che mi vide dopo il viaggio, si volse alle mie sorelle ed esclamò: “Guardate, gli è cambiata la forma della testa” (C. Darwin, Autobiografia, Einaudi 2006). Oltre a queste schiocchezze, scrisse anche di peggio: «Si crede generalmente che la donna superi l’uomo nell’imitazione, nel rapido apprendimento e forse nell’intuizione, ma almeno alcune di tali facoltà sono caratteristiche delle razze inferiori e quindi di un più basso e ormai tramontato grado di civiltà. La distinzione principale nei poteri mentali dei due sessi è costituita dal fatto che l’uomo giunge più avanti della donna, qualunque azione intraprenda, sia che essa richieda un pensiero profondo, o ragione, immaginazione o semplicemente l’uso delle mani e dei sensi […]. In questo modo alla fine l’uomo è divenuto superiore alla donna» (C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 936, 937). A conferma di ciò, Darwin citava una frase del materialista ateo Carl Vogt (1817-1895): «E’ una circostanza notevole che la differenza tra i due sessi per quanto riguarda la cavità cranica, aumenti con lo sviluppo della razza, così che il maschio europeo supera la femmina più di quanto un negro non superi la negra».
Difficile davvero pensare che Darwin sia stato solamente strumentalizzato in chiave razzista, perché lui stesso mostrò di essere apertamente favorevole all’eugenetica: «Noi uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di eliminazione: costruiamo asili per i pazzi, storpi e malati; istituiamo leggi per i poveri e i nostri medici esercitano al massimo la loro abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento. Vi è motivo per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli che per la loro debole costituzione un tempo non avrebbero retto il vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere. Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso per la razza umana […]. Dobbiamo quindi sopportare l’effetto indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino il loro genere, ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante, impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i sani» (C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 628). Il naturalista chiudeva così una delle sue opere di maggior successo, “L’origine dell’uomo”: «I più poveri e negligenti, che sono spesso degradati dal vizio, quasi invariabilmente si sposano per primi, mentre i prudenti e i frugali, si sposano in tarda età. L’irlandese imprevidente, squallido, senza ambizioni, si moltiplica come i conigli; lo scozzese frugale, previdente, pieno di autorispetto […] trascorre i suoi migliori anni nella lotta e nel celibato […]. Nell’eterna lotta per l’esistenza è la razza inferiore e meno favorita che ha prevalso e non ad opera delle sue buone qualità ma dei suoi difetti» (C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton 1994, pag. 631).
Lo storico della scienza André Pichot ha affermato che «Darwin sembra essere in buon accordo con suo cugino Galton, e se non ha parlato propriamente di eugenetica è stato verosimilmente perché l’eugenetica è stata teorizzata dopo la sua morte» (citato in C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando 2004), tuttavia -ha proseguito a sua volta il bioeticista Cristian Fuschetto– «quando anche Galton cominciò a occuparsi (più sistematicamente e approfonditamente di lui) di questi problemi, di riferimenti e concessioni all’opera galtoniana ce ne furono di espliciti […]. L’affinità tra Galton e Darwin emerge chiaramente anche da una lettera che il grande naturalista scrive al cugino in risposta alla richiesta di un parere su Jereditary Genius, dove Galton (in ossequio al dogma sociobiologico) pensa di aver dimostrato l’ereditarietà delle facoltà mentali: “Non credo di aver mai letto in tutta la mia vita qualcosa di più interessante e originale […] mi congratulo con te e ti esorto a continuare il tuo lavoro, convinto che sarà memorabile”» (C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando 2004. pp 32-51). Anche per il grande storico del razzismo, Léon Poliakov, «la divisione del genere umano in razze inferiori e razze superiori era per Darwin un fatto incontestabile» (citato in F. Agnoli, Perché non possiamo essere atei”, Piemme 2009, pag. 206).
Come ha spiegato lo scrittore e saggista Francesco Agnoli, «affermare una certa somiglianza e alcune contiguità tra determinate posizioni di Darwin e l’eugenetica non vuol certamente dire buttare a mare le intuizioni che vi furono nella sua speculazione di naturalista, quanto notare come i cedimenti di Dartwin a un pensiero materialista, ideologico e non scientifico, in certi momenti, lo portarono a non riconoscere l’unicità dell’uomo […]. L’errore di fondo sta nella volontà di Darwin, in alcuni momenti della sua vita, di identificare tutto l’uomo (si badi bene, tutto) nella sua animalità, dimenticando l’altra dimensione, non animale, e cioè l’esistenza dell’anima, e riducendo così l’idea di Dio, il senso morale, la capacità di astrazione, la libertà, la volontà a facoltà sì umane, ma anche, e solo in minor grado, animali», dunque «rinchiudere il mistero dell’uomo nella sua teoria, che può al massimo spiegare l’origine fisica, essa sì animale, dell’uomo, ma non certo la sua totalità, la sua essenza spirituale» (F. Agnoli, Perché non possiamo essere atei, Piemme 2009, pag. 207)
THOMAS HUXLEY. Dal canto suo Thomas Huxley (1825-1895), il cosiddetto “mastino di Darwin”, affermava: «Nessun uomo razionale, che abbia cognizione dei fatti, crede che l’uomo negro medio sia uguale o meno che mai superiore all’uomo bianco. Se questo è vero, non è assolutamente credibile che, quando siano stati eliminati tutti i suoi svantaggi e ottenute le condizioni di parità senza più oppressori, il nostro prognato parente possa competere con il suo rivale dal cervello più grande e dalle mascelle meno pronunciate. I gradi più alti di civiltà non saranno mai alla portata dei nostri cugini di pelle scura» (citato in R. Dawkins, The God Delusion, Bantahm Books 2006, pag. 263)
ALFRED RUSSEL WALLACE. Al contrario, il diretto collega di Darwin, Alfred Russel Wallace (1823-1913), co-scopritore della teoria evoluzionistica basata sulla selezione naturale, non si volle mai rassegnare all’idea che l’uomo fosse una semplice evoluzione della bestia, e affermò la superiorità dello spirito sulla materia, ammettendo l’esistenza di un Dio trascendente: «Un’intelligenza superiore ha guidato lo sviluppo dell’uomo in una direzione definita e per uno scopo speciale, proprio come l’uomo guida lo sviluppo di molte forme animali e vegetali» (citato in G. Scarpelli, Il cranio di cristallo, Bollati Boringhieri 1993). Nel 1912 arrivò addirittura a condannare l’eugenetica originata dalla cultura ateistica, ritenendola «null’altro che l’invadente interferenza di un’arrogante casta scientifica» (citato in J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33-45). Fu questa sua posizione teistica e non riduzionista a permettergli di non cadere nel razzismo e nell’eugenetica, a differenza di moltissimi evoluzionisti materialisti.
ERNST HAECKEL. Diversamente da Wallace la pensava certamente lo zoologo Ernst Haeckel, (1834-1919) ateo, materialista, amico personale di Darwin, fondatore del termine “ecologia” e membro nel 1905 della “Società internazionale dell’igiene razziale” («destinata a promuovere la qualità della razza bianca», come spiega L. Poliakov in Il mito ariano, pag. 337). Haeckel, secondo lo storico della scienza Federico Di Trocchio, riteneva il darwinismo la negazione «del vecchio dogma dell’immortalità dell’anima personale» (F. Di Trocchio, Le bugie della scienza, Mondadori 1993, pag. 254,256), fondò nel 1897 la Monist League, una organizzazione dedicata ad diffondere l’anima del Darwinismo e combattere l’influenza del cristianesimo, si spese anche per la legalizzazione dell’eutanasia, l’assassinio dei vecchi e dei malati, “inutili” alla società. Haeckel sosteneva la superiorità della razza indogermanica, perché -scrisse- «grazie ai cervelli più sviluppati erano destinati a trionfare sulle altre razze e nella lotta per la sopravvivenza» e a «stendere le reti del loro dominio su tutto il mondo». Tuttavia, per raggiungere tale egemonia occorrevano misure di selezione artificiale e il modello era soprattutto quello dell’antica Sparta dove i neonati venivano sottoposti a rigorosi esami fisici e a un processo selettivo prima di essere accetati. In un libro intitolato L’enigma della vita, pubblicato nel 1904, auspica esplicitamente la soppressione di ammalati e invalidi: «Che vantaggio trae l’umanità dalle migliaia di disgraziati che ogni anno vengono al mondo, dai sordi e dai muti. Dagli idioti e dagli affetti da malattie ereditarie incurabili, tenuti in vita artificialmente fino a raggiungere l’età adulta? […] Quale immenso grumo di sofferenza e dolore tale squallore comporta per gli stessi sfortunati malati, quale incalcolabile somma di preoccupazione e dolore per le loro famiglie, quale perdita in termini di risorse private e costi per lo Stato a scapito dei sani! Quante sofferenze e quante di queste perdite potrebbero venire evitate se si decidesse finalmente di liberare i totalmente incurabili dalle loro indescrivibili sofferenze con una dose di morfina». Haeckel affermò che il suo materialismo monista era “la vera religione”, che l’universo è in qualche modo una unità di materia fisica e che tutte le cose psicologiche e spirituali sono radicate e fondate nella materia. Spiegò ad esempio che «L’uomo non si distingue [dagli animali] per un particolare tipo di anima, o da qualsiasi particolare ed esclusiva funzione psichica, ma solo da un maggior grado di attività psichica, uno stadio superiore di sviluppo».
CESARE LOMBROSO E ENRICO FERRI. Il già citato socialista ateo Cesare Lombroso (1835-1909), padre dell’antropologia criminale, riteneva invece che i criminali fossero espressioni di regressioni evolutive, tipi somigliante al “negroide” o al “mongolico”, in cui determinate conformazioni del cranio e del corpo avrebbero determinato l’onestà o meno di una persona. Il suo figlioccio più noto, Enrico Ferri (1856-1929), ateo, senatore di estrema sinistra e darwinista convinto, negava l’esistenza del libero arbitrio e sosteneva che il delinquente giungesse al delitto necessariamente spinto da causa antropologiche, fisiche e sociali, cioè dalle caratteristiche genetiche di cui era schiavo. Sosteneva anche la teoria del “tipo napoletano”, cioè l’idea che il popolo meridionale avesse un’iinata propensione a delinquere a causa di un’inferiorità biologica atavica, da qui l’idea di non mescolare le razze del Nord con quelle del Sud (A. Gaspari, Da Malthus al razzismo verde, XXI Secolo 2000, pag. 94,95)
FRANCIS GALTON E IL DARWINISMO SOCIALE. Il grande evoluzionista Stephen Jay Gould (1941-2002) ha raccontato in alcuni suoi saggi del famoso “processo alla scimmia” del 1925 contro John Scopes (che in realtà stava sostituendo il collega biologo, essendo lui un’insegnante di ginnastica), reo di aver esposto il darwinismo ai suoi alunni di una scuola del Tennessee (Stati Uniti). Gould spiega che il divieto di insegnamento della teoria darwinistica era dovuto al fatto che biologi, etologi e filosofi della natura, uscendo dal terreno scientifico, sostenevano una “visione marziale” del darwinismo, un’idea razzista dell’umanità, divisa tra superiori e inferiori, in nome della selezione del più forte, dello scontro inevitabile tra le nazioni, dell’animalità inevitabilmente aggressiva degli uomini. Questa era la modalità di esporre le teorie di Darwin nei libri di testo scolastici, politici e militari, come -scrive Gould- «la piena giustificazione della guerra e di progetti altamente organizzati di politica nazionale in cui la dottrina della forza divenne la dottrina del diritto» (S.J. Gould, Risplendi grande lucciola, Feltrinelli 2006, pag. 186). E’ ciò che verrà chiamato darwinismo sociale, cioè il desumere comportamenti morali dalla teoria darwinistica. Sopratutto in Germania, ma anche in America, si cercava di veicolare, attraveso l’evoluzionismo, un concetto non scientifico come il determinismo biologico. Propio nel libro adottato da Scopes, “A civic biology”, di G.W. Hunter (1914), è contenuta «l’affermazione a chiare lettere che la scienza possiede la risposta morale a questioni sul ritardo mentale o sulla povertà sociale». Gould spiega che nel testo scolastico si proponeva l’idea di impedire il matrimonio, attraverso la sterilizzazione o segregazione, di quanti potevano essere considerati «parassiti della società», a causa di una tendenza innata, genetica ed ereditaria alla povertà, al crimine, al vagabondaggio (S.J. Gould, Risplendi grande lucciola, Feltrinelli 2006, pag. 189). Sul cosiddetto “processo alla scimmia” ha parlato anche il biologo Enzo Pennetta, confutando l’interpretazione che generalmente viene fatta su di esso.
Il culmine comunque lo toccò Francis Galton (1822-1911), cugino di Darwin, ateo e fondatore dell’eugenetica moderna, per la quale tutto ciò che un uomo è, è determinato dai suoi geni, che decidono anche del suo essere ricco o povero, onesto o meno. L’eugenetica nasce dall’antico sogno ateistico di creare un’umanità perfetta, assolutamente sana e senza macchia, che non abbisogni di un Dio Salvatore e di una Redenzione. Galton fu il primo a proporre con una certa sistematicità e con un notevole seguito l’idea di matrimoni selettivi, di segregazione dei disgenici, di sterilizzazione di barboni, poveri, malati, idioti, persone assai genericamente “inferiori, allo scopo di impedirne la procreazione, per migliorare la razza. Tutto divenne spigabile con l’ereditarietà e il criterio di discriminazione proposto da Galotn per identificare “adatti” e “inadatti” fu l’integrazione sociale, o più in breve, il successo, con la conseguenza inevitabile di una visione “classista” per cui poveri, emarginati, alcolizzati, spesso immigrati italiani o irlandesi, o neri, vennero catalogati tra gli “inadatti”, tra le persone da isolare, da controllare, da sterilizzare affinché il loro patrimonio genetico non si diffondesse. Galton negò il peccato originale come categoria teologica riproponendolo in chiave deterministica, come una problematicità biologica da eliminare in vista di una meritocrazia biologica, un’idea fortemente atea, materialista e determinista. Cristian Fuschetto, dell’Istituto Italiano di Bioetica, ha spiegato che «Galton trovò nell’eugenetica un sostituto scientifico dell’ortodossia clericale, una sorta di fede secolarizzata, capace di avverare concretamente il sogno di un miglioramento del genere umano» (C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando 2004, pag. 47).
Galton divenne uno dei massimi intelletti del suo tempo e raggiunse il vertice della sua fama al Primo Congresso Internazionale di Eugenetica nel 1912, allorché divenne un vero scienziato-vate: le riviste più prestigiose da “Nature” al “Times” si contendevano i suoi articoli, le sue disquisizioni sulla necessità di sostituire il vecchio libero arbitrio col più aggiornato determinismo. Nel 1902 ricevette la “Darwin Medal of the Royal Society”; nel 1908 partecipò alla “Darwin-Wallace Celebration” della Linean Society, e nel 1910, per i suoi scritti sull’eugenetica, ottenne la “Copley Medal of the Royal Society” che però, a causa della sua salute inferma, fu ritirata per suo conto da sir George Darwin, figlio del padre Charles ed eugenista convinto, come del resto anche Leonard Darwin, anch’egli figlio del celebre naturalista e presidente della britannica Eugenics Education Society (F. Agnoli, Perché non possiamo essere atei, Piemme 2009, pag. 208). Le teorie di Galton vennero attuate con sistematicità e scientificità negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, prima di essere riprese da Hitler per il suo programma eutanasico.
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4. EUGENETICA E ATEISMO NEL ‘900
L’appoggio concesso alle teorie razziste di Galton da parte di Charles Darwin e da personaggi assai noti come il matematico Bertrand Russel, padre dell’ateologia moderna, e lo scrittore George Bernard Shaw (il quale specificò letteralmente nel suo testamento di non voler che alcun monumento pubblico o alcuna opera d’arte suggerisca che lui abbia accettato i principi di una qualsiasi chiesa o religione, né desidera essere ricordato sotto alcun simbolo che abbia la forma di una croce, come riporta The Times 4/12/1950), portarono alla veloce diffusione dell’eugenetica in molti paesi: Inghilterra, USA, Belgio, Svizzera, Svezia, Olanda, Norvegia, Danimarca, Finlandia, tutti paesi, non a caso, in cui la voce della Chiesa cattolica era debole o quasi nulla.
Negli Stati Uniti, in particolare, l’eugenetica raggiunse l’apice della diffusione: i milioni di immigrati provenienti dall’Europa divennero, assieme ai ritardati, ai poveri, alle prostitute e agli alcolisti, i principali bersagli dell’eugenetica. L’obiettivo, anche qui, era migliorare l’umanità per arrivare alla selezione di individui perfetti. Nel 1917 quindici Stati degli USA adottarono una legislazione in campo eugenetico (sterilizzazioni, segregazioni e restrizioni), nel 1944 divennero trenta (la Virginia, nel 1979, fu l’ultimo Stato a rimuovere la legge sulla sterilizzazione forzata). Nel 1928 l’eugenetica divenne un corso universitario in 328 college, tra cui Yale, Harvard e Stanford (V. Costa, L’origine anglosassone dell’eugenetica, Trento 2007). Il premio Nobel per la Medicina James Dewey Watson, scrive che fu soprattutto la sinistra liberale ad abbracciare in massa le teorie razziste, ad esempio Bernard Shaw scrisse: «Oggi non esiste alcune scusa ragionevole per rifiutarsi di affrontare il dato di fatto che nulla, se non una religione eugenetica, può salvare la nostra civiltà» (citato in J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33,45). L’eugenismo -continua Watson- era d’obbligo anche nel nascente movimento femminista: la paladine della contraccezione, come l’atea britannica Marie Stopes (1880-1950, abortista e fan innamorata di Adolf Hitler), considerava l’eugenetica una forma di controllo delle nascite. Negli Stati Uniti, Margaret Sanger (1879-1966), l’atea fondatrice di Planned Parenthood (ancor oggi la più influente associazione abortista del mondo) scriveva: «Più figli da chi è dotato e meno da chi non lo è: questo è il primo punto per il controllo delle nascite. Il problema più urgente oggi è come limitare e scoraggiare l’iper fertilità di quelli mentalmente e fisicamente inferiori. E’ possibile che metodi drastici e spartani siano inevitabili per la società americana, se si continua a incoraggiare con compiacenza la procreazione casuale e caotica che nasce dal nostro stupido e crudele sentimentalismo» (citato in E. Roccella – L. Scaraffia, Contro il cristianesimo, Piemme 2005, pag. 85). In Svezia i primi provvedimenti eugenetici nascono sotto l’impulso delle teorie del premio Nobel Alva Myrdall (1902-1986, atea e aderente al partito socialista-democratico, come spiegato in L. Dotti, L’utopia genetica del welfare state svedese, Rubettino 2004). L’eugenetica divenne una vera ossessione in quegli anni, anche in Italia, dove però fu mitigata dalla cultura cattolica e non riuscì mai a tradursi in provvedimenti legislativi concreti.
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5. ATEISMO, NAZISMO E RAZZISMO
Chiamiamo in causa ancora uno fra i massimi storici del razzismo, Lèon Poliakov, il quale ricorda nel suo celeberrimo studio che la seduzione del mito ariano si fondava in gran parte sul desiderio di distanziarsi dall’antropologia biblica e dalle «favole ebraiche»: «La teoria ariana si iscrive dunque bene nella tradizione anticlericale e antioscurantista e fa parte dei primi tentativi delle scienze umane, che cercando di fondare i loro metodi sul modello delle scienze esatte, si impegnavano in quest’epoca nel loro secolare impasse meccanicistico e determinista» (L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pp. 370, 371 e G. Mosse, Il razzismo in Europa, Mondadori 1992). E ancora: «Dichiarata con la copertura della scienza balbuziente dei Lumi la lotta contro i vecchi libri finì per condurre, attraverso delle mediazioni storiche e sociali di tutti i tipi […] alla dichiarazione di una guerra di sterminio contro gli uomini: tale è anche il legame coerente che collega l’elaborazione del mito ariano del XIX secolo, quando contestò i racconti genealogici della Bibbia, alle sue conseguenze omicide del XX secolo» (L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pp. 59, 60). Infatti anche la visione razzista di Hitler era definita dalle caratteristiche fisiche e biologiche: il Führer toglieva ogni spazio alla libertà, alla crescita morale, all’anima esattamente secondo i dettami del determinismo positivista e materialista di un Comte o di un Zola. Scriveva Hitler: «E’ chiaro che le qualità peculiari dell’individuo sono innate in esso: chi è egoista resta sempre tale, chi è idealista, lo sarà sempre. Il criminale nato rimarrà sempre un criminale» (A. Hitler, Mein Kampf, La Lucciola 1992, pag. 39).
C’è dunque uno stretto legame tra Voltaire (oltre al furore anticattolico era animato anche da un furore antiebraico), Darwin, Galton e Hitler. Come accennato sopra, Hitler riprenderà le dottrine darwiniste e razziste dell’antropologo ateo Francis Galton, è un fatto pienamente dimostrato: il premio Nobel per la Medicina, James Watson conferma ad esempio che «nel 1933, i nazisti avevano promulgato una legge completa sulla sterilizzazione esplicitamente basata sulle teorie di Galton. Nell’arco di tre anni furono sterilizzate 225 persone» (J. Watson, Dna, il segreto della vita, Adelphi 2004, pag. 33-45). Nel Mein Kampf, dopo aver spiegato che lo Stato «dovrà impedire ai malati o ai difettosi di procreare», Hitler scriveva: «Basterebbe per seicento anni non permettere di procreare ai malati di corpo e di spirito per salvare l’umanità da una immane sfortuna e portarla a una condizione di sanità oggi pressoché incredibile» (A. Hitler, Main Kampf, La Lucciola 1992, pag. 30). Oggi il neodarwinista e leader dell’ateismo scientista, Richard Dawkins, oltre ad entusiasmarsi per Galton (si veda R. Dawkins, L’illusione di Dio, Mondadori 2006, pag. 68), non sembra distanziarsi di molto: «Se un paese volesse vincere la gara di salto in alto alle Olimpiadi entro un paio di secoli basterebbe far accoppiare saltatori in alto esperti, maschi e femmine, e si potrebbe fare lo stesso per i matematici e i musicisti. Ma non è mai stato fatto. C’è una diffusa ostilità verso questa idea purtroppo. Credo che in larga misura provenga dall’esperienza del nazismo. Hitler era entusiasta di questa idea e quindi da allora essa ha goduto di pessima fama» (intervista a Dawkins, in R. Stannard, La scienza e i miracoli, TEA 2006, pag.95-96)
Gli stessi nazisti, come Rudolf Hess (1894-1987), definivano la loro ideologia una «biologia applicata», perché fondata su una visione di controllo assoluto dei processi biologici. Utilizzando il termine darwiniano “selezione”, essi cercarono di sostituirsi alla natura (selezione naturale) e a Dio, per essere loro a dirigere e controllare l’evoluzione umana. Così nacquero leggi razziali sul matrimonio, luoghi in cui ariani e ariane di particolare bellezza e forza venivano spinti a procreare una discendenza “superiore”, sterilizzazioni forzate, eliminazioni tramite eutanasia di determinate categorie di inadatti e improduttivi, aborti per donne tedesche gravide di bambini non “puri” ecc. Alle loro dottrine razziste, non rispose alcun intellettuale laico, nessun profeta dell’ateologia, ma soltanto i “soliti” Pio XI, nell’enciclica Mit brennender Sorge (1937) e Pio XII, nella Summi pontificatus (1939), dove si ribadì l’errore insito nella volontà di dimenticare «quella legge di umana solidarietà e carità, che viene dettata e imposta […] dalla comune origine e dell’uguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualunque popolo appartengano. […] E’ necessario contemplare il genere umano nell’unità di una comune origine in Dio […] nell’unità della natura, ugualmente costituita in tutti di corpo materiale e di anima spirituale e immortale».
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6. CONDANNA DELLA CHIESA CATTOLICA
Già durante il cristianesimo primitivo la Chiesa aveva cominciato ad opporsi alla schiavitù e per la fine del X secolo era riuscita ad eliminarla in gran parte d’Europa. Quando però gli spagnoli colonizzarono le isole Canarie, nel 1435, dando via al cosiddetto periodo colonialista, la Chiesa e i Pontefici, attraverso le encicliche e le bolle papali, tornarono ad opporsi duramente come abbiamo mostrato nel dossier specificatamente dedicato a Chiesa e Colonialismo. Lo storico delle religioni, Rodney Stark, ricorda: «Nel Nuovo Mondo era illegale pubblicare queste bolle antischiaviste, come qualsiasi altra dichiarazione papale, senza il consenso del re, che non fu mai concesso. Quando i gesuiti lessero in pubblico la bolla di Urbano VIII, a Rio de Janeiro, si scatenò una rivolta che provocò il saccheggio del loro collegio locale e il ferimento di diversi sacerdoti. A Santos, la folla travolse il vicario generale gesuita quando tentò di pubblicare la bolla. Nel 1767 i gesuiti vennero brutalmente espulsi dal Nuovo Mondo per aver continuato ad opporsi alla schiavitù e aver dato vita, con successo, a comunità di nativi notevolmente avanzate» (R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 300).
Nel XX° secolo, quando le aberranti considerazioni promosse dalla cultura atea materialista crebbero ed esplosero, anche a seguito delle già citate strumentalizzazioni scientifiche, la Chiesa continuò ad opporsi fermamente. Lo fece Pio XI (1857-1939) con l’enciclica Casti connubii (1930), nella quale condannò duramente l’aborto e la pretesa dell’autorità pubblica di vietare ad alcuni il matrimonio, o sterilizzare quanti venissero ritenuti a rischio di «prole difettosa». Occorre, scriveva il papa, provare a dissuadere dalla procreazione coloro che rischiano di avere figli malati, ma «le pubbliche autorità non hanno alcuna potestà diretta sulla membra dei sudditi» e «non possono mai, in alcun modo, ledere direttamente o toccare l’integrità del corpo, nè per ragioni eugenetiche, nè per qualsiasi altra cagione». Le reazione della cultura laicista ed eugenetica? La stessa che sarebbe avvenuta oggi: «Bisogna tristemente riconoscere che da qui in avanti non ci può essere nessuna tregua tra noi, che cerchiamo la salvezza a modo nostro, e i crociati di Roma. Poiché in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa di più che un invito a regredire al Medioevo, ci troviamo di fronte a un invito alla crociata contro la libertà di pensiero e di azione dalla Stato moderno» scrisse la rivista «Eugenics Review» nel 1931 (citato su Il Foglio 23/9/04)
. Insomma, la solita ingerenza della Chiesa cattolica che si oppone allo sviluppo scientifico e alle onorevoli iniziative della cultura laicista: sterilizzazione di massa, razzismo biologico, segregazioni, isolamento ed eliminazione dei ceppi umani di qualità inferiore, controllo delle nascite ecc…
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7. CONCLUSIONE
Cedere ad una deriva laicista, atea, materialista e riduzionista (come purtroppo toccò anche a Darwin) porta inevitabilmente a perdere di vista l’unicità dell’uomo, riducendolo così ad un semplice animale, solo quantitativamente e non qualitativamente, diverso dagli altri. Si dimentica violentemente l’altra dimensione umana, quella spirituale, si censura l’esistenza dell’anima e si abbandona l’insegnamento evangelico e della Chiesa. L’uomo diventa oggetto, cavia per indagine scientifica come qualsiasi altro animale, credendo di poter studiare scientificamente il pensiero, la volontà, la libertà, l’amore, la moralità, la fede ecc.
L’uomo che vuole creare una società senza Dio, mettendosi al suo posto, ha dimostrato troppe volte di saper solo produrre disastri e tragedie disumane. All’inizio del ‘900, il convertito Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) commentò tutto questo così: «Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa» (Chesterton, Ortodossia, 1908)
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