Critica al femminismo, elogio della maternità
- Ultimissime
- 06 Dic 2012
di Anna Paola Borrelli*
*teologa moralista perfezionata in bioetica
Il Femminismo nasce nell’800 negli Stati Uniti e in Europa per rivendicare uguale parità giuridica, politica e sociale tra uomo e donna. In Italia, sebbene a quell’epoca non lo si definisse ancora femminismo vero e proprio, si scioperava per i diritti delle lavoratrici riguardo agli stipendi, alle troppe ore di lavoro, ecc. Fu, poi, il 1968 l’anno in cui il femminismo italiano proruppe con tutta la sua forza. Note a tutti negli anni ’70 le battaglie a favore del divorzio, aborto e controllo delle nascite, diverse le iniziative sostenute per l’emanazione di una legge contro la violenza sessuale, non più ritenuta come “offesa al pudore”, bensì come reato contro la persona, per il sorgere dei consultori familiari e degli asili-nido… Pareri favorevoli e critiche hanno scandito da sempre l’operare di questo movimento politico, culturale e sociale.
Oggi, il femminismo, seppure con toni meno accesi, è ancora presente e lo si evince dalle affermazioni della trentatreenne Jessica Valenti, scrittrice e celebre femminista, sul sito da lei fondato che porta il titolo di “Feministing.com”. La Valenti, madre di una bimba di due anni, è autrice del saggio: “Why Have Kids?”. Ella sottolinea che «lungi dall’essere il mestiere più difficile e soddisfacente del mondo, la maternità è un ruolo maledettamente deprimente», «tanto che le donne intelligenti farebbero meglio a non fare figli». Attacca, poi, quelle che definisce le «menzogne sull’essere genitori propinate quotidianamente dai media e dalla politica». «Statistiche e studi scientifici parlano chiaro. Altro che stagione idilliaca nella vita di ogni uomo e donna, avere figli rende gli individui “meno felici e più depressi”».
La visione prospettata dall’autrice J. Valenti va a collimare con l’esperienza di tanti coniugi che ogni giorno si sacrificano per i propri figli, disposti a dare tutto, anche la propria vita, se si rivelasse necessario per il loro bene. È innegabile che l’esistenza cambi totalmente dopo la nascita di un bimbo, l’equilibrio consolidato costruito con fatica dalla coppia si spezza bruscamente ad ogni nuova gravidanza, quando dall’unità duale si verifica il sorgere di una nuova vita. Essere genitori è al tempo stesso il mestiere più affascinante e difficile del mondo. Non esistono ricette, manuali o istruzioni pronte all’uso. Davanti a sé c’è un figlio o una figlia, con la sua unicità e irripetibilità, col suo carattere, la sua personalità, con dei sogni e delle aspirazioni che non possono essere i nostri.
C’è la responsabilità di una vita da accogliere e custodire. Non basta dargli la vita una volta e per tutte. Procreare un figlio significa anche dargli la vita continuamente, generarlo ogni giorno, attraverso la cura e l’educazione. È un esodo continuo che parte dal nostro “io” e arriva sino alla terra sconosciuta del figlio, perché ciascuno di noi è un mistero, perfino per se stessi. Nella psiche dei genitori pian piano il “bambino immaginario”, alimentato dalle nostre aspettative e speranze deve far posto al “bambino reale”, concreto. Un figlio non lo si sceglie, lo si ama incondizionatamente. Bisogna fare spazio: nei pensieri, nel cuore, nei tempi del quotidiano; è svuotarsi per accogliere, è uscire da se stessi per donarsi. E’ per es. impensabile che un neonato dorma, mangia, pianga o debba essere cambiato quando decide la madre; è lei semmai a dover sottostare ai ritmi e agli orari del bambino e non viceversa. Con la nascita di un figlio la vita cambia radicalmente, niente è più uguale a prima: gli impegni triplicano, la stanchezza aumenta… ma per una donna non c’è carriera, né affermazione sociale che valga quanto la vita di un figlio!
E’ una sorta di rivoluzione copernicana, dove i genitori ruotano intorno alla persona del figlio, dalla quale ricevono fasci d’amore, ma ne inviano pure. Nell’universo della famiglia tutto ha ragione di esistere ed è retto dall’unica legge dell’amore. “Amare un bambino non significa amarsi attraverso di lui: significa amare la sua individualità, la sua globale e totale diversità, la sua persona” (Jean-Pierre Relier). Il figlio impegna tantissimo, risucchia tutte le energie dei genitori, ma quei sorrisi e quegli abbracci regalati ripagano più di tutto l’oro del mondo! Perchè ogni bambino che nasce è sempre un dono preziosissimo, un meraviglioso inno alla vita. E’ gioia, prima di essere preoccupazione; è speranza, prima di essere stanchezza. Non è affatto semplice, essere genitori è un allenarsi di continuo alla virtù della pazienza, è un tenere a freno la propria irruenza in certi momenti, è dosare dolcezza e fermezza insieme, è mettersi spesso in discussione per trovare metodi educativi sempre più consoni, perché un figlio crescendo cambia e con lui le situazioni, ma pure perché modalità educative che possono andar bene per un figlio, devono essere sostituite per un altro (ognuno è un universo a parte), è imparare ad ascoltare e a sintonizzare i passi del cuore, sulla lunghezza d’onda dei suoi bisogni e delle sue richieste, è essere veicolatori di valori, ma soprattutto autentici testimoni e maestri di vita.
Il motivo preponderante per cui la scrittrice e femminista J.Valenti porta avanti la sua teoria risiede in un’espressione che racchiude bene il suo pensiero: «Il vero problema è una società dove, se è il papà a cambiare i pannolini e a portare il figlio dal pediatra è un eroe, se a farlo è la mamma, sta solo compiendo il suo dovere». Oggi sono mutate le condizioni storico-sociali e sempre più mamme lavorano, per cui è naturale ed è giusto che uomo e donna si sentano ugualmente interpellati nella gestione del piccolo, il carico di lavoro non deve pesare esclusivamente sulla madre, pertanto il papà potrebbe contribuire ad es. cambiando il pannolino, dando il biberon o la pastina, portandolo a passeggio o alle giostre, giocando col piccolo, facendogli vedere i compiti, durante l’età scolare….. Dividersi i compiti, a seconda dei propri impegni lavorativi e casalinghi, aiuterebbe entrambi ad organizzarsi meglio e a rendere l’ambiente familiare quanto più sereno possibile per se stessi e per il proprio bambino.
«L’unico scoglio siamo noi donne. Siamo state allevate a credere di essere il più capace e competente dei due genitori e abbiamo difficoltà a cedere questo potere» afferma, inoltre, l’autrice del saggio: “Why Have Kids?” Contrariamente alla sua posizione attualmente in America si elogia sempre più spesso la maternità, anche pubblicamente, a tal punto che qualcuno la definisce “un’ossessione”. Durante il 2012 una sessantenne in attesa di un figlio è stata ritratta sulla copertina del “New York Magazine” e la foto di una giovane ventenne californiana mentre allatta il figlio di quattro anni sul “Time” non è passata di certo inosservata. In entrambi i casi la figura del padre era assente. Nel 1915 la femminista Charlotte Perkins Gilman, nel suo romanzo Herland, prospettava un mondo senza uomini e in America quest’idea è presente in molte coscienze. In base ad uno studio del Pew Research Center è emerso che nel 1970 le mogli collaboravano all’economia familiare con una percentuale molto bassa, tra il 2 e il 6%, nel 2007 la percentuale si attestava al 36% e in tempi ancor più recenti sta per sfiorare il 50%. Dal 2008 ad oggi, invece, i licenziamenti di uomini avutisi nel Paese costituiscono il 75%. Questi dati mostrano come i ruoli appaiono ormai invertiti. Ma ovviamente un mondo senza uomini, come annunciato dalla femminista Gilman, è un mondo a metà, perché uomo e donna costituiscono due polarità, due modelli diversi che si completano a vicenda. Sono immagine perfetta del Dio invisibile che nell’amore si incontrano e si relazionano, completandosi a vicenda. Sono corde della stessa chitarra, ma che solo insieme possono produrre all’unisono l’armonia dei suoni.
Uguaglianza e parità di diritti, oltre che di doveri, fra uomo e donna, in determinati contesti è ancora un’utopia. E’ di un mese fa la notizia che in Arabia Saudita le donne non appaiono neppure nella copertina del catalogo IKEA. Normalmente distribuito in tutto il mondo, rispetto all’originale svedese, dove compare la foto di un padre col figlio, e più in là di una donna e un bambino, nell’azione congiunta di specchiarsi, nel catalogo arabo è stata rimossa l’immagine della donna. E’ l’ennesima sconfitta, lì dove il ruolo e la condizione femminile sono costantemente offuscati e i diritti delle donne perennemente calpestati. In Arabia una donna non può guidare l’auto, se è iscritta a Facebook deve cancellare tutti i contatti maschili dal profilo, è obbligata a indossare, ogni qualvolta esce di casa, la tunica nera che copre l’intero corpo, tranne la testa, i piedi e le mani (abaya) e il velo sul capo (niqāb), con la finalità di “proteggere il loro pudore”, insieme a molte altre discriminazioni.
L’IKEA, in merito al catalogo, ha successivamente inviato le sue scuse. Ma l’onorevole Souad Sbai commenta duramente: «Le scuse, oltre ad essere tardive, sono totalmente inutili. Non si può cancellare la donna dalla realtà e poi chiedere scusa, rendendo tutto ancor più grottesco di quanto già non sia. Ma la cosa ancor più grave è che le paladine “piazzaiole” dei diritti delle donne non abbiano battuto un colpo sulla vicenda Ikea in Arabia Saudita. L’ennesima vergogna del silenzio assenso dei diritti venduti al dio denaro». Episodi come questi invitano ognuno di noi alla riflessione, perché in tutto il mondo tanto è stato fatto per il riconoscimento dei pari diritti tra uomo e donna, ma molto ancora resta da fare.
In tempi antichi in cui il ruolo della donna era subalterno, rispetto all’uomo diversamente dai maestri e dai dottori della legge dell’epoca, Gesù manifesta una propensione positiva. Parla in pubblico con le donne, anche a coloro che non godono di buona nomea, come l’adultera (Gv 8,1-11), la prostituta nella casa di Simone (Lc 7,37-47) o la samaritana (Gv 4,7 ss); sono presenti donne tra i suoi seguaci, cosa abbastanza insolita per un rabbì; ha tra le sue discepole donne come le due sorelle di Lazzaro: Marta e Maria; ai piedi della croce, solo Giovanni è rimasto dei 12 ed è in compagnia della Madre di Gesù, della «sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala» (Gv 19, 25), ma anche «molte donne che stavano ad osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo» (Mt 27, 55). Il giorno della Risurrezione sono ancora una volta le donne a udire: «Non è qui. E risorto, come aveva detto» (Mt 28, 6) e sempre una donna, Maria di Magdala, colei alla quale Gesù appare per primo e invita a portare agli altri il Suo annuncio di gioia e di speranza. Nella Lettera apostolica Mulieris dignitatem nei nn.12-16 è interessante notare il rapporto che Gesù aveva instaurato con le donne.
Ben consapevole della strada tracciata da Cristo e per il grande amore verso Maria, la “Donna per eccellenza”, la Chiesa continua a farsi sostenitrice del riconoscimento del ruolo femminile. Bellissime le parole di Giovanni Paolo II, in cui esprime l’importanza e la ricchezza di ciascuna donna: «Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell’essere umano nella gioia e nel travaglio di un’esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita. Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita. Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza. Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l’indispensabile contributo che dai all’elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del “mistero”, alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità. Grazie a te, donna-consacrata, che sull’esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all’amore di Dio, aiutando la Chiesa e l’intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta “sponsale”, che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura. Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani» (Lettera alle famiglie, 2).
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13 commenti a Critica al femminismo, elogio della maternità
Il paragrafo finale di Giovanni Paolo II è decisamente femminista! Molto bello.
Secondo me la questione della maternità è molto più semplice di quanto si pensi. Se infatti estendiamo il concetto dell’unicità ed irripetibilità della persona non solo ai bambini, che da questo punto di vista sono ancora in corso d’opera, ma soprattutto agli adulti, con una personalità già matura e consolidata, allora non ci si deve meravigliare se esistano donne non portate alla vocazione di essere madri. Esse sono oggi libere, a differenza di una volta quando il ruolo della donna era unico ed irripetibile e non la donna come individuo, di ricevere grafiticazioni ed affetti in mille altre modalità, impensabili per la donna-madre-massaia che potevano essere, tanto per fare un esempio, le nostre nonne.
Un’altra considerazione. Certo colpiscono le parole di G.P. II, ma colpisce forse ancor di più l’assenza nel suo discorso sulla donna della categoria donna-religiosa che, almeno nella religione cattolica, appare legata indissolubilmente ai vecchi modelli (sempre quelli delle nonne).
Che commento inutile e retorico, un classico di Antonio.
1) Nessuno impone alla donna di essere madre, ma si invita a non denigrare la maternità.
2) “Esse sono oggi libere, a differenza di una volta quando il ruolo della donna era unico ed irripetibile e non la donna come individuo, di ricevere grafiticazioni ed affetti in mille altre modalità, impensabili per la donna-madre-massaia che potevano essere, tanto per fare un esempio, le nostre nonne”, una frase che non ha senso in italiano. Cosa c’entra essere “uniche e irripetibili”? Il nulla più totale.
3) G.P. si distanzia proprio dai vecchi modelli tradizionali, ringraziando la donna sposa, madre, lavoratrice e/o semplice donna.
Forse sai fare di meglio, ad esempio potresti insultare G.P. perché nel discorso non ha preso le distanze dai mariti violenti, dalla fame nel mondo e dalla guerra in Corea del nord. La solita chiesa mistificatrice e subdola, vero Antony??!
L’unicità ed irripetibilità identificano l’individuo umano, dunque anche la donna. Per questo oggi ci sono donne che ambiscono a diventare madri ed altre che coltivano altre ambizioni. Mentre una volta la donna, intesa come individuo appartenente al genere femminile, non aveva che un’unica scelta, ovvero di essere madre. Ho scritto male “individuo”, in quanto la donna evidentemente veniva espropriata da qualsiasi caratterizzazione individuale, se non quella di appartenenza al rispettivo maschio. Mi sono spiegato ora o vuole anche i disegnini?
E quindi? Dove stà il trucco? Arriva all’accusa alla Chiesa, altrimenti cosa scrivi a fare questi commenti?
Complimenti per l’articolo: molto interessante.
L’ho già scritto in altra occasione: personalmente, trovo che una delle cose più interessanti dell’avvenimento cristiano è che Gesù ha rivoluzionato i nostri schemi, e la dignità che Egli ha riservato alla donna si colloca in questo solco.
In particolare l’annuncio della resurrezione a Maria di Magdala è sconvolgente per quell’epoca, se si pensa che le donne non erano considerate testimoni credibili…
La storia della chiesa è fatta di grandissime sante, che hanno davvero nobilitato la figura femminile!
giusto un paio di giorni fà leggevo di beata Anna Maria Taigi, aveva anche la veggenza: un altra pietra miliare che ci fà continuare a avere fede e a negare lo scientismo e la lussuria imperante…..
Grazie a Te AnnaPaola che con questa tua iniziativa rendi il web degno di una sana comunicazione. Un caldo abbraccio.
A parte che mi zia, scomparsa quest’anno all’età di 73 anni, non è stata mai madre senza per questo suscitare scandalo alcuno o senza essere considerata meno donna di altre. Quindi tutto questo cianciare di scelte che non c’erano all’epoca mi lascia almeno perplesso, e poi vedevo e vedo molta più serenità, consapevolezza di se, e gratificazione nelle nonne che nelle moderne donne in carriera. Non è un discorso sul si stava meglio quando di stava peggio, badate bene, non è quello il punto. Il punto sta tutto o quasi nel non saper porre lo sguardo oltre l’orizzonte materialista- consumi sta in seno al quale anche il movimento femminista si è sempre mosso. Una lotta x diritti (anche sacrosanto per carità) ma che altro non fanno se non farti stare più comodo/a nella prigione in cui manco ti accorgi di vivere.
E la lettera di GP II è meravigliosa perché, pur con una retorica un po’ stucchevole in alcuni passaggi, compie un’operazione geniale: loda tutti i ruoli e le “tipologie” della donna per dire in sostanza che la donna è quello che è, cioè un essere meraviglioso in quanto è! Immagine e somiglianza di Dio. Non potrebbe essere altrimenti in una religione in cui il Dio stesso, per manifestarsi, chiede il permesso di una donna (perché Maria aveva anche la libertà di dire “guardi signor arcangelo, la ringrazio ma al momento non sono interessata alla sua offerta”)
È la donna è quello che per la sua diversità dall’uomo. Sennò non c’era bisogno docente ambi no? Be’ bastava uno. È la diversità ( nell’uguagliansa) è la peculiarità specifica di poter generare. Tutto in una donna è per quello, dalle tette che tanto piacciono a noi maschietti, al ciclo mestruale alla conformazione ossea. O vogliamo negare anche la biologia? È dirò di più: tutta la peculiarità psichica, emotiva relazionate della donna, tutti quei motivi antropologici e culturali insomma che l’hanno resa ( in un immagine tanto abusata quanto poetica) ” l’altra metà del cielo” sono conseguenza del suo ruolo biologico. Poi è chiaro che il maschio deve fare la sua parte ( ed essere quindi uomo e non solo maschio) e tutto il resto, ma la peculiarità femminile nella questione della coppia e della prole rimane cosa unica. Poi una nella vita può scegliere ciò che vuole e crede, per carità, e magari convincersi pure che tutto fila, ma a me sembra evidente che un pezzo manca…. Non è che lo dice dio eh, lo dice la biologia… Ecco perché rivoltarsi per avere migliori stipendi e condizioni in un lavoro in cui donna o uomo conta poco, e non batterai invece per un riconoscimento della dignità di tutto quello che è lavoro ” Di cura” (fondamentale nella società e nella vita di ciascuno), storicamente ( e mi verrebbe da dire naturalmente) femminile, anzi denigrando questo ruolo, mi sembra per quanto utile e doveroso nell’immediatezza della circostanza, inutile e controproducente alla lunga poiche tutto si trasferisce sul piano della produzione/consumo. Piano materialista appunto, fintamente liberatorio. Chiaramente.
Amico mio, vorrei ricordarti che noi donne non siamo solo mammelle, curve e “corsi mensili”, ma abbiamo anche un’intelligenza pari alla vostra. Ci sono donne che sono medici, avvocati, giudici, manager, intellettuali, imprenditrici e quant’altro, con ottimi risultati e peraltro felicissime e realizzate. Non penso sia né sbagliato né immorale guardar male una donna che decide di lavorare, di investire nella propria formazione professionale e cultura. Anzi, in quanto professionista e figlia di una di quelle che un tempo si chiamavano “donne in carriera” ritengo che mia madre sia stata una persona migliore, che mi ha insegnato il valore della cultura, del lavoro, dell’indipendenza, mi ha stimolata a fare esperienze, a non accontentarmi, a farmi domande, a puntare a mete ambiziose.
Mi piace tutto questo astio verso il fare bambini. E tra 50 anni chi ci pagherà le pensioni e lavorerà per rendere la nostra vecchiaia confortevole?
A giusto, i figli dei vicini. Perché siamo un paese di furbi, no? Io non faccio figli, i vicini li fanno e fanno la fatica per educarli e crescerli bene, e poi aspetto i frutti del loro lavoro, gratis.
Chi ha figli ha dato allo Stato (cioè alla società, noi tutti) contributi, tasse e forza lavoro. Chi non ha figli (come me, purtroppo) ha dato “solo” contributi e tasse, ma in futuro avrà lo stesso di chi ha dato di più. Dovrebbero considerarsi fortunati, molto fortunati, non lamentarsi e magari chiedere aiuti dallo Stato come le famiglie (!) come ho visto in alcuni commenti su riviste online.
È un discorso brutalmente materialista? Probabile, ma siccome questa gente si considera, spesso, materialista, almeno la affrontino fino in fondo.