«Il Medioevo valorizzò la donna, l’illuminismo la chiuse in casa»
- Ultimissime
- 05 Gen 2015
Augurandovi nuovamente buon 2015 avviamo l’attività di quest’anno infinitamente grati al Signore per quanto ci ha dato nel 2014. Si riparte dunque, buon cammino a tutti!
Certamente il Medioevo fu il periodo storico in cui la Chiesa poté esercitare la sua massima influenza sulla società ed è da questa evidenza che si giustifica la leggenda nera dei “secoli bui”, creata dai sedicenti “illuministi” dell’800. Ancora oggi resiste l’esclamazione del “torniamo al medioevo” quando qualcosa non gira per il verso giusto.
Eppure, fior di storici hanno dedicato la loro vita a smontare questo antistorico pregiudizio, primo fra tutti l’agnostico Jacques Le Goff, secondo il quale addirittura non è mai esistito il Rinascimento, poiché si è trattato semplicemente di un lungo Medioevo, dal VI al XVII secolo. Nessun “uomo nuovo”, il progresso è il Medioevo stesso, disse: «Il Medio Evo è stato sempre considerato come un periodo di passaggio tra l’Antichità e la Modernità, ma passaggio significa soprattutto sviluppo e progresso. Nel Medio Evo progressi straordinari ci sono stati in tutti i campi, con i mulini a vento e ad acqua, l’aratro di ferro, la rotazione delle culture da biennale a triennale. Ma non c’è nessuna rottura fondamentale tra Medioevo e Rinascimento, tra il 14esimo e il 17esimo secolo». Nel Medioevo nascono la scienza, gli ospedali moderni, le università, l’anatomia, la notazione musicale (pentagramma) ecc.: in nessun periodo storico si è assistita ad una tale accelerazione del progresso. Tanto che il prestigioso storico della scienza francese Jean Gimpel ha scritto: «La prima rivoluzione industriale risale al Medioevo. I secoli XI, XII, XIII hanno creato una tecnologia sulla quale la rivoluzione industriale del secolo XVIII si è appoggiata per il suo sviluppo. Le scoperte del Rinascimento hanno avuto solamente un ruolo limitato nell’espansione dell’industria» (J. Gimpel, “La révolution industrielle du Moyen Age”, Éditions du Seuil 1975, pp. 256). Interessante a questo proposito anche l’articolo intitolato “Le radici medioevali della Rivoluzione industriale“, scritto dal prof. Terry S. Reynolds, professore emerito di Storia presso la Michigan Technological University.
Anche quando si parla del ruolo della donna nella società, spesso si contrappone la libertà femminile di oggi alla presunta ghettizzazione presente nel Medioevo. Proprio Le Goff invece ha spiegato: «l’idea che la donna sia uguale all’uomo ha determinato la concezione cristiana della donna e ha influenzato la visione e l’atteggiamento della Chiesa medievale nei suoi confronti» (J. Le Goffe, “Un lungo Medioevo”, Dedalo 2006, p. 92). Anzi, ribadì in un’intervista per “Avvenire”, «credo che tale rispetto della donna sia una delle grandi innovazioni del cristianesimo; pensiamo alla riflessione che la chiesa ha condotto sulla coppia e sul matrimonio, fino a giungere alla creazione di tale istituzione, ora tipicamente cristiana, formalizzata dal quarto concilio Lateranense nel 1215, che ne fa un atto pubblico (da cui la pubblicazione dei bandi) e, cosa fondamentale, un atto che non può realizzarsi se non con il pieno accordo dei due adulti coinvolti».
Recentemente lo ha riconosciuto anche lo storico Angelo Varni, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Bologna e Direttore della Scuola Superiore di Giornalismo. Recensendo il saggio “Donna Domina. Potere al femminile da Cleopatra a Margaret Thatcher”, a cura di collega Donatella Campus, ha riflettuto sulla dimensione politico-culturale del ruolo svolto dalla donna nelle epoche passate. «Ancora sovrane, principesse e nobildonne a dar sostanza ad un ruolo di potere politico ricoperto da donne nel Medioevo. Ce lo dimostrano i due persuasivi ritratti di Matilde di Canossa e di Ildegarda di Bingen», disegnati nell’intervento nel saggio di Francesca Roversi Monaco, docente di Storia medioevale all’Università di Bologna. «Dove si descrive un’epoca che, ad onta dei luoghi comuni sulle sue chiusure, apriva spazi di presenza femminile ai vertici più alti della gestione della cosa pubblica finanche internazionale, irradiantesi dalle corti e dai monasteri affidati per vicende ereditarie e nobiltà di lignaggio alle loro cure».
Come abbiamo spiegato nel nostro apposito dossier, la storia del cristianesimo è infatti costellata di donne sante, donne imperatrici, donne leader, sopratutto nel Medioevo. Il prof. Varni ha inoltre osservato che «fu la Rivoluzione francese a rimettere in discussione simili opportunità tutte derivate dall’appartenenza di casta: nella società borghese dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri non parve affatto naturale riconoscere alle donne una loro paritaria presenza nella dimensione pubblica, mentre il positivismo ottocentesco si sforzava di trovare ragioni oggettive per relegarle nei limiti del privato».
Ecco dunque che ancora una volta la verità ribalta la leggenda: si scopre che il Medioevo era il luogo di apertura per la presenza femminile nella società, l’illuminismo, invece, di chiusura e di relegazione nelle case. Chi vuole tornare ai secoli bui dell’illuminismo?
La redazione
48 commenti a «Il Medioevo valorizzò la donna, l’illuminismo la chiuse in casa»
Attenzione, però, precisiamo una cosuccia: tutto dipende dai periodi e dai contesti. Il Medioevo è un periodo di mille anni, durante i quali cambia tutto molte volte, e anche nello stesso periodo si trova un mosaico di situazioni diverse, tanto che bastava andare in un’altra città per trovare leggi completamente diverse dalla propria.
Ad esempio, nel XIV secolo, nei Comuni italiani come Firenze vige un regime molto restrittivo e patriarcale, ma perché si tratta di contesti fondati sul diritto romano, per il quale conta solo il paterfamilias. Nei centri più piccoli, o nel Sud Italia, la situazione è molto più elastica, fino a Trecento inoltrato: ci sono addirittura situazioni in cui le donne votano nei consigli di villaggio, nel momento in cui il capofamiglia è una donna, vedova o altro. Nel Nord Europa, poi, questo aspetto è molto più accentuato: la Hutton, ad esempio, descrive donne dei Paesi Bassi che ereditano attività commerciali dalla famiglia paterna, e la esercitano indipendentemente dal marito.
Io farei partire però la svalutazione della donna un po’ prima, dall’inizio del XIV secolo, con l’influenza sempre più marcata dell’università e dunque del diritto romano.
Eleonora de Serra-Bas, giudicessa di Arborea dal 1383 al 1404, promulgò la stesura definitiva della “Carta de Logu”, una raccolta di leggi ed ordinamenti giuridici che sono la prefigurazione del moderno stato di diritto.
Questa mi mancava! Approfondirò!
Sono d’accordo con Mercuriade,
con la storia vale sempre questa regola: non bisogna generalizzare. Il ruolo di alcune donne nel medioevo era certamente ai massimi vertici, bisogna poi vedere come vivevano le povere donne, quelle “normali” diciamo, che avevano due scelte: famiglia o convento.
Beh, Marco, non è che nei villaggi medioevali i ” poveri uomini “, quelli “normali” , avessero poi una rosa di scelte molto più vasta di quella della donne: o la zappa o… la zappa
sisi Gladio chiaramente è corretto quello che dici.. anzi il senso di quello che volevo dire era anche che le donne avevano poche prospettive indipendentemente dall’influenza della “oscurantista Chiesa”. Era anche una società che di prospettive non ne dava poi molte.. sia per l’uomo che per la donna, a livelli comuni.
Non direi così tanto: gli esempi più interessanti si hanno proprio al livello cosiddetto “comune”, in particolare nel XIII secolo (il mio preferito, lo ammetto). In particolare il “Livre de la Taille” (registro delle tasse) compilato da Etienne Boileau, prevosto del re di Francia Luigi IX alla metà del duecento, e i registri delle tasse inglesi, comprendono una valanga di mestieri… declinati al femminile! Nominiamone qualcuno: “barbiere”, “pellicciaie”, “guantaie”, “cappellaie”, “bottonaie”, “elmiere” , “cappucciaie”, “borsettaie”, “calzolaie”, “tappezziere”, “agoraie”, “coltellinaie”, “calderaie”, “maniscalche”, “forbiciaie”, “ferraie”, “usberghiere”, “vasaie in peltro”, “orafe”, “tagliatrici d’oro”, ecc.
In Spagna, poi, José Luìs Corràl Lafuente ha scoperto che un buon terzo dei maestri di bottega che si occuparono della costruzione della cattedrale di Leòn (fabbri compresi) erano donne.
Va ricordato, comunque, che il Medioevo non ragionava tanto per singoli quanto per famiglie; quando si cita un artigiano che possiede una bottega, si prosegue sempre “e la sua famiglia”. Dunque s’intende che non è semplicemente il singolo ad esercitare il mestiere ma tutta la famiglia (anche se la responsabilità principale ricade sul capofamiglia). Proprio per questo, nel momento in cui nel corso del Trecento si cristallizzano le corporazioni (soprattutto in Italia) e le si organizzano secondo le leggi “alla romana” dei Comuni, si reiterano i divieti per l’artigiano di farsi aiutare dalla moglie e dai figli.
Sarebbe finalmente l’ora che la gente incominci a dubitare dell’esistenza di presunte società maschiliste in epoche passate e che incominci invece a fare ricerche più approfondite, e senza paraocchi, sulla situazione sociale della donna e dell’uomo nella storia. Già questo di UCCR è un esempio di articolo interessante. Di donne potenti ce ne sono state eccome nel corso della storia (la regina Elisabetta, la regina Vittoria, l’imperatrice Maria Teresa…) e ce ne sono pure adesso, ma anche se non ci fossero comunque non dovrebbe significare per forza che la società è o era maschilista. Una donna sposata con molti figli sarà impegnata per molto del suo tempo ad educarli e, sopratutto quando questi sono piccoli, necessiteranno molto di più della mamma che del papà (senza per questo togliere importanza alla figura del padre) e quindi la mamma spenderà un sacco di tempo con loro. Come conseguenza di tutto ciò la donna avrà meno tempo per svolgere un’occupazione importante nella società, ma sappiamo bene che potrà essere comunque felicissima. Se nel passato ci sono state poche donne che si interessavano a tempo pieno di politica non era perché vivevano in società maschiliste che vietavano queste cose alle donne, ma perché sceglievano liberamente di dedicare più tempo alla famiglia. Cosa c’è di male in tutto ciò?
E’ una visione originale ma veritiera della storia, che tra Medioevo e Rinascimento non ci sia mai stata rottura, ma l’uno è la continuazione dell’altro.
Sui libri di scuola era scritto che il Rinascimento inizia con la fuga degli intellettuali da Costantinopoli dopo la presa di Maometto II nel 1453.
Si passa da filosofia aristotelica, che ha dominato il Medioevo, a quella neoplatonica che fece breccia nei circoli fiorentini, da cui partì lo slancio rinascimentale del tardo Quattrocento.
Questo per quel che riguarda l’evoluzione del pensiero filosofico.
Però se consideriamo l’aspetto tecnologico, il Rinascimento ha portato grandi innovazioni, una fra tutte: la stampa. La stampa è legata all’evoluzione della moda.
Sembra strano, ma è così.
Infatti nel tardo Medioevo è stato segnato dal passaggio dagli inchiostri al nerofumo cosidetti Atramenta, nerofumo stabilizzato con gomma arabica che ne regolava la viscosità, agli inchiostri ferro-gallici, miscele di vetrioli cupro-ferrosi chiamati copparose e tannogallati contenuti nelle noci di galla.
Questi ultimi inchiostri sono nettamente superiori e consentivano la stampa.
Queste copparose erano anche mordenti nell’industria tintoria, e da questi ha potuto svilupparsi la moda rinascimentale italiana.
Queste copparose erano prodotti minerali estratti in Oriente ed in Sassonia.
Con il blocco dei commerci seguente alla caduta di Costantinopoli il mercato italiano si trovò spiazzato e nello Stato Pontificio, che all’epoca era il maggior consumatore di copparose, si avviarono ricerche su tutto il territorio rivolte all’individuazione di giacimenti Lazio e Toscana, e si aprirono miniere di vetrioli nel distretto tolfetano, nel volsino (presso Bagnoregio, la frazione di Vetriolo) e nell’Amiata senese.
Questa è l’epoca della famosa “enciclopedia” De La Pirotechnia di Vannoccio Biringuccio, un trattato di arte mineraria e metallurgica all’avanguardia all’epoca (siamo a fine Quattrocento).
A quel tempo l’Italia era leader dell’evoluzione tecnologica, e lo Stato Pontificio era in prima fila in queste ricerche, come è ben documentato nel testo del Biringuccio, assai importante per chi si occupa di questa materia.
Le tinture al mordente e gli inchiostri ferro-gallici, i cosidetti “encausta”, sono state due rivoluzioni con un unico protagonista: il vetriolo.
Ma tutto ciò era già noto fin dall’inizio del Medioevo.
Plinio il Vecchio (passato a miglior vita nel 79 d.C.) stesso menziona quello che sarà alla base dello sviluppo degli encausta, ma senza saperlo, descrive solo un fenomeno strano.
Nel Medioevo si acquisì coscienza, nelle officine alchemiche dei conventi.
Queste officine svolsero un ruolo grandioso, immane, nello sviluppo della scienza e della tecnologia.
Qui si misero a punto i forni fusori dello zolfo, in seguito conosciuti come “calcaroni”, gli unici forni fusori noti dell’industria zolfiera fino all’avvento dei forni Gill a fine Ottocento.
Lo studio dei metalli mercurio, arsenico e antimonio, noti dall’antichià (il solfuro di antimonio era usato dalle donne Etrusche per pitturarsi gli occhi, un ombretto assai pericoloso), fu portato avanti e perfezionato nella metodologia estrattiva nelle officine dei monasteri medioevali.
I monaci confezionavano oggetti in antimonio fuso, tra cui piatti, pentole e posate.
Si intossicavano di antimonio e alcuni ne morivano, da cui il termine “antimonio” da anti-monaco, che ha cambiato la radice latina stibium per l’elemento.
In sostanza chi lo dice che il Medioevo è un periodo stagnante per il progresso scientifico e culturale?
La chimica medioevale va avanti con passi da gigante, favorita anche dalla felice situazione mineralogica del Centritalia.
Le officine dei monasteri fervevano di vita, l’alchimia non era una cosa da folli, era la chimica del tempo.
In quelle officine si operava sia nell’inorganico (legata all’estrazione mineraria e alla metallurgia) che nell’organico (legata all’estrazione dei principi attivi dalle matrici vegetali).
Più si approfondiscono certi settori della chimica, più si può apprezzare il lavoro svolto dai monaci alchimisti e speziali.
Dall’alto della mia ignoranza chiedo: non sarebbe meglio precisare la distinzione tra Alto e Basso Medioevo? Perché da quello che so nel cosiddetto Alto Medioevo assistiamo a un notevole impoverimento economico e culturale dell’Europa, dovuto alla caduta dell’Impero Romano e alle invasioni barbariche e all’istituzione dei regni romano-barbarici. In quel periodo assistiamo ad un crollo demografico, abbandono delle città, caduta in disuso di acquedotti e strade il tutto dovuto alle guerre che si combatterono in quegli anni.
Poi (sempre da ciò che so) durante il Basso Medioevo invece assistiamo al fiorire dell’economia comunale, all’ascesa delle repubbliche marinare e delle signorie, al recupero dei classici, alla nascita della poesia eccetera, tutto ciò che poi ha portato all’Umanesimo e al Rinascimento (fortissimo qui il contributo della Chiesa che ha conservato e tramandato molti testi classici e ha contribuito alla nascita delle Università). Secondo me andrebbe fatta più esplicitamente questa distinzione, perché è vero che si sbaglia a dipingere il Medioevo come è uso comune, però è anche vero che non fu tutto rose e fiori.
Ripeto, tutto questo basato sulle mie poche conoscenze di storia che si fermano agli studi liceali e alla lettura di qualche saggio (es. Storia d’Italia di Montanelli).
Se ho scritto qualcosa di sbagliato correggetemi, non sono qui per fare polemica, assolutamente 😀
Esatto. I guai per le donne cominciano a cavallo tra il Duecento e il Trecento, nel momento in cui l’Università s’impone in campo politico, e insieme con essa s’impone il diritto romano, diritto maschile, monarchico, diritto del “paterfamilias”, che è alla base degli statuti comunali, soprattutto in Italia.
A me pare che i cosiddetti “secoli bui” in Italia siano da intendersi soprattutto in termini politici.
La Guerra Gotica (535-553) mi pare il singolo evento che veramente distrugge l’ordine ed il benessere tardo-imperiale in Italia, che pure ancora resistevano anche sotto i regni romano-barbarici.
Con questa guerra le popolazioni italiane sono decimate, le due maggiori citta’, Roma e Milano, rase al suolo, si scioglie definitivamente il Senato di Roma per mai piu’ ricostituirsi, dei 14 acquedotti romani che funzionavano prima della guerra, ne rimane funzionante uno solo, la popolazione abbandona le citta’ per sfuggire alla guerra ed alle numerose pestilenze…ma comunque anche le campagne risultano semi-abbandonate per il crollo demografico.
Ma anche la popolazione urbana di citta’ come Roma tende a “ruralizzarsi”.
L’Italia ci mettera’ almeno due secoli a riprendersi demograficamente e quasi quattro per rivedere la ripresa dei centri urbani.
Questo pero’ non significa che in Italia e nel resto d’Europa, anche in questi difficili contesti, non stesse maturando una nuova cultura, favorita dall’incontro tra la vecchia cultura classica ed il cristianesimo.
Le crisi politiche rallentano i contatti e gli scambi culturali, ma non e’ che paralizzano del tutto i cervelli…almeno credo…
Esatto, questo è quello che so anche io. La parte “buia” del Medioevo è da ritrovarsi in quel periodo tumultuoso di guerre e giochi di potere da parte dei nuovi re barbari che hanno seriamente colpito l’Italia e l’Europa. Da Carlo Magno in poi lo stabilizzarsi della scenografia politica (ma neanche tanto poi) ha permesso una rinascita culturale dell’Europa che affonda le sue radici inevitabilmente nella cristianità, checché ne dicano Voltaire e compagnia.
PALLE. 2 nomi: Ipazia ed Erone. La prima “martirizzata” dai talebani cristiani essenzialmente perché donna (Cirillo, il mandante, è stato fatto santo).Del secondo è andato perso tutto: chissà se non ci fosse stato il medioevo la macchina a vapore sarebbe stata inventata mille anni prima….
Tanto so che il mio commento non lo pubblicherete (è già successo)
Nessuno ti ha mai detto che la prima probabilmente non è mai esistita e la sua morte è stata raccontata da Damascio solamente 100 anni dopo? https://www.uccronline.it/2010/04/09/la-morte-di-ipazia-di-alessandria/
Il secondo invece è un uomo e se noi sappiamo qualcosa degli antichi è perché i copisti medioevali trascrissero a mano le loro opere.
Se questo è il livello dei tuoi commenti non mi stupisco che non te li facciano sempre pubblicare, meglio salvaguardare la decenza forse.
Digita => wikipedia
Digita => Ipazia
Leggi … e poi contestali
Leggiti il saggio
Lucio Russo “La rivoluzione dimenticata” ed. Feltrinelli (lo trovi anche in edizione economica)
…e dopo contestalo
Non c’è molto da contestare, l’unico testo che descrive i fatti di Ipazia risalgono 100 anno dopo.
E’ singolare che tutto quello che sappiamo della vicenda di Ipazia ci venga da autori cristiani, che non esitano ad esprimere la loro indignazione.
E un po’ come ne “Il Nome della Rosa”, come ho gia’ scritto, dove non si capisce come mai gli odiosissimi cattolici, anziché distruggere l’ultima copia del secondo volume della “Poetica” da Aristotele (che avrebbe trattato di una cosa per loro perniciosissima, cioe’ il riso, inteso non come cibo, ma come manifestazione di ilarita’), invece conservino gelosamente questo manoscritto e lo tramandino, limitandosi a liquidare gli incauti lettori, non abbastanza maturi per apprenderlo, senza pericolo per la salute della loro anima.
In quanto al fatto che l’Eolipila di Erone sia stato il prototipo per il motore a vapore di Watt, sarebbe come assumere un fischione come prototipo del motore a razzo del Saturno V dell’Apollo 11.
L’Eolipila era un giocattolo dimostrativo, privo di ogni utilita’ pratica, poiché in pochi secondi esauriva il suo vapore e andava dunque ricaricato di acqua.
Farei fare al sig. Micio un viaggio da Torino a Moncalieri, con una locomotiva a vapore mossa dall’Eolipila di Erone, magari con un qualche meccanismo ad ingranaggio di trasmissione del suo moto alle ruote, che diamo certamente per funzionante, anche se non concepito da Erone.
A parte le ustioni di IV grado su tutto il corpo, prodotte dal vapore bollente in pressione, liberato e diffuso in maniera incontrollabile in tutti vagoni agganciati, ogni 15 secondi il treno avrebbe dovuto fare una sosta per caricare di nuovo l’acqua.
Tempo di viaggio: circa una giornata, salvo complicazioni (tipo esplosioni o robette del genere).
Infatti solo l’invenzione del condensatore ha permesso di riutilizzare l’acqua di bordo delle macchine a vapore, per riprodurre nuovo vapore, rendendo praticabile questo tipo di propulsione, al di la’ delle vaghe, quanto poco praticabili, intuizioni nei due millenni precedenti.
Inoltre il motore a vapore moderno si basa su un cilindro e su una biella, oppure su una turbina, come gia’ detto senza dispersione del vapore stesso, meccanismi che sono comunque totalmente diversi da quello ideato da Erone.
La formula di Erone la si fa alle superiori se non addirittura alle medie. “Se non ci fosse stato il medioevo” cosa vuol dire? Il medioevo è un’epoca che nasce da determinate situazioni storiche, la più importante fra tutte è la caduta dell’impero romano e le guerre barbariche che hanno portato povertà e hanno separato a lungo l’Europa Occidentale da quella orientale. O mi vuoi far credere che era colpa della Chiesa?
Che poi Erone vive nel primo secolo dopo Cristo, se le sue invenzioni non sono sopravvissute a lungo non credo sia colpa del Medioevo o dei cristiani visto che vive nel periodo in cui il Cristianesimo a mala pena era uscito dalla Palestina.
Del resto il Medioevo si caratterizza, semmai, per il vigore tecnologico e l’introduzione delle prime macchine preindustriali, dai mulini ad acqua a quelli a vento che, tra l’altro, hanno permesso di recuperare intere regioni, pompando l’acqua dai polders olandesi.
Pensiamo poi alle innovazioni in campo agricolo attorno al 1000, che fanno parlare di “seconda rivoluzione agricola”, dopo la prima avvenuta nel periodo preistorico.
Non che i greci ed i romani non avessero ingegno, anzi a livello teorico, come dimostrato dai numerosi scienziati, ne avevano da vendere.
Pero’ avendo numerosa manodopera servile non erano stimolati a sviluppare macchine.
Il Medioevo e’ invece, un periodo di grande sviluppo tecnologico, ancorche’ in larga misura basato sull’empirismo pratico e meno sull’applicazione delle teorie scientifiche.
Su Ipazia c’è qualche equivoco: l’unica fonte che accusa Cirillo di Alessandria di essere il mandante del linciaggio di Ipazia è il pagano Damascio, un secolo dopo, l’ultimo direttore dell’Accademia di Atene che fu chiusa da Giustiniano, dunque non è esattamente imparziale. Di Cirillo di Alessandria ci sono rimaste le sue lettere e le sue omelie, e basta leggerle per capire che lui non era decisamente il soggetto dipinto nel film “Agorà” di Amenabàr: tra l’altro fu uno dei primi che “osò” (queste sono le parole esatte degli atti del Concilio di Efeso) chiamare Maria con il titolo di Theotokos, “Madre di Dio”, e per questo venne quasi alle mani con il Patriarca di Costantinopoli!
Che Ipazia fosse stata linciata in quanto donna non ha fondamento, perché vi erano donne cristiane altrettanto colte e influenti come la sua concittadina Sincletica, o Melania (maggiore e minore), Paola, Eustochio, molto amiche di San Girolamo, che proprio in quel periodo fondarono la prima “scuola al femminile”, il Monastero di Betlemme. Molti Padri della Chiesa non si vergognano a dire di esser stati alla scuola di donne, e Ipazia stessa aveva non pochi cristiani tra i suoi allievi, e non di secondo livello, come Sinesio di Cirene, vescovo di Tolemaide.
Poi non si deve trascurare il fatto che tra le scuole filosofiche di Alessandria d’Egitto ce ne fossero anche alcune dirette da grandi maestri cristiani, da Origene a Giovanni Filopono. E non si trattava solo di teologia, ma di un intero sistema filosofico, quello neoplatonico, che condividevano in gran parte con i filosofi pagani (dunque dal punto di vista della filosofia della natura Cirillo ed Ipazia erano della stessa lunghezza d’onda), e che sarebbe stato trasmesso grazie a loro al Medioevo. Quanto all’Accademia di Atene, quando fu chiusa da Giustiniano, non era più quella che aveva visto Platone, ma una delle tante scuole neoplatoniche che non aveva nulla a che fare con le scienze, e non fu la fine di nulla, dato che lo stesso Giustiniano fondò altre scuole filosofiche al suo posto, a Costantinopoli e a Nisibe, in Siria.
Su Ipazia, della cui esistenza nessuno studioso serio ha mai dubitato, le fonti principali sono le seguenti:
1. Socrate scolastico, cristiano e contemporaneo agli eventi, non pare molto favorevole a Cirillo ma viene generalmente considerato equilibrato e attendibile anche dagli studiosi cattolici (ad esempio da Bardy nella “Storia della Chiesa” di Fliche-Martin). Per Socrate causa dell’uccisione è il risentimento di Cirillo per l’influenza di Ipazia sulle autorità alessandrine ed è ai suoi seguaci (al “popolo della chiesa” guidato da un chierico di nome Pietro) che il fatto viene attribuito. Alcuni, traducono “laos” con “popolino”, suggerendo che sia stato un moto di piazza incontrollato, ma questo non sembra affatto quanto emerge dal testo. “Laos” nel greco dei padri è il popolo, senza alcuna connotazione spregiativa, viene utilizzato per indicare il popolo d’Israele, il popolo dei fedeli o la congregazione religiosa. Al “laos”, al popolo dei fedeli, appartenevano quei monaci cirilliani (i parabolani)che già in altre occasioni erano stati responsabili di violenze. Non è detto che anche qui fossero loro i protagonisti, ma non lo si può nemmeno escludere come molta apologetica fa con troppa disinvoltura. È invece chiaro che per Socrate sono stati esponenti della chiesa alessandrina a perpetrare l’assassinio. Insomma, Socrate non dice apertamente che sia stato Cirillo l’istigatore, ma osserva che la morte di Ipazia getta vergogna su Cirillo e sulla chiesa alessandrina. Mi pare indubitabile che lo consideri reponsabile, direttamente o indirettamente.
2. Filostorgio, contemporaneo e cristiano filoariano, dice solo che “sotto il regno di Teodosio II fu fatta a pezzi dai preti dell’homoousios”, ovvero dalla fazione di Cirillo. Da notare che qui c’è un riferimento preciso al clero.
3. Un secolo dopo i fatti Damascio, pagano, accusa apertamente Cirillo di essere stato il mandante dell’assassinio. Damascio è chiaramente un testimone ostile, ma conosce bene l’ambiente alessandrino, aveva buone informazioni ed è comunque una fonte storica rilevante.
4. Anche Malalas, nel VI secolo, riferisce che l’assassinio è avvenuto “con il permesso di Cirillo”.
5. Molto interessante è la testimonianza di Giovanni di Nikiu: benché operi alla fine del VII secolo appartiene alla chiesa monofisita copta, che si riteneva erede di Cirillo. Esprime dunque una tradizione alessandrina e un punto di vista filo-cirilliano. Ebbene, qui l’assassinio di Ipazia viene esaltato come opera meritoria, è attribuito ai fedeli, Pietro (qui non chierico ma magistrato) è un “perfetto seguace di Gesù Cristo” e dopo l’evento tutti si riuniscono intorno al loro vescovo esaltandolo perché aveva liberato la città dall’idolatria. Neanche Giovanni di Nikiu attribuisce espressamente a Cirillo l’ordine di uccidere, ma sembra chiaro che non vi sia alcuna censura per l’episodio. E a Cirillo ne viene attribuito il “merito”.
Queste sono le fonti, facilmente consultabili anche nei link indicati qui http://it.cathopedia.org/wiki/Ipazia_di_Alessandria
pur se nel testo si fa di tutto per far apparire bianco il nero.
Quanto al fatto che dei monaci “contemplativi” come i parabolani non potessero essere violenti, o che un dotto teologo come Cirillo è inconcepibile che facesse cose del genere, si tratta semplicemente di manifestazioni di ignoranza.
Basta leggere una storia della chiesa minimamente informata, anche cattolica, anche Bardy, per sapere che Cirillo fu responsabile di incendi e distruzioni di chiese “eretiche”, di sanguinosi pogrom antiebraici e di violente lotte senza esclusione di colpi contro i nestoriani.
Così come i monaci, non solo quelli egiziani, sono stati in prima linea nella distruzione di santuari pagani e nella lotta tra opposte fazioni cristiane. Non solo a parole, ma anche coi loro bastoni. Naturalmente questa non è tutta la storia e sarebbe ingiusto ridurre le vicende del cristianesimo antico solo a episodi del genere. Ma far finta che non ci siano stati è forse ancora peggio.
1) Socrate scrive vent’anni dopo i fatti e non esprime alcuna condanna diretta nei confronti di Cirillo, anche se ne avrebbe avuto tutto l’interesse: http://terzotriennio.blogspot.it/2010/06/ma-non-e-detto-che-ipazia-fu-uccisa-dai.html
2) L’opera originale di Filostorgio è andata perduta ma rimangono alcuni scritti del patriarca ortodosso Fozio, dove non c’è alcuna traccia dell’accusa a Cirillo.
Il resto delle accuse risalgono centinaia dopo i fatti e non sono per questo attendibili. Cirillo parlava certamente duro ma non fece alcun pongrom antiebraico, non è un caso che non hai alcuna fonte a tuo supporto (e Gustave Bardy non ha mai scritto idiozie simili!!).
!) Vent’anni vuol dire che è un contemporaneo, con accesso a testimoni e documenti. Sono ben pochi i fatti della storia antica o medievali per i quali abbiamo notizie in tempo reale e Socrate viene generalmente considerato una fonte tra le più attendibili per la storia della chiesa antica. Scrive che la morte di Ipazia fu dovuta al risentimento di Cirillo, che ne furono responsabili suoi seguaci, capeggiati da un uomo appartenente al clero alessandrino e che la cosa gettò vergogna sul vescovo e sulla chiesa di Alessandria. Ognuno ne tragga le conclusioni che vuole.
2) Quello che scrive Filostorgio, riportato da un testimone ortodosso e non sospetto di antipatie per Cirillo come Fozio, è appunto quel che ho riportato sopra (si può controllare, no?): “sotto il regno di Teodosio II fu fatta a pezzi dai preti omousiani”. Cirillo era appunto il campione dell’omousia contro Nestorio e i “preti dell’omousia” sono i suoi sostenitori. È un riferimento al clero alessandrino di Cirillo. Ognuno ne tragga le conclusioni che vuole.
Quanto al resto ho spiegato perché si tratta di fonti da considerare, sia pure non troppo vicine temporalmente ai fatti. Una testimonianza non è poco attendibile solo perché posteriore. Con questi criteri non sarebbero attendibili gran parte degli storici antichi e medievali. Per non parlare dei Vangeli, naturalmente.
Quanto ai pogrom, Bardy descrive Cirillo come “uomo di intollerante ortodossia” (Fliche-Martin, Storia della Chiesa IV, 1972, p. 193). “Anche gli ebrei sperimentarono a loro spese lo zelo di Cirillo” (p. 194) e dopo un incidente in cui fu implicato un partigiano del vescovo, che gli ebrei considerarono “non senza ragione, come agente provocatore” (p. 195), costoro mossero un attacco contro i cristiani provocando diversi morti. Il giorno dopo i cristiani “incitati da Cirillo, invasero le sinagoghe, uccidendo tutti gli ebrei che incontravano; e questa fu la fine della colonia ebrea di Alessandria, che venne dispersa, e, a quanto pare, non venne più ristabilita” (p. 195).
Questo è quanto dice Bardy, chi legge giudicherà quali sono le idiozie e chi ne ha scritte. Del resto la fonte non è altro che Socrate, Hist. eccl. VII, 13.
1) Peccato che non citi alcun documento e nessun testimone oculare. In ogni caso accusa un certo “gruppo di cristiani guidati da un predicatore di nome Pietro” concludendo così: “Questo procurò non poco biasimo a Cirillo e alla chiesa di Alessandria. Infatti stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo”. Se avesse voluto accusare Cirillo lo avrebbe fatto apertamente, invece si limita a dire che ovviamente il fatto produsse non poco biasimo alla Chiesa di Alessandria e a Cirillo.
2) Lo scritto di Filostorgio è troppo lontano dai fatti e non esiste un documento di prima mano. In ogni caso nemmeno lui accusa Cirillo, ma accusa “preti omousiani”. E’ un po’ come se si dovesse incolpare padre Spadaro se qualche gesuita commette un crimine.
3) Ovviamente i Vangeli sono basati su evidenti fonti precristiane (la fonte Q ecc..) scritte immediatamente dopo i fatti. Nulla di tutto questo è accaduto per Ipazia.
4) Non conoscevo questo passo di Bardy che comunque, se è un fatto verificato, appare assai differente da come lo hai voluto presentare. Su quali fonti si basa Bardy? Ci saranno le note a piè pagina, no?
Che anche i Cristiani fossero coinvolti in massacri tra fazioni non mi sorprende affatto, sarebbe stato strano il contrario: la Alessandria dell’epoca era una polveriera, che bastava un niente per far esplodere: basta dire che la stessa identica fine di Ipazia la fecero due vescovi (uno dei quali santo, Proterio) e un governatore. Si può dire che la situazione è identica a quella che ancora oggi si vede in quei territori.
Certo, non c’è dubbio che Cirillo, bontà sua, avesse un pessimo carattere, nel senso che la prudenza non era certo il suo forte, era uno che le cose non le mandava a dire. Basta però leggere le sue lettere e le sue omelie che quello di cui lo si accusa è un tantino troppo; è più probabile che gli homoousios (la fazione “scritturistica”) fossero in qualche modo coinvolti nel linciaggio, ma che si fosse trattato in qualche modo di un “colpo di testa”, tanto che Socrate Scolastico dice chiaramente che il fattaccio fu biasimato dal vescovo e da tutto il clero alessandrino (almeno quello ortodosso). A proposito, nessuna fonte antica nomina i Parabolani per quanto riguarda la storia di Ipazia; chissà perché li si tira in ballo solo da Gibbon in avanti.
Ah dimenticavo, Ipazia lasciò una traccia così profonda nel Cristianesimo antico che la sua figura servì come modello per molti aspetti della vita di Santa Caterina d’Alessandria. Cosa che non avrebbe dovuto accadere se i Cristiani l’avessero così in antipatia.
I cristiani non sono un blocco compatto e anche allora si dividevano ferocemente tra loro. Sinesio era cristiano ed era amico e ammiratore di Ipazia, ma non vedo per quale proprietà transitiva da questo si dovrebbe concludere che anche Cirillo le voleva bene.
Certamente Sinesio e Cirillo appartenevano a due correnti diverse, e certamente Cirillo poteva essere “rivale politico” di Ipazia nei confronti del governatore Oreste, ma ciò non impedisce che la potesse rispettare come persona.
Il movente che Damascio attribuisce a Cirillo nel voler Ipazia morta è l’ “invidia”, lo stesso movente che Socrate Scolastico cita. Ora, io non vedo perché Cirillo dovesse invidiare Ipazia, dai suoi scritti emerge una cultura che non ha niente da invidiare a nessuno; semmai, come “omousiano”, poteva non condividere alcuni aspetti della metafisica neoplatonica, corrente di cui Ipazia faceva parte, ma questo non mi sembra abbia nulla a che fare con l’invidia.
Se dobbiamo attenerci alle fonti, cosa quantomai saggia, vorrei sapere quale fonte cristiana o pagana suggerisce che Cirillo rispettasse Ipazia. Al contrario diversi testimoni, sia cristiani che pagani, parlano espressamente dell’ostilità di Cirillo. Non vedo ragioni per mettere la cosa in dubbio, a meno che non si voglia a priori e per principio assolvere il santo dottore della Chiesa.
Il movente, sia per Damascio che per Socrate, è l’influenza esercitata da Ipazia sulle autorità alessandrine, non il solo prestigio intellettuale della donna, e non mi sembra un movente peregrino per un uomo poco tollerante nei confronti di qualsiasi dissenso quale Cirillo. Il fatto che una donna pagana avesse influenza anche su molti cristiani era un’aggravante, non un’attenuante, visto che sminuiva la leadership esclusiva del vescovo.
Veramente Socrate non dice che il vescovo e la chiesa alessandrina biasimarono il fatto, ma che a causa del fatto il vescovo e la chiesa furono biasimati.
Quanto ai parabolani furono implicati in diversi fatti di violenza e costituivano una sorta di guardia del vescovo. Non è quindi assurdo ipotizzare, anche in assenza di riferimenti diretti per questo episodio, un loro coinvolgimento. Naturalmente rimane solo un’ipotesi, non una certezza, ma per quanto ipotesi non è del tutto infondata. Infatti, poco dopo l’uccisione di Ipazia i parabolani vennero ridotti di numero, disarmati e “commissariati” dall’autorità imperiale. Non è sufficiente per dire che siano stati certamente loro i responsabili, ma è un indizio che giustifica quantomeno il sospetto.
Dipende da come viene tradotto il testo greco. Alcuni l’hanno tradotto come dice lei, altri, però, ritengono più calzante quest’altra traduzione.
Quanto ai parabolani, il ragionamento che lei fa mi sembra segua un po’ troppo la logica del “post hoc, ergo propter hoc”, che non è sempre così. Socrate Scolastico parla genericamente di “una folla di gente”: attenersi alle fonti è secondo me sempre la cosa migliore.
Vorrei sapere chi è che traduce in quest’altro modo.
Quanto ai parabolani, intendevo puntualizzare che non è per una qualche deformazione storica (a opera di storici anticristiani o illuministi) che sono stati tirati in ballo. Senza voler giungere a conclusioni definitive, non è comunque affatto irragionevole pensare a un loro coinvolgimento. Possiamo concordare sul fatto che non abbiamo elementi decisivi al riguardo, non possiamo invece scandalizzarci che si sia ipotizzata una loro responsabilità
Martirizzata perché donna? Ma tu hai letto la sua storia o ti sei fermato solo alla propaganda anticlericale? Propendo per quest’ultima. Il suo assassino è da condannare, ma non c’entra un bel nulla con l’essere donna: Socrate Scolastico afferma che morì per motivi politici (si era sparsa tra il popolo la voce calunniosa che fosse stata lei la causa della discordia tra il vescovo Cirillo e il governatore di Alessandria), mentre Damascio afferma invece che la causa è dovuta a motivi personali in quanto Cirillo era invidioso della fama di Ipazia. Tra l’altro come ti hanno detto, lei ebbe degli allievi anche cristiani come il vescovo Sinesio, ma del resto che ti importa saperlo?
Bufala faziosa, come ogni vostro articolo.
Il Malleus Maleficarum invece chi lo avrebbe scritto? Mio nonno?
Compare nel 1487, ad opera dei DOMENICANI, e fu testo di riferimento per moltissimi anni specialmente perchè in apertura al testo c’è una bolla papale che ne certifica la validità… e questa risposta invalida anche l’altro articolo spazzatura, sempre da voi prodotto, dove si dice che la caccia alle streghe e l’inquisizione erano solo ad opera dei protestanti.
Tale testo non è l’unico nel suo genere, è possibile trovare cose simili anche nel Directorium inquisitorum (1376) e nel Formicarius (1437)… sempre testi cattolici, sia ben chiaro.
Senza contare che grandi affermazioni misogene è possibile trovarle negli scritti stessi di Sant’Agostino (400dc), che poi è uno dei padri della chiesa… che poi è lo stesso Sant’Agostino che dichiara esplicitamente che è legittimo l’uso delle forze armate per schiacchiare chi non è cristiano, ed imporre la fede nel Cristo…
Solo una parola:
VERGOGNATEVI
Esimio, se mi permette, da aspirante storica su questo avrei due o tre cosucce da dire:
Kramer e Sprenger, non molto tempo dopo la pubblicazione del Malleus, furono sollevati dal loro incarico, scomunicati e il loro testo inserito nell’Indice dei Libri Proibiti.
nicati e il Malleus inserito nell’Indice dei Libri Proibiti.
Dopo aver letto diversi libri sull’argomento, sono sempre più convinta che la “caccia alle streghe” sia stata un fenomeno che ha avuto molte cause messe insieme, e spiegarlo con una sola è sempre riduttivo, anche perché la “spinta” non venne dall’alto ma dal basso. Il problema è quando, anche dall’ “alto” si convinsero che la stregoneria fosse realmente efficace, e allora furono guai. Comunque, bisogna dirlo, i tribunali che fecero più vittime furono quelli civili, perché la cosa, nell’Età Moderna, era materia “di ordine pubblico”. E questi fecero molte più vittime dell’Inquisizione Romana, cioè del Sant’Uffizio per una semplice ragione, sociologica: quando c’è una forte autorità centrale come quella del papa che stabilisce regole precise uguali per tutti, l’arbitrio del singolo inquisitore diventa molto limitato; se non c’è, come nel mondo protestante e nei tribunali civili (Genova, Venezia, Francia, ecc.), ognuno si regola come crede.
Consiglio un’ottima lettura, il miglior testo che secondo me sia stato pubblicato in Italia, “Caccia alle streghe” di Marina Montesano.
La “bufala” è affermata dagli storici, non certo da Uccr. Aggiungo che la Chiesa non accettò mai il Malleus e tanto meno Agostino accuserà le donne: https://www.uccronline.it/2012/09/16/le-false-citazioni-attribuite-a-santagostino/#sessualità
Vergognati della tua ignoranza 🙂
Vedi, la questione non è su chi afferma una notizia, ma sulla validità della notizia in sé. Quando si affrontano tematiche con razionalità, un asserto può pronunziarlo anche Gesù Cristo, ma questo non solleva nessuno dall’onere della critica su di esso.
Questo è uno dei grandi principi che la Rivoluzione Scientifica prima (con l’abbandono dell’ipse dixit) e l’Illuminismo poi (con l’abbandono dello stato di minorità predicato da Kant), che qui si vuol far passare per secoli bui, hanno imposto.
Per il resto, a me pare che quest’articolo non proponga fatti o evidenze, ma citazioni, non vedo un intento di ricerca ma di giustificazione.
Per questo motivo, a me pare del tutto inutile andare a fare della filologia al passato quando basta guardarsi attorno per realizzare che, anche fosse vero che il Cristianesimo ha inventato la parità dell’uomo e della donna, tutti i catechisti, tutti gli insegnanti di religione e tutti i clericali hanno miseramente fallito, in quanto non sono stati in grado, nonostante il potere enorme che hanno tra le mani (un’ora di lezione a settimana, ad esempio), di combattere la propagazione di una visione del mondo che vede l’uomo con un diritto naturale di dominio sulla donna.
Piuttosto che scartabellare bolle ed editti, io mi farei qualche domandina sull’efficacia dell’educazione che i cristiani hanno impartito ai loro figli nel corso dei secoli.
A parte il lieve rumore di stridio di unghie sui vetri, di chi vuole comunque rivoltare la frittata in un certo modo, a prescindere, sig. Rubino Lei forse non si rende conto di cantarsele e suonarsele un po’ da solo.
Innanzitutto non mi pare che l’articolo parli “parita’ tra uomo e donna”, intesa in senso moderno, una cosa che nella societa’ agricola non poteva esserci, per il semplice fatto che la donna dipendeva dall’uomo, l’unico in grado di effettuare indispensabili lavorazioni come l’aratura e la mietitura, che stramazzavano i ragazzoni di 20 anni…
Quello che si dice e’ che nella societa’ cristiana, per la prima volta, viene riconosciuta la pari dignita’ della donna, in quanto essere umano, a prescindere dalla sua forza e dalla sua produttivita’ agricola, le viene tributato rispetto e le viene lasciato spazio nella vita pubblica.
Visto che Lei non vede esempi pratici, mi citi Lei l’equivalente moderno di una donna politica con il potere, il peso od il prestigio, chesso’, di una Matilde di Canossa.
Almeno lei ci faccia un esempio pratico…
Forse non mi sono spiegato.
A me delle vostre beghe passatiste non frega nulla.
Sulla questione in oggetto all’articolo, non sono non mi arrampico le frittate e non pretendo di rivoltare la frittata, ma esercito l’epoché: non ne so niente, lo riconosco e non mi esprimo; se mi parli di Matilde di Canossa, non ho la più pallida idea di chi tu stia parlando, né potrei farti qualche esempio di donna potente all’infuori dei banali (che so, la Merkel?), perché non seguo più di tanto l’attualità.
Tra l’altro, non ho mai parlato di parità tra uomo e donna in senso di indipendenza economica; quello che io denuncio, è la concezione piuttosto radicata secondo la quale esiste un primato fallico, che conferisce all’uomo il diritto di possedere la donna, e contro la quale il Cristianesimo in primis, alla luce dell’insegnamento del Cristo, e anche alla luce di questa scoperta della pari dignità umana della donna, dovrebbe combattere con forza. Di questo, non ho bisogno né posso portare alcuna prova storica o storiografica: l’evidenza di quanto affermo è contenuta (o dovrebbe essere contenuta) non in un libro di Storia, ma nella realtà che ci circonda, che io ritengo di dover osservare attentamente, prima di volgere lo sguardo al passato.
Comunque sia, dovendomi esprimere sulla faccenda, credo che il tuo stesso ragionare per “esempi pratici”, che altro non sono che aneddoti esemplari, dimostri che la valorizzazione della donna nel Medioevo qui paventata andrebbe quantomeno ridimensionata. “Rimane nella memoria un uomo che morde un cane, piuttosto che un cane che morde un uomo”, recita più o meno una massima del mondo del giornalismo; ovvero, le eccezioni esistono in qualsiasi campo, e quindi la norma, la prassi dei costumi di un tempo ce la possono insegnare non casi straordinari ma, ad esempio, la letteratura, che non mi pare abbia sempre conferito dignità alla donna. Tra l’altro, ipotizzare un primato della Cristianità sulla pari dignità della donna, non terrebbe conto dell’esistenza di civiltà primitive addirittura matriarcali, della considerazione delle donne tra gli spartani e anche in alcuni latini; tuttavia, la storia del pensiero non è una gara a chi arriva primo, e per questo sostengo che tutta questa faccenda sul Cristianesimo come inventore della parità tra uomo e donna mi sembra del tutto sterile: quindi, a mio parere, piuttosto che impelagarci in questa ricerca genealogica sicuramente controversa delle origini della pari dignità tra uomo e donna, noi dovremmo occuparci di analizzare cosa possiamo fare ora per raggiungerla, o comunque per raggiungere un assetto sociale migliore per gli uomini.
N.B. Spero mi scuserai se non uso il “Lei”, che tu mi hai riconosciuto; spero non la prenderai come una mancanza di rispetto: è solo che tutte queste formalità mi sembrano un po’ ampollose, se non addirittura canzonatorie.
Nessun problema e ricambio il “tu”.
Prendo atto che ti danno fastidio certe tesi e quindi non insisto.
In quelle cose che tu chiami “beghe passatiste” e che qualcun altro magari chiama invece Storia, tutto si deve cercare di dimostrare e si deve provare a confutare, perché il bicchiere puo’ essere detto come “mezzo pieno” o come “mezzo vuoto”.
Ammetterai pero’ che diventerebbe tutto piu’ difficile, se si volesse negare che in esso vi sia comunque dell’acqua.
Un bel “cinque” in amicizia 😉
Scusami, ma io non riesco ad ammettere dimostrazioni o confutazioni che non segua un processo logico (in matematica) o con sbocchi empirici (nella scienza). Il resto (se non anche i precedenti stessi) è tutto opinabile e tutto nebuloso.
Mi pare di capire che tu sia dell’idea che la Storia sia maestra; io non lo nego, ma ritengo che con molto meno sforzo, si possono ottenere risultati conoscitivi maggiori con altre discipline.
Valerio, mi perdonerai ma non ho voglia di leggere tutto il pippone…riassumi velocemente cosa vuoi dire per favore?
Cavolo, che volume di idiozie; riguardo alla presunta misoginia in Sant’Agostino, suggerisco questo link che esplica bene la questione.
ma quanta ignoranza,la cavaleria rispettava la donna perchè la riteneva fragile ed indifesa,l’editto di Rotari ne pretendeva la totale sottomissionee chedire dei roghi delle levatrici cui s’attribuiva la stregoneria? Infine l’illuminismo non è ottocentesco bensì settecentesco
E dovrei prendere in considerazione le tesi di uno che nemmeno sa scrivere in italiano e accusa gli altri di ignoranza? Ti inoltro l’e-mail dello storico di cui parla l’articolo, così confuti direttamente a lui le sue tesi? 😉