Colonialismo e Chiesa cattolica, sfatiamo la leggenda nera
- Dossier
- 07 Set 2010
Il ruolo storico della Chiesa cattolica nel periodo del colonialismo, un’analisi oggettiva contrasta la leggenda nera che spesso associa il cristianesimo all’oppressione dei popoli indigeni. Attraverso una revisione critica della storia si evidenzia l’attivismo e l’impegno umanitario della Chiesa a favore della protezione e dei diritti degli indios.
La Chiesa cattolica incoraggiò il colonialismo? Si oppose alla riduzione in schiavitù degli indios? I missionari si prodigarono in conversioni forzate? Queste sono alcune delle domande a cui rispondiamo in questo dossier storico, come sempre citando i più accreditati storici e specialisti del tema.
Se infatti, ancora oggi, la Chiesa cattolica riceve accuse e critiche per non essersi opposta energicamente al movimento colonizzatore europeo e alle brutalità commesse dai colonialisti nelle Americhe, dall’altra non pochi storici sostengono che sia stata l’unica istituzione ad aver alzato la voce in difesa degli indios.
L’eminente storico Eugene D. Genovese, ad esempio, fra i massimi esperti di schiavismo americano, ha scritto: «Il cattolicesimo ha impresso una profonda differenza nella vita degli schiavi. E’ riuscito a creare un’etica nuova ed autentica nella società schiavista americana, brasiliana e spagnola»2Genovese E., Roll, Jordan, Roll: The World the Slaves Made, Vintage 1974, p. 179.
- 1. PRE-COLONIALISMO: LA CHIESA E L’ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITU’
- 2. I COLONIZZATORI FURONO GLI “STATI CATTOLICI”?
- 3. I CONQUISTADORES ERANO CRISTIANI?
- 4. LA CHIESA IN DIFESA DEGLI INDIOS
- 5. LE CONVERSIONI FORZATE NEL NUOVO MONDO
- 6. IL COLONIALISMO: SFRUTTAMENTO E DECULTURAZIONE?
- 7. ILLUMINISMO, COLONIALISMO E SCHIAVITU’
- 8. CONCLUSIONE SUL RUOLO DELLA CHIESA NEL COLONIALISMO
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1. PRE-COLONIALISMO: LA CHIESA E LA FINE DELLA SCHAVITU’
Quando iniziò il periodo coloniale la schiavitù in Europa era quasi praticamente scomparsa.
Come spiegato da due importanti storici francesi, Jean Andreau, direttore dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, e Raymond Descat, professore di Storia greca all’Università di Bordeaux, «è nel corso dell’Alto Medioevo che si sono prodotti i cambiamenti più importanti e che si è definitivamente usciti, in Europa occidentale, dalla società schiavista»3Andreau J & Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 222.
Il ruolo del cristianesimo nella scomparsa dello schiavismo è già stato analizzato dettagliatamente in un dossier specifico pubblicato precedentemente.
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2. I COLONIZZATORI FURONO GLI “STATI CATTOLICI”?
Il fatto che paesi colonizzatori come Spagna, Francia, Portogallo ecc.. fossero ritenuti “cattolici”, ha portato molti a rivolgere le proprie accuse alla religione piuttosto che verso la politica dei sovrani laici.
Eppure il XVI secolo fu un momento difficile per la Chiesa: in buona parte del Nord Europa, dall’Olanda all’Inghilterra, la Chiesa era quasi distrutta dalla riforma protestante e anglicana e i grandi intellettuali del tempo, inoltre, dagli eretici come Wycliff che invitava ad impadronirsi dei beni della Chiesa, a Macchiavelli, a Tyndale ecc., erano tutt’altro che cattolici.
La corona inglese, di fronte ai mercanti di schiavi neri e alla politica aggressiva e tesa unicamente al guadagno e alla conquista delle terre dei coloni-cowboys inglese, che porterà al genocidio dei pellerossa, non farà mai nulla e non ci sarà quasi mai nessuno, sino all’Ottocento, ad ostacolarla, a ricordare i diritti di neri e indigeni.
Del resto chi protestava sapeva di rischiare la morte, come avvenne con Tommaso Moro e tutti i cattolici, e non solo, che non hanno voluto seguire Enrico VIII.
Inghilterra e Olanda, due stati in cui la Chiesa cattolica e il suo potere religioso erano ridotti a zero, forniranno per secoli i colini più duri e spietati e i mercanti di neri più attivi: sarà l’assoluta mancanza di scrupoli e il triangolo degli schiavi a nutrire il capitalismo anglosassone e a fare dell’Inghilterra lo stato più forte d’Europa a partire dalla fine del Cinquecento. «A metà del Settecento», nota lo storico della filosofia Domenico Losurdo, «è la Gran Bretagna a possedere il maggior numero di schiavi (878.000)»4Losurdo D., Controstoria del liberalismo, Laterza 2006, pp. 16, 37.
Lo storico della Chiesa, Fidel González Fernández, ha osservato che i Paesi protestanti, contrariamente a quanto si pensa, furono i maggiori organizzatori della tratta degli schiavi.
Le colonie inglesi e olandesi non avevano regolamenti circa il trattamento degli schiavi e i padroni, riferisce lo storico Robert William Fogel, premio Nobel e docente di Harvard, «potevano esercitare violenza illimitata per imporre il lavoro»5Fogel R.W., Without Consent or Contract: The Rise and Fall of American Slavery, W.W. Norton 1989, p. 36. Il tasso di mortalità degli schiavi era significativamente più elevato nelle colonie protestanti che in quelle cattoliche6Curin P.D., The Atlantic Slave Trade: A Census, University of Wiscoins Press 1969.
Passiamo ora ad analizzare la situazione nei cosiddetti “Stati cattolici”.
In Francia i sovrani si erano arrogati la gran parte delle nomine di vescovi, abati e alte cariche ecclesiastiche, e al Papa spettava solo il compito di ratificare decisioni già prese. Ad esempio il Concordato di Bologna (1516) concedeva al re francese Francesco I il diritto di designare tutte le alte cariche della Chiesa, ottenendo così il completo controllo delle proprietà e delle rendite della Chiesa.
Nel 1434, quando Enrico il Navigatore, principe del Portogallo tentò di invadere Gran Canaria venendo respinto dai nativi, la spedizione ripiegò saccheggiando le missioni cattoliche castigliane presenti a Lanzarote e Fuerteventura7Lawrance J., Alfonso de Cartagena on the affair of the Canaries (1436–37): Humanist rhetoric and the idea of the nation-state in fifteenth–century Castile, Historians of Medieval Iberia 2013, p. 4.
Anche negli altri Stati non riformati, come la Spagna, esisteva lo stesso problema: la Chiesa aveva poca voce in capitolo e i sovrani aderivano formalmente al cattolicesimo perché avevano già imposto al papa delle condizioni a loro molto favorevoli.
Ferdinando I d’Asburgo, ad esempio, riuscì a far concordare il Papa sull’illegalità della pubblicazione delle sue bolle e dei suoi decreti senza il previo consenso reale o dei possedimenti del regno. Sotto Carlo V d’Asburgo (1500-1558), re di Spagna e Imperatore del Sacro Romano Impero, la subordinazione della Chiesa crebbe ancora di più e il re ottenne anche un terzo delle decime pagate alla Chiesa.
«Questi accordi», scrive il sociologo Rodney Stark, «svolsero un ruolo fondamentale nel far rimanere cattoliche Spagna e Francia, ma resero la Chiesa dipendente dallo Stato. Ciò ebbe disastrose conseguenze quando il papa cercò di prevenire l’introduzione della schiavitù nel Nuovo Mondo»8Stark R., La vittoria della ragione, Lindau 2006, pp. 296-298 9Chadwick O., The reformation, Penguin 1972, p. 26.
In ogni caso, le cifre dimostrano che la colonizzazione spagnola fu molto meno cruenta di quella inglese. Roberto Ivaldi, esperto in storia del colonialismo, ha osservato che «mentre i pellerossa superstiti nel Nord America si contano a poche migliaia, nell’America ex-spagnola ed ex-portoghes la maggioranza della popolazione o è ancora di origine india o è il frutto di incroci di precolombiani con europei e (soprattutto in Brasile) con africani».
Allo stesso modo, negli attuali Stati Uniti è quasi sparita la popolazione mentre nel Sud America «quasi il 90% della popolazione o discende direttamente dagli antichi abitanti o è il frutto di incroci tra indigeni e nuovi arrivati […] i quali hanno creato una cultura e una società nuove, dalle caratteristiche inconfondibili»10Ivaldi R., Storia del colonialismo, Newton 1997, pp. 19-20.
Il matrimonio misto tra spagnoli ed indigeni, all’epoca della Conquista, fu normale e frequente, cosa che non avverrà mai nelle colonie inglesi, dove la separazione razziale rimarrà sempre quasi assoluta, come lo è tutt’oggi.
Secondo l’Enciclopedia Treccani, «la differenza è dovuta in parte al minor pregiudizio di razza, che permette agli Spagnoli più frequenti e relativamente cordiali rapporti coi neri, aiutati anche dall’opera dei preti cattolici, i quali assai più dei pastori evangelici favoriscono i battesimi, i matrimoni, le manomissioni dei neri»11Enciclopedia Treccani, alla voce Schiavitù.
Già all’epoca della scoperta dell’America, la regina spagnola Isabella di Castiglia, ben diversamente da Elisabetta (che si circondò di pirati e negrieri, come John Hawkins e Francis Drake), chiese rispetto per gli indigeni: il 16 settembre 1501 firmò a Granada una Istruzione per il governatore delle Indie, Nicolas de Ovando, affinché protegga in ogni istante i diritti degli indigeni dai soprusi spagnoli, invitando poi a convertire quei popoli «senza esercitare su di loro alcuna costrizione»12Dumont J., La regina diffamata, Sei 1992, p. 125.
Il 30 ottobre 1503, in una lettera recentemente ritrovata, Isabella scrisse: «Sappiate che il re, nostro signore e io […], abbiamo ordinato che nessuna delle persone da noi mandate a dette terre osino prendere o catturare alcun indios per essere portano nei miei regni, né per essere portato in nessuna altra parte e che non venga fatto nessun danno a persone o a beni, e chiediamo che tutti gli indios che sono stati catturati vengano rimessi in libertà»13citata in Baglioni P., Lettere di una regina, 30 Giorni, 04/1991.
Anche Carlo V d’Asburgo si impegnò a fondo a impedire soprusi e violenze, confermando incarichi e onori, politici ed ecclesiastici, a Bartolomeo de Las Casas, emanando le Leyes Nuevas e invitando i suoi sudditi a rispettare la libertà degli indiani. Ecco le sue parole:
«Le anime degli indiani non devono essere salvate con la forza. Bisogna evitare i sacrifici umani e il cannibalismo; le immagini degli idoli e i templi devono essere distrutti. Il Dio nostro Signore ha creato gli indiani come uomini liberi, non schiavi […]. Tra la Spagna e gli schiavi è permesso solo il libero scambio. E’ vietato, pena severe condanne, portare via agli indiani ciò che loro appartiene, niente deve cambiare di proprietario senza adeguato compenso. Dobbiamo andare loro incontro nello spirito dell’amore e dell’amicizia»14citato in von Hasburg O, Carlo V, Ecig 1993, p. 253.
Lo storico Franco Cardini, ordinario all’Università di Firenze e all’Istituto italiano di scienze umane, osserva che proprio per volere di Carlo V imperatore, «ispirato dal magistero spirituale di Erasmo da Rotterdam e dalla testimonianza dell’ardente domenicano spagnolo Bartolomé de las Casas, erano state promulgate per le colonie della corona di Spagna quelle Nuevas Leyes del 1542 ispirate a una generosa difesa dei diritti degli indios contro le violenze degli encomenderos spagnoli: esse prevedevano – quanto meno sul piano teorico – gravi pene per chiunque, fosse anche nobile hidalgo, avesse esercitato una qualunque forma di prevaricazione contro un indio»15Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 73.
Nulla di simile s’incontra nelle legislazioni coloniali non ufficialmente cattoliche, come quella britannica, olandese e belga.
Esistono «tante disposizione destinate alla protezione degli indigeni che fanno onore alla legislazione coloniale spagnola»16
In generale, concluse lo storico Eduard Fueter, «l’amministrazione spagnola si manteneva neutrale e forse si mostrava persino incline a tutelare i discendenti degli abitanti indigeni contro i discendenti dei conquistadores», mentre nelle colonie inglesi, «i resti delle tribù indiane non avevano alcuna importanza numerica e gli schiavi neri, del tutto privi di libertà, non avevano alcun peso politico»17Fueter E., Storia universale degli ultimi cent’anni, Einaudi 1947.
Nell’enciclopedia storica della Cambridge University, si legge: «Bisogna rendere atto al rispetto spagnolo per la libertà e per la legge se ai tempi di Carlo Vi -un grande re e un grande autocrate-, circolavano liberamente, senza suscitare scandalo, trattati in cui si denunciavano gli eccessi dei conquistadores […], si criticava l’intera impresa delle Indie». E si definisce l’imperialismo spagnolo «equilibrato, coscienzioso, prudente»18Cambridge University, Storia del mondo moderno, Garzanti 1982, p. 759.
2.1 La voce della Chiesa rimase inascoltata.
Nonostante le numerose bolle pontificie e gli interventi papali contro il colonialismo e a favore della libertà degli indios, come dimostriamo qui sotto, la Chiesa venne poco ascoltata. Questo la dice lunga sulla “cattolicità” di quell’epoca storica.
Non solo, la pubblicazione di questi documenti pontifici di condanna della schiavitù portarono a tumulti e all’assalto di chiese e monasteri da parte di coloro che vedevano la Chiesa un ostacolo ai loro lucrosi traffici.
Ecco come tutto ciò è espresso dall’eminente storico Kenneth Scott Latourette, già presidente dell’American Historical Association:
«In questo periodo i papi godevano di ben poco potere tra spagnoli e portoghesi. Gli spagnoli comandavano su gran parte dell’Italia e nel 1527 avevano persino saccheggiato Roma. In base al trattato che ne conseguì, fu dichiarato illegale persino pubblicare i decreti papali in Spagna o nei possedimenti spagnoli senza l’approvazione del re, e il re di spagna nominava tutti i vescovi spagnoli. Quando, a Rio de Janeiro, i gesuiti lessero pubblicamente una bolla papale contro la schiavitù, una folla inferocita attaccò il locale collegio dei gesuiti e ferì molti sacerdoti. Quando poi un tentativo analogo di pubblicizzare la condanna papale della schiavitù venne fatta a Santos, i gesuiti furono espulsi dal Brasile. Infine, tutti i gesuiti furono violentemente cacciati dall’America Latina e successivamente dalla Spagna»19Lotourette K.S., A History of Christianity, vol. 2, Harper San Francisco 1975, p. 944.
I documenti papali molto spesso vennero inoltre occultati e boicottati.
«Molti vescovi locali», ha osservato il sociologo Rodney Stark, «designati dal re di Spagna, non appoggiavano la posizione di Roma». Tuttavia «la continua pressione della Santa Sede portò almeno all’emanazione nel XVIII secolo di codici sul modo di trattare gli schiavi, come il Code Noir francese e il Còdigo Negro Espanol»20Stark R., La vittoria della ragione, Lindau 2006, p. 299-300, i quali mitigarono in gran parte le effettive condizioni di schiavitù.
A sua volta, lo storico Rosario Romeo, rettore dell’Università Luiss di Roma, ha scritto:
«L’elemento religioso contribuì all’ampliamento della coscienza europea con l’appello all’immediato sentimento cristiano della carità e della giustizia contro gli orrori perpetrati dai conquistadores nelle terre americane […]. Anche nella stessa Spagna non mancarono, fin dall’inizio, scrupoli religiosi: e ne fanno fede, ad esempio, i dubbi della regina Isabella nella questione della vendita di indiani come schiavi; l’impegno della maggioranza del clero in difesa degli indigeni, che diede luogo a vivaci conflitti nelle colonie; le perplessità, persino, di Hernàn Cortés, che nel suo testamento raccomandava ai propri eredi di liberare gli schiavi […]. Interventi non mancarono neanche, com’è noto, da parte dell’autorità pontificia»21Romeo R., Le scoperte americane nella coscienza italiana del Cinquecento, Laterza 1989, pp. 39-53.
L’effetto di tali “intromissioni” da parte della Chiesa non riuscì ad eliminare il male, ma lo limitò.
«Anche se nel Nuovo Mondo le bolle contro la schiavitù furono ignorate, gli sforzi della Chiesa cattolica portarono ad un trattamento degli schiavi meno brutale nei Paesi cattolici che in quelli protestanti»22Stark R., Il trionfo dell’Occidente, Lindau 2014, p. 353, scrive ancora Rodney Stark.
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3. I CONQUISTADORES ERANO CRISTIANI?
Abbiamo visto che la voce della Chiesa cattolica all’interno degli Stati europei che promossero il colonialismo fu scarsamente ascoltata e, spesso, direttamente respinta. Soltanto in Spagna, nazione tra le più “cattoliche” (pur in apparenza) si verificò una certa moderazione e tolleranza verso la dignità degli indios.
Un critico potrebbe tuttavia obiettare che i singoli conquistadores erano tutti ferventi cristiani che attuarono soprusi e schiavitù a danno degli indigeni in nome del Dio e della religione che imposero una volta sbarcati nel Nuovo Mondo.
Innanzitutto occorre notare che anche i mafiosi dei giorni di oggi si dichiarano cristiani. Ma lo sono realmente? In realtà non basta definirsi “cristiani” per esserlo, anzi lo si è solo nella misura in cui si segue fedelmente o, perlomeno tentativamente, la dottrina cristiana (che predica l’amore e il rispetto al prossimo).
In secondo luogo, lo storico italiano Franco Cardini ha spiegato che tra il 1500 e il 1800 gli europei assoggettarono i popoli indigeni inebriati dal potere di una cultura superiore, quella d’origine grecoromano-umanistica – e di un livello scientifico e tecnologico senza pari, rivestendo «le loro pretese, ispirate a una Volontà di Potenza ch’era inconcepibile mettere in discussione, anche di un valore metastorico e provvidenzialistico»23Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 71, dichiarandolo in nome di Dio e della volontà divina.
Eppure, «mentre ritenevano tutto ciò irreversibile e indiscutibile con ciò giustificando anche repressioni, compravendita di merce umana e massacri, andavano gradualmente ponendo in discussione e sostanzialmente perdendo quella medesima fede», tanto che quella «civiltà si andava teizzando se non addirittura ateizzando e ch’era comunque in pieno “processo di secolarizzazione” mentre esteriormente e superficialmente permaneva nella fede di un Dio di pace, di fratellanza, d’amore»24Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 72.
L’eminente studioso precisa ulteriormente che il “teismo” in cui intende poteva allora «assumere aspetti e sfumature neopagane e che in Occidente costituì almeno dal Cinquecento un avversario subdolo e una costante alternativa al cristianesimo, diffusa e frequente specie nelle élites intellettuali». Tale teismo, «sia pure paradossalmente mischiato ad elementi di tradizione ebraica peraltro metabolizzati in direzione ermetico-misteriosofica, è un tratto costitutivo della Weltanschauung massonica e della nascente cultura delle borghesie, dov’esso sarebbe comunque convissuto sia pur talvolta a disagio con ambienti portatori d’istanze confessionali. Di ciò furono testimoni soprattutto le borghesie ricche e abbastanza colte créoles o criollas mesoamericane»25Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 77.
In ogni caso, bisogna ricordare anche «la lotta senza quartiere dei missionari cattolici e protestanti contro lo schiavismo»26Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 71. E anche quando non vi fu un’opposizione diretta da parte dei religiosi che accompagnavano i conquistatori europei, conclude Cardini, essi cercarono comunque «in molti modi di rendere più umano»27Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 71 il colonialismo.
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4. LA CHIESA IN DIFESA DEGLI INDIOS
Il colonialismo europeo inizio già nel XIV secolo nei confronti delle Isole Canarie (o Isole Fortunate) da parte della Francia.
Certamente vi furono giustificativi morali a supporto forniti dagli uomini di Chiesa, ad esempio, scrive lo storico Jeremy Lawrance, nel 1344 Clemente VI all’interno della bolla Tue devotionis sinceritas «espose gli argomenti che il papato avrebbe usato per i successivi 150 anni per giustificare la colonizzazione (ma non l’uccisione o l’asservimento) dei Canari per il bene delle loro anime»28Lawrance J., Alfonso de Cartagena on the affair of the Canaries (1436–37): Humanist rhetoric and the idea of the nation-state in fifteenth–century Castile, Historians of Medieval Iberia 2013.
Da lì in poi la storia è costellata di uomini, pontefici, vescovi e sacerdoti cattolici che usarono la loro vita per difendere le popolazioni indigene e creare un’etica morale nei colonizzatori.
Il filosofo e teologo messicano Enrique Dussel ha scritto infatti che «la Chiesa missionaria si oppose fin dall’inizio» allo sfruttamento colonialista e alla riduzione in schiavitù dei nativi, «e quasi tutto ciò che di positivo fu fatto a beneficio delle popolazioni indigene, risultato dell’appello e del clamore dei missionari. Restava però il fatto che quell’ingiustizia diffusa era estremamente difficile da sradicare. Ancor più importante di Bartolomé de Las Casas, vescovo del Nicaragua, e Antonio de Valdeviso, che alla fine subì il martirio per la sua difesa dell’indiano»29Dussel E., A History of the Church in Latin America, Eerdmans Pub Co 1982, pp. 45, 52, 53.
4.1 La voce dei Pontefici per la libertà degli indios.
Eugenio IV
Nel 1430, appena la schiavitù riemerse anche in Europa, papa Eugenio IV (1383-1487) indirizzò subito alle autorità religiose delle isole Canarie la bolla Sicut Dudum30Wikipedia, Sicut Dudum (1435) con la quale, in modo netto e senza ambiguità, condannò la schiavitù delle popolazioni indigene.
Sotto pena di scomunica, inoltre, concesse a chi era coinvolto nello schiavismo 15 giorni dalla ricezione della bolla, per «riportare alla precedente condizione di libertà tutte le persone di entrambi i sessi una volta residenti delle dette Isole Canarie, queste persone dovranno essere considerate totalmente e per sempre libere («ac totaliter liberos perpetuo esse») e dovranno essere lasciate andare senza estorsione o ricezione di denaro»31citato in Stark R., La vittoria della ragione, Lindau 2006, pp. 299, 300 32Wikipedia, Sicut Dudum 33Wikipedia, Eugenio IV.
Pio II
Il 7 ottobre 1492, ancora agli albori del colonialismo, Papa Pio II (1405-1464) attraverso la lettera “Rubicensem“, ricordò al vescovo della Guinea portoghese che la schiavitù è un «un grande crimine» («magnum scelus»)34
Paolo III
Paolo III (1468-1549) ad esempio, il 2 giugno 1537 si scontrò con le autorità laiche ed emanò la memorabile bolla Veritas Ipsa36Wikipedia, Veritas Ipsa, (conosciuta anche come Sublimis Deus), con la quale si oppose agli appetiti schiavistici sulle popolazioni del Nuovo Mondo, proclamando che «Indios veros homine esse» e scomunicando tutti coloro che avrebbero ridotto in schiavitù gli indios o li avrebbero spogliati dei loro beni.
Non fu il suo primo intervento, una cosa simile la fece già nella lettera al Cardinale di Toledo del 29 maggio 1537.
Paolo III condannò inoltre le tesi razziste, riconobbe agli indiani, cristiani o no, la dignità di persona umana, e avanzò il divieto di ridurli in schiavitù. Definì i coloni dei “violenti” e i portatori di potenti interessi coloniali. Ecco con quali parole:
«Manutengoli di Satana, desiderosi di soddisfare la loro avidità, e costringere gli Indios occidentali e meridionali e altri popoli, che ci sono venuti a conoscenza in questi ultimi tempi, a servirli come fossero animali bruti, sotto il pretesto che non hanno la fede. Con l’autorità apostolica e attraverso questo documento stabiliamo e dichiariamo che i predetti Indios, e tutti gli altri popoli, anche se non appartenenti alla nostra religione, non si possono privare della libertà e del dominio della loro proprietà, e che è lecito ad essi godere della loro libertà e dei loro beni e acquisirne, né che si debbono ridurre in schiavitù. Se qualche cosa sarà fatta in contrario dichiariamo nulla e invalida alla detta fede in Cristo»37Paolo II, Sublimis Deus, 1537 38citao in Panzer J.S., The popes and slavery, Alba House 1997, p. 8.
Gli storici ritengono39Maxwell J.F., Slavery and the Catholic Church. The history of Catholic teaching concerning the moral legitimacy of the institution of slavery, Chichester Barry-Rose 1975, pp. 68, 70 che la bolla di Paolo III abbia avuto un forte impatto sul “dibattito di Valladolid” e che questi principi divennero la posizione ufficiale di Carlo V del Sacro Romano Impero e re di Spagna.
Inoltre, la Veritas Ipsa ebbe l’effetto di annullare tre bolle precedenti, quelle di papa Niccolò V (“Dum Diversas”, 1453 e Romanus Pontifex, 1455) e quella di Alessandro VI (Inter Caetera, 1493), attraverso le quali si autorizzavano formalmente le conquiste coloniali e la schiavitù40Thornberry P., Indigenous peoples and human rights, Manchester University Press 2002, p. 65.
Gregorio XIV
Gregorio XIV (1535-1591) tramite il decreto del 18 aprile 1591 ordinò che i nativi delle Filippine, costretti in schiavitù dagli europei, fossero lasciati liberi e, sotto pena di scomunica, comandò che si interrompesse la tratta degli schiavi41Wikipedia, Gregorio XIV.
Clemente VIII e l’Ordine della Santissima Trinità
Il successore, papa Clemente VIII (1536-1605), nel 1599 approvò l’Ordine della Santissima Trinità, istituita per osservare la Regola di San Giovanni di Matha in tutto il suo rigore.
Giovanni di Matha (1150-1213) fondò42Wikipedia, Giovanni di Matha infatti nel XII secolo un progetto di vita religiosa nella Chiesa, concentrandosi sull’opera di liberazione dalla schiavitù, in particolare il riscatto dei cristiani caduti prigionieri dei mori.
L’ordine esiste ancora oggi e da quando è stato fondato ha riscattato circa 900.000 schiavi. I trinitari nel XVI e XVII secolo riuscirono anche a costruire degli ospedali per gli schiavi a Tunisi e ad Algeri43Wikipedia, Trinitarians.
Urbano VIII
Nel 1639 papa Urbano VIII (1568-1644), su richiesta dei gesuiti del Paraguay, emise la bolla Commissum Nobis44Wikipedia, Commissun Nobis (1639), riaffermando la scomunica che il predecessore Paolo III aveva imposto a coloro che erano coinvolti nella tratta degli schiavi.
Ecco un passaggio originale della bolla di Urbano VIII:
Proibisco «di ridurre in schiavitù gl’Indiani occidentali o meridionali; venderli, comprarli, scambiarli o donarli: separarli dalle mogli e dai figli; spogliarli dei loro beni; trasportarli da un luogo ad un altro; privarli in qualsiasi modo della loro libertà; tenerli in schiavitù; favorire coloro che compiono le cose suddette con il consiglio, l’aiuto e l’opera prestati sotto qualsiasi pretesto e nome, o anche affermare e predicare che tutto questo è lecito, o cooperare in qualsiasi altro modo a quanto premesso» 45Urbano VIII, Commissum Nobis, Bullarium patronatus Portugalliae regum in ecclesiis Africae 1639 46Wikipedia, Commissun Nobis.
La bolla suscitò nei governanti e negli schiavisti una tale reazione da spingere all’espulsione dei Gesuiti dal Paese.
Nel Nuovo Mondo, i vescovi locali designati dal re di Spagna non appoggiarono la posizione di Roma e divenne illegale pubblicare bolle antischiaviste, come qualsiasi altra dichiarazione papale, senza il consenso del re (che non arrivò mai)47Stark R., For the glory of God: how monothesim led to reformations, science, witch-hunts, and the end of slavery, Princeton University Press 2003, cap.1.
Quando i gesuiti trasgredirono l’ordine e lessero illegalmente in pubblico la bolla di Urbano VIII, a Rio de Janeiro si scatenò una rivolta che provocò il saccheggio del loro collegio locale e il ferimento di diversi sacerdoti. A Santos, la folla travolse il vicario generale appena tentò di pubblicare la bolla48Stark R., For the glory of God: how monothesim led to reformations, science, witch-hunts, and the end of slavery, Princeton University Press 2003, cap.1.
Benedetto XIV
Lorenzo Lambertini, un anno dopo essere diventato vescovo di Roma con il nome di Benedetto XIV (1675-1758) emanò la bolla Immensa Pastorum, anch’essa contro l’asservimento dei popoli indigeni delle Americhe e di altri paesi49Wikipedia, Benedict XIV 50Pius Onyemechi Adiele, The Popes, the Catholic Church and the Transatlantic Enslavement of Black Africans 1418–1839, Georg Olms Verlag AG. pp. 377–378, 532–534.
Pio VII
Il 7 agosto 1814, con la bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum, Pio VII (1742-1823) ricostituì la Compagnia di Gesù soppressa nel 1773 a causa del forte schieramento antischiavista dimostrato, e al Congresso di Vienna del 1815 chiese la proibizione del commercio di schiavi51Cathopedia, Pio VII.
Anche a seguito della posizione assunta da Pio VII sull’argomento, fu sottoscritta la Dichiarazione contro la tratta dei negri contenuta nell’allegato 15 dell’Atto finale del Congresso di Vienna (8 febbraio 1815)52Cathopedia, Pio VII.
Gregorio XVI
Nel 1839, papa Gregorio XVI (1765-1846) emanò la bolla In Supremo Apostolatus ricollegandosi ai suoi predecessori nella condanna verso la schiavitù e la tratta degli schiavi.
Nella bolla il pontefice affermò che sia gli Indiani sia i Neri erano creature umane, e che presso Dio non esiste discriminazione:
«Con la Nostra Apostolica autorità ammoniamo e scongiuriamo energicamente nel Signore tutti i fedeli cristiani di ogni condizione a che nessuno, d’ora innanzi, ardisca usar violenza o spogliare dei suoi beni o ridurre chicchessia in schiavitù, o prestare aiuto o favore a coloro che commettono tali delitti o vogliono esercitare quell’indegno commercio con il quale i Negri vengono ridotti in schiavitù, quasi non fossero esseri umani, ma puri e semplici animali, senza alcuna distinzione, contro tutti i diritti di giustizia e di umanità, destinandoli talora a lavori durissimi. Noi, ritenendo indegne del nome cristiano queste atrocità, le condanniamo con la Nostra Apostolica autorità: proibiamo e vietiamo con la stessa autorità a qualsiasi ecclesiastico o laico di difendere come lecita la tratta dei Negri, per qualsiasi scopo o pretesto camuffato, e di presumere d’insegnare altrimenti in qualsiasi modo, pubblicamente o privatamente, contro ciò che con questa Nostra lettera apostolica abbiamo dichiarato»53Wikipedia, In Supremo Apostolatus.
Leone XII
Nel 1888 papa Leone XII (1760-1829) supportò la nascita a Bruxelles della Anti-Slavery Society54Wikipedia, Société anti-esclavagiste belge da parte del cardinale Charles Lavigerie55Wikipedia, Charles Lavigerie, con lo scopo di sostenere economicamente gli antischiavisti e finanziare quattro spedizioni militari per combattere i commercianti di schiavi arabi che operavano nel territorio orientale del Cong56Wikipedia, Société anti-esclavagiste belge.
Sempre nel 1988, Leone XII scrisse a tutti i vescovi del Brasile affinché eliminassero completamente la schiavitù dal loro paese.
4.2 Vescovi e religiosi contro i colonizzatori europei.
Antonio De Montesinos e le Leggi di Brugos
Nel 1510 il frate domenicano Antonio de Montesinos (1475-1540) fu, assieme a frate Pedro de Córdoba (1482-1521), uno dei primi religiosi ad essere spedito nel Nuovo Mondo, approdando sull’isola di Hispaniola.
Appena venuti a conoscenza della condizione degli indios e del trattamento disumano ricevuto da parte dei coloni decisero di denunciare immediatamente e pubblicamente tutte le forme di riduzione in schiavitù e l’oppressione dei popoli indigeni delle Americhe57Lewis H., The Hispanic American Historical Review, 1946, p. 142 58Carl W., All Mankind Is One: The Libertarian Tradition In Sixteenth Century Spain, The Journal of Libertarian Studies 1987, p. 295 59Wikipedia, Pedro De Cordoba.
Sono rimasti famosi i sermoni di Fra De Montesinos del 21 e 28 dicembre 1511, quando disse:
«Allo scopo di farvi conoscere i vostri peccati contro gli Indiani sono venuto su questo pulpito, io che sono la voce di Cristo che grida nel deserto di quest’isola e perciò dovete ascoltarla. Questa voce dice che voi siete in peccato mortale, che voi vivete e morite nel peccato mortale, a causa della crudeltà e della tirannia che voi usate nel trattare con queste genti innocenti. Ditemi, per quale diritto o giustizia tenete questi Indiani in tale crudeltà e orribile schiavitù? Sulla base di quale autorità avete dichiarato una guerra detestabile a questa gente, che viveva tranquillamente e pacificamente nella propria terra? Quanta conoscenza avete voi conquistatori sulla dottrina e sul Dio creatore? Sul battesimo, sul partecipare alla messa e santificare le feste e la domenica? Non sono uomini questi? Non hanno anime razionali? Non siete tenuti ad amarli come amate voi stessi? State certi che in questo stato non potete salvare nessuno e nemmeno mantenere la fede in Gesù Cristo»60Las Casas B.D., Historia de las Indias, en Obras Completas 61Wikipedia, Antonio De Montesinos.
Le forti accuse, il rimprovero verso un comportamento anti-cristiano e la rivendicazione della responsabilità cristiana causarono forte disagio nei conquistatori e nei funzionari che erano presenti, tra cui il governatore Diego Colombo62Carl W., “All Mankind Is One”: The Libertarian Tradition In Sixteenth Century Spain, The Journal of Libertarian Studies 1987, p. 299. In molti reagirono contro i monaci, impedendo loro di pronunciarsi nuovamente su questi temi e chiedendo di ritrattare pubblicamente le dichiarazioni.
Accadde anche, però, che uno dei più arrabbiati amministratori presenti, Bartolomé de Las Casas, venne così profondamente colpito da questi sermoni che optò per una vera conversione e divenne il primo ecclesiastico a prendere gli ordini sacri nel Nuovo Mondo. Las Casas diventò nel tempo uno dei più attivi difensori dei diritti dei popoli indigeni d’America.
Re Ferdinando II d’Aragona, invece, si lamentò duramente con la congregazione dei Domenicani in Spagna e chiese sanzioni per i religiosi sull’isola, minacciando perfino di espellerli. Nel frattempo ai frati vennero negati i mezzi di sussistenza. Nonostante le intimidazioni i Domenicani non si fermarono, sostenendo che la loro dottrina era il risultato dello studio della verità e della lettura del Vangelo. Ferdinando annunciò così che nessun religioso avrebbe più messo piede sull’Isola.
De Montesinos decise di tornare nuovamente in Spagna col proposito di informare i reali sulla vera situazione dei popoli indigeni e sui motivi che lo avevano spinto a predicare così duramente. Re Ferdinando convocò una commissione di teologi e giuristi (il “Consiglio di Burgos”), i quali promulgarono le Leggi di Burgos (1512)63Wikipedia, Leggi di Burgos, primo codice di ordinanze per la protezione delle popolazioni indigene (verrà rispettato molto poco), nel quale si prevedeva che il re di Spagna aveva titoli di padronanza del Nuovo Mondo, ma senza il diritto di sfruttare l’indiano, il quale era un uomo libero e poteva possedere sue proprietà.
Grazie alle Leggi di Brugos si limitarono inoltre le richieste lavorative che i coloni spagnoli potevano avanzare, le donne in gravidanza furono esentate dal lavoro, fu proibita ogni tipo di punizione, si obbligò al rispetto delle autorità locali, aumentarono le condizioni igieniche ecc. Si ordinò anche l’obbligo di catechizzare gli indios e venne condannata la bigamia. Quest’ultima imposizione culturale fu resa necessaria soprattutto a causa dei cruenti riti sacrificali che gli indigeni praticavano continuamente a causa della loro religione, con tanto di cannibalismo e incisione delle vertebre dei bambini64Wikipedia, Sacrifici umani nella cultura azteca.
Per perpetuare la memoria di frate De Montesinos e ricordare la sua lotta per la giustizia per gli indigeni del Nuovo Mondo, venne creata una grande statua a lui dedicata nella città di Santo Domingo (Repubblica Dominicana)65Wikipedia, Antonio De Montesinos.
Francisco da Vitoria
Frate Francesco da Vitoria (o Francisco De Vitoria) (1492-1546), conosciuto nel suo paese come il “Socrate spagnolo”, era membro della Scuola teologica di Salamanca e si preoccupò subito di elaborare le basi teologiche e filosofiche in difesa dei diritti umani delle popolazioni indigene colonizzate, divenendo così uno dei fondatori del “diritto internazionale” che regola i rapporti tra le nazioni66Woods T., Come la Chiesa cattolica costruito la civiltà occidentale, Regenery 2005, pp. 5-6 67Wikipedia, Francisco De Vitoria e fondatore della filosofia politica globale68Thumfart J., Die Begründung der globalpolitischen Philosophie. Zu Francisco de Vitorias “relectio de indis recenter inventis”, Von 1539 2009, p. 256 69Wikipedia, Francisco De Vitoria.
Lo storico Francesco Maria Feltri, dell’Università di Modena, ha scritto che Da Vitoria spinse «la Corona a prendere una serie di provvedimenti destinati a migliorare la condizione degli abitanti indigenti del Nuovo Mondo», con l’effetto che in Perù, «i coloni spagnoli arrivarono persino a ribellarsi al re, che cercava di porre dei limiti al feroce sfruttamento che essi praticavano nei confronti degli indios»70Feltri F.M., I giorni e le idee, Torino 2002, Vol I, p. 195.
Grazie a Fra Da Victoria vennero consolidati i diritti degli indios, tra i quali la nativa libertà, la dignità umana, la capacità giuridica e il diritto di rifiutare la conversione. Le sue opinioni (e quelle del vescovo Las Casas) furono ascoltate da un tribunale spagnolo nel 1542 e vennero così promosse le Leyes Nuevas (1542), che misero gli indiani sotto la diretta protezione della Corona (ne parliamo più sotto).
Bartolomé de Las Casas
Il vescovo cattolico spagnolo Bartolome de Las Casas (1484–1566) è stato ufficialmente nominato “Protettore degli Indios”71Wikipedia, Bartolomé de Las Casas e Wikipedia, New Laws.
Trascorse infatti 50 anni della sua vita a combattere attivamente la schiavitù e l’abuso violento dei colonizzatori verso le popolazioni indigene. In particolare cercò di convincere le autorità spagnole ad adottare una politica più umana di colonizzazione. I suoi sforzi portarono diversi miglioramenti dello status giuridico degli indigeni e una maggiore attenzione sull’etica del colonialismo.
Las Casas è spesso visto come uno dei primi sostenitori dei diritti universali dell’uomo72Beuchot M., Los fundamentos de los derechos humanos en Bartolomé de las Casas, Anthropos Editoria 1994 73Wikipedia, Bartolomé de Las Casas.
Subito dopo la conversione, avvenuta -come già accennato- ascoltando i sermoni di frate Antonio di Montesinos a favore della libertà e dignità degli Indios nel Nuovo Mondo, Las Casas entrò nel 1515 nell’ordine domenicano ed iniziò immediatamente la sua instancabile battaglia a favore degli indigeni: condannò senza eccezioni il colonialismo, il sistema dell’encomienda e l’espansionismo degli europei, viaggiò nelle terre americane e attraversò molte volte l’oceano per portare in Spagna le sue proteste.
Nei suoi testi, Las Casas offrì una puntuale descrizione delle qualità fisiche, morali e intellettuali degli indios, finalizzata alla difesa dell’umanità degli abitanti del Nuovo Mondo, contro la tesi della loro irrazionalità e bestialità avanzata da altri suoi contemporanei, soprattutto di cultura umanista<1Las Casas B.D., Brevissima relazione della distruzione delle Indie, Mondadori 1997[/mfn] 74Wikipedia, Bartolomeo De Las Casas.
Las Casas condannò la violenza e l’imposizione, ma non la proposta, del cristianesimo. Anzi, proprio dal cristianesimo Las Casas trasse quella spinta universalistica e quell’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini che ne animano l’opera e che lo spingeranno a denunciare anche le violenze dei portoghesi in terra d’Africa75Wikipedia, Bartolomeo De Las Casas.
Il vescovo spagnolo riuscì anche ad influenzare l’imperatore Carlo V, il quale -lo abbiamo già detto- promulgò le Leyes NuevasWikipedia, New Laws (1542): divieto di schiavizzare gli indiani, abolizione dell’encomienda, buon trattamento degli indiani, divieto di lavorare senza la propria volontà e senza il risarcimento dovuto ecc.
I vescovi spagnoli e il Còdigo Negro Espanol
Las Casas ebbe numerosi successori, molti dei quali vescovi a loro volta.
Lo storico Anthony Gill dell’Università di Washington ha spiegato che quando grossi numeri di schiavi africani vennero introdotti nelle regioni spagnole del Nuovo Mondo, i vescovi spagnoli riuscirono a far accettare alla corte spagnola il Còdigo Negro Espanol (Codice Nero Spagnolo o The Black Code), che mitigò in gran parte le effettive condizioni di schiavitù76Gill A., Rendering unto Caesar: The Catholic Church and the State in Latin America, University of Chicago Press 1998, p. 22 77Stark R., For the glory of God: how monothesim led to reformations, science, witch-hunts, and the end of slavery, Princeton University Press 2003, cap. 1.
Alcuni di questi religiosi, successori di Las Casas e a loro volta nominati “Protettori degli Indios”, furono: il frate domenicano Julián Garcés (1452-1542)78Wikpedia, Julian Garces, il vescovo Francisco Marroquín (1499-1563)79Wikipedia, Francisco Marroquin, padre Hernando de Luque (1483-1532)80Wikipedia, Hernando de Luque 81Wikipedia, Protectoria de los indios.
L’opposizione della Chiesa spagnola e dei suoi vescovi riuscì a limitare l’impudente schiavitù dei nativi anche grazie al fatto che, come ha osservato Herbert S. Klein, storico della Columbia University, «il basso clero, soprattutto a livello di parrocchie, metteva regolarmente in pratica queste norme»82Klein H.S., Anglicanism, Catholicism and the Negro Slave, in L. Foner e E.D. Genovese, Slavery in the New World, Prentice-Hall 1969, p. 145, riferendosi appunto al Code Noir (Codice nero) e al Codigo Negro Espanol.
Junípero Serra
Fra Junipero Serra fu un missionario francescano che contribuì a fondare lo stato americano della California.
Nel 1768 iniziò la sua missione in California, allora sottoposta a Madrid, dove fondò ben nove delle 21 missioni francescane che hanno segnato l’evangelizzazione dell’attuale West Coast statunitense, e che ancora oggi danno il nome a numerose città, da San Diego, Los Angeles a San Francisco.
Nel suo zelo missionario tra i nativi fronteggiò burocrati e comandanti militari, combatté gli abusi e riuscì ad assicurare un sistema di leggi per proteggere gli indiani della California dalle ingiustizie alle quali erano andati incontro nel passato.
Nel 2015 Papa Francesco ha ricordato al mondo il suo esempio durante la cerimonia di canonizzazione, ricordando coloro che come Junipero Serra portarono «il Vangelo al Nuovo Mondo e al tempo stesso difesero gli indigeni contro i soprusi dei colonizzatori»83Francesco, Omelia, 02/05/2015.
L’iniziativa della Chiesa cattolica ha generato una campagna denigratoria nei confronti di Junipero Serra da parte degli odierni rappresentanti dei Nativi americani della California, come il Mexica Movement e la American Indian Historical Society.
Alcuni hanno vandalizzato vari monumenti a lui dedicati con la scritta “Santo del genocidio”, tra cui la statua posta nel Campidoglio di Washington. Il consiglio di amministrazione della Stanford University ha addirittura annunciato l’eliminazione dalle strade e dagli edifici del campus del suo nome, perché il vederlo provocherebbe «traumi e danni emotivi» a molti studenti84Flynn M., To Catholics, Junípero Serra is a saint. To Stanford University, he’s a mailing address worth eliminating, The Washington Post 18/09/2018.
Per respingere tali accuse basterebbe ricordare che nel 2003, su iniziativa di vari intellettuali messicani85in Cervera C., La verdad de Fray Junípero Serra: la historia desmonta las mentiras sobre el fraile, ABC 23/09/2018, le missioni francescane della Sierra Gorda de Querétaro fondate da Junípero Serra sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO86Wikipedia, Misiones franciscanas de la Sierra Gorda de Querétaro.
Tali episodi hanno comunque generato una serie di interventi in difesa di Serra da parte di numerosi storici e specialisti della storia dei Nativi americani.
Robert Senkewicz, professore di storia alla Santa Clara University, ha dichiarato: «Non è legittimo fare di Serra un sostituto per tutti e 65 gli anni dell’esperienza missionaria in California. Se si vuole parlare di genocidio contro i nativi della California, accadde durante la corsa all’oro, dopo il 1850. Nonostante i loro errori, nessun missionario in California fece proprio il ritornello “il solo indiano buono è quello morto”. E nelle missioni californiane non vi fu nulla che si possa connettere a stragi come Sand Creek o Wounded Knee»87Senkewicz R., in Junipero Serra: saint or not?, NCRonline 15/05/2015.
L’archeologo Ruben Mendoza, di origine indios e professore presso la California State University, ha riferito che i missionari portarono in California una lunga serie di innovazioni benefiche alla popolazione locale: «Agricoltura, architettura, urbanizzazione, vinicoltura, editoria, progressi medici, irrigazione, acquedotti, burocrazia, democrazia». In particolare Junípero Serra, «sarebbe addolorato di vedersi contrapposto alle popolazioni alle quali ha dedicato la sua vita». Togliere la sua statua, spiega Mendoza, è l’ennesimo tentativo del legislatore di contrastare la comunità ispanica88citato in Scaramuzzi J., Esperti contestano le critiche a Junípero Serra, «apostolo della California», La Stampa 01/05/2015 89Mendoza R., Great Read: Often criticized, Serra gets a reappraisal from historians, Los Angeles Times 17/03/2015.
Serra «era un uomo del suo tempo», ha spiegato invece Fernando Garcia de Cortazar, docente di Storia contemporanea all’Università di Deusto, era «un uomo religioso che fondò missioni che rappresentavano isole di cultura e di pietà nella California del XVIII secolo e che poi divennero grandi città. Senza dubbio, accusare lui e i francescani di crudeltà è davvero barbarico»90in Cervera C., La verdad de Fray Junípero Serra: la historia desmonta las mentiras sobre el fraile, ABC 23/09/2018.
A sua volta la storica spagnola María Saavedra, direttrice della facoltà di Storia dell’Arte alla Universidad CEU San Pablo, smentisce che le missioni fondate da Junípero Serra furono campi di sterminio, piuttosto lì si gettarono le basi per un immenso successo nell’urbanizzazione ispanica. «Per poter vivere “civilmente”», spiega, «si cercava che gli stessi abitanti collaborassero alla costruzione delle città in cui sarebbero vissuti»91in Cervera C., La verdad de Fray Junípero Serra: la historia desmonta las mentiras sobre el fraile, ABC 23/09/2018.
«Junípero è solo il capro espiatorio», ha affermato la storica spagnola María Elvira Roca Barea. «Questo attacco è rivolto contro tutto il mondo ispanico, i cui rapporti con gli indigeni erano più fluidi, rispettosi e benevoli di quelli che vennero dopo»92in Cervera C., La verdad de Fray Junípero Serra: la historia desmonta las mentiras sobre el fraile, ABC 23/09/2018.
4.3 I Gesuiti, le reduciones e il colonialismo.
Un ruolo di primo piano lo ebbero i gesuiti della Compagnia di Gesù, famosi per le reducciones nel Guaranì dove, scrive l’eminente storico Franco Cardini, «i religiosi inquadravano e addestravano militarmente i nativi contro le incursioni dei razziatori di schiavi da vendere ai mercanti europei di carne umana»93Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 71.
La Compagnia di Gesù è stata vittima di «una tenace “leggenda nera”», nata nell’Inghilterra anglicana e alimentata «nel mondo massonico soprattutto dopo la Rivoluzione francese», accusata d’ipocrisia e dei peggiori intrighi e delitti. Eppure, prosegue Cardini94Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, pp. 74, 75, i gesuiti contribuirono alla diffusione della matematica, della fisica, della balistica e dell’architettura in tutto il mondo.
Tra 1600 e 1767 la Compagnia dette vita tra Brasile, Paraguay e Argentina a «un esperimento straordinario»95Mieli P., All’assalto dei Gesuiti, Corriere della Sera 07/12/2021, così definito dallo storico Paolo Mieli. Ovvero l’esperienza di libere comunità indiane, le cosiddette reducciones, in cui gli indigeni si organizzavano e si governavano liberamente, lavorando e ridistribuendo tra loro i proventi del loro lavoro. Fu da quel modello che Tommaso Campanella assunse in parte l’ispirazione per la sua Città del Sole96Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 75.
Nella sua ricostruzione, Gianpaolo Romanato, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Padova, ha spiegato che nelle Americhe conquistate dagli europei, le missioni furono il solo luogo in cui gli indiani progredirono anziché regredire. «Solo nelle Riduzioni poterono svilupparsi, rendersi (relativamente) autonomi, autogestirsi diventando artigiani, operai, mercanti, soldati, musicisti, agricoltori, allevatori, amministratori»97Romanato G., Le Riduzioni gesuite del Paraguay. Missione, politica, conflitti, Morcelliana 2021 98citato in Mieli P., All’assalto dei Gesuiti, Corriere della Sera 07/12/2021. L’unica strada loro preclusa fu quella del sacerdozio.
Se la vera “ecatombe” demografica (genocidio?) avvenne durante la corsa all’oro da parte dei minatori, la storica Enriqueta Vila della Real Academia de la Historia ha sottolineato che nelle missioni cattoliche la popolazione nativa della California rimase a livelli stabili e fu salvaguardata la maggior parte delle loro usanze. «Quello che hanno fatto le missioni è stato preservare gli indigeni, che si sono estinti con la loro secolarizzazione. Il genocidio è avvenuto durante l’età dell’oro»99in Cervera C., La verdad de Fray Junípero Serra: la historia desmonta las mentiras sobre el fraile, ABC 23/09/2018.
Nelle riduzioni spagnole i nativi erano liberi da ogni servitù, vennero create chiese, case per le vedove e gli orfani e scuole. Il governo civile era gestito dagli indigeni stessi, mentre l’amministrazione della giustizia restava a carico dei gesuiti. I reati erano rari e di conseguenza le pene minime. Non si ricorreva quasi mai alla prigionia o a condanne all’esilio, ritenuta la somma disgrazia. Ogni famiglia riceveva un terreno, ereditario, che forniva il sostegno principale, le altre aree erano “proprietà di Dio” i cui frutti spettavano alla comunità. Nei villaggi i missionari introdussero nuove tecniche di agricoltura e di allevamento del bestiame, insegnarono elementi di architettura, scultura, pittura, incisione, poesia, musica, teatro, oratoria e scienze. I Gesuiti migliorarono la lingua guaranì creando una scrittura con caratteri latini e produssero opere letterarie. Una buona parte degli indigeni fu alfabetizzata in guaranì, castellano e latino. Vennero stampati calendari, tavole astronomiche e spartiti100Wikipedia, Riduzioni gesuite.
I conquistatori europei tuttavia favorirono incursioni dei mercanti di schiavi che provenivano dal Brasile (i famosi paulistas) contro le colonie gesuite. Così, spiega Franco Cardini, i religiosi risposero «organizzando addirittura militarmente gli indios, che in tal modo ressero a lungo agli assalti degli schiavisti finché non furono piegati da una spedizione militare portoghese in piena regola voluta dal primo ministro di Lisbona, il marchese di Pombal»101Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 75.
Una delle battaglie più famose tra indios e Gesuiti contro i colonizzatori europei fu la Battaglia di Mbororé102Wikipedia, Battaglia di Mborore.
Nel 1638 i padri Antonio Ruiz de Montoya103Wikipedia, Antonio Ruiz de Montoya e Francisco Díaz Taño partirono per la Spagna con l’obbiettivo di informare re Filippo IV dei drammatici eventi accaduti nelle missioni. Il sovrano rispose inviando una Cedola Reale (21 maggio 1640) con la quale permise ai guaraní di usare armi da fuoco per la propria difesa. I Gesuiti fornirono anche istruzione militare agli indigeni, grazie a religiosi ex militari (come Juan Cárdenas, Antonio Bernal e Domingo Torres), formando così un vero e proprio esercito “missionario” di 4.000 elementi armati ed addestrati. Le truppe guaraní attaccarono i bandeirantes a Caazapaguazú, facendoli fuggire precipitosamente104Wikipedia, Battaglia di Mborore.
Padre Francisco Díaz Taño, reduce dalle ambasciate a Madrid e a Roma, ritornò con la bolla pontificia Commissum Nobis105Wikipedia, Commissun Nobis (1639) di Urbano VIII, che condannava duramente le bandeiras e il traffico di indigeni (ne abbiamo parlato sopra). Dopo la vittoria di Mbororé furono consolidate le riduzioni gesuite e venne frenata l’avanzata colonialista portoghese.
Non appena divennero primi ministri gli illuministi marchese di Pombale, Carvalho, e il conte di Aranda, si decise per l’espulsione violenta dell’ordine dei Gesuiti in Portogallo (1759) e in Spagna (1767). Lo storico Claudio Ferlan attribuisce le colpe principali dell’espulsione dal Portogallo proprio al marchese di Pombal, potentissimo primo ministro del re Giuseppe I, il quale «riteneva che sbarazzandosi degli ignaziani avrebbe dimostrato la potenza del Portogallo davanti alla Santa Sede». E avrebbe «segnato un punto decisivo nella lotta contro la superstizione in cui era impegnato in prima persona, da fervente sostenitore delle idee illuministe»106Ferlan C., I gesuiti, Il Mulino 2015 107citato in Mieli P., All’assalto dei Gesuiti, Corriere della Sera 07/12/2021.
Il conte di Aranda fece addirittura fece rinchiudere nelle carceri portoghesi, lasciandoli morire, «circa 180 gesuiti provenienti dalle missioni»108Bangert V., Storia della compagnia di Gesù, Marietti 2009, pp. 370-396.
Da quel momento nacque la leggenda anti-gesuita che ribaltò i piani: Voltaire, nel suo Candide (1759), stravolse la realtà e presentò i gesuiti come fautori dello schiavismo e gli illuministi come liberatori. Proprio lui che, come vedremo, «aveva lucrato acquistando le azioni garantite dalla flotta portoghese inviata a acquistando la libertà india»109Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, pp. 75, 76. Ma la calunnia pagava: e si giunse difatti alla soppressione della Compagnia in tutta Europa.
Nel 1773, Clemente XIV dovette piegarsi e sopprimere la Compagnia di Gesù condizionato da fortissime pressioni spagnole e da notizie false sui gesuiti.
Come ha ricostruito lo storico Claudio Ferlan nel libro I gesuiti, nelle città schiaviste in mano ai portoghesi le missioni di aiuto dei gesuiti ai nativi divennero assai impopolari, tanto che essi vennero espulsi dal Brasile e dal Portogallo e contro di loro iniziarono «una serie di provvedimenti antigesuitici preceduti da un’articolata campagna diffamatoria alimentata da libelli accusatori pubblicati e diffusi in buona parte d’Europa proprio con il sostegno del primo ministro portoghese»110Ferlan C., I gesuiti, Il Mulino 2015.
La guerra ai gesuiti iniziò, così, non in Occidente ma in America Latina a causa della loro ostilità allo schiavismo.
Lo storico italiano Franco Cardini, ordinario presso l’Università di Firenze, ha descritto così questi avvenimenti:
«L’esperimento delle “reducciones” non si chiuse per naturale esaurimento». Nel 1750 parte di esse della “repubblica dei guarani” passarono dal dominio spagnolo a quello portoghese, ma «il Portogallo non riconobbe le prerogative dei “papisti” gesuiti, che la Spagna aveva rispettato: l’economia schiavista aveva bisogno di nuova braccia. Così, dopo il disastroso terremoto di Lisbona del 1755, il primo ministro portoghese – l’illuminista marchese di Pombal – additò al suo paese un facile capro espiatorio, la Compagnia di Gesù, che nel 1759 fu espulsa dai confini dell’impero e nel 1773 soppressa. La porta in gioco era ricca e ghiotta. Ci vollero diciannove anni, dal 1750 al 1768, per eliminare del tutto la “repubblica di guaranì”, che i “caccicchi” indios difesero sino all’ultimo. Contro i padri gesuiti si scatenò una ridda infernale di calunnie, appoggiate e finanziate dai coloni spagnoli e portoghesi d’America che avevano interesse a razziare schiavi e dalla potenza britannica che combatteva così il “papismo” e favoriva (ebbene, si!) lo sviluppo dell’economia moderna: che ha anche queste vergognose origini. Non stupisce che il signor Voltaire ne difendesse i paladini, tra cui gli illuministi francesi, spagnoli e portoghesi: anche lui aveva investito in azioni della “Compagnia del Maranhao” appoggiata dal Pombal»111Cardini F., Le “riduzioni” in Paraguay? Non erano lager, Avvenire 04/05/2000.
Anche Italo Calvino, nel suo Barone rampante, cascò «nell’inattendibile versione di Voltaire. Aveva equivocato tutto o mentiva sapendo di mentire?». Si chiede Cardini. Nel 1986 fu il film Mission di Roland Joffé a rendere finalmente giustizia ai gesuiti, presentando «in termini sostanzialmente fedeli alla storia tale vicenda: e per questo fu attaccato con violenza da pubblicisti i quali ricordavano di aver appreso a scuola come i tenebrosi gesuiti fossero nemici di ogni libertà»112Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 76.
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5. LE CONVERSIONI FORZATE NEL NUOVO MONDO
Se il ruolo dei missionari nel colonialismo fu di creare un’etica di aiuto e sostegno, invece che di depauperamento dei territori e delle popolazioni colonizzate, è anche vero che il messaggio cristiano venne spesso imposto e non proposto.
Un torto, certamente.
Eppure bisognerebbe giudicarlo con gli occhi della storia, comprendendo che i colonizzatori europei trovarono popolazioni totalmente sottomesse al capriccio dei loro pretenziosi e crudeli dèi. E’ stato dimostrato113Koschorke K., A History of Christianity in Asia, Africa, and Latin America 2007, pp. 31–32 114McManners J., Oxford Illustrated History of Christianity 1990, p. 318, ad esempio, che il popolo Azteco smise di praticare sacrifici umani e altre violente forme autoctone di culto proprio grazie alla conversione cristiana di molti dei suoi membri (inizialmente, forzata o meno che fosse).
La storica e antropologa australiana Inga Clendinnen, considerata un’autorità internazionale della civiltà azteca, nel suo famoso libro è arrivata a scrivere: «Dispiacersi della scomparsa dell’impero azteco è come rammaricarsi della sconfitta dei nazisti nella seconda guerra mondiale»115Clendinnen I., Aztecs: An Interpretation, Cambridge University Press 1991.
Clendinnen, profonda conoscitrice anche dell’olocausto nazista (il suo libro Reading the Holocaust ha ottenuto diversi premi internazionali), ha spiegato infatti che il sistema di sterminio nazista era decisamente più soft delle centinaia di sacrifici umani quotidiani che avvenivano a Tenochtitlán, capitale azteca.
«Le persone», scrive l’antropologa, «venivano coinvolte nella cura e nella preparazione delle vittime e alla dei corpi: lo smembramento, la distribuzione di testa e arti, la divisione di carne, sangue e pelle scorticata»116Clendinnen I., Aztecs: An Interpretation, Cambridge University Press 1991. Tutta la cultura azteca era costruita attorno al sacrificio umano di massa. Nel 1487 in occasione dell’inaugurazione del Templo Mayor il numero di vittime è stato di 20mila in un solo giorno, mentre in giornate di normali festività la media era di 2000 vittime117Clendinnen I., Aztecs: An Interpretation, Cambridge University Press 1991.
Lo stesso si può dire degli Incas e dei Maya: ad insanguinare ogni giorno i gradini degli enormi templi era quest’ansia ossessionante di non lasciare finire il mondo, un’ansia che raggiungeva il suo culmine ogni cinquantadue anni, quando la minaccia delle catastrofi si faceva più concreta ed imminente118Diaz del Castillo B., La conquista del Messico, Longanesi 1968.
Le cerimonie con sacrifici umani di massa duravano anche giorni, venivano sacrificati donne, schiavi, bambini e prigionieri per placare gli dèi, per propiziare il raccolto: «I prigionieri di guerra», scrisse l’antropologo G.C. Vaillant, «erano l’offerta più stimata e avevano tanto più pregio più erano valorosi […]. Talvolta in occasione dei riti di fertilità furono uccisi donne e bambini, per assicurare la crescita delle piante. Saltuariamente si ebbero casi di cannibalismo cerimoniale. Infliggersi ferite a sangue era un altro modo di assicurare il favore divino. La popolazione faceva orribili penitenze, mutilandosi con lame o trapassandosi la lingua di spaghi cui erano annodate spine»119Vaillant G.C., La civiltà Atzeca, Einaudi 1962, pp. 184-188.
Il condottiero spagnolo Hernán Cortés è ricordato come uno dei colonialisti più brutali della storia, eppure quando nel 1519 sbarcò sulle terre dell’impero atzeco, in Messico, trovò subito l’alleanza di moltissime tribù che decisero di sostenerlo contro la sanguinaria tirannia atzeca. Senza il loro appoggio non avrebbe mai vinto alcunché. Cortés fu sì avido di ricchezze, ma nello stesso tempo disgustato dai sacrifici di massa praticati dagli atzechi, sentendosi davvero un liberatore.
Bernal Diaz del Castillo, che accompagnava Cortès, nel 1555 scrisse che «nella piazza [di città del Messico] dove si trovavano le loro cappelle, c’erano pile di teschi sistemati in modo tanto regolare che era possibile contarli, e io ho calcolato che fossero più di centomila […]. In seguito abbiamo avuto modo di vedere molte cose del genere […] perché la stessa usanza fu osservata in tutte le città»120Diaz del Castillo B., La conquista del Messico, Longanesi 1968. Le descrizioni degli spagnoli sono supportate da affreschi atzechi, dai loro libri sacri e soprattutto dall’archeologia.
Lo storico ed antropologo dell’Università di Harvard, David Carrasco, ha scritto un libro sui sacrifici umani presso gli atzechi dopo aver visto un ripostiglio rituale in cui «resti ossei di 42 bambini giacevano come un caotico rimasuglio di una preziosa offerta del XV secolo agli dei della pioggia»121Carrasco C., City of Sacrifice: The Aztec Empire and the Role of the Violence in Civilization, Beacon Press 1999, p. 2. L’età media era di 5 anni e le vittime erano quasi tutte sgozzate, Carrasco osserva che simili sacrifici umani sono stati rintracciati in altri ottanta luoghi diversi della capitale e «donne e bambini erano sacrificati in oltre un terzo delle cerimonie, i sacrifici erano accompagnati da coreografia rituale e compiuti di fronte a grandi folle»122Carrasco C., City of Sacrifice: The Aztec Empire and the Role of the Violence in Civilization, Beacon Press 1999, p. 3.
Alle vittime si estraeva il cuore ancora pulsante, la testa mozzata veniva issata su una rastrelliera mentre «il corpo veniva fatto rotolare giù dagli scalini del tempio fino alla base dove era scuoiato e smembrato»123Carrasco C., City of Sacrifice: The Aztec Empire and the Role of the Violence in Civilization, Beacon Press 1999, p. 83. I tagli migliori venivano distribuiti ai presenti che li portavano a casa per mangiarli.
Gianpaolo Romanato, docente di Storia contemporanea all’Università di Padova, ha pubblicato uno studio sulle riduzioni gesuite in cui smentisce il mito del “buon selvaggio”, «diffuso da letterati e filosofi europei che non avevano mai messo piede nel Nuovo Mondo». Coloro che sbarcano, invece, videro che i nativi americani non vivevano in un “paradiso terrestre” ma in un inferno verde, dove la lotta per la sopravvivenza era feroce e combattuta quotidianamente contro animali e uomini124citato in Gallesi L., I Gesuiti in Paraguay e le Riduzioni tra Vangelo ed esperimento sociale, Avvenire 11/02/2022.
«Probabilmente l’esempio più spettacolare di violenza preistorica in Nord America proviene da Crow Creek, nel South Dakota», hanno invece scritto gli storici Michael Haines e Richard Steckel. «Scavi archeologici hanno portato alla luce 486 scheletri in un fossato di fortificazione alla periferia dell’area abitativa. Il sito risale al 1325 d.C. e le analisi hanno rivelato che il 90% degli individui presentano i tagli caratteristici dello scalpo»125Haines M. & Steckel R., A Population History of North America, Cambridge University Press 2000, p. 68.
L’archeologia, oltre ad aver ritrovato ossa umane cotte e accuratamente scarnificate a conferma della dilagante pratica del cannibalismo, ha quindi smentito coloro che hanno sempre sostenuto che lo scalpo (la pratica dello strappare il cuoio capelluto) sarebbe stato insegnato agli indiani dai colonizzatori inglesi.
E’ anche ormai evidente che le civiltà pre-colombiane non vivessero affatto in armonia e rispetto nemmeno con la natura, considerando la massiccia deforestazione (una delle ipotesi principali per spiegare la scomparsa dei Maya) e l’esaurimento dei campi: «L’evidenza empirica», ha infatti scritto l’illustre archeologo ambientale Karl Butzer, «contraddice il concetto romantico secondo cui gli indigeni americani disponevano di qualche auspicabile metodo di usare la terra senza lasciarvi una palese e talvolta sgradevole impronta»126Butzer K., The Americans Before and After 1492: An Introduction to Current Geographical Research, Annals of the Association of American Geographers n. 82, 1992, p. 348.
A fronte di tutto questo non stupisce che Cortés abbia potuto facilmente arruolare guerrieri di tribù ansiose di abbattere l’impero atzeco, predisponendo il divieto ufficiale di sacrificare i bambini, prima, e poi quello di sacrificare chiunque, sotto minaccia di pena di morte. Che non abbia avuto preclusioni di tipo “razzista” verso gli indigeni lo segnala il matrimonio con Marina, un’indigena, e come lui faranno molti suoi soldati.
Questo è quindi lo scenario religioso che i colonizzatori si trovarono davanti agli occhi una volta giunti nel Nuovo Mondo. Così, l’insegnamento e, spesso, l’imposizione dei valori cristiani ed evangelici sulla sacralità della persona e della vita umana, l’evangelizzazione di un Dio compagno dell’uomo e non padrone assetato di sacrifici umani, fu anche un tentativo di civilizzare un popolo barbaro e sanguinario.
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6. IL COLONIALISMO: SFRUTTAMENTO E DECULTURAZIONE?
Quasi tutte le descrizioni moderne mettono l’accento sull’avidità e sulla xenofobia come basi dell’espansione coloniale europea.
Certo, entrambi ebbero un ruolo importante, purtroppo, ma furono importanti anche l’idealismo e la carità, soprattutto da parte dei missionari cristiani cui stava a cuore istruire e modernizzare i Paesi stranieri, almeno quanto proporre la fede cristiana.
Ad esempio nel 1910 le organizzazioni missionarie inglesi e americane avevano fondato 86 università, 522 istituti magistrali e migliaia di scuole elementari in Asia e Africa127Dennis J., Beach H., Fahs C.H., World Atlas of Christiani Missions Student Volunteer Movement for Foreign Mission 1911, pp. 83, 84.
Naturalmente vi furono casi brutali di colonialismo e di sfruttamento, forse la dominazione del re del Belgio, Leopoldo II, ne costituisce l’esempio più noto. Tuttavia, ha osservato il sociologo statunitense Rodney Stark, «l’impatto maggiore dell’Occidente è stato quello di migliorare immensamente la qualità della vita in altre parti del mondo»128Stark R., La vittoria dell’Occidente, Lindau 2014, p. 543.
Ad esempio in Paraguay, l’arrivo dei missionari permise ai Guaranì, di progredire civilmente e abbandonare l’Età della Pietra, le carestie e le guerre pressoché ininterrotte con conseguente sterminio (tramite cannibalismo rituale) degli abitanti del villaggio sconfitto. In meno di tre generazioni gli indigeni passarono da un livello di vita estremamente primitivo ad uno stadio di civiltà piuttosto elevato129Wikipedia, Riduzioni gesuite.
Anche in Messico i missionari fornirono benessere alle popolazioni mediante l’istituzione di scuole e ospedali ed insegnarono agli indiani metodi di allevamento migliori, aumentando l’aspettativa di vita130Samora J. & Simon P.V., A History of the Mexican-American People, 1993, p. 20.
6.1 I missionari imposero la modernità?
Forse l’accusa più bizzarra contro i missionari cristiani (e i colonialisti in generale) è che imposero la modernità su gran parte del mondo non occidentale, rovinando la cultura locale.
Il disagio verso il cosiddetto imperialismo culturale scompare subito appena si pensa ai crimini contro le donne, come la fasciatura dei piedi, la circoncisione femminile, la pratica del Sati, che obbligava le vedove a morire tra le fiamme sulla pira funebre del marito, e la lapidazione delle vittime di stupro in quanto colpevoli di adulterio.
E ancora, l’imperialismo occidentale “impose” la democrazia laddove avevano sempre prevalso dittature e schiavitù, pratiche abituali delle tradizioni locali. Per non parlare della castrazione dei giovani e dell’analfabetismo quasi totale.
Bisognerebbe, insomma, valutare l’azione dei missionari dai frutti prodotti: un notevole studio pubblicato nel 2012 dalla prestigiosa American Political Science Review131Woodberry R.D., The Missionary Roots of Liberal Democracy, The American Political Science Review 2012, condotto da Robert D. Woodberry, ha dimostrato che ai missionari cristiani va il merito maggiore dell’ascesa e della diffusione di democrazie stabili nel mondo non occidentale. Tanto più elevato era il numero di missionari cristiani ogni diecimila abitanti locali, tanto più elevata era la possibilità che il Paese avesse oggi una democrazia stabile. L’effetto dei missionari era di gran lunga maggiore di altre cinquanta variabili di controllo, come il prodotto interno lordo e il fatto se il Paese fosse stato o meno una colonia britannica.
Secondo Woodberry132Woodberry R.D., The Missionary Roots of Liberal Democracy, The American Political Science Review 2012, i missionari favorirono l’istruzione di massa, fondarono scuole e università (inviando studenti in Inghilterra e America), crearono giornali e stampa locali, organizzazioni di volontariato locale, comprese quelle di orientamento nazionalista e anti-coloniale. Non è un caso che molti leader dei movimenti anticoloniali si siano laureati in Occidente, come Gandhi, Nehru, Jomo Kenyatta.
Una grande beneficio apportato dai missionari è relativo all’ambito medico. Le missioni hanno fatto enormi investimenti in strutture sanitarie nei Paesi non occidentali: nel 1910 avevano già fondato 111 scuole di medicina, oltre 1000 dispensari e 576 ospedali133J. Dennis, H. Beach, C.H. Fahs, World Atlas of Christiani Missions Student Volunteer Movement for Foreign Mission 1911. E lo fecero reclutando e addestrando infermiere e medici locali.
E’ ancora una volta lo studio del sociologo Woodberry ad aver dimostrato che quanto più elevato era, nel 1923, il numero di missionari ogni mille abitanti, tanto più basso era il tasso di mortalità infantile nel 2000, un effetto oltre dieci volte maggiore di quello dell’attuale prodotto interno lordo pro capite134Woodberry R.D., The Missionary Roots of Liberal Democracy, The American Political Science Review 2012. Se questi effetti costituiscono “imperialismo coloniale”, ben venga.
Con i dovuti distinguo, ricordiamo che il concetto di “esportare la democrazia” è stato difeso e legittimato in tempi moderni dagli Stati Uniti, dall’Occidente e da buona parte dell’opinione pubblica giustificando l’uso della forza militare contro il terrorismo in Afghanistan.
Nel 2014 l’antropologo americano Brian Palmer, docente alla Uppsala University, al termine di un’indagine sulla “medicina missionaria”, ha concluso:
«Come ateo, cerco di fare delle scelte basate su prove e ragioni. Quindi, finché non saremo pronti a investire pesantemente nella medicina laica in l’Africa, suggerisco di lasciare che Dio faccia il suo lavoro». I missionari cristiani «non traggono un personale profitto dal loro lavoro, sono pagati molto male, forse per nulla. Molti rischiano la vita». Essi «sono di stanza in tutta l’Africa, negli avamposti rurali e nelle baraccopoli urbane. Invece di paracadutarsi durante le crisi, come fanno alcuni specialisti di medicina internazionale, molti di loro hanno assunto impegni a lungo termine per affrontare i problemi di salute dei poveri africani»135Palmer B., In Medicine We Trust, Slate 02/10/2014.
6.2 Colonialismo e cancellazione della cultura indigena?
Un’altra accusa frequente è quella di aver privato i popoli indigeni della loro cultura, cancellando le loro tradizioni e i loro costumi.
Niente di più falso, come spiegato dalla storica dell’arte Elizabeth Wilder Weismann parlando della Mesoamerica dopo il 1521,: «Due (o più) tipi di vita diversi si sono assorbiti a vicenda e hanno prodotto cose nuove e diverse da qualsiasi altra cosa nel mondo»136Weismann E.W., Mexico in Sculpture 1521- 1821, Harvard University Press 1950, p. 5.
Anche David Carrasco, celebre storico delle religioni specializzato nella storia della Mesoamerica ha osservato che «biologi, etnobotanici, antropologi e linguisti, molti dei quali lavorano a fianco dei popoli nativi e meticci, ci stanno mostrando quanto profondi e duraturi siano stati gli scambi tra culture e popoli indigeni, europei e africani nelle Americhe»137Carrasco D., Religions of Mesoamerica, Waveland Press 2013, p. 9.
A questa obiezione ha risposto anche Giampaolo Romanato, docente di Storia contemporanea e di Storia della chiesa moderna e contemporanea all’Università di Padova, osservando ad esempio che nelle Riduzioni gesuite del Paraguay vi fu una costante preoccupazione dei missionari di non imporre la cultura occidentale ma preservare il più possibile quella locale:
«Nelle Riduzioni si parlava solo il guaranì, lingua organizzata dai gesuiti che ne crearono l’alfabeto. Le prime Riduzioni erano molto vaste, costruite in legno e paglia, per lasciare i guaranì il più possibile vicini al loro modo di vivere. Poi il modello fu modificato, man mano che crebbero le nuove generazioni nate all’interno delle missioni. Col tempo cambiò completamente la struttura e la tecnica di costruzione delle chiese, che inizialmente si richiamavano alle abitazioni indigene collettive e venivano edificate partendo dal tetto, in legno e paglia. Gli studi più recenti concludono che nell’intreccio di stile europeo e guaranì sarebbe prevalso quello locale dei guaranì, con il risultato di dar vita a un genere artistico autonomo, se non proprio originale». Anche le «funzioni amministrative, dopo il primo periodo in cui furono ricoperte dai padri, vennero sempre affidate ai guaranì ed erano elettive. Ciascuna Riduzione era amministrata da una sorta di giunta comunale a capo della quale era il corregidor, una figura simile al nostro sindaco. Solo il corregidor non era eletto dalla popolazione ma nominato dagli spagnoli su una terna indicata dai religiosi. Il sistema fu normalizzato con un Regolamento generale emanato nel 1689, che imponeva di conservare in ogni Riduzione il Libro de Ordenes, una sorta di codice civile e penale. La giustizia penale, pure gestita dai guaranì, era estremamente mite e non prevedeva la pena di morte. È indubbio che all’interno di ciascun villaggio l’autonomia dei locali fu reale e non fittizia, ma è noto che i rapporti esterni, civili e commerciali, furono largamente gestiti dai gesuiti. Tuttavia la durata nel tempo delle missioni – un secolo e mezzo – non si può giustificare solo con la tutela dei padri, che non furono mai più di due o tre per villaggio. Il consenso e l’attiva collaborazione degli indigeni furono altrettanto indispensabili. Fu una forma di deculturazione, per quanto morbida, soave e senza violenza, o un geniale cammino di incivilimento? Il quesito rimane aperto e sostanzialmente irrisolto. Il fatto però di discuterne ancora, a tre secoli di distanza, testimonia l’originalità e l’intelligenza di ciò che è avvenuto nelle foreste del Sud America, con il consenso del governo spagnolo e sotto la costante sorveglianza dei vertici romani dell’Ordine, ma anche – bisogna ribadirlo – in piena armonia con i guaranì […]. In ogni Riduzione era prevista un’idonea assistenza, con infermieri stanziali e medici, scuole maschili e femminili dai sei ai dodici anni, l’incivilimento secondo i parametri della vita europea, elevarono le condizioni dei guaranì fino a portarle a un livello probabilmente non inferiore, e in qualche caso superiore, rispetto al livello dell’America spagnola. Ciò che fecero i gesuiti, indipendentemente dal giudizio di valore che ne possiamo dare, ha il sigillo delle cose rare e geniali. Solo un lampo di creatività poteva progettare grandiose città d’arte per popolazioni semiprimitive in mezzo alle foreste tropicali o sulla riva di un lago, in cima alle Ande. A due secoli dalla loro scomparsa, che cosa rimane delle Riduzioni? Che eredità ci lasciano? Credo che il loro lascito più importante siano i guaranì, l’unica popolazione autoctona del Sud America la cui lingua è diventata lingua ufficiale; l’unica che visse per tutto il periodo coloniale in un rapporto di collaborazione con gli europei, alla pari con essi; l’unica che è stata posta in grado di progredire e svilupparsi all’interno dei propri termini di riferimento, senza subire violenze».»138Romanato G., Ai confini tra due Imperi, L’Osservatore Romano 19/09/2009.
6.3 Colonialismo e depredazione delle colonie?
Un’ultima tesi a cui occorre rispondere sostiene che le colonie furono depredate e costrette a vendere le materie prime a un prezzo troppo basso e ad acquistare manufatti a un prezzo troppo alto.
A sostenerlo fu nel 1902 l’economista inglese J.A. Hobson, convinzione ripresa nel 1915 da Lenin. Da allora si ripete l’idea che le nazioni occidentali abbiano rubato la ricchezza da quelle non occidentali, impedendone lo sviluppo.
Certamente si verificò una “rapina” spagnola e portoghese dell’oro e dell’argento americani in pieno Cinquecento, la quale provocò una pesante inflazione seguita da un impoverimento generalizzato.
Eppure Patrick O’Brien, storico dell’economia dell’Università di Oxford, ha dimostrato139O’Brien P., European Economic Development: The Contribution of the Periphery, Economic History Review, n. 35, 1982, p. 1-18 che i Paesi sviluppati non poterono aver ricavato la propria ricchezza sottraendola alle nazioni povere perché con esse gli scambi commerciali erano minimi.è>
L’errore di Hobson, ha spiegato O’Brien, fu di focalizzarsi sull’arricchimento di alcuni europei dal commercio con il mondo non occidentale, generalizzando il fatto e attribuendolo alle economie nazionali. Invece, tale ricchezza era troppo piccola per poter aver avuto un impatto significativo sulle economie nazionali. Di certo, non c’è dubbio che nell’era dell’imperialismo (con l’eccezione della Spagna, seppur solo a breve termine) nelle proprie colonie i Paesi europei persero moltissimo denaro.
In ogni caso, molti conquistadores commisero innumerevoli crudeltà ed ingiustizie, tra esse la requisizione dei beni dei popoli colonizzati.
Tuttavia, alcuni furono messi in crisi dalla loro coscienza cristiana, si pentirono e cercarono di riparare il loro errore restituendo i beni sottratti. La storica Lourdes Díaz-Trechuelo, fondatrice della Escuela de Estudios Hispanoamericanos di Siviglia, ha studiato archivi e testamenti, scoprendo «non soltanto la guerra, la violenza e i maltrattamenti ma anche il peccato di omissione; il non avere compiuto bene l’obbligo di catechizzare gli indios a loro affidati e finalmente il complicatissimo problema della restituzione dei beni materiali usurpati ingiustamente»140Díaz-Trechuelo Lopez Spinola L., La conciencia y los problemas de la conquista, in Historia de la Evangelización de America, Simposio Internacional 11-14/05/1992.
Molti teologi dell’epoca, come padre Francisco de Vitoria, predicarono proprio la restituzione dei beni conquistati illecitamente agli indios, e questo contribuì alle crisi di coscienza dei conquistadores e dei loro successori. Alcuni decisero così di passare i proventi alla Corona, altri fondarono numerose opere di carità in favore degli indios, altri restituirono direttamente il frutto delle conquiste ai legittimi padroni, come Cortés e parecchi conquistadores del Perù141Lohman Villena G., La restitución por conquistadores y encomenderos. Un aspecto de la incidencia lascasiana en el Perú, Anuario de Estudios Amencanos, vol. XXIII, 1966, pp. 43, 44.
Lo storico peruviano G. Lohman Villena ha studiato numerosi casi in Perù di conquistadores che lasciarono i loro beni agli indios, anche attraverso esecutori testamentari istruiti per compiere le dovute riparazioni142Lohman Villena G., La restitución por conquistadores y encomenderos. Un aspecto de la incidencia lascasiana en el Perú, Anuario de Estudios Amencanos, vol. XXIII, 1966, pp. 21-89.
L’arcivescovo di Lima, il domenicano fra Jerónimo de Loaysa, pubblicò l’opera Avisos para los confesores de estos reinos del Perú proprio per dare delle normative sul tema della restituzione. Le ricerche di archivio di Díaz-Trichuebo mostrano coloni sposati con donne indiane che lasciarono i loro beni ai loro figli meticci ed altri che vollero riparare anche i peccati di omissione lasciando i loro beni perché il vescovo del luogo riparasse per loro. Ordinarono di celebrare sante messe per gli indios come un dovere della loro coscienza143Lohman Villena G., La restitución por conquistadores y encomenderos. Un aspecto de la incidencia lascasiana en el Perú, Anuario de Estudios Amencanos, vol. XXIII, 1966, pp. 657, 658.
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7. ILLUMINISMO, COLONIALISMO E SCHIAVITU’
Ironia della storia, proprio coloro che inventarono leggende nere sulla Chiesa e il colonialismo oppressore furono coinvolti attivamente nella promozione di una cultura schiavista e razzista.
Dal 1600 in poi, infatti, innumerevoli esponenti dell’illuminismo anticlericale si distinsero particolarmente nel razzismo, trovarono linfa vitale nella strumentalizzazione del pensiero darwinista (darwinismo sociale), creando gerarchie tra le «razze» (razzismo, eugenetica, nazionalsocialismo, antisemitismo) e le «classi» (marxismo, comunismo).
Abbiamo già spiegato che le “reducciones” furono chiuse quando nel 1750 passarono sotto il dominio portoghese, guidato dall’illuminista marchese di Pombal, il quale espulse i Gesuiti e fece sopprimere la Compagnia. Gli indios difesero strenuamente le riduzioni gesuite ma cedettero nel 1768144Cardini F., Le “riduzioni” in Paraguay? Non erano lager, Avvenire 04/05/2000.
Un approfondimento più dettagliato su questo tema è consultabile nel dossier intitolato: Razzismo ed eugenetica nascono nell’ateismo materialista.
Voltaire
Il paladino della “(in)tolleranza” Voltaire (1694-1778), profondo anticlericale e illuminista, ebbe a scrivere:
«Sbarco nel paese della Cafraria, e comincio a ricercare un uomo. Vedo macachi, elefanti e neri. Tutti sembrano avere un baleno di una ragione imperfetta. Tutti hanno un linguaggio che non capisco e tutte le loro azioni sembrano ugualmente essere relazionate con qualche causa. Se dovessi giudicare le cose per il primo effetto che mi causano, crederei, inizialmente, che tra tutti questi enti l’elefante è l’animale ragionevole. Però, per non scegliere futilmente, prendo i piccoli di queste vari bestie. Esamino un piccolo di nero di sei mesi, un piccolo di elefante, un macachetto, un leonetto, un canetto. Vedo, senza dubbio, che questi giovani animali hanno incomparabilmente più forza e destrezza, più idee, più passioni, più memoria del negretto ed esprimono molto più sensibilmente tutti i loro desideri che quell’altro. Però, dopo un tempo, il negretto ha tante idee quante tutti loro. Mi dò questa definizione: l’uomo nero è un animale che ha lana sulla testa, cammina su due zampe, è quasi tanto pratico quanto una scimmia, è meno forte che gli altri animali della sua taglia, possiede un poco più di idee ed è dotato di maggior facilità di espressione. […] Vado alle regioni marittime dell”India Orientale. Adesso sono uomini d’un bel tono giallastro, non hanno lana, ma hanno la testa coperta da grande criniere nere. […] Incontro una specie ancora più singolare che tutte queste. È un uomo vestito bene con un lungo abito nero, che si dice fatto per istruire agli altri [un prete, N.d.A.] Tutti questi uomini che vedi, mi dice lui, sono nati da uno stesso padre. E, allora, mi racconta una lunga storia. Però, quello che questo animale dice mi pare molto sospetto. Mi informo se un nero e una nera, di lana nera e naso piatto, generano qualche volte bambini bianchi, di capelli biondi, naso adunco ed occhi blu. Mi hanno risposto di no, che i neri trapiantati, per esempio, alla Germania sono rimasti a generare neri»145Voltaire, Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (1753)
Lo storico italiano Franco Cardini, ordinario presso l’Università di Firenze, ha commentato: «Non stupisce che il signor Voltaire ne difendesse i paladini» dello schiavismo, «tra cui gli illuministi francesi, spagnoli e portoghesi: anche lui aveva investito in azioni della “Compagnia del Maranhao” appoggiata dal Pombal»146Cardini F., Le “riduzioni” in Paraguay? Non erano lager, Avvenire 04/05/2000.
Nonostante ciò, Voltaire inaugurò la leggenda anti-gesuita e nel suo Candide (1759) «stravolse la realtà», presentando i gesuiti come fautori dello schiavismo e gli illuministi come liberatori. Proprio lui, prosegue lo storico italiano Cardini, che «aveva lucrato acquistando le azioni garantite dalla flotta portoghese inviata a acquistando la libertà india»147Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, pp. 75, 76.
David Hume e John Locke
Il filosofo illuminista David Hume (1711-1776), scrisse nel 1748:
«Sospetto i Negri e in generale le altre specie umane di essere naturalmente inferiori alla razza bianca. Non vi sono mai state nazioni civilizzate di un altro colore che il colore bianco. Né individuo celebre per le sue azioni o per la sua capacità di riflessione… Non vi sono tra di loro né manifatture, né arti, né scienze. Senza fare menzione delle nostre colonie, vi sono dei Negri schiavi dispersi attraverso l’Europa, non è mai stato scoperto tra di loro il minimo segno di intelligenza»148Hume D., Of national characters, 1748
Come John Locke (1632-1704), anche Hume decise di investire i suoi risparmi nel commercio degli schiavi. Locke fu maestro del liberalismo anglosassone, simbolo dell’illuminismo inglese e azionista della Royal African Company che trafficava schiavi africani, per lui l’indiano d’America era assimilabile alle «bestie selvagge», per cui «potrà essere distrutto come un leone o una tigre»149citato in Losurdo D., Hegel, Marx e la tradizione liberale: libertà, uguaglianza, stato, Editori Riuniti 1988, p.95.
Arthur de Gobineau
A porre le basi del pensiero razzista contemporaneo fu150Wikipedia, Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane l’illuminista Arthur de Gobineau (1816–1882), autore del «Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane» (1853-1855).
In esso interpretò la storia umana affermando che la purezza della razza determina la capacità di sopravvivenza e di dominio sulle popolazioni inferiori.
Il concetto fu poi ripreso dall’ideologo del nazismo Rosemberg e dagli assertori dell’eugenetica.
Karl Marx
Anche Karl Marx (1818-1883) aveva idee chiare sulla schiavitù. Ecco cosa scrisse:
«La libertà e la schiavitù costituiscono un’antagonismo. Mi riferisco alla schiavitù diretta, alla schiavitù dei neri in Suriname, in Brasile, nelle regione del Sud dell’Ameria del Nord. La schiavitù diretta è il pivot sopra il quale il nostro industrialismo quotidiano fa girare il macchinaio, il credito, ecc. Senza la schiavitù non ci sarebbe nessun cotone, senza cotone non ci sarebbe nessuna industria moderna. È la schiavitù che dà valore alle colonie, furono le colonie ad aver creato il commercio mondiale, e il commercio mondiale è la condizione necessaria per l’industria di macchina in grande scala. Senza schiavitù, l’America del Nord, la nazione più progressista, si sarebbe trasformata in un paese patriarcale. Abolire la schiavitù sarebbe spazzare l’America del Nord fuori dalla carta»151Marx K., Lettera a Pavel Vasilyevich Annenkov, Parigi 28 dicembre 1846, citata in Marx Engels Collected Works, International Publishers 1975, vol. 38, p. 95.
Friederich Nietzsche
Anche Friedrich Nietzsche (1844-1900) non esitò a rivendicare la permanente validità della schiavitù quale fondamento della civiltà.
I suoi testi contengono riferimenti sprezzanti contro Beecher-Stowe, autrice della Capanna dello zio Tom, celebre romanzo abolizionista che tanta eco suscitò in Europa e in Germania.
In Umano troppo umano (1878), Nietzsche scrisse:
«Tutti desiderano l’abolizione della schiavitù, eppure bisogna ammettere che gli schiavi sotto ogni riguardo vivono più sicuri e più felici del moderno operaio e il lavoro degli schiavi è ben poca cosa rispetto a quello dell’operaio»152Nietzsche F., Umano troppo umano, 1878.
Il filosofo tedesco risentì chiaramente dell’influenza della nuova “scienza”, l’eugenetica, inventata in Inghilterra dall’antropologo (orgogliosamente ateo) Francis Galton, cugino di Darwin.
Ciò portò Nietzsche a scrivere: «La vita stessa non riconosce nessuna solidarietà, nessuna “uguaglianza di diritti” fra le parti sane di un organismo e quelle degenerate: queste ultime devono essere amputate. Avere compassione dei decadentés, concedere uguaglianza di diritti anche ai falliti, sarebbe la più profonda immoralità, sarebbe l’antinatura posta come morale»153Nietzsche F., La volontà di potenza.
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8. CONCLUSIONE SUL RUOLO DELLA CHIESA NEL COLONIALISMO
Come in tutte le vicende storiche e umane dell’Occidente, il cristianesimo ebbe un ruolo non indifferente nell’epoca coloniale.
Abbiamo stigmatizzato il comportamento violento di tanti cristiani e religiosi nei confronti degli indios, confermando la base di verità presente in ogni leggenda nera.
Eppure è stato anche analizzato il pochissimo peso sociale della Chiesa negli Stati europei (anche i sedicenti “cattolici”) che promossero la colonizzazione, il boicottaggio statale dei documenti papali a favore degli indios nonché l’approccio moderato e più umano da parte della Spagna (una delle vittime illustri della leyenda negra).
Inoltre, abbiamo elencato i numerosi pronunciamenti ufficiali dei Pontefici dell’epoca contro la schiavitù, contro la violenza verso i nativi e a favore dei loro diritti. Tantissimi vescovi e religiosi (da Francisco da Vitoria a Bartolome de Las Casas) sono tuttora ricordati come “protettori degli indios e l’esperienza delle reduciones gesuite sono illuminanti esempi di rispettosa alleanza tra il mondo cattolico e i nativi contro i colonizzatori europei.
Abbiamo risposto alle accuse più frequenti, ovvero al tema delle conversioni forzate nel Nuovo Mondo, all’imposizione della modernità, alla presunta cancellazione della cultura indigena e alla depredazione delle colonie.
Infine è stato osservato che proprio i promotori della leggenda nera sul ruolo della Chiesa nel colonialismo, gli illuministi, furono ampiamente a favore della schiavitù, promossero il razzismo scientifico e furono azionisti nel commercio degli schiavi.
Lo storico Franco Cardini, ordinario presso l’Università di Firenze, ha infatti celebrato «la lotta senza quartiere dei missionari cattolici e protestanti contro lo schiavismo», osservando che anche quando non vi fu un’opposizione diretta da parte dei religiosi che accompagnavano i conquistatori europei, essi cercarono comunque «in molti modi di rendere più umano»154Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza 2023, p. 71 il colonialismo.
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