Aborto e cancro al seno: la scienza dimostra il legame
- Bioetica
- 22 Apr 2010
Esiste un legame tra aborto e cancro al seno? Sì, secondo la scienza c’è un legame molto forte. In questo dossier abbiamo raccolto una vasta gamma di pubblicazioni, spesso nascoste dai media.
Il cancro al seno correlato all’aborto indotto.
La correlazione è ormai evidente nonostante l’opposizione ideologica e politica di alcune associazioni mediche statunitensi.
In questo dossier, costantemente aggiornato, abbiamo raccolto una lista di studi scientifici che dimostrano la correlazione tra l’induzione dell’aborto e il cancro al seno.
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ABORTO E CANCRO AL SENO, GLI STUDI SCIENTIFICI
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Nel gennaio 2018 il Breast Cancer Prevention Institute ha pubblicato sulla rivista peer-review Issues in Law and Medicine una importante ricerca intitolata Induced Abortion as an Independent Risk Factor for Breast Cancer: A Systematic Review and Meta-analysis of Studies on South Asian Women. Analizzando 20 studi, 16 dei quali condotti su donne indiane, la meta-analisi ha riscontrato un aumento del 151% del rischio di cancro al seno dopo un aborto indotto.
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Nel novembre 2015 uno studio dell’Imperial College di Londra ha rilevato che essere madri riduce del 20% il rischio di contrarre malattie come il cancro.
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Nell’aprile 2015 l’American College of Pediatricians ha avvertito le donne con un comunicato ufficiale segnalando che «l’aborto indotto aumenta la probabilità che una donna svilupperà il cancro al seno. Questo rischio aumenta particolarmente per gli adolescenti. Il College invita tutti gli operatori sanitari ad informare le donne sui rischi connessi all’aborto indotto, tra cui l’aumento del rischio di cancro al seno».
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Nel novembre 2014 i ricercatori del Fox Chase Cancer Center di Filadelfia hanno rilevato che la gravidanza è una fonte di protezione verso il cancro al seno. Il motivo sta nei cambiamenti genetici indotti dall’ormone gonadotropina corionica (HCG), prodotto durante la gravidanza.
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Nel gennaio 2014 uno studio sull’Indian Journal of Cancer ha rilevato che le donne che hanno avuto un aborto hanno mostrato 6,26 volte più probabilità di sviluppare il cancro al seno rispetto alle donne che non hanno abortito.
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Nel novembre 2013 una metanalisi pubblicata sulla rivista “Cancer Causes & Control” ha rivelato che l’aborto indotto è significativamente associato ad un aumentato rischio di cancro al seno tra le donne cinesi. In particolare: un aborto +44%; due aborti +76%; tre aborti +89% di rischio di cancro alla mammella.
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Nel 2013 una ricerca pubblica sul “Journal of Dhaka Medical College” ha analizzato un campione di donne del Bengala, una zona dove il cancro al seno ha un’incidenza ridottissima. I ricercatori hanno verificato che l’aborto procurato ne aumenta il rischio di ben il 20%.
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Nel novembre 2012 due ricerche cinesi pubblicate su Asian Pacific Journal of Cancer hanno rilevato una correlazione tra il rischio di cancro al seno, l’età avanzata alla nascita del primo figlio e la mancanza di allattamento, il ciclo mestruale breve, l’uso di pillole contraccettive, il non aver mai partorito e soprattutto l’età postmenopausale che purtroppo quintuplica il rischio della temuta malattia.
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Nell’aprile 2012 il dottor Hatem Azim, oncologo presso il Jules Bordet Institute di Bruxelles ha effettuato in un periodo di 5 anni uno studio approfondito su 333 donne, di età fra 21 e i 48 anni, che è rimasta incinta dopo una diagnosi di cancro al seno e un gruppo di controllo di 874 donne con diagnosi di cancro al seno simili, ma che non erano rimaste incinta. Diventare incinta in qualsiasi momento dopo una diagnosi di cancro al seno non aumenta il rischio di ricaduta, anche se la gravidanza si verifica durante i primi due anni dopo la diagnosi. Inoltre le pazienti che iniziano una gravidanza sembrano sopravvivere più a lungo rispetto a quelle che non lo fanno.
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Nell’agosto 2011, il docente di biologia e endocrinologia dell’University of New York, Joel Brind, e tra i massimi esperti al mondo di cancro al seno, ha affermato che l’aborto indotto ha causato almeno 300 mila casi di cancro al seno con conseguente morte della donna dal 1973 (anno in cui l’aborto è divenuto legale negli USA).
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Il 22 giugno 2010, uno studio condotto da ricercatori dello Sri Lanka, ha rilevato che le donne che hanno abortito hanno avuto un aumento di rischio di cancro al seno rispetto a quelle che hanno tenuto il bambino. Questo studio epidemiologico ha confermato i risultati di tre altre ricerche eseguite nei 14 mesi precedenti da parte di équipe degli Stati Uniti, Cina e Turchia.
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Nel 2009, il docente di biologia e endocrinologia dell’University of New York, Joel Brind, ha pubblicato uno studio chiamato “The abortion-breast cancer connection“, col quale esamina il dettaglio storico-scientifico che riguarda la connessione tra aborto-cancro al seno. Lo specialista sottolinea che «anche se sono stati promulgati studi politicamente corretti per neutralizzare i dati comprovanti il collegamento tra cancro al seno e aborto, dati ancora più forti sono emersi negli ultimi anni, i quali puntano con forza a connettere l’aborto a nascite premature nelle gravidanze successive, che a loro volta aumentano il rischio di cancro al seno nelle madri e la paralisi cerebrale nei bambini nati prematuramente». Il ricercatore elenca e approfondisce tutti questi studi scientifici.
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Sempre nell’aprile 2009 viene pubblicato uno studio sul cancro al seno nel peer-reviewed World Journal of Surgical Oncology, in cui si conclude che l’aborto indotto ha aumentato del 66% il rischio di cancro al seno: «I nostri risultati suggeriscono che l’età e l’interruzione di gravidanza sono risultati significativamente associati all’aumento del rischio di cancro al seno», hanno concluso i ricercatori dell’Università di Instanbul.
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Nell’aprile 2009 uno dei principali organizzatori del seminario su aborto e cancro al seno all’interno del National Cancer Institute nel 2003, Louise A. Brinton, è diventato co-autore di uno studio peer-reviewed nel quale si ammette che il legame tra aborto e cancro al seno è reale, definendo l’aborto «un noto fattore di rischio»[38]. Sottolinea anche la possibilità di un ripensamento futuro da parte dell’ente per riconoscere questo collegamento. Questo nuovo studio è apparso sulla prestigiosa rivista specializzata Cancer Epidemiology, Biomarkers and Prevention ed è stato condotto da Jessica Dolle in collaborazione con il gruppo Janet Daling del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle. Si rileva un aumento di rischio di cancro al seno del 320% in chi ha usato contraccettivi orali rispetto a chi non ne ha fatto uso. L’effetto dei fattori di rischio più significativi, tra cui l’aborto indotto, sono stati descritti come «coerenti con gli effetti osservati in precedenti su studi di donne più giovani». Il dott. Joel Brind, eminente ricercatore sul cancro al seno, ha dichiarato che «questo documento fornisce un chiaro sostegno per l’esistenza del nesso tra aborto e cancro al seno-aborto».
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Nella primavera del 2008 la Dr. Angela Lanfranchi, specialista in cancro al seno e professore clinico assistente di Chirurgia presso la Robert Wood Johnson Medical School, ha pubblicato un articolo sull’argomento per il Journal of American Physicians and Surgeons, nel quale scrive: «Esiste una buona documentazione fisiologica sul fatto che i contraccettivi orali e l’aborto sono fattori di rischio per il cancro al seno. Tuttavia è presente uno sforzo per sopprimere queste informazioni da parte degli organismi federali e da parte della medicina accademica. Senza queste informazioni, le donne non possono fare una scelta pienamente informata sulla scelta del metodo di controllo della fertilità o sul fatto di mantenere una gravidanza non pianificata. L’etica medica esige che siano informate». Nel dicembre 2010 definirà i contraccettivi ormonali «una sostanza cancerogena del gruppo 1». Una gravidanza portata a termine, ha scritto la Lanfranchi, offre protezione contro il cancro perché le ghiandole mammarie della madre sono a completa maturazione e più resistenti agli agenti cancerogeni.
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Nel settembre 2005, la Dr. Angela Lanfranchi, specialista in cancro al seno e professore clinico assistente di Chirurgia presso la Robert Wood Johnson Medical School, ha pubblicato un articolo scientifico in cui ha spiegato la fisiologia e l’epidemiologia del collegamento aborto-cancro al seno. Ha inoltre rivelato che «nello scorso mese di agosto, a Minneapolis, Patrick Carroll -direttore della Pension and Population Research Institute of London, ha presentato un documento per il più grande raduno di statistici del Nord America. Egli ha dimostrato che l’aborto è stato il miglior predittore di tumore al seno in Gran Bretagna. Il carcinoma della mammella ha in Gran Bretagna la sua più alta incidenza e tasso di mortalità tra le classi sociali superiore, piuttosto che quelle inferiori. L’aborto è stata la migliore spiegazione di questa incidenza». Egli ha anche trovato che vi era stato un aumento del 70% del rischio di cancro al seno tra il 1971 e il 2002, e che per le donne tra i 50 ei 54 anni di età l’incidenza è stata fortemente correlata con l’aborto.
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Nel gennaio 2005 a Portland (Oregon) alcune donne hanno denunciato enti abortisti a cui si erano rivolte in passato (Dave Andrusko, “Plaintiff Wins Suit against Abortion Clinic”, National Right to Life
News 32.2 (February 2005): 15). Questi casi indicano che siamo all’inizio di ciò che può diventare una “valanga giuridica”.
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Verso la fine del 2003 è emerso un caso di malasanità importante. Alcune donne di Philadelphia hanno denunciato alcuni enti abortisti per non averle informate circa il rischio di cancro al seno e di complicazioni psicologiche. La diatriba si è conclusa con un riconosciemtno in denaro, anche se non sostanziale (Stephanie Carter v. Charles E. Benjamin and Cherry Hill Women’s Center, Philadelphia Court of Common Pleas, April Term, 2000, No. 3890)
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Nel febbraio 2003, il National Cancer Institute (NCI) ha tenuto un seminario sul possibile collegamento tra aborto indotto e aumento del rischio di cancro al seno. Nella sintesi finale la conclusione è stata che «un aborto indotto non è associato ad un aumento di rischio di cancro al seno». Tuttavia, sempre nel 2003, nel Volume 8 del Journal of American Physicians and Surgeons è apparso un’approfondimento storico sugli studi scientifici che hanno rilevato collegamenti tra il cancro alla mammella e l’aborto. Si cita la conclusione del NCI anche se con molto scetticismo: «La questione è stata oggetto di una votazione di oltre 100 tra i maggiori esperti mondiali, tuttavia il sito del NCI non indica il risultato di questa votazione. Inoltre, nella sintesi, non viene fatto accenno ad alcun dissenso, mentre sul sito web veniva informato che all’interno degli specialisti vi era una minoranza dissenziente dal risultato finale, convinta di evidenze biologiche circa l’associazione positiva tra l’aborto indotto e il cancro al seno». Si conclude quindi raccomandando una maggiore correttezza politica. Lo studio rivela comunque un’infinità di studi scientifici che si discostano completamente dalla dichiarazione del National Cancer Institute, confermando pienamente il legame aborto-cancro al seno. Il rapporto include anche una parte in cui viene sottolineato il totale silenzio su questi dati da parte della maggior parte delle organizzazioni mediche e un’ostilità perenne contro coloro che li rendevano pubblici. Allo stesso modo, si ricorda, di quanto ha fatto l’industria del tabacco nascondendo il rischio di cancro per decenni.
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Nel gennaio 2003 ricercatori del Department of Epidemiology dell’University of North Carolin, hanno pubblicato uno studio sul Obstetrical and Gynecological Survey, intitolato “Long-Term Physical and Psychological Health Consequences of Induced Abortion: Review of the Evidence“. Con esso rilevano alcune conseguenze psicologiche dell’aborto indotto, come depressione e autolesionismo. Rispetto al link ABC dichiarano: «Noi crediamo al momento che i medici debbano essere tenuti ad informare alle donne in gravidanza che la decisione di abortire può aumentare quasi del doppio il rischio di sviluppare il cancro al seno a causa della perdita dell’effetto protettivo dovuto al completamento della gravidanza. Inoltre crediamo che le donne devono essere consapevoli degli studi che vedono l’aborto indotto come un fattore di rischio indipendente per il carcinoma mammario».
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Nel 2001 Joel Brind, docente di biologia e endocrinologia dell’University of New York, ha pubblicato uno studio in cui dimostra che l’aborto è la spiegazione dell’improvviso aumento di casi di tumore al seno a partire dalla prima metà degli anni ’80. Brind ha stimato che nel 1996 un eccesso di 5.000 casi di cancro al seno era da attribuire all’aborto, e che l’aumento da quella data in poi sarebbe stato di 500 casi all’anno. Lo scienziato ha osservato: «I ricercatori ammettono ampiamente la plausibilità biologica dell’aborto come una causa indipendente di cancro al seno».
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Il 18 novembre del 1999 il Dott. Lynn Rosenberg, epidemiologo alla Boston University Medical School, da sempre negatore di una qualsiasi connessione tra aborto e cancro al seno e colui che scrisse nel 1994 l’editoriale per il Journal of the National Cancer Institute tentando di minimizzare lo studio -citato poco sopra- pubblicato sulla stessa rivista dalla Dr. Janet Daling, venne chiamato come consultente esterno dal tribunale della Florida. A questa domanda del procuratore: «Una donna che si ritrova incinta all’età di 15 anni avrà un più alto rischio di cancro al seno se sceglie di interrompere la gravidanza, piutosto che portare a termine la gravidanza, giusto?», Rosenberg, sotto giuramento, è stato costretto a rispondere: «Probabilmente si». Il procuratore ha quindi specificato meglio la domanda: «Confrontiamo due donne. Diciamo che una sia rimasta incinta all’età di 15 anni e termina la gravidanza, anche l’altra è rimasta incinta a 15 anni ma decide di interrompere la gravidanza. Entrambe le donne si sposano e hanno due bambini, diciamo all’età di 30 o 35 anni. Il rischio di cancro al seno sarà più alto per la donna che ha abortito all’età di 15 anni o per la donna che ha portato avanti la gravidanza all’età di 15 anni, oppure avranno entrambe la stessa probabilità di tutti?». L’epidemiologo confermò la sua risposta: «E’ probabilmente più elevato il rischio per chi ha avuto un aborto a 15 anni».
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Tra il 1998 e il 2002 sono emerse prove demografiche a sostegno del collegamento aborto-cancro al seno. I tassi di cancro sono infatti molto più bassi nei paesi occidentali in cui è proibito l’aborto rispetto a quello in cui è promosso. In Irlanda, ad esempio, è vietato l’aborto e il tasso di cancro al seno è di 1 a 13, cioè quasi la metà del tasso di 1 a 8 presente negli Stati Uniti, dove invece l’aborto è legale (vedi anche K. O’Flaherty, R. Oakley, “Self-checks ‘useless’ in breast cancer fight“, Sunday Tribune 6/10/02). Il tasso di cancro al seno aumenta costantemente man mano che si viaggia dall’Irlanda, dove l’aborto è illegale, all’Irlanda del Nord, dove l’aborto è legale ma raro, fino all’Inghilterra, dove l’aborto è comune. In Romania, un altro esempio, l’aborto è rimasto illegale fino al 1989 e il Paese godeva uno dei più bassi tassi di cancro al seno di tutto il mondo in quel periodo, di gran lunga inferiore rispetto ai tradizionali Stati occidentali. Era addirittura un sesto del tasso degli Stati Uniti (A. Khan, “The role of fat in breast cancer“, The Independent 18/5/98). Dopo il 1989, la Romania ha legalizzato l’aborto al punto che la Romania ha ora uno dei tassi abortivi tra i più alti al mondo. Nel luglio del 1997, durante la World Conference on Breast Cancer, organizzata dalla Women’s Environment and Development Organization (WEDO) un osservatore rumeno ha denunciato: «La liberalizzazione dell’aborto in Romania nel 1990 e l’aumento significativo del numero di aborti a intervalli di tempo relativamente brevi, hanno determinato un aumento dell’incidenza del cancro alla mammella e alla cervice uterina nel mio paese» (vedi anche North Florida Women’s Health and Counseling Services, Inc., et al. vs State of
Florida et al., official transcript of videotape deposition of Lynn Rosenberg, Sc.D., for purposes of trial testimony, Nov. 18, 1999, p. 77).
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Nell’ottobre del 1996 ricercatori del Department of Natural Sciences dell’University of New York hanno pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health, rivista della British Medical Association (BMA), i risultati di una importante meta-analisi (cioè una revisione globale di tutti gli studi sull’argomento noti fino ad allora). Gli specialisti volevano verificare se, come dimostravano i reports pubblicati fino ad allora, l’aumento significativo del rischio di cancro al seno era specificatamente attribuibile ad un aborto indotto in precedenza. Dopo un ampio studio di tutto il materiale hanno concluso che l’aborto indotto (e non quello spontaneo) era tra i fattori indipendenti più significativi nell’aumento di rischio di cancro al seno (circo del 30%). L’alta incidenza trovata suggerisce -scrivono i ricercatori americani- un sostanziale impatto su migliaia di casi in eccesso nell’anno in corso e un impatto potenzialmente molto maggiore nel successivo secolo. Le istituzioni coinvolte nella meta-analisi -cioè il Baruch College, il Penn State Medical College e la British Medical Association (BMA)- hanno richiamato l’attenzione dei media e la notizia è stata riportata ampiamente in tutto il mondo.
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Nel giugno 1995 sul Journal of the National Cancer Institute compaiono i risultati di uno studio intitolato “Oral Contraceptives and Breast Cancer Risk among Younger Women“. I ricercatori hanno esaminato la relazione tra l’uso di contraccettivi orali e il cancro al seno su donne di età inferiore ai 45 anni. La conclusione è: «La relazione tra contraccettivi orali e cancro al seno nelle giovani donne sembra avere una base biologica, piuttosto che essere un artefatto o il risultato di errori sistematici».
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Nel 1994 è esplosa l’attenzione su questo problema grazie allo studio della Dr. Janet Daling e i colleghi del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of National Cancer Institute (JNCI). La constatazione generale dell’équipe guidato dalla Daling è l’aver rilevato un aumento del 50%, quindi statisticamente significativo, del rischio di cancro al seno tra le donne che avevano scelto l’aborto. Anche il New York Times ha parlato di questa ricerca con un articolo dal titolo “New Study Links Abortions and Increase in Breast Cancer Risk“. Il rischio aumenta –più del 100%– per le donne che hanno abortito prima dei diciotto anni o dopo i trenta. La Daling è una nota supporter del diritto all’aborto ma ha comunque dichiarato: «Ho tre sorelle con tumore al seno e mi offendono le persone che pasticciano con i dati scientifici per promuovere la loro ideologia, siano esse pro-choice o pro-life. Mi sarebbe piaciuto avere trovato alcuna associazione tra cancro al seno e l’aborto, ma la nostra ricerca è solida come una roccia ed i nostri dati sono corretti». Il National Cancer Instituite dopo aver fatto diverse pressioni su questi ricercatori, non volle accettare questi risultati e mantenne fino al 1997, sul suo sito web, una scheda che definiva la ricerca “incoerente e inconcludente” scritta dal dott. Lynn Rosenberg (che cambierà totalmente idea dopo qualche anno, come viene detto più sotto). Accadde poi che alcuni membri del Congresso, come l’ostetrico Dr. Tom Coburn, scrissero una lettera di protesta al direttore del NCI e gli sprezzanti giudizi sono improvvisamente scomparsi. Nel 2002, dopo altri pasticci, il National Cancer Institute ha ricevuto una denuncia da parte del Congresso e ha definitivamente rimosso la scheda sul proprio sito Web che indicava la non dimostrazione dell’esistenza di un legame ABC.
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Nel 1994 la rivista medica Genetic Epidemiology ha pubblicato uno studio che rivelava come le donne di colore che hanno alle spalle almeno un aborto indotto avevano aumentato il rischio di cancro al seno del 144%. I ricercatori si sono dichiarati sicuri del risultato al 95% (A. E. Laing et al, “Reproductive and Lifestyle Factors for Breast Cancer in African-American Women”, Genetic Epidemiology 11 (1994): 300)
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Nel 1992 è stato pubblicata una ricerca svolta da ricercatori russi dal titolo: “The endocrinological aspects of breast cancer diagnosed after abortion“. Dopo aver valutato il profilo ormonale di pazienti con cancro della mammella che avevano subito un’interruzione di gravidanza si è concluso che «questi risultati confermano l’opinione che la gravidanza e la sua cessazione creano le condizioni che contribuiscono alla progressione del processo tumorale».
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Tra il 1980 e il 1990 diversi ricercatori hanno studiato popolazioni di donne più anziane che erano state esposte all’aborto legalizzato. Citiamo lo studio realizzato in Giappone e pubblicato sul Shikoku Medical Journal con il titolo: “The Epidemiology of Breast Cancer in Tokushima Prefecture” (F. Nishiyama, “The Epidemiology of Breast Cancer in Tokushima Prefecture”, Shikoku Medical Journal 38 (1982): 333–343). Un secondo studio realizzato dal New York State Department of Health e pubblicato con il titolo “Early Abortion and Breast Cancer Risk among Women under Age 40“, sull’International Journal of Epidemiology ha studiato un campione di 1451 soggetti sotto i 40 anni registrati al Cancer Registry negli anni 1976-1980, è emersa la necessità di segnalare ai promulgatori delle leggi statali il collegamento tra l’incidenza del cancro e l’interruzione di gravidanza volontaria, oltre che quella spontanea. L’aumento di rischio tra le donne con alle spalle un aborto indotto è risultato essere del 90% (rischio relativo = 1,9). La ricerca è stata anche pubblicata sul Journal of the National Medical Association, dove si sottolinea che anche il controllo delle nascite tramite l’uso della pillola anticoncezionale ha conferito un significativo aumento del rischio. I ricercatori fanno notare che l’aborto e l’uso di contraccettivi orali sono stati indicati come i possibili contributori del recente aumento di cancro al seno nelle giovani donne afro-americane. Un terzo studio è stato realizzato da alcuni ricercatori svedesi nel 1986 su un campione di donne di Svezia e Norvegia. E’ apparso su The Lancet con il titolo “Oral contraceptive use and breast cancer in young women” e anche in questo caso il risultato è univoco: l’uso prolungato di contraccettivi orali può aumentare il rischio di cancro al seno nelle giovani donne. Un quarto studio è stato realizzato in Grecia tra gennaio e dicembre del 1989 e pubblicato sull’International Journal of Cancer. I ricercatori hanno presentato le conclusioni dicendo: «E’ evidente che una storia di aborto indotto è stata associata ad un aumentato rischio di cancro al seno. Un aborto indotto prima di portare a termine un’altra gravidanza è associato a un rischio più elevato di quanto sia un aborto effettuato dopo una gravidanza portata a termine. Una gravidanza interrotta non sembra poter imprimere l’effetto di protezione a lungo termine attribuibile ad una gravidanza portata al termine».
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Nel marzo 1982 su Science, una delle riviste scientifiche più importanti a livello internazionale, viene pubblicata una recensione sul legame ABC a cura di Willard Cates del Centers for Disease Control and Prevention (CDC), intitolata “Legal abortion: the public health record“. Si sottolinea che «la crescente disponibilità e l’utilizzo dell’aborto legale negli Stati Uniti ha avuto diversi effetti importanti sulla salute pubblica dal 1970», si registra anche «una certa preoccupazione per la possibilità di alti rischi di carcinoma mammario in alcune donne».
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Nel 1981 compare il primo vero studio epidemiologico che si concentra sul legame ABC (aborto-cancro al seno) nelle donne americane. Viene pubblicato sul British Journal of Cancer (BJC) da Malcolm Pike e colleaghi della University of Southern California. L’aborto negli Stati Uniti era legale da circa 10 anni (è stato legalizzato nel 1973) è i soggetti erano quindi donne molto giovani. I risultati dello studio dimostrano che le donne che hanno fatto un lungo uso di contraccettivi orali e che hanno avuto un abortito indotto risultavano avere 2,4 volte (cioè il 140%) di probabilità di veder aumentato il rischio di cancro al seno.
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Nel 1980 la ricerca sperimentale in laboratorio sui ratti (la specie animale più importante per studiare la riproduzione umana) ha fornito un’altra possibile strada per verifica il collegamento ABC. Jose e Irma Russo, ricercatori a capo di un équipe presso il Cancer Michigan Foundation di Detroit (oggi sono al Fox Chase Cancer Center di Philadelphia), hanno dimostrato che quasi l’80 per cento dei topi che avevano subito un aborto chirurgico avevano sviluppato il cancro al seno, mentre coloro ai quali venne consentito di portare a termine la gravidanza sono stati completamente protetti dallo sviluppare la malattia. Il motivo è stato attribuito alla differenziazione incompleta della ghiandola mammaria al momento della somministrazione della sostanza cancerogena. I corpi degli animali hanno potuto essere esaminati al microscopio durante e dopo l’esperimento. In questo modo, i Russo sono stati i principali protagonisti della scoperta dei cambiamenti che si svolgono nel seno mammifero prima, durante e dopo la gravidanza. Il completamento di una gravidanza fornisce dunque un certo livello di protezione permanente contro il cancro al seno, perché lascia la donna meno vulnerabile dalle cellule indifferenziate che possono dare origine al cancro. Più bassa è l’età a cui è portata a termine la gravidanza e tanto maggiore è la protezione.
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Nel 1976, uno studio realizzato da due ostetrici svizzeri, Kunz and Keller, pubblicato sul British Journal of Obstetrics and Gynaecology, ha documentato una chiara differenza tra l’enorme aumento di estrogeni e progesterone nel primo trimestre di gravidanza e la loro pochezza e breve vita nelle gravidanze interrotte con aborti spontanei. Questi risultati combaciano perfettamente con i patterns delle differenze nel rischio di cancro al seno dopo diversi esiti della gravidanza che sono stati delinati con chiarezza dai dati epidemiologici.
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Dopo il 1973, anno in cui è stato legalizzato l’aborto negli Stati Uniti, una moltitudine di studi epidemiologici hanno rivelato un quadro chiaro degli eventi fisiologici spiegando che il legame ABC cominciava ad emergere. In particolare sono stati gli studi nel campo della endocrinologia riproduttiva (lo studio degli ormoni della riproduzione) a fornire una importante linea di elementi di supporto biologico al link ABC. Sono stati promulgati anche diversi studi contrari, ma le obiezioni non sono mai riuscite a confutare più di tanto queste ricerche. Come ha scritto Joel Brind, docente di biologia e endocrinologia dell’University of New York, nel 2005 «si sarebbe potuto pensare, soprattutto in considerazione della natura prevalentemente facoltativa dell’aborto indotto, che il principio di precauzione avrebbe prevalso, se non in termini di leggi e regolamenti almeno in termini di raccomandazione da parte delle società mediche. Vale a dire, anche se fossero esistiti soltanto uno o due studi che mostrano una significativa associazione tra l’aborto indotto e il futuro rischio di cancro al seno, avrebbero dovuto sollevarsi alcune bandiere rosse sulla sicurezza della procedura. Eppure pochi hanno avuto queste preoccupazioni, nonostante gli studi scientifici critici siano un numero decisamente consistente».
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Nel 1970 i risultati di un importante studio collaborativo internazionale sul cancro al seno in 7 aree del mondo sono stati pubblicati sul Bolletino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità da parte di ricercatori di una multinazionale con sede ad Harvard, i quali suggeriscono un aumento dei rischi associati all’aborto indotto.
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Già nel 1957 uno studio nazionale in Giappone pubblicato in lingua inglese sul Japanese Journal of Cancer Research. ha mostrato una correlazione positiva tra l’aborto indotto e il cancro al seno. Più precisamente ha rivelato che le donne con un cancro al seno sviluppato avevano una frequenza tre volte più alta di aver avuto gravidanze concluse con un aborto indotto.
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